Per dirti ciao

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Mario Pulimanti
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Per dirti ciao

Messaggio da Mario Pulimanti »

PER DIRTI CIAO

Ernesta Aloisi.
Moglie di Antonio Valeriano Pulimanti, poeta collevecchiano.
Ah. Ok.
Madre di Antonella.
Madre di Stefano.
E madre mia.
E’ morta domenica 29 luglio, all'Ospedale San Camillo di Roma.
Alle diciotto e trenta di un triste pomeriggio.
Il rito funebre è stato celebrato a Testaccio, nella Chiesa di Santa Maria Liberatrice.
Il feretro, al termine del funerale, è stato portato al cimitero storico di Collevecchio, in provincia di Rieti.
Qui mamma è stata seppellita a mezzogiorno del secondo giorno di agosto.
Mi chiedo se sento qualcosa, sollievo, rabbia. Non credo. Provo solo dolore.
Questo tipo di cose ti divora dall’interno.
Sono passati due mesi.
Oggi mi trovo a Testaccio con Antonella e Stefano.
Ad un bar, sotto casa loro.
Durante il caffè e le conversazioni su argomenti leggeri, ciò che è accaduto a mamma è presente, ma nessuno di noi la menziona a voce alta.
Forse è bello non parlare delle circostanze che hanno portato alla morte di qualcuno, ma parlare delle cose belle, dei ricordi e di ciò che ci mancherà, ma la verità su mamma, su tutti noi, cresce dentro di me. Dentro di noi.
So cosa vuol dire. Abbiamo mai avuto dubbi? Portarla al San Camillo é stata la cosa giusta da fare?
Certe cose fanno male.
Fa male la morte di chi si ama.
E’ qualcosa a cui non si smette mai di pensare.
E’ stata una brava mamma.
Sì. E’ vero.
Torno a casa. A Ostia.
Ora sono seduto su una panchina del Pontile, terrorizzato dallo scorrere del tempo, dagli istinti.
Dal fatto di non avere il controllo di essi.
Da ogni piccola scheggia di tempo, la trasformazione di un infinito numero di cellule.
Dall’aria che cambia, il mare di fronte a me che è la stesso ma nello stesso tempo non lo è, da mio fratello Stefano  che è invecchiato, io che sono invecchiato, impercettibilmente ma inevitabilmente invecchiato, e dal fatto che, in qualsiasi momento, può crollarmi qualcosa in testa dall’alto, e distruggermi.
La verità può arrivare tramite un dettaglio, il tempo delle rivelazioni può arrivare e cogliermi impreparato, di sorpresa.
Non appena mi sono assicurato che tutto è a posto, che ho io il controllo, questa sensazione lascia il posto a una nuova scheggia, anch’essa insicura, fugace, pericolosa, e come si fa a vivere una vita che appare così effimera, così temporanea?
E costantemente quella sensazione di solitudine, nonostante la famiglia, la condivisione.
Simonetta, mia moglie.
Gabriele, mio figlio. Tra poco ventiseienne.
Alessandro, l’altro mio figlio. Quasi diciottenne.
Loro sembrano pensare che quello che è successo non abbia toccato solo me, ma anche loro, forse nel tentativo di alleggerirmi il peso.
La morte di mamma, quella perdita che conosco solo io e nessun altro, colora tutti i miei giorni, a parte qualche breve, quasi euforico, istante di oblio.
Ed è di nuovo qui, come un peso.
E’ come se mi avessero diagnosticato una malattia mortale e io tenessi la diagnosi per me, perché non ce la farei a sopportare le espressioni dei loro visi se lo dicessi.
Certo, lo ripeto, dal 29 luglio la mia famiglia mi sta vicino.
Questo mi trasmette una strana sensazione di sicurezza, di innocenza, ma le notti sono terribili.
Mi sveglio con il cuore che batte talmente forte che ho paura che stia per fermarsi, che non ce la faccio più, che morirò.
Sì, spesso la notte mi sveglio senza fiato.
Mi alzo e mi siedo davanti alla tivvù, tiro fuori il vecchio videoregistratore dall’armadio e cerco i filmati registrati dai miei genitori quando eravamo piccoli.
Tengo il volume basso e la luce spenta.
Mia madre e mio padre si passano la telecamera, e la famiglia fa cose da tipica famiglia.
Filmano me e Stefano che giochiamo con il pallone.
Io e Antonella che corriamo al Parco della Rimembranza di Collevecchio.
Io e mio padre che giochiamo a ping-pong, mentre mio fratello impara a camminare.
Mia madre che fa un filmino di prova con mio padre, hanno appena comprato la videocamera.
Cinquant’anni fa.
Sembra così giovane, assomiglia a me.
E io cerco qualcosa, un filo conduttore o un dettaglio nella mia storia, che possa spiegare ciò che è successo, perché è andata così, ma niente. Non trovo niente. Niente che possa giustificare la morte di una madre.
Ciò che mi fa paura è il silenzio.
Non poterle più parlare.
Vorrei avere almeno un attimo, mamma, anche solo per dirti ciao.
Comincia a piovere.
Mmh..sarà Cleopatra, l'ondata di maltempo che sta imperversando per l’Italia in questi giorni?
L’autunno non è ancora arrivato ma arriverà inevitabile come dopo tutte le estati.
Me ne vado presto dal Pontile, per camminare nella pioggia verso casa.
Tengo l’ombrello in mano, non lo apro, non ne vedo il motivo.
La morte di mamma mi fa ancora male.
Credo di essere un po’ depresso.
A volte mi viene da piangere nelle situazioni più strane, e vorrei essere in cattiva salute, vorrei stare per morire.
Forse domani, forse non prima di altri cinquant’anni, ma prima o poi il mio corpo cambierà direzione, inizierà l’atterraggio.
A parte qualche mal di testa e il fatto che sono ancora un po’ sovrappeso, fisicamente sto bene.
Non mi sto spellando in maniera preoccupante, non mi sento raschiare quando respiro, i miei organi interni, il fegato, i reni, tutti eseguono le loro funzioni biologiche come dei bravi lavoratori obbedienti.
Mi sembra uno spreco.
Non finirò mai di ringraziare i miei genitori, che mi hanno insegnato fin da piccolo l’importanza di poter essere ciò che si è e di trattare gli altri con rispetto e dignità. Sono stati fantastici.
Comunque, appena mi muovo un po' ho subito il fiatone.
Cavolo, inizio a invecchiare.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
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