SONO UN UOMO SENZA QUALITA’
Mi chiamo Mario.
Mario Pulimanti.
Sono di Ostia.
E sono un uomo senza qualità.
Però ho molti amici.
Ne vado a trovare uno, Federico.
Abita in via Domenico Baffigo.
Zona Ostia ponente.
Uscito di casa mi reco prima alla succursale della Banca Antonveneta, situata lì vicino, e mi soffermo come tutte le settimane davanti al tabellone su cui sono esposte le quote della Borsa del giorno, qualsiasi sia, perché ogni settimana compaiono sempre le stesse.
Questo, secondo me, presagisce tre cose: il tracollo della Borsa, la caduta del Governo Monti o la morte dell’impiegato che si occupa del tabellone.
Ciononostante, prendo nota con la massima cura e mi soffermo a riflettere neanche dovessi fare un importante investimento.
Infine mi dirigo a passi brevi verso la zona del porto, dove abita il mio amico.
L’ambiente così variegato mi stordisce più del solito.
Ci sono curiosi, gente a passeggio, barbieri disoccupati, promotori finanziari che frugano nei cestini dei rifiuti e persino qualche puttanella che arriva, piena di legittima speranza, dalla periferia di Acilia.
Ci sono anche naturalmente, turisti giapponesi, a dimostrazione che Ostia ha un avvenire. Disturbato da tanta confusione sento quel che sento sempre in questa zona: che inizia a perdere pezzetti di me.
Penso di scendere fino a Viale del Sommergibile, dove i marciapiedi sono ampi e permettono di osservare la gente, ma sono spaventato dalla folla che posso trovare in questo centro del mondo, sicché mi infilo nel solito bar e chiedo un caffè ristretto.
E’ un bar molto piccolo, appena un segmento della portineria dell’immobile.
Bevo il mio caffè, commento con il proprietario gli interessi bassissimi del denaro investito in obbligazioni e esco per comprare il quotidiano in un’edicola che occupa una parte della portineria di un altro condominio.
L’acquisto del giornale è un atto rituale, non esente da spirito utilitaristico, poiché senza il giornale non potrei leggere le ultime notizie di cronaca e di calcio, nonché gli spettacoli di Cineland e del Manfredi.
Questa mattina, dopo un percorso pieno di desolazione, di delusioni e di sfiducia, giungo in Via Marino Fasan.
Lì ci sono due grandi zone: quella inferiore, del parcheggio, in cui dormono le auto; e quella superiore, delle panchine della piazza, in cui dormono i pensionati.
I pensionati non hanno nulla da fare tranne alimentare la speranza segreta che muoia prima il tizio seduto di fianco.
Il mio amico abita nella zona più centrale di Nuova Ostia, in un palazzo super sfruttato facente parte delle case ex-Armellini, costruite con pessimo materiale e da sempre note per questa caratteristica in cui ci sono due pensioni, lo studio di un dentista, lo studio di un amministratore, quello di un avvocato, il tempio di una lettrice di tarocchi, una casa di appuntamenti, l’atelier di un sarto di paramenti sacri e lo scantinato del veggente Morgan.
Il piano terra, anch’esso ampiamente utilizzato, lo occupano un orologiaio, una caffetteria, un bingo, un ufficio di collocamento e un gioielliere confidente dei Carabinieri.
La porta è semi aperta.
Busso.
Nessuna risposta.
Timidamente, entro nella casa dove Federico vive con la giovanissima e splendida seconda moglie ucraina.
Vedo spuntare da un lato del letto un paio di gambe snelle e lunghe, un pezzetto di gonna dai colori sgargianti, il rettangolo di un pube nudo e un paio di mutandine buttate sul comodino.
Le due gambe di donna si dirigono verso di me: lunghe, sensuali, carnose.
Al di sopra delle gambe, c’è qualcos’altro: un volto ovale scuro, tostato dal sole e avvolto in una capigliatura bionda.
La proprietaria delle gambe e del volto si presenta: dice di chiamarsi Valiusha, moglie di Federico. Lui non c’é.
Gli ha telefonato la sorella per un motivo urgente ed è dovuto andare subito da lei, a Collevecchio.
Valiusha é pettinata all’ucraina: una superficie liscia e severa raccolta in uno chignon, come quello delle dame vittoriane.
Non deve superare i trenta anni.
E’ seminuda.
Indossa una finissima camicia da notte, ma solo fino al pube: sotto l’orlo spuntano le pieghe dell’inguine, insinuatrici di cellulite e di altre sostanze poco raccomandabili.
L’ho sorpresa in pieno sonno.
Chiede se voglio un caffè, retrocedendo di un passo.
Le dico che vado di fretta.
Lei si appoggia di schiena alla parete, ansima, piega una gamba nuda, mostra la curva del culo nudo, esibisce i danni che ha lasciato la buona tavola.
Mentre mi saluta, per un attimo mostra inavvertitamente il suo culo di marzapane e il suo pube di seta.
Esco, avendo ancora negli occhi la sua retroguardia lunare, la vita stretta e giovane e le gambe, sicuramente guardate di sottecchi da eserciti di uomini, assessori e preti.
Valiusha, complimenti: un culo perfetto e abbondante è un miracolo.
Solo una donna su cento ce l’ha.
Sono di nuovo in strada.
Nuova Ostia: un mondo pieno di vita, di sacrificio, di peccato e di speranza.
Intorno a me, turisti pidocchiosi, poeti in vendita al miglior offerente, sindacalisti intenti a redigere un manifesto in cui chiedono la giornata lavorativa di due ore.
Qui circoli culturali e sezioni politiche coesistono fianco a fianco con i negozietti a gestione familiare in cui si possono cambiare assegni,pagare bollette e comprare parrucche, artigianato africano, liquori e mobilio vario.
Molti degli edifici più vecchi sono deserti e parecchi sono recintati o sigillati da porte metalliche coperte di graffiti.
Dietro le strade più affollate, elettrodomestici a pezzi aspettano che qualcuno venga a razziarli e la spazzatura si ammonticchia agli angoli delle case e davanti ai marciapiedi.
Erbacce e giardini di fortuna invadono i lotti abbandonati.
Le affissioni reclamizzano gli spettacoli dei teatri di Ostia, il Pegaso, il Fara Nume, Affabulazione, il Dafne, il Teatro del Lido, ma anche il più importante Teatro Nino Manfredi, mentre centinaia di manifestini coprono pareti e staccionate, annunciando spettacoli e show di qualche compagnia locale di attori semisconosciuti.
Tornando indietro, verso Via della Corazzata, lo scenario cambia: gli edifici deserti sono stati abbattuti o ristrutturati, i cartelloni fuori dai cantieri mostrano quali residenze idilliache presto rimpiazzeranno le costruzioni preesistenti.
Difatti la zona appena limitrofa a Corso Duca di Genova è bella e alberata, con marciapiedi puliti. Le file di vecchi edifici sono in buone condizioni.
Prima di arrivare sotto il mio portone c’è un palazzo di arenaria, con la facciata ricca di decorazioni scolpite nella pietra ed il ferro battuto di un nero lucente sotto il sole della tarda mattinata.
E più avanti due splendide palazzine risalenti agli anni sessanta.
Mi fermo vicino a quella di destra, davanti alla fermata dello 01.
Ecco, questa è casa mia.
Cavolo.
Mario Pulimanti (Lido, di Ostia –Roma)
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