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enrico mattioli
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Messaggio da enrico mattioli »

vi riporto quanto segue... tratto da ipse, il mondo della comunicazione on line...

Nel sito della Fieg si trova in effetti un comunicato sui "dati effettivi degli interventi per l'editoria", in cui si dice: "Con riferimento ai dati emersi negli ultimi giorni, la Fieg precisa che il totale degli interventi annuali ordinari dello Stato per l’editoria può essere stimato in 450-460 milioni di euro e non in oltre 700 milioni. Di questi, circa 150 milioni sono contributi diretti ai giornali organi di partito e movimenti politici e ai giornali di cooperative, 270 milioni sono per le Poste Italiane a compensazione delle tariffe di spedizione (circa 100 milioni per le pubblicazioni no-profit, 48 milioni per quotidiani e 120 milioni per periodici) e circa 40 milioni i rimborsi ai gestori telefonici".

Dunque, secondo la Fieg, i giornali di partito o di cooperative prendono circa un terzo dei contributi sull'editoria. Non si capisce come questo terzo diventi secondo Biancheri "la maggior parte" dei contributi, ma questo è solo un dettaglio.

Diciassette elenchi di contributi
Grazie a Google si può fare un passo in più: verificare dalla fonte diretta, cioè chi eroga i soldi. Basta cercare "contributi all'editoria" sul motore di ricerca; il primo risultato è quello giusto: il sito del governo e più precisamente la pagina della Presidenza del Consiglio con lo Speciale Contributi all'Editoria. Qui, suddiviso in 18 file, si trova l'elenco dettagliato di tutti i contributi pubblici all’editoria, sia diretti sia indiretti, e dei rispettivi beneficiari. Una nota avvisa che "la Legge Finanziaria per il 2006 ha profondamente innovato talune di queste disposizioni, in particolare per ciò che riguarda i contributi alle cooperative editoriali". Ed è questo infatti, come vedremo, uno dei punti caldi della questione.

Primi beneficiari i giornali politici
Un primo elenco riguarda i "contributi diretti per l'anno 2003 ai giornali politici e delle minoranze linguistiche". Beneficiari sono i "giornali organi di movimento politico avente un proprio gruppo parlamentare o due europarlamentari eletti nelle proprie liste, nonché i giornali organi di minoranze linguistiche aventi un rappresentante in parlamento". Qui troviamo i classici quotidiani di partito come l'Unità dei Democratici di sinistra (6 milioni 817mila euro di contributo), La Padania della Lega Nord (4 milioni 28mila euro), Liberazione di Rifondazione comunista (3 milioni 718mila), Europa di Democrazia e libertà - La Margherita (3 milioni 138mila), il Secolo d'Italia di Alleanza Nazionale (3 milioni 98mila), La Discussione della Democrazia cristiana per le autonomie (2 milioni 582mila) e altre sei testate: l'Avanti! della Domenica, Democrazia Cristiana, Il Sole che Ride dei Verdi, il bimestrale Liberal di Francesco Adornato e due giornali delle minoranze linguistiche, Le Peuple Valdôtaine e Zukunft in Südtirol.

Per Libero e Il Foglio è un affare
Più interessante il secondo elenco, "Contributi diretti per l'anno 2003 alle testate di cooperative speciali già organi di movimento politico con due parlamentari".

Qui troviamo al primo posto, con 5 milioni 371mila euro di contributo, Opinioni Nuove-Libero Quotidiano, ovvero il Libero di Vittorio Feltri. Per far ottenere i contributi statali al suo giornale (che è di proprietà della famiglia Angelucci, azionista anche dell'Unità), nel 2000 Feltri ha stretto un accordo con il Movimento monarchico italiano (Mmi). Come spiega il sito dei monarchici, "la testata Opinioni Nuove, di proprietà della Cooperativa Alberto Cavalletto (formata da esponenti dell’Mmi) viene affittata alla Vittorio Feltri Editrice srl per la durata di cinque anni. In cambio, la Direzione di Libero si impegna a sostenere la linea politica del Movimento".

Al secondo posto, con 3 milioni 511mila euro, Il Foglio di Giuliano Ferrara. Ferrara è tra i primi, nel 1997, a sfruttare l'opportunità offerta dalla legge: ottenere il contributo dello Stato trasformando un giornale generalmente definito di opinione (l'editore è Veronica Lario, moglie di Silvio Berlusconi) in un organo di partito. Per la precisione, il Foglio diventa "Organo della Convenzione per la Giustizia", costituita da Marcello Pera, il filosofo-senatore liberal-teocon di Forza Italia, e da Marco Boato (carriera politica: Lotta Continua, Democrazia Proletaria, Partito radicale, Verdi); l'anno successivo, Boato rompe il sodalizio con Pera e il suo posto viene preso da Sergio Fumagalli dei Socialisti democratici italiani (lo racconta lo stesso Boato).

Negli anni successivi, in particolare con la Finanziaria del 2001, la legge viene modificata in senso più restrittivo, lasciando però una scappatoia ai beneficiari dei contributi: le imprese editoriali che diventano cooperative continuano a godere delle sovvenzioni statali. "Un escamotage utilizzato da ben 17 giornali su 31, seppure in forme diverse", scrive il Sole 24 Ore del 18 agosto 2003. "Alcuni hanno trasformato la veste giuridica dell'impresa in cooperativa; altri hanno ceduto la testata a una società cooperativa creata ad hoc".

Ventidue organi e pseudo organi di partito
Nell'elenco di cui ci stiamo occupando, relativo appunto ai contributi per il 2003, i giornali di questo tipo sono 22. Dopo i già citati Libero e Il Foglio, ci sono quattro testate che ottengono lo stessa cifra (2 milioni 582mila euro): Il Giornale d'Italia, Linea del Movimento sociale Fiamma Tricolore, il quotidiano d'informazione Roma e Torino Cronaca - Il Borghese, proficuo connubio tra il quotidiano locale edito da Massimo Massano, ex deputato Msi già socio di Vittorio Feltri, e la storica rivista conservatrice fondata da Leo Longanesi e diretta per un certo periodo, alla fine degli anni Novanta, dal solito Feltri.

Seguono, nella classifica, il quotidiano economico napoletano Il Denaro (2 milioni 238mila euro) e il Riformista (2 milioni 179mila euro), il giornale di opinione fondato da Antonio Polito, oggi senatore della Margherita, definito nell'elenco della Presidenza del consiglio "Nuovo Riformistra già Le Ragioni del Socialismo".

Poi vengono La Cronaca (1 milione 874mila euro), quotidiano di Piacenza e Cremona, inizialmente sponsorizzato dal senatore popolare Angelo Rescaglio e dal diessino Sergio Trabattoni, Il Campanile Nuovo (1 milione 153mila euro), organo dell'Udeur di Clemente Mastella, e altre 12 testate con cifre inferiori al milione: Angeli, Aprile, Area, Avvenimenti, Cristiano Sociali News, Gazzetta Politica, Metropoli, Milano Metropoli, La Nuova Provincia, Opinione delle Libertà, Il Patto e la Voce Repubblicana.

E c'è anche chi ci imbastisce una truffa
Questo modo disinvolto di accedere ai soldi pubblici può sfociare anche in vere e proprie truffe come quella scoperta lo scorso maggio dalla Guardia di Finanza. Protagonista Massimo Bassoli, ex direttore del Giornale d'Italia e amministratore della società editrice dello stesso quotidiano (ma più noto forse come amico e biografo del cantante rock Frank Zappa), arrestato assieme ad altre tre persone con l'accusa di aver sotratto alle casse delle Stato 14 milioni di euro.

Come racconta il Corriere della Sera del 12 maggio, nella vicenda sono coinvolte quattro società, la cooperativa giornalistica Mediatel srl, Esedra srl, Esedra società cooperativa, Abrondhouse cooperativa giornalisti, vale a dire la proprietà e l’editrice del Giornale d’Italia, l’editrice del vecchio L’Indipendente (da poco rinato come supplemento del Giornale diretto da Maurizio Belpietro) e infine la società editrice di Puntocom, defunto quotidiano sul mondo dei media.

90 milioni di euro a 68 cooperative
Ma vediamo cosa contengono gli altri elenchi diffusi dalla Presidenza del consiglio. Il terzo elenco riguarda i "quotidiani e periodici editi da cooperative di giornalisti o da società la cui maggioranza del capitale sociale sia detenuta da cooperative nonché i quotidiani italiani editi e diffusi all'estero e i giornali in lingua di confine". In totale sotto questa voce vengono distribuiti circa 90 milioni di euro.

Nella classifica dei beneficiari, al primo posto c'è il quotidiano dei vescovi italiani, l'Avvenire (5 milioni 990mila euro di contributi per il 2003); al secondo il quotidiano economico Italia Oggi diretto da Paolo Panerai, che fa capo al gruppo ClassEditori, quotato in Borsa a Milano, ma la cui casa editrice è una cooperativa: Italia Oggi Editore-Erinne srl; al terzo il quotidiano comunista il manifesto (4 milioni 441mila euro).

Seguono altre 65 testate, tra cui molti quotidiani locali con contributi superiori a 2 milioni di euro: Cittadino di Lodi, Corriere di Forlì, Corriere di Perugia, Corriere di Firenze, Corriere del Giorno di Puglia e Lucania, Corriere mercantile, Giornale Nuovo della Toscana, Nuovo Oggi Molise, Primorsky Dnevnik, Voce di Romagna. Ma ci sono anche giornali sportivi come Sportsman-Cavalli Corse (2 milioni 582mila euro), quotidiani economici come Il Globo (2 milioni 571mila euro) e sindacali come il cislino Conquiste della Lavoro (3 milioni 275mila euro).

Nell'elenco figura anche il mensile di Legambiente La Nuova Ecologia (516mila euro) e il settimanale consumerista Il Salvagente (516mila euro). Esattamente la stessa cifra che prendono Carta, Fare vela, Luna Nuova, Motocross, Mucchio Selvaggio, Rassegna Sindacale e Trenta Giorni, il mensile cattolico diretto da Giulio Andreotti. Ultimo della lista Il Granchio con 41mila euro.

Qualche spicciolo ai non vedenti
Il quarto elenco riguarda i "contributi all'editoria speciale periodica per non vedenti relativi all'anno 2004". Sono in genere piccole cifre, quasi tutte inferiori ai 10mila euro, attribuite a 28 organizzazioni.

I frati non fanno voto di povertà
Poco elevate anche le cifre elargite a 124 giornali pubblicati e diffusi all'estero. In questo quinto elenco solo tre testate prendono più di 50mila euro: l'australiana Fiamma (143mila euro); la svizzera Pagina (89mila) e il Cittadino Canadese (53mila). Ci sono poi le 23 testate del sesto elenco: le pubblicazioni edite in Italia e diffuse prevalentemente all'estero, dove al primo posto c'è il Messaggero di Sant'Antonio del Frati minori conventuali di Padova (109mila euro).

Un contributo per due: Repubblica e Corriere
Il settimo elenco comprende due sole testate ma qui le cifre sono decisamente superiori. La Repubblica e Il Corriere della Sera, i due maggiori giornali Italiani, incassano rispettivamente 1 milione 351mila euro e 714mila euro in quanto "quotidiani italiani teletrasmessi in Paesi diversi da quelli membri dell'Unione Europea".

Acquisto della carta: un pacco di milioni
L'ottavo è l'elenco più lungo: comprende 459 "imprese editrici di quotidiani, periodici e libri ammesse al beneficio del credito d'imposta per l'acquisto della carta utilizzata nell'anno 2004". Il contributo ammonta al 10% delle spese sulla carta. I maggiori editori incassano cifre consistenti: Mondadori (che pubblica una quarantina di periodici tra cui Panorama, Donna Moderna e Tv Sorrisi e Canzoni) 10 milioni 74mila euro, Rcs Quotidiani (ovvero il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport) 8 milioni 686mila, Rcs Periodici (35 riviste tra cui Oggi, Novella 2000, Il Mondo, Amica e Anna) 3 milioni 502mila, Rcs Libri 1 milione 161mila, il Gruppo Editoriale L'Espresso (la Repubblica, l'Espresso e 25 quotidiani locali) 8 milioni 72mila, Il Sole 24 Ore 3 milioni 108mila, Poligrafici Editoriale (Il Giorno, La Nazione e Il Resto del Carlino) 2 milioni 780mila, l'Editrice La Stampa 2 milioni 589mila, Hachette Rusconi (14 periodici tra cui Gente, Elle e Gioia) 1 milione 994mila, Società Europea di Edizioni (Il Giornale) 1 milione 656mila, Periodici San Paolo (Famiglia Cristiana e altri periodici) 1 milione 263mila, Il Messaggero 1 milione 214mila, Cairo Editore (DiPiù e altri periodici) 1 milione 92mila.

Tariffe speciali in Posta
I tre elenchi successivi riguardano i "contributi per l'anno 2004 per le compensazioni a Poste Italiane Spa per le tariffe speciali applicate alle spedizioni editoriali". Anche qui, come si può immaginare, si tratta di cifre molto elevate, che piovono un po' su tutte le testate, dai quotidiani grandi e piccoli, ai settimanali di attualità o di gossip, alle riviste tecniche e specializzate, ai periodici di onlus e associazioni.

Ristrutturazione e ammodernamenti
Altri finanziamenti sono concessi alle imprese editoriali "per il credito agevolato e per il credito d'imposta in relazione agli investimenti fissi di ristrutturazione e ammodernamento della capacità produttiva"; una nota avvisa che i dati relativi sono in corso di elaborazione.

Riqualificazione e mobilità dei giornalisti
C'è poi il "fondo per la riqualificazione e la mobilità dei giornalisti". I maggiori beneficiari sono l'Unità (1 milione 982mila euro), la Edit di Alberto Donati, vicepresidente della Fieg, che pubblicava Bella altre riviste poi chiuse (691mila euro), il Secolo XIX (681mila euro), la Stampa (617mila mila euro) e l'Ansa di Boris Biancheri (323mila euro).

Agenzie gratis per le radio
Le tre tabelle successive riguardano le radio, a cui vengono rimborsate le spese per l'abbonamento ai servizi delle agenzie di informazione. A Radio radicale, ad esempio, vengono rimborsati 4 milioni 132mila euro, a Radio 24 Il Sole 24 Ore 257mila euro. Alle altre emittenti toccano cifre inferiori, in genere qualche migliaia di euro.

Rimborsi anche alle tv locali
L'ultimo elenco riguarda i rimborsi alle televisioni locali, sempre per le spese d'abbonamento alle agenzie di informazione. La cifra più alta, 370mila euro, la prende la pugliese Telenorba.



a regà, e daje!

saluti
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Messaggio da DevilMaster »

Io sapevo due milioni. Peggio ancora...
WebMaster di

Riflettendo sul "teorema":
- Domani è un altro giorno... -
mi trovo a scontrarmi con la dura realtà....
Ieri,
come del resto oggi,
non c'è stato.
enrico mattioli
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Messaggio da enrico mattioli »

infatti... hai visto che roba?
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Messaggio da enrico mattioli »

ciao carlo, ciao a tutti.

vi riporto, tratto dal blog di bebbe grillo, una lettera di marco travaglio, così per ricollegarmi al precedente intervento sui finaziamenti pubblici all'editoria... un paese libero?

“ Caro Beppe, cari amici del blog,
vi rubo qualche minuto di attenzione per una faccenda piuttosto preoccupante che riguarda il mio lavoro di giornalista, ma anche il vostro di cittadini. Dieci giorni fa maggioranza e opposizione unite hanno deciso di mettere il bavaglio alla stampa su tutti gli atti d’indagine: verbali d’interrogatorio, intercettazioni, avvisi di garanzia, mandati di cattura, decreti di perquisizione e di sequestro, insomma tutto ciò che fino a oggi ci ha fatto capire le malefatte del potere politico, imprenditoriale, finanziario, sportivo eccetera. La legge l’hanno intestata al solito Mastella, come Berlusconi intestava le sue prime aziende alle casalinghe e ai cugini di Buscetta, e i suoi giornali al fratello e alla moglie. Ma l’ha voluta e votata tutta la Casta degli Intoccabili: alla Camera ha raccolto 447 voti favorevoli, nessuno contrario, e sette astensioni (Giulietti, De Zulueta, Caldarola, Carra, Poletti, Zaccaria e un altro che non ricordo).
Ancora sotto choc per le telefonate che fotografavano i maneggi di Fazio e dei vertici di Forza Italia, della Lega e dei Ds con i furbetti del quartierino, e che produssero le dimissioni dello sgovernatore e il fallimento delle scalate bancarie. Ancora atterriti dalle intercettazioni che costrinsero alla fuga i vari Moggi, Giraudo, Carraro, De Santis. Ancora sgomenti per le carte che hanno smascherato gli scandali del Sismi deviato e dello spionaggio Telecom.
Ecco, con questi sentimenti nel cuore e soprattutto nella poltrona, i nostri dipendenti hanno pensato bene di imbavagliare la stampa segretando tutto. Se la legge Mastella fosse stata in vigore qualche anno fa, non sapremmo ancora nulla di Bancopoli, Calciopoli, Vallettopoli, Ricattopoli, Tronchettopoli, Spiopoli (e scusate per queste orrende parole, ma ci siamo capiti). I protagonisti di tutti questi scandali sarebbero ancora ai loro posti, perché i processi non sono ancora iniziati. Infatti la legge impone il top secret a tutti gli atti fino all’inizio del processo (quelli del fascicolo del pubblico ministero, addirittura fino alla sentenza d’appello). Così, se anche il Senato approverà questa porcata, l’opinione pubblica non saprà più nulla degli scandali per anni e anni, visti i tempi biblici della nostra giustizia. E non potremo nemmeno esercitare il controllo sull’attività della magistratura, che pure amministra la giustizia “in nome del popolo italiano”.
Non facciamoci fregare dalle parole: questa non è una legge “in difesa della privacy” (che esiste da una quindicina d’anni), nè contro “la gogna delle intercettazioni”: qui non sono in ballo solo le intercettazioni, che pure sono importanti, ma – lo ripeto – tutti gli atti di indagine.
Qualcuno dirà: ma anche oggi sono segreti. Non è vero. E’ dal 1989 che il segreto istruttorio non esiste più. E’ stato sostituito, nel nuovo codice di procedura penale, da un blando segreto investigativo che copre solo gli atti “non conoscibili dall’indagato”. Se l’indagato li conosce, non sono più segreti. E se ne può parlare. L’unico limite è quello – peraltro assurdo – che vieta di riportare il testo integrale di un interrogatorio o di un’intercettazione, ma consente di pubblicarne il contenuto, cioè un riassunto il più possibile fedele. Comunque, chi infrange quel divieto (e nei casi importanti è doveroso infrangerlo), rischia una multa ridicola: da 51 a 258 euro (e se uno “oblaziona”, pagando la metà, cioè 130 euro, non viene neppure processato).
Ora invece la legge Mastella porta la pena a un minimo di 10 mila e a un massimo di 100 mila euro. Così l’oblazione passa da 120 euro a 50 mila. Cifre che nessun giornalista può permettersi di pagare e che nessun editore – salvo che sia Berlusconi alle prese con le telefonate di Fassino – sarà disposto a sborsare. Al contempo, la legge allarga a dismisura la categoria degli atti non più pubblicabili. E’ vietata la pubblicazione, “anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti da segreto, fino alla fine delle indagini o dell’udienza preliminare”.
La notizia non é segreta, ma è vietato pubblicarla: i giornalisti la conoscono, ma non possono più raccontarla. Se qualcuno vuol proprio sapere qualcosa, magari viene in redazione e gli facciamo leggere le carte, di straforo. Ancora: è vietata la pubblicazione, anche nel contenuto, di intercettazioni e tabulati telefonici “anche se non più coperti da segreto”. Stesso discorso: non sono segreti, il giornalista li conosce, gli avvocati pure, i politici di solito anche, ma la gente non li deve sapere. Così, intanto, brulicano i ricatti. Se poi vengo in possesso di un dossier o di un’intercettazione illegalmente raccolti (per esempio, dal Sismi o dalla banda Tavaroli), e magari questi contengono notizie gravissime (per esempio, che si sta preparando un colpo di Stato), e li pubblico, rischio da 6 mesi a 4 anni di galera. Quindi non li pubblico, oppure finisco dentro.
Che fare? Intanto è importante sapere cosa stanno preparando e avvertire gli amici. E poi bisogna tenersi pronti per qualche iniziativa concreta: che so, una raccolta di firma, un referendum abrogativo. Io, per parte mia, se la porcata dovesse passare, farò obiezione di coscienza e pubblicherò ugualmente notizie vietate, per farmi processare e chiedere al giudice di sollevare un’eccezione dinanzi alla Corte costituzionale per far dichiarare illegittima la norma.
a ripeto: non è una legge contro i giornalisti, che le notizie continueranno a conoscerle (e in molti casi sono ben felici di farsi imbavagliare, così danno la colpa a Mastella e non passano per servi). E’ una legge contro i cittadini. Parafrasando Altan, potremmo tradurla così: al cittadino non far sapere come gl’infilano l’ombrello nel sedere."
Marco Travaglio

saluti

enrico
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patrizia
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CIANGALONI CIANGONI

Messaggio da patrizia »

l'avevo letto e le parole si sono accuciate in un angolo... l'unico pensiero che avevo era ...

se va bene siamo al feudalesimo

molto rivestito ma non corretto
patrizia
enrico mattioli
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Messaggio da enrico mattioli »

a proposito di feudalesimo, diciamo periodo risorgimentale, dai un'occhiata a queste righe tratte da storia d'italia di montanelli... sembra ieri, anzi oggi, anzi...

il giornalismo
nella sonnacchiosa cultura italiana del settecento, l'unico fatto veramente nuovo e rivoluzionario è il giornalismo. non tanto per il contributo di pensiero che vi portò, e che non aveva nulla di originale, quanto per la rottura che provocò nelle sue strutture. in cosa queste consistessero, abbiamo già cercato di spiegarlo nei capitoli precedenti. ma non sarà superfluo ricapitolarlo perchè nel loro impianto è la radice di tutte le malformazioni che tuttora affliggono il nostro paese.

tradotta sul piano culturale, la controriforma aveva significato la restaurazione della verità rivelata. rivelata dall'alto, cioè dalla chiesa, la quale non ammetteva che il fedele nemmeno si avvicinasse ai sacri testi. solo il prete era qualificato a leggerli: il fedele doveva stare alla sua interpretazione. è facile capire cosa ne derivò: un ferreo controllo sull'istruzione, tutta ed esclusivamente in mano al clero, in modo che ad essa venissero avviati solo il personale di chiesa e quello strettamente necessario all'esercizio del potere politico, alla chiesa intimamente legato.

ecco come si formarono i circuiti chiusi della cultura. essa non aveva contatti col pubblico perchè il pubblico non c'era. c'era soltanto il "gregge" con cui non si poteva stabilire un colloquio per mancanza del suo fondamentale strumento: l'alfabeto. lo scrittore, non trovando in questa massa amorfa dei lettori, la ignorava e ne era a sua volta ignorato. così si era verificato il più catastrofico di tutti i fenomeni, di cui ancora oggi si pagano le conseguenze e si conservano i vizi: il divorzio della cultura dalla società.

mancandogli una clientela in grado di consumarne i prodotti, era fatale che l'intellettuale cadesse nelle mani del potere, non importa se laico o ecclesiastico visto che erano legati a doppio filo. chi, se non il potente, gli avrebbe dato il mezzo di scrivere libri e di pubblicarli? e a quale udienza poteva aspirare oltre quella dei suoi pari, esigua minoranza isolata nell'oceano dell'analfabetismo? ecco perchè erano nati i salotti e le accademie. erano i punti d'incontro e di ritrovo di questi orfani che nella loro solitudine avevano smarrito o per meglio dire non avevano mai acquistato il senso dell'unica missione che un intellettuale può assegnarsi: quella di direttore della coscienza popolare. non ne possedevano nemmeno il linguaggio perchè quando la cultura si trasforma in una massoneria d'iniziati, perfino il vocabolario si corrompe. e basta scorrere gli scampoli per rendersene pienamente conto. mentre in francia si scrive il francese di voltaire e di diderot e in inghilterra l'inglese di di swift e di hume, unicamente tesi a conquistare il cuore e il cervello del pubblico, e quindi schietti, immediati e senza fronzoli, in italia si scrive l'italiano degli arcadi, accademico, latineggiante, devitaminizzato, senza più quegli apporti popolareschi che rendono viva una lingua, rancido di piaggerie perchè sempre rivolto al potente, e quindi convenzionale e retorico: un italiano bizantino fatto per dibattere problemi bizantini, che non hanno nulla a che fare con quelli che interessano la società.

in questa cultura di serra senza più alcun legame con la realtà, il giornalismo rappresentò una ventata d'aria fresca che ne metteva in subbuglio le tarme. il giornale vive di pubblico, e quindi deve accoglierne la voce, le curiosità, le ansie. chi lo scrive deve mescolarsi con esso, adottare la sua lingua, scendere per le strade: operazione difficile per un intellettuale come quello italiano cresciuto in serra e abituato "all'aula". ma in giornalismo ve l'obbligava.

di giornali in italia ce n'erano già. datavano dal cinquecento. ma non erano giornali. erano - e infatti si chiamavano - avvisi. il più antico e noto era quello di venezia, e si capisce perchè. anzitutto, essa era stata la capitale dell'editoria col suo grande manuzio, e ne conservava le attrezzature. poi, era un grande porto mercantile dove si scambiavano derrate di ogni genere, di cui tutti erano tenuti a conoscere disponibilità, prezzi, eccetera. infine, molti suoi uomini erano imbarcati, e le famiglie stavano in ansia per la loro sorte. l'avviso recava l'annuncio dei carichi in arrivo, il corso dei cambi, il listino dei prezzi, nonchè le notizie raccolte nel porto sugli avvenimenti d'oltremare. si chiamavano anche gazzette perchè costavano una gazeta, monetina di pochi centesimi, e la loro pubblicazione era saltuaria. ma col giornale vero e proprio come noi lo concepiamo - organo non solo d'informazione ma anche di opinione - non aveva nulla a che fare.

questo nacque nel seicento, ma non in italia dove mancavano le sue due fondamentali condizioni: la libertà di stampa e un pubblico in grado di leggere. nacque, com'era logico, in olanda, in francia, in inghilterra, e per imporsi dovette faticare non poco. non è compito nostro ricapitolarne le vicende, ma quelle dei giornali inglesi meritano un piccolo cenno perchè le resistenze che incontrarono da parte dell'ordine costituito danno l'esatta misura dello sconvolgimento che provocavano. il governo inglese non poteva nè sopprimere nè censurare la review di defoe, nè l'examiner di swift perchè la costituzione garantiva la libertà di pensiero e di espressione. ma era atterrito dalle loro critiche. per mettersene al riparo, dapprima cercò di intimidire i redattori incriminandoli di calunnia e di vilipendio, ma i tribunali si rifiutarono di condannarli. poi, accennarono a voler restaurare la censura, ma si profilò il pericolo di una rivolta popolare. allora ricorse al mezzo più subdolo: impose ai giornalisti tali tasse da obbligarli a chiedere sussidi che diventavano armi di ricatto. ma nemmeno questo obliquo rimedio servì. i giornali che rifiutavano l'asservimento fallirono. ma da ognuno di essi ne nascevano altri due, che duravano solo quanto bastava per denunciare questi metodi corruttori, finché riuscirono a metterli fuori legge.

in questa battaglia si colsero sul vivo gli effetti della riforma. facendo obbligo ai suoi fedeli di leggere i sacri testi, essa li aveva costretti ad andare a scuola. e la scuola aveva formato un pubblico di lettori che ora dava all'intellettuale la forza di ribellarsi al potere. egli era indipendente in quanto dipendeva solo dal pubblico. il pubblico gli imponeva di parlare la propria lingua e di interessarsi ai propri problemi, cioè di restare in contatto con la realtà e di mettersi al servizio della società, ma in compenso era pronto a difenderlo dalle sopraffazioni del potere. così lo scrittore, da strumento del potente, si era trsformato in interprete della pubblica opinione. era uscito dall'accademia per scendere in piazza e nelle strade. qui trovò il suo vocabolario, i suoi temi, e soprattutto la sua libertà. dopo due secoli la letteratura inglese del settecento è ancora viva e moderna perchè a farla furono i giornalisti, i quali ebbero grande spirito di osservazione per tutti gli aspetti della vita, storici, sociali, politici. swift, defoe, addison, steele, johnson.

in italia, è ovvio, tutto questo non poteva avvenire: i lettori erano un'esigua minoranza senza coscienza dei propri diritti e senza forza per rivendicarli, e la censura, anche là dove era passata dalle mani ecclesiastiche a quelle laiche, puntigliosa e ottusa. tuttavia, e con un secolo di ritardo, alcuni giornali nacquero, dei quali uno tuttora sopravvive: la gazzetta di parma, il più antico quotidiano italiano, fondato nel 1735, quando parma era una capitale. ma per il momento era anch'esso soltanto un avviso.



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e pressocchè tali sono la >parte
patrizia
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credo che siamo la periferia d'europa, anzi, a dirla tutta, siamo proprio una borgata... rivestita e per niente corretta.
sembra quasi che a ribadirlo diventi patetico.
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CIANGALONI CIANGONI

Messaggio da patrizia »

ho parlato per un Master con un operatore straniero..

tra il più ed il meno, il tutto ovviamente inerente la mia scelta se fare o meno questo Master internazionale, mi è venuta la frase .."perchè attualmente non capisco cosa stia accadendo nel mio Paese!" per tutta risposta mi sono sentita dire " ..Neanche noi" che in inglese fa ancora più disperante "We, too!"
...
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Messaggio da DevilMaster »

We too, in un frangente del genere, lo tradurrei tipo "noi peggio". ;)
Comunque... siamo la periferia dell'europa (vista la posizione), ma trovo anche che si esageri un po'.
WebMaster di

Riflettendo sul "teorema":
- Domani è un altro giorno... -
mi trovo a scontrarmi con la dura realtà....
Ieri,
come del resto oggi,
non c'è stato.
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