The Sunshine never comes

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katandrew92

The Sunshine never comes

Messaggio da leggere da katandrew92 »

Salve gente!
Sono nuovo e vorrei sapere che ne pensate di questo racconto che ho scritto.. Ho provato con Nasf 6 ma non è andata... Mi piacerebbe sentire un consiglio su come migliorare.  Grazie a tutti!




The Sunshine Never Comes
L’Alba Non Arriva Mai

“Buio. Oscurità. Notte. Sempre penombra. Mai luce… Mai.” Questo è all’incirca ciò che pensava il solitario viandante Eshnun Fire mentre viaggiava sotto il mare de La Manica, attraverso l’ormai pericolante autostrada sottomarina Francia - Inghilterra.
“Eccomi qua, il giorno del mio compleanno, a viaggiare sotto migliaia di metri cubi di acqua a bordo dell’unica cosa che mi resta, la mia adorata moto da strada, invece di festeggiare con la mia famiglia.”
Si lasciava spesso andare in ricordi nostalgici della sua vita passata per fuggire dalla crudeltà e tristezza della sua vita attuale, ormai un lento trascinarsi tra un’incombenza e l’altra, sempre a prendere di petto il pericolo momentaneo, senza mai curarsi del futuro. Ormai le uniche cose che gli erano rimaste erano quelle poche che si trascinava dietro. Il suo fedele giacchetto di pelle sgualcito sbatteva all’aria della desolata galleria, sempre aperto per colpa della cerniera rotta a mostrare una canottiera bianca intinta di sudore e altra sporcizia. I suoi cari jeans chiari, rotti in più punti e abrasi in altrettanti, servivano giusto a coprire le molteplici cicatrici delle gambe, ognuna ricordo di un’avventura passata. Sentiva prurito alla pelle del collo a causa del consunto cappello tipo western che portava, fissato con un vecchio laccio, teso al massimo per colpa della velocità della moto. E la moto, unico avere ancora in buone condizioni, era la sua unica fonte di gioia. Andava fiero del suo gioiello, una QXF 6 990 rosso fiammante che nonostante un paio di graffi sulle fiancate sembrava appena uscita di fabbrica; assurdo poiché l’azienda che l’aveva costruita non esisteva più da parecchio tempo, e non era stata certo la concorrenza ad affondarla. Così, questo triste viandante del terzo millennio, a bordo di un autentico bolide che stonava con il suo aspetto, si preparava ad affrontare i suoi mulini a vento, manco però di un fido scudiero, di cui forse non sentiva nemmeno la mancanza.
Evitando le carcasse di automobili distrutte lungo la strada, ripensava a quanti pericoli, a quante pallottole d’argento avesse evitato negli ultimi tempi. Ormai aveva perso il conto. Ogni giorno combatteva una dura lotta per la sopravvivenza e per ora, nonostante le fatiche e la sofferenza, aveva sempre vinto; ma oggi, come si suol dire, è un altro giorno e non si sa mai cosa esso possa riservarci. Un altro giorno secondo lo scandire del tempo convenzionale dell’uomo, perché, se è vero che per definizione inizia all’alba con il sorgere del sole, allora di giorni non se ne vedevano da tanto tempo. Al contrario vi era una notte perenne, buia, senza luna e senza stelle. Già, perché almeno a consolare il triste animo umano, vi erano un tempo tante piccole luci nel cielo, fonti di calore molto confortevoli nelle notti più fredde, ma che ormai avevano ceduto il posto a un cielo a tutte le ore nero, con sprazzi grigi qua e là, come pustole. Già, si poteva dire che il cielo fosse malato, e per esso non c’era cura. Almeno così si pensava. Almeno così Eshnun pensava. A chi altri avrebbe dovuto chiedere un parere? Alle migliaia di corpi carbonizzati? Ai neri fantasmi di vite spente tra le più atroci sofferenze? No, non poteva chiedere a loro. Tantomeno a quella congrega di folli che rispondevano al nome di Ustionati, alcuni dei pochi sopravvissuti alla fine del mondo. All’Armageddon. Alla fine di tutte le cose. All’annientamento. All’Apocalisse. Ci sono tanti nomi per definire l’evento temuto per millenni e ora finalmente avvenuto, ma nessuno di essi porta con sé il vero significato. Ognuno contiene un poco di ciò che è veramente, ma nessuno lo può comprendere in pieno. Per quanto ricercata e studiata, nessuna sequenza di lettere è in grado di descrivere un avvenimento di tali proporzioni… Bisogna viverlo per capirlo. Ed Eshnun l’aveva vissuto.
Aveva quasi raggiunto la fine del tunnel quando si fermò a riposare in quella che un tempo era stata una stazione di servizio, ora ridotta a un cumulo di macerie. Si chiuse in un bagno e sprangò la porta, pronto però a intervenire nel caso qualcuno o qualcosa si fosse avvicinato, per difendere prontamente la sua moto, nascosta poco lontano sotto un telo. Così, sedutosi per terra con il volto riverso alla porta e calatosi il cappello davanti agli occhi – nonostante fosse inutile visto il buio totale –, si addormentò preparandosi a un riposo costellato di incubi e fantasmi di ogni genere.
Quella notte, infatti, non diversamente dalle altre, sognò. In particolare lo venne a trovare il fantasma della sua figlia di sette anni, con i suoi capelli biondi e gli occhi di un verde acceso. I suoi bei denti però, non si mostrarono quella notte, lasciando il posto ad una ben più triste espressione di avvilimento. Stava ferma, quasi immobile a guardarlo attraverso una lastra di materiale trasparente che non poteva essere sopraffatta da nessun tipo di colpo, nonostante l’incredibile forza della disperazione. L’unica cosa che rimaneva da fare era fermarsi di fronte alla parete e stare a guardarla, mentre i suoi contorni lentamente svanivano, lasciando il posto a un’oscurità e un silenzio opprimenti. Già, perché la tenebra lo seguiva anche nei meandri più remoti della sua mente, per ricordargli che non vi era scampo al suo muto potere, nessuna speranza contro quell’atmosfera di morte e sofferenza.
Si risvegliò di soprassalto tutto sudato e si accorse che erano passate solo tre ore. Intorno a lui silenzio. E buio, sempre il buio. Si era svegliato da un incubo per finire subito dentro a un altro, ben più reale.
Nei primi istanti di veglia fece un rapido elenco delle cose da fare: alzarsi, prendere la moto, lasciare quel tunnel dell’orrore e, seguendo l’istinto, continuare a viaggiare per mete ignote. Forse cercava un po’ di tranquillità, la tanto agognata pace. Non conosceva nemmeno lui i suoi desideri, ma di una cosa era certo: aveva bisogno di luce, della sensazione di disturbo agli occhi a causa del riverbero, non quella fredda chiarezza che anche i fanali della sua moto potevano dargli, ma una calda e rassicurante, che infondesse in lui quella voglia di vivere che aveva perso da parecchio tempo.
Dieci minuti circa dopo la sua partenza dal desolato luogo di ristoro ormai solo per bestie necrofaghe, Eshnun uscì all’aria aperta della un tempo fredda Inghilterra. Non sembrava cambiato molto il paesaggio dall’interno all’esterno, a causa del cielo nuvoloso che si chiudeva sopra di lui, pronto a soffocarlo proprio come la volta sporca del passaggio sottomarino. Si chiese sconsolato quando mai sarebbe uscito dalla tetra ombra di quell’immenso tunnel che era diventata la sua vita. Probabilmente mai. Tutto il suo affannarsi si sarebbe rivelato sicuramente inutile, una fatica priva di senso. Ma lui sapeva che non poteva essere così. Non doveva essere così. Sarebbe giunto in un eremo lido di tranquillità in mezzo a quell’inferno. Non doveva arrendersi.
Accompagnato da non felici pensieri, il solitario viaggiatore s’incamminò per strade sconosciute alla ricerca della sua città perduta, che fosse la preziosa Eldorado, l’eterna Shangri-La o qualcosa d’altro, desideroso di chiarezza in tutti i sensi.
Lo scenario che si apriva davanti a lui era una landa priva di vita, una specie di deserto con tratti di asfalto qua e là, giusto per ricordare ai tristi viaggiatori che quello non era il Sahara o il Gobi, distese immense quasi morte da migliaia di anni, ma che fino a non molto tempo prima era stata una terra di persone, di pensieri, di emozioni. Il silenzio avvolgeva tutto l’ambiente: la terra, l’asfalto, gli ammassi metallici contorti in mostruose posizioni, grigi superstiti di una remota tecnologia, ed eccetto questo, non c’era altro su cui l’occhio potesse soffermarsi. Il caldo era soffocante, si appiccicava alla pelle e ai vestiti come una pellicola, inzuppando il tutto di sudore. Da millenni non si registrava una temperatura così alta su tutto il globo: le regioni che prima erano caratterizzate da un clima mite adesso erano diventate un'unica distesa desertica con le caratteristiche tipiche di quest'ultima, calore umido il giorno con picchi di quaranta gradi e la notte invece la colonnina di mercurio registrava temperature sotto lo zero. Inoltre un continuo vento caldo spazzava l'ambiente creando così delle vere tempeste di sabbia; se non si era ben attrezzati con un cappello, una sciarpa e degli occhiali protettivi, si rischiava di non vedere nulla ed essere soffocati dalla polvere. Per questo Eshnun estrasse dai vani della moto un foulard rosso e una mascherina di quelle che si usavano per sciare - non oscurata però: l'atmosfera era già fin troppo buia – e li indossò, insieme al suo cappello tipo western. Aveva potuto evitare di indossarli fino ad ora solo perché nel tunnel non soffiava il terribile vento della superficie.
Nonostante il paesaggio già così sarebbe stato fin troppo demoralizzante per qualunque spettatore, la cosa peggiore stava nella continua penombra che avvolgeva con il suo grigio manto ogni cosa, volto a offuscare anche la minima traccia di colore. Sembrava che tutto il complesso esterno a Eshnun fosse stato posto in quel tempo e in quello spazio giusto per non far rinascere in lui nemmeno un seme di speranza, per lasciare il suo bocciolo vuoto e senza vita.
Mentre si attardava con questi deprimenti pensieri - nonostante il rassicurante rombo della moto - si accorse di grida poco lontano.
“Si ricomincia.” Pensò. “Era fin troppo tempo che non avevo delle grane… Da ieri.”
Si diresse così, con l’anima in spalla, a controllare la fonte del rumore cento metri sulla sinistra, dietro una brulla collina. Si aprì davanti a lui uno scenario che avrebbe sopraffatto qualsiasi altro, ma non lui perché ormai il tempo dello stupore e dell’orrore era già passato da molto, surclassato da una triste accettazione e dall'abitudine. In una zona di asfalto in basso a lui vi era un uomo, all'incirca della sua età e anche lui ben attrezzato contro le insidie, legato mani e piedi a un palo metallico eretto, mentre intorno a lui stava divampando lentamente un rogo. Stava bruciando vivo! Di fronte a lui vi erano inoltre due figure dalla forma umana, nascoste sotto pesanti mantelli rosso acceso muniti di cappuccio arancio, che osservavano la macabra scena imperterriti, gridando ogni tanto qualcosa al malcapitato.
Valutata velocemente la situazione, Eshnun seppe subito cosa fare e, inserita la quarta come marcia, si lanciò giù per il breve pendio sgommando, in una nuvola di polvere. Arrivato addosso alle due losche figure e una volta costrettole alla fuga sparando in aria con la sua automatica calibro nove comparsa quasi per magia nella sua mano, si precipitò a salvare l'uomo. Così, sceso velocemente dalla moto, tagliò i lacci che lo tenevano legato evitando le fiamme ancora basse e, caricatolo sulla spalla, lo distese a terra fuori da quel piccolo inferno che si era venuto a creare. Si fermò quindi a controllare le sue condizioni dopo essersi assicurato che gli incappucciati se ne fossero veramente andati.
“È privo di sensi, ma per fortuna non ha riportato ferite gravi: un colpo da corpo contundente alla nuca, abrasioni ai polsi e alle caviglie in corrispondenza dei lacci e qualche piccola ustione dovuta al palo metallico arroventato. Per fortuna le fiamme non si erano ancora avvicinate troppo a lui. Con qualche giorno di riposo se la dovrebbe cavare senza conseguenze.”
Passò a bagnargli la faccia con dell'acqua – anch'essa presa dai vani senza fondo della moto – e a pulirgli le ferite. Dopo pochi minuti di lavoro intenso si accorse della rottura del silenzio nell'ambiente circostante: sentiva rumore di passi, tanti passi. Giratosi, vide comparire su un’altura poco lontano cinque figure incappucciate allo stesso modo di quelle precedenti che, con fare poco amichevole, stavano scendendo lentamente il pendio imbracciando fucili di ultima generazione, ideati poco prima della fine della civiltà quando gli eserciti regolari esistevano ancora, e spade in Isolight legate alla cintura.
Non c’era tempo per tergiversare: al primo colpo dei misteriosi avversari Eshnun era già in sella alla sua moto supportato dalle veloci mitragliatrici retrattili montate sui fianchi, l’ultimo regalo di compleanno che aveva ricevuto l’anno prima da uno scienziato in cambio di preziosissimi dati che Eshnun aveva trovato in un laboratorio abbandonato. Così si era lanciato sparando direttamente sugli aggressori, non potendo questa volta accontentarsi di spaventarli, e la sua azione era stata così imprevista che gli incappucciati non avevano che potuto mancarlo con le armi automatiche. In meno di un battito di ciglia erano tutti disorientati. Un paio era caduto subito, mentre gli altri tre erano riusciti a erigere una barriera elettromagnetica che aveva respinto i proiettili e che gli aveva permesso di iniziare un contrattacco con molta più concentrazione di prima.
Eshnun rimase sorpreso dalla piega che aveva preso il combattimento, non aspettandosi dei nemici così preparati tecnologicamente, ma non si perse d’animo e continuò la sua avanzata verso i tre rimasti. Una buca più profonda delle altre però gli fece perdere il controllo, anche se solo per qualche attimo, ma abbastanza a lungo affinché i tre superstiti aggiustassero bene la mira e facessero fuoco direttamente alla testa del conducente dell’ora corazzatissima moto. Stavano già gridando vittoria i tre, sicuri di avere eliminato quell’ostacolo dai loro misteriosi piani, e avrebbero avuto ragione se non fosse stato per lo scudo elettromagnetico che si era attivato intorno a lui automaticamente, grazie al congegno a forma di orologio, posto sul suo polso sinistro.
“Non crederete che siate gli unici a disporre di apparecchiature sofisticate.” Pensò mentre, finalmente raggiunti gli aggressori, si lanciava dalla moto in sgommata, che tanto nella caduta non si sarebbe fatta niente, travolgendo il primo avversario e uccidendolo con un pugnale in Isolight, prima di volgersi ad affrontare gli altri due con la spada che gli era uscita dalla manica destra del consunto giacchetto di pelle. L’Isolight era un nuovo materiale inventato per l’occasione: isolante e molto leggero ma allo stesso tempo resistente e rigido. A Eshnun agli inizi della fine era parso strano che, dopo aver raggiunto, da parte dell’uomo, una conoscenza tecnologica impressionante, si tornasse a combattere di spada parecchi secoli dopo la fine dell’utilizzo di quest’arma in battaglia, ma ormai non ci faceva più caso. D’altronde era naturale che si dovesse battersi così: se entrambi i combattenti possedevano uno scudo magnetico, i proiettili diventavano inutili. Con l’evolversi di questa pratica si era pian piano venuta a creare una sequenza di combattimento: una volta che entrambe le parti avessero costatato di usare entrambi scudi magnetici, avrebbero posato le armi da fuoco per passare a quelle corpo a corpo. Eshnun ormai si era impratichito nel combattimento con le lame e poteva vantare un’abilità notevole.
Purtroppo però, nel compiere l’azione spericolata di poco prima, aveva messo male una caviglia, e adesso era vittima di dolori lancinanti all’arto slogato. Facendo una smorfia per il dolore, iniziò una serie di attacchi veloci contro il primo avversario al fine di metterlo in difficoltà e infine ne ebbe ragione grazie ad una finta a destra e una conseguente giravolta a sinistra che lo portò in una zona non protetta dell’avversario dove non ebbe difficoltà a infilare la spada raggiungendo il cuore e ponendo fine all’esistenza dello strano individuo. Il corpo senza vita dell’uomo era appena crollato che lui, perdendo l’equilibrio a causa della caviglia, lo raggiunse a terra. Un’occasione del genere non sarebbe più capitata all’ultimo aggressore che, infatti, ebbe vendetta piantando la propria spada nella schiena del viandante solitario, che si accasciò ancora di più al suolo, stroncato dal violento colpo. Nonostante la sua evidente e imminente fine, Eshnun, per com’era fatto, non poteva permettere a nessuno di uscire vittorioso da uno scontro con lui, così, con ultimo sforzo di volontà, fece sbilanciare il suo avversario afferrandolo per una caviglia e, mentre questo stava ancora cadendo, dalla sua posizione sdraiata serrò le sue dita sulla testa del malcapitato e la sbatté violentemente in terra su una zolla di asfalto isolata nel deserto in un’esplosione di sangue. Adesso era lui l’unico sopravvissuto sul campo di battaglia, anche se per poco, se non si contava l’uomo ferito che egli aveva liberato. Aveva vinto un’altra volta. Ma questa volta sapeva che la vittoria gli avrebbe chiesto un grande prezzo da pagare, la sua vita.
Eshnun, come si suole dire in questi casi, rivide in un attimo la propria vita, i dolori, le gioie, le paure, le soddisfazioni e capì di essere giunto alla fine della sua insensata, secondo la sua opinione, vita. Non rimpiangeva di non poter vivere ancora, visto l’inferno in cui si era trasformata la sua esistenza, anzi pensava che forse sarebbe stato meglio così, che magari sarebbe andato in un posto migliore; eppure sapeva di illudersi, quelle erano le irrazionali speranze di chi non ha più niente e di chi ha già perso ogni altra fede. In effetti, proprio lui, con la sua indole realistica elevata all’inimmaginabile forgiata sulle sofferenze di quella grama essenza, che aveva pensato, anche solo per un momento, a cose così fuori dalla logica e accettabili solo in quanto davano speranza nei momenti di disperazione più neri, significava che era proprio alla fine. Non ci sarebbero state più battaglie, più fughe, mai più persone da salvare. Dove andava non ci sarebbe stato più bisogno dello strano cappello western e del foulard per proteggersi dalla sabbia, non più del giacchetto di pelle a riscaldarlo, né dei jeans strappati a sorreggerlo. La spada e il pugnale in Isolight non lo avrebbero più protetto, così come le sue innumerevoli armi automatiche nascoste pressoché ovunque e il pronto scudo elettromagnetico. Forse la cosa di cui avrebbe sentito di più la mancanza, se avesse potuto, sarebbe stata la sua fedele compagna di viaggio, la moto rossa QXF 6 990 adatta a tutte le situazioni, con i suoi vani senza fondo e le veloci mitragliatrici che, con la sua muta presenza, aveva potuto confortarlo nei momenti più bui di quel buio mondo. Certamente non avrebbe rimpianto i continui attentati alla sua vita e le crudezze del pianeta post-apocalisse. Sarebbe stato finalmente libero dai suoi incubi, sia quelli reali sia quelli in sogno, che non lo avrebbero più potuto tormentare con le loro tetre immagini. Certo, probabilmente non avrebbe più potuto vedere sua figlia, anche se forse, visto come la poteva guardare, sarebbe stato meglio così. Ma in assoluto la cosa che sarebbe stato più contento di lasciare sarebbe stata il buio, l’oscurità, la notte perenne che lo aveva avvolto negli ultimi anni, sia realmente sia metaforicamente.
Infatti, già iniziava a intravedere una luce davanti a sé, calda e confortante. Dapprima una flebile fiammella e poi una gigantesca supernova, che lo stava aspettando alla conclusione della vita. Era come una liberazione. Finalmente stava tornando alla luce. Si sentiva bene come da tempo non lo era stato ed era emozionato ed eccitato, felice all’ennesima potenza. Aspettava da troppo tempo quel momento e non vedeva l’ora di essere parte di quell’eterna luce.
Ma proprio quando stava per raggiungerla, sentì una voce, di cui però non riusciva a distinguere le parole, e intravide un volto. Ci volle qualche secondo per riorganizzare le idee. Davanti a sé vedeva la figura stanca del prigioniero che prima aveva salvato e una mano che gli puntava in faccia una torcia a energia solare. La fonte della luce non era altro che una volgare pila. Distinse la voce:
- Mi dispiace Eshnun di non lasciarti riposare in pace, ma il tuo lavoro qui non è ancora finito, ci sono tanti altri che hanno bisogno di te.
“E’ proprio vero.” Pensò così il solitario viandante. “L’alba non arriva mai.”
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Re: The Sunshine never comes

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Benvenuto nel forum!
Fortuna che mi è venuto un sospetto, perché stavo per cancellarti: nick strano, titolo del topic in inglese, sembrava proprio uno dei tanti messaggi spam che ci infestano.

Per il tuo racconto, la prima cosa che ricordo a memoria è che da qualche parte hai usato una torcia elettrica a energia solare, ma i protagonisti sono in un mondo buio, praticamente privo di luce.
Non dico altro perché sennò anche gli altri vengono qui a chiedere informazioni sui loro testi scartati. Non che non sia una cosa giusta, per carità (anzi!), solo che non è nei nostri compiti, né nelle nostre intenzioni. ;-)
Ma ovviamente ben vengano i commenti dei lettori del forum.
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Re: The Sunshine never comes

Messaggio da leggere da carlo »

quoto max  :notworthy:  ben venuto kat
katandrew92

Re: The Sunshine never comes

Messaggio da leggere da katandrew92 »

Porca che bischerata! Non me ne sono proprio accorto! Grazie..
Comunque non era mia intenzione postare il racconto in relazione al concorso passato, ma l'ho fatto col solo fine di avere qualche parere spassionato di qualcuno che ha più esperienza di me.
Grazie per l'accoglienza!
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Re: The Sunshine never comes

Messaggio da leggere da carlo »

max intendeva (immagino) che lui (e concordo, difatti anche io....) intende evitare di dare un commento positivo o negativo su un racconto, in quanto come selezionatore dei racconti per nasf la sua parzialità è correlata con la privatezza del suo gusto. Non so bene come esprimermi al riguardo, ma se ho ben capito il concetto è: se ci mettiamo a dare giudizi e/o consigli su racconti, a maggior ragione avrebbero diritto a pretenderlo gli esclusi (e sono molti) dalle raccolte nasf, quindi è meglio chiamarsi fuori a priori, anche perchè tante volte gli esclusi a lui piacevano e a me no, e viceversa. Spero di aver ben interpretato, cmq se così non è, ho illustrato il motivo per cui io non do giudizi di merito.
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Re: The Sunshine never comes

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

katandrew, è esattamente come ha precisato Carlo.
Resta sintonizzato perché tra qualche tempo esce il bando per nasf7 :-)
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