Apocalisse zombi
Inviato: 07/09/2022, 14:15
Un tema fantascientifico, nonché certamente horror, che ha sempre appassionato, è quello della fine dell'umanità. Insomma, ci vogliamo un sacco bene!
Ed è una passione assolutamente morbosa. Più ne muoiono e più ci divertiamo. Più il mondo è incasinato e meglio è.
C'è ogni tipo di apocalisse: climatica, geologica, astronomica, biologica, aliena, antropologica. Le emozioni suscitate si sprecano.
Il tema è ripreso in ogni contesto letterario, con molto successo.
Uno degli stratagemmi più gettonati e piaciuti è quello del virus che trasforma la gente in zombi, a volte dopo averli ammazzati. Ora, per carità, la fantascienza si sa, inventa, ma come una cosa morta e putrefatta possa rianimarsi proprio è dura da capire... più che morti direi ancora vivi a metà, ma comunque belli che andati.
In ogni caso, a voi piacciono gli zombetti?
Perché? E' una curiosità mica da ridere. Perché vi inseguono senza tregua, perché sono brutti e schifosi, o perché sono fondamentalmente morti e quindi è divertente ucciderli (di nuovo)?
Ho sempre avuto la curiosità di comprendere il perché un mondo alla fine, senza speranza, con minacce a ogni angolo, sia così interessante.
C'è qualcosa in noi, di ancestrale, di nascosto, che ci vuole vedere ancora selvaggi. Ma non è di per sé la violenza il punto. Non può essere solo questo. Randellare la gente morta che gorgoglia ha il suo fascino, certo. Ma è piuttosto la situazione di costante pericolo a essere intrigante. Quell'adrenalina che scorre nelle vene a ritmo serrato. L'idea ancestrale che i pericoli sono ovunque e bisogna stare sempre all'erta, così come lo eravamo quando eravamo più prede che predatori. Un ritorno alle origini, anche se, quella apocalittica, è una natura distorta e corrotta.
La società, con la sua logica stringente, con le sue regole vincolanti, anzi, direi coercitive, ci costringe a comportarci in modo robotico e prevedibile, omologato. Per nulla spontaneo, stressante. Ci costringe all'uso di tutte le nostre risorse per restare sempre all'erta, ma non con la paura che ci ammazzino, ma con la paura di sfigurare, di non essere adeguati, di diventare poveri. Di restare da soli. Siamo sempre all'erta sì, ma in modo diverso, innaturale. Siamo come preda di un dio che ci vuole focalizzati su cose materiali, su pensieri fissi e ossessivi, ripetitivi, senza fine. E del tutto inutili. Come se fossimo sempre stati zombi, al "cervello" basta sostituire qualunque altra fissazione. "Soldi, soldi".
D'altra parte, a livello cinematografico, gli zombi iniziano a funzionare veramente, quando diventano una mimica del nostro stile di vita consumista e destinato a fallire.
La fine della civiltà appare come una liberazione da questi vincoli assordanti, il ritorno al silenzio, per ascoltare il sussurro del mondo e della sua natura predatoria. Predatoria, certo, ma onesta.
Ah, che liberazione non dover più seguire la routine. Ah, che gioia non dover più pensare al denaro, agli impegni presi con chicchessia. Adesso sì che c'è da prendersi la responsabilità di essere vivi. Ora sì che bisogna tenere gli occhi aperti ed essere vivi davvero! Altrimenti si finisce come gli zombi.
Da un certo punto di vista, uccidere gli zombi, è uccidere il nostro io che ci ha stancato, lasciando spazio all'evoluzione, che possa trasformarci in qualcos'altro, di più interessante. Qualcosa che non è più umano, ma nuovo. E gli zombi rimangono indietro, incapaci di tenere il passo.
Chi è con me quando scoppia l'apocalisse?
Ed è una passione assolutamente morbosa. Più ne muoiono e più ci divertiamo. Più il mondo è incasinato e meglio è.
C'è ogni tipo di apocalisse: climatica, geologica, astronomica, biologica, aliena, antropologica. Le emozioni suscitate si sprecano.
Il tema è ripreso in ogni contesto letterario, con molto successo.
Uno degli stratagemmi più gettonati e piaciuti è quello del virus che trasforma la gente in zombi, a volte dopo averli ammazzati. Ora, per carità, la fantascienza si sa, inventa, ma come una cosa morta e putrefatta possa rianimarsi proprio è dura da capire... più che morti direi ancora vivi a metà, ma comunque belli che andati.
In ogni caso, a voi piacciono gli zombetti?
Perché? E' una curiosità mica da ridere. Perché vi inseguono senza tregua, perché sono brutti e schifosi, o perché sono fondamentalmente morti e quindi è divertente ucciderli (di nuovo)?
Ho sempre avuto la curiosità di comprendere il perché un mondo alla fine, senza speranza, con minacce a ogni angolo, sia così interessante.
C'è qualcosa in noi, di ancestrale, di nascosto, che ci vuole vedere ancora selvaggi. Ma non è di per sé la violenza il punto. Non può essere solo questo. Randellare la gente morta che gorgoglia ha il suo fascino, certo. Ma è piuttosto la situazione di costante pericolo a essere intrigante. Quell'adrenalina che scorre nelle vene a ritmo serrato. L'idea ancestrale che i pericoli sono ovunque e bisogna stare sempre all'erta, così come lo eravamo quando eravamo più prede che predatori. Un ritorno alle origini, anche se, quella apocalittica, è una natura distorta e corrotta.
La società, con la sua logica stringente, con le sue regole vincolanti, anzi, direi coercitive, ci costringe a comportarci in modo robotico e prevedibile, omologato. Per nulla spontaneo, stressante. Ci costringe all'uso di tutte le nostre risorse per restare sempre all'erta, ma non con la paura che ci ammazzino, ma con la paura di sfigurare, di non essere adeguati, di diventare poveri. Di restare da soli. Siamo sempre all'erta sì, ma in modo diverso, innaturale. Siamo come preda di un dio che ci vuole focalizzati su cose materiali, su pensieri fissi e ossessivi, ripetitivi, senza fine. E del tutto inutili. Come se fossimo sempre stati zombi, al "cervello" basta sostituire qualunque altra fissazione. "Soldi, soldi".
D'altra parte, a livello cinematografico, gli zombi iniziano a funzionare veramente, quando diventano una mimica del nostro stile di vita consumista e destinato a fallire.
La fine della civiltà appare come una liberazione da questi vincoli assordanti, il ritorno al silenzio, per ascoltare il sussurro del mondo e della sua natura predatoria. Predatoria, certo, ma onesta.
Ah, che liberazione non dover più seguire la routine. Ah, che gioia non dover più pensare al denaro, agli impegni presi con chicchessia. Adesso sì che c'è da prendersi la responsabilità di essere vivi. Ora sì che bisogna tenere gli occhi aperti ed essere vivi davvero! Altrimenti si finisce come gli zombi.
Da un certo punto di vista, uccidere gli zombi, è uccidere il nostro io che ci ha stancato, lasciando spazio all'evoluzione, che possa trasformarci in qualcos'altro, di più interessante. Qualcosa che non è più umano, ma nuovo. E gli zombi rimangono indietro, incapaci di tenere il passo.
Chi è con me quando scoppia l'apocalisse?