
Marco Pantani è morto il giorno di San Valentino del 2004 a soli 34 anni per overdose di cocaina dopo che aveva sofferto di depressione per tanto tempo.
Pantani era un fuoriclasse per temperamento, qualità tecniche e fisiche, basti ricordare che a soli 24 anni staccava Indurain e Bugno.
Sembrava un ciclista uscito da un’altra epoca, capace di sgretolare avversari e chilometri come nessuno faceva da tempo, sovvertendo la tendenza moderna di campionissimi che si affermavano conquistando soprattutto le tappe a cronometro.
Lui invece no, si arrampicava in cima alle montagne, in condizioni spesso impossibili, andando a prendere gli avversari per infliggere poi loro distacchi memorabili,
L'unicità delle sue imprese e il dramma della sua morte hanno fatto di Pantani un mito.
Non un eroe positivo, piuttosto un simbolo di come la grandezza sportiva e la fragilità umana possono convivere.
Pantani è stato un corridore capace come pochi altri di annientare salite impossibili e, insieme, un ragazzo incapace di salvarsi dal gorgo dell'auto-distruzione.
Si può discutere sul piano dell'etica sportiva se quella di Pantani fu interamente vera gloria.
Ma sulla tragica grandezza della sua storia di uomo e di ciclista non ci sono dubbi.
Comunque, Pantani è stato il più grande scalatore della storia del ciclismo, e di sicuro quello che più mi ha fatto battere forte il cuore.
Inoltre, Pantani non è mai risultato positivo a un controllo antidoping.
Ed ora, assurdamente, potrebbe essergli revocato il titolo da lui vinto al Tour de France nel ’98.
La decurtazione retroattiva delle vittorie avviene quando è dimostrato, anche attraverso confessione, che il corridore si dopasse quando vinceva, vedi Armstrong.
Pantani non è mai stato trovato positivo quando ha vinto Giro e Tour, è stato fermato precauzionalmente un anno dopo per ematocrito alto, ossia doping presunto e non accertato.
Ora che è volato in cielo lasciamo che corra tra le nuvole e sopra l’arcobaleno.
Over the rainbow.
Grande Pirata!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)