La Sfera - racconto a più mani

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Marco Signorelli
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La Sfera - racconto a più mani

Messaggio da leggere da Marco Signorelli »

NB: Leggere bene questo post.
Il racconto si svilupperà a secondo della fantasia di chi vorrà scrivere. Nessuna limitazione di tempo. Solo un turno a persona [nel caso dopo 1 settimana in cui nessuno scrive, si riparte il turno]. Non esagerate con le battute per non rendere complicata la lettura.

Non rispondere in questo post, ma aprirne uno apposito per le discussioni.
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Marco Signorelli
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Otto marzo.
6.25 ora di Singapore. La signorina Wung si sveglia udendo il cicalio fastidioso della radiosveglia. Arriverà in ritardo di ventitré minuti al posto di lavoro senza poter spiegare il motivo.
Los Angeles, ore 15.14 l'ufficiale della polizia cittadina, Donna Derek, durante l'intervento per una chiamata d'emergenza, trova e cattura un ladro che sembra stupito di essere ad appena cento metri dal negozio in cui ha stato commeso il crimine.
Ore 17.17 stazione di Milano, il treno per Sondrio parte in ritardo, nessuno nota nulla di strano.
Ore 23.05 Oceano indiano. Una perturbazione temporalesca sparisce per dieci minuti dai radar meteorologici. Un pescereccio giapponese è dato per disperso.

Nove marzo. 08.00 la casalle di posta di Antony "x-file" DeSoto sembra riempirsi di notifiche. Antony non le nota fino alle ore 10.06, troppo tardi per cambiare l'editoriale del giornale universitario.
Ore 08.00 il centro comando dell'USAF attiva uno scramble. Nulla di insolito diranno i piloti.
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Sillogia 35
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Los Angeles, ore 07.35, periferia della città.
– Detective, ti trovo particolarmente sensuale dopo un’ora di jogging.
– Sparisci, marito. – Donna sposta nervosamente alcuni riccioli biondi.
– Ti preparo la doccia?
– Sono stata chiara: doccia, colazione e via in ufficio.
– Ricevuto. Sei strana… E’ da ieri sera che volevo dirtelo, bellissima musona.
– Nulla.
– Riconosco quello sguardo.- afferrandole il viso con le dita, delicatamente.
– Mike… va bene, hai vinto. Ieri ho arrestato un tizio…
– Sei la migliore.
– Un’altra interruzione e ti arresto per intralcio alle indagini. Zitto! Un fottuto ladruncolo mi dice, spaventato come un bambino, di aver sicuramente percorso oltre dieci isolati, a piedi, lontano dal negozio di articoli sportivi che aveva appena svaligiato.
– E allora?
Lo guarda malissimo e lui finge di chiudersi le labbra con una cerniera.
– L’ho beccato sul marciapiede opposto, a un paio d’isolati di distanza, nudo come un verme. Le telecamere l’hanno ripreso, è sicuramente lui il rapinatore. Lui continua a dire di non sapere perché fosse nudo e continua a balbettare cose senza senso, di strane luci, una specie di velo improvviso e stronzate come questa.
– Ci saranno mille spiegazioni valide e tu troverai quella giusta. Sicuramente.
– Non lo so Mike. Il mio sesto senso di poliziotto mi sta massacrando e poi c’è l’orologio rubato.
– Prego?
– Per terra, insieme al resto della refurtiva. Segna un ritardo di quattordici minuti e quattro secondi. Per il proprietario del negozio questo è impossibile, nessun dubbio. Io invece, non ci capisco niente e… abbracciami. Sai quella doccia, ne ho proprio bisogno.
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Mike Derek era contento quella mattina. Fischiettava pensando alla notte che aveva avuto con la sua caliente moglie poliziotta. Si erano incontrati proprio a quell'incrocio, lei gli aveva fatto una multa per divieto di sosta, e lo guardava con aria supponente mentre lui cercava di capire dove avesse sbagliato, proprio sotto il cartello del divieto. Ma si sa, gli scienziati sono sempre piuttosto distratti. La fece ridere e firmò senza protestare il verbale. Poi il destino li fece incontrare di nuovo, in un pub. Lei gli rovesciò addosso un qualche liquido alcolico e appiccicoso ed il resto è storia.
- Il destino è strano! - Disse al dottornando DeSoto sull'ascensore.
- Cosa Doc? Centra qualche cosa con il progetto? Ha visto qualche cosa di strano? Per me è a CIA che ci sta spiando, non vogliono che apriamo i portali nei vari universi. -
DeSoto era solito parlare così, complotti, alieni, scie chimiche, per lui tutto era vero e reale, ma era anche uno studente brillante imprestato al centro di ricerca dalla UCLA. - Antony, nessuno ci sta spiando. E non apriremo nessun portale nel tessuto dello spazio. - Sorrise e gli strizzò l'occhio - Non oggi!-
DeSoto annuì e attivò il pad appena la porta dell'ascensore si aprì. Mentre camminava si mise a parlare da solo - però sto clock... da ieri è fuori sincrono ma non vuole saperne di tornare in pari. Dovrò andare al server centrale.
Mike lo osservò per un attimo, poi entrò nel suo studio per la lunga giornata di analisi dati.
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Sillogia 35
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Undici marzo.
Un bagaglio a mano. Guarda il taxi allontanarsi, si volta e osserva lo spettacolo del Changi International Airport. Di fretta attraversa il “terminal 3”, taglia in due l’aria rumorosa, lì fluttuano tutti i linguaggi del mondo, assorta più del solito nei suoi pensieri. Midori Wung ora ha con sé la carta d’imbarco che gira e rigira tra le dita, seduta in modo composto, ventisei anni, i capelli neri, lunghi, cadenti sulle guance lisce, gli occhi poco asiatici della madre italiana e i dubbi sul primo viaggio in Italia dopo quasi sedici anni. Morti i genitori, aveva raggiunto i nonni paterni a Singapore, dove si era laureata in fisica.
Ventitré minuti e un mare di domande.
L’azienda per cui dice di lavorare è solo una copertura, una scatola utile a mantenere l’assoluto riserbo sulle ricerche portate avanti nei laboratori sotterranei. Lei studia le onde gravitazionali. “Noi ascolteremo la musica dell’universo” le aveva convintamente prospettato il professor Tanaka il primo giorno di lavoro. Il professore era morto di recente, un incidente stradale: una giornata senza pioggia e un uomo che conosceva essere molto prudente alla guida.
E poi quello strano fenomeno.

Una video–chiamata ricevuta dal capo della Wung. Sullo schermo solo un fiore di loto.
– Direttore.
– Sono lieto di… – risponde nervosamente.
– E’ partita?
– La dottoressa Wung è sul volo diretto a Milano, come da lei richiesto. – si asciuga la fronte calva.
– Chi sa delle sfere?
– Solo pochi ricercatori fidati, un’altra struttura, ignorata da tutti…
– Tutti, tranne il suo professore curioso.
– Tanaka non è più un problema.
– Mi auguro che neanche lei lo diventi in futuro. A presto.
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Tredici Marzo. Politecnico di Milano. Dipartimento di Ingegneria Nucleare.
La dottoressa Wung stava guardando il software di analisi eseguire le simulazioni. I numeri che scorrevano in alto a destra erano stranamente ipnotici. Non faceva caso ai dottorandi che la guardavano fingendo di non farlo. Il sistema del Politecnico stava lavorando solo per lei, in via ufficiale la Fujimoto ECS aveva pagato le ore macchina per una simulazione strutturale, in realtà c’erano delle fluttuazioni che non erano state previste dalla teoria Tanaka-Rosental ed era troppo rischioso controllarle in remoto sui server americani.
Il dottor Farneti Giacomo, braccia incrociate, il capo appena piegato verso destra, non fingeva di non guardare quella esotica asiatica che gli era capitata quella mattina. – Così è di origini italiane.- Volutamente, quasi volesse imporre il proprio disappunto per l’intrusione, aveva preso a parlargli solo ed esclusivamente in italiano. – E lavora per una ditta privata!
Midori Wung annuì – Si, anche se mio italiano no tanto fluido. Mandato per questo. –
Farneti tamburellò sul ripiano della scrivania. – Una settimana! Anche di notte…. Che calcoli dovete verificare? Teoria dei fluidi? Distribuzione genomica? – Ma mentre faceva ipotesi scuoteva il capo. – Se deciderà di mangiare, la mensa non è male, ma è pur sempre una mensa. –
Farneti mise la mano sul proprio mouse e lo mosse per riattivare lo schermo. – Sia chiaro, non è un invito, ma non sia mai che me la prenda con un ospite solo perché il direttore di dipartimento mi ha fatto perdere il turno… dopo due mesi che aspetto. – Il suo Mac si attivò mettendo fine alla discussione.
Midori sollevò solo di poco lo sguardo ma quando parlò era di nuovo attenta alla simulazione – Se mi porta in buono ristorante, pago io… per disturbo!-
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Sillogia 35
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Ore 16.35 oceano Indiano.
A bordo della Daigo Fukuryu Maru, un vento gelido batte disperatamente sul vetro della cabina di pilotaggio. La strumentazione è fuori uso, i membri dell’equipaggio sono inspiegabilmente scomparsi. Seduto, rannicchiato sul ponte lercio, l’unico superstite aspetta qualcuno o qualcosa.
Ha mangiato poco. Carne secca e una porzione di riso. E’ stanco e in preda al panico. Una paura intensa dell’ignoto, di quello che non si riesce a capire, comprendere. Non sa chi sia né perché si trovi in quel luogo. Gli duole un punto preciso della testa, dove trova un piccolo bozzolo scorrendoci su le dita. Bestemmia e pensa in inglese e non conosce altre lingue o almeno questo è quello che crede. Non è più certo di niente. Indossa abiti rimediati sottocoperta, i suoi erano più adatti a un tè pomeridiano in casa di amici a South Kensington, Londra. Sente freddo e tossisce spesso.
Il peschereccio si dimena tra le onde, tossisce anch’esso e scodinzola nervosamente tentando di non capovolgersi mentre tutt’intorno, il blu inghiottisce il cielo.

Ore 20.46 Milano.
– Il fascino italiano…
Midori ride.
– Hai accettato il mio invito, mi sembra. – Giacomo Farneti la incalza.
– Educazione e sentire colpa.
– Solo sensi di colpa o questo gran pezzo di trentenne “made in Italy”, non ti è del tutto indifferente?
– Siamo colleghi. Io ringraziare te per tua pazienza e poi tornare albergo come… come favole.
– Odio Biancaneve e quei malefici nanetti. Che poi non mi hanno mai convinto. – gesticolando. – Vieni, il titolare è un mio amico, si mangia benissimo e comunque pago io.
– Questo da vedere.
– Ma non dovresti dire “vedele”?
Altre risate di Midori. – Stupido, mi fai “lidele” tanto. – anche lui scoppia in una sonora risata.
La ragazza nota le tovaglie bianche, le luci discrete e le pareti vinaccia, calde come un abbraccio. Vittorio, il titolare, li accoglie con sorrisi ampi e grande cortesia. Ordinano, su proposta dello chef, antipasti cotti e crudi e una “gricia di mare”.
– Ho molta fame.
– Sei nel posto giusto allora e poi quelle che litigano con il cibo non mi sono mai piaciute.
– Sei un tipo.
– Un bel tipo?
– No… solo un tipo.
– Come il tuo fidanzato. – muove la testa verso il lato opposto della sala, verso un tavolo, dove si era accomodato un ragazzo asiatico.
– Cosa dici?
– Stamattina, al centro, nel posteggio dell’istituto l’ho incrociato, sono sicuro, e stasera lo ritrovo qui con noi. Non può essere un caso.
Midori si volta e il ragazzo abbassa lo sguardo, evitando il suo sguardo.
– Hai ragione tu. Sembra visto già. Forse…
– Cosa…
– Sì, forse aeroporto Milano. Forse.
– In ogni caso potrei chiedergli di…
– No ti prego…
– Davvero.
Lei è diventata ancor più pallida e i capelli neri, sembrano ingoiare il viso delicato. – Forse meglio andare. Scusa.
– Possiamo uscire dal retro. Vittorio è un signore, non ci sono problemi.
– Perché? Troppo fastidio per tutti. Forse meglio fare finta niente e mangiare.
– La situazione ti mette ansia: lo sento e soprattutto lo vedo. Tremi come una foglia. – con garbo le prende le dita della mano e lei non si ritrae. – Lascia fare a me.
Si alza, confabula con il cameriere e poi si avvicina al titolare del ristorante che muove la testa in segno di assenso.
Torna al tavolo – Vittorio è un vero amico. Vai verso i bagni. Una ragazza ti guiderà fuori, dall’uscita posteriore. Io ti raggiungo subito dopo. Aspettami e poi troviamo qualcosa da mettere sotto i denti, magari… cucina cinese. Vabbè, questa mi è uscita male, scusami.
Lei non risponde, si alza, raggiungendo una delle cameriere.
Poco dopo è già nel vicolo, Via dei Medici, le braccia strette sul petto.
La raggiunge Giacomo: – Hai freddo?
– No… non penso.
– Vieni, facciamo presto, la macchina è da quella parte.
Il giovane asiatico è lì di fronte a loro, nel suo giubbotto nero, abbottonato fin sotto il collo e le mani sprofondate nelle ampie tasche.
Improvvisamente si accascia al suolo come un sacco vuoto.
– Che… che succede?
Lei non parla, si stringe a Giacomo. Nel vicolo compare una donna. Bionda, elegante, alta. Richiude nella pochette qualcosa. – I due uomini alle vostre spalle vi proteggeranno. Si fanno brutti incontri di sera. – i tacchi rintoccano sui sanpietrini mentre si allontana dal vicolo.
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Marco Signorelli
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Il resto della serata trascorre in modo frenetico. Una audi A4 dall’aria vissuta e dall’improponibile colore oro antico si ferma accanto a loro. I due tizi aprono la portiera posteriore e, con un gesto fanno accomodare prima Midori, poi Giacomo nella cui mano viene messo un cellulare dall’aria antica, con una antenna a stilo da estrarre. Appena l’auto parte il cellulare emette un trillo digitale.
Appena la comunicazione viene aperta una voce leggermente metallica, ma dal timbro femminile, esce dagli altoparlanti dell’auto.
- Signorina Wung, dottor Farneti… ascoltatemi bene. Il mondo è come una grande scacchiera, solo più complessa e con più forze in campo. Voi siete finiti in mezzo a questa scacchiera e non avete un colore… [pzhssh]… e questo fa di voi sia pezzi senza valore che pezzi da conquistare. Tra tre giorni, quando tutti avranno i risultati della simulazione i fronti della scacchiera potrebbero mutare… l’intera scacchiera potrebbe addirittura girarsi. [pzhssh] Mi spiace per la dipartita del professor Tanaka, la sua teoria ha anticipato i tempi... [pzhssh]… ha agito troppo presto e in fretta causando il suo coinvolgimento, signorina Wung. Sarò onesta. dottor Farneti, lei è un incidente di percorso, ma vedremo di aver cura anche di lei. [pzhssh] Ora prenderete un aereo privato. Vi verranno date delle indicazioni più avanti. Lasciate il telefono in macchina. [pzhssh] … sarete al sicuro. Per ora.

La comunicazione si interrompe. Giacomo guarda Midori – Ma a cosa sta… stava lavorando il prof. Tanaka? In che guaio siamo finiti? – Midori si chiude in se stessa, stringendosi nelle spalle e cercando di non piangere – Io non… lo so! – Poi cerca conforto nella spalla di Giacomo. Il viaggio fino a Linate è rotto solo dai singhiozzi di Midori e dalle imprecazioni di Giacomo – Merda. Merda. Merda. Cazzo.

Un Learjet 70 era sulla pista ad attenderli. Nessuna formalità di imbarco. Solo il tempo necessario per avere via libera e il jet si alza nella notte lasciando le luci di Milano alle sue spalle. Una hostess li assiste per la prima mezzora, poi consegna una grande busta portadocumenti a Midori e riprende a servire ottimo spumante. Giacomo è oramai al terzo bicchiere, e guarda Midori aprire la busta – Che c’è dentro? – Chiede a Midori, che fa scivolare il contenuto sul tavolinetto della poltroncina. – Ecco il tuo passaporto, una tua carta di credito… queste sono le mie… c’è una microSD. Niente altro. Per ora dobbiamo solo aspettare e.. mi spiace.
Lui la guarda e non dice nulla. Fa spallucce, beve un sorso di vino e poi dice – Non hai nulla di cui scusarti, e sarebbe meglio mangiare qualche cosa, ti ricordo che ti ho invitata a cena; non sia mai che la tradizionale ospitalità italiana venga smentita.
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Sillogia 35
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Tredici Marzo. Oceano Indiano.
L’uomo che pensa in inglese cerca tra gli strumenti di bordo qualcosa che ancora funzioni. E’ molto stanco. Non riesce a darsi pace perché tutto quello che ricorda, adesso, è solo una maledetta combinazione numerica, delle semplici coordinate: 37°50' S e 77°31 E. Trova una carta nautica e poi ancora un’altra e finalmente srotola quella giusta sullo scomodo tavolo, sottocoperta, dove finora aveva consumato i pasti. Cerca di ricordare come fare per trovare un punto. Gli sembra famigliare e si accorge di essere piuttosto bravo. Ecco, ci è riuscito, un luogo sperduto a metà strada tra l’Africa e l’Australia, l’isola di Amsterdam.
Si lascia andare sulla sedia.
Trascorre in quella posizione alcuni minuti, le braccia molli sulla carta finché un altro ricordo lo assale, un contenitore, una specie di scatola metallica, pesante, forse di piombo. Si alza di scatto e corre verso la cabina accanto. L’ha già vista, in un angolo, seminascosta, durante le sue continue esplorazioni. Ha il problema di aprirla e… no, è più semplice del previsto deve solo usare la forza rimasta. Solleva il pesante coperchio e trova all’interno di quella scatola una specie di telefono. Lo gira e rigira tra le dita, è certo che sia un apparecchio satellitare. Potrebbe essere la salvezza. Inizia a ricordare qualcosa. Di corsa torna sul ponte, nella cabina di pilotaggio del peschereccio. Prova ad accenderlo lì. Si accende. Lo schermo è abbastanza grande e riesce a capire immediatamente che si tratta di una specie di localizzatore. Riduce la scala. Ancora. In alto compaiono le coordinate: 36°13' S e 77°05' E. E’ fatta. La salvezza. Capisce che può raggiungere l’isola Amsterdam, la salvezza. Lì trovare qualcuno, i soccorsi, la sua memoria e alcune risposte alle infinite domande che ronzavano per la sua testa. Quasi sviene per l’emozione. Dovrebbe governare il peschereccio verso l’isola ma i comandi non rispondono. Bloccati. Riflette. “Il gommone di salvataggio… certo”.
Intuisce come calarlo in acqua, non sembra complicato. Si copre con un impermeabile arancione. Lui porta con sé qualcosa da mangiare insieme a poche cose ritenute utili. Rinchiude tutto in una cassetta fissata al pagliolato del gommone. Tiene il telefono satellitare, imbustato in un pezzo d’incerata.
Mezz’ora dopo scoppietta il motore del gommone, acceso al primo colpo, e lui finalmente indirizza la barra verso l’isola Amsterdam, forse la sua meta fin dal principio.
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Marco Signorelli
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Tredici Marzo. Superficie della Luna.
L'astronauta è incredulo mentre compie i primi saltellanti passi sulla superficie grigia della Luna. Il viaggio sembrava non esserci stato e tecnicamente non era un astronauta, ma tutto indicava la buona riuscita dell'esperimento. Batte le mani e pensa ad una preghiera verso i Kami prima di prendere un Ema dalla sacca che ha con se per deporla sopra una roccia. Non è una impresa facile visto che i grossi guanti lo stanno privando della sua innata sensibilità e abilità. Ma l'imperatore sarà fiero di lui. Tutto il suo popolo lo omaggerà dei più grandi onori dello stato e la gloria del Giappone avrebbe ripreso a brillare fulgida sopra tutti i popoli barbari della terra. Gloria al grande Nihon Teikoku. E i primi raggi del sole lo sorprendono mentre si alza per guardare le pendici della corona che circonda il mare Imbrium.

Tredici Marzo. Punto imprecisato del Nord Africa.
Il Learjet 70 sta sorvolando una zona sabbiosa.
- Sabbia. Vedo solo sabbia, no.. li c'è qualche cosa.. si; pietre. Di certo stiamo andando a Sud, almeno questo è chiaro. - Giacomo sbadiglia dopo aver guardato fuori dal finestrino.
Midori annuisce mentre armeggia con il suo smartphone. Toglie la batteria e inserisce la misteriosa microSD nell'alloggiamento. Giacomo la guarda distrattamente mentre rimette la batteria e lo accende . Sullo schermo appaiono delle coordinate e poi una mappa presa dallo spazio. Si ingrandisce sempre di più come capita a chi guarda google Earth per divertirsi. Infine lo zoom è troppo perfetto per poter essere una semplice mappa satellitare commerciale. - Cosa militare - conferma Midori - risoluzione di 5 centimetri, nessun oscuramento.
- Che isola è? Mi sembra vulcanica, ma è tutto quello che mi è rimasto dagli studi di geologia.
- 36°13' S, 77°05' E. Non dice altro. C'è un piccolo file di testo…. dice. Base Martin de Viviès.
Giacomo attende qualche secondo poi dice - E poi?
- Niente, solo questo. E le coordinate. Ma non sembra esserci un aeroporto. Stiamo per atterrare.
L'avviso di allacciare le cinture inizia a suonare. La hostes inizia a passare per riporre ogni possibile oggetto pericoloso, sorride mentre fa il suo lavoro in silenzio. - Volevi muovere tue gambe? Ora potrai di certo.
Giacomo sorride mentre si allaccia la cintura - Spero che non ce la facciano fare a piedi. Il deserto è affascinante, ma meglio non affrontarlo senza adeguate attrezzature.
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carlo
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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- nota che si autodistruggerà, mi piace MOLTO, per cui ho impostato come IMPORTANTE l'argomento di modo che resti in alto nel forum
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Sillogia 35
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Los Angeles, ore 17.30.
– Perché hai voluto incontrarmi?
– Intendi vicino la biblioteca pubblica? – Donna indossa dei jeans attillati e una felpa con il volto di Mick Jagger stilizzato e la scritta “Hard woman” ma nel via vai di gente nessuno sembra farci caso.
– Smettila…
– So della tua “smisurata” passione per i libri e soprattutto per la lettura. –lancia un’occhiata verso il sole disegnato sul tetto piramidale della biblioteca.
– Ho altro da leggere.
– Già, Bill, i tuoi fottuti rapporti. Vi divertite alla NSA: terrorismo, stati canaglia e strani fenomeni che mandano in crisi orologi e il vostro proverbiale buonumore.
– Donna Derek, la solita stronza, sempre dritta al punto. – l’uomo si aggiusta il polsino di una camicia italiana. Solleva gli occhiali da sole che tiene in mano mentre osserva l’idrante giallo alla sua destra. – Mi ricordo al college quando…
– Non sono qui per una riunione tra ex compagni di scuola, dimmi quello che sai.
– Piano… vacci piano, è roba che scotta.
– Ho qui qualcosa per voi, per i vostri laboratori, un orologio.
– Che significa?
L’uomo è leggermente più alto, robusto, in grado di picchiare qualcuno all’occorrenza; ha la mascella quadra e gli occhi stretti ma Donna non ha alcun tipo di soggezione. – Un oggetto trovato sulla scena di un crimine mentre qualcuno si divertiva a giocare con il… tempo.
– Che significa? Cosa mi potrebbe…
– Fermo. Ho qui in tasca un cazzo di orologio che segna un ritardo di quattordici minuti e quattro secondi e voglio capire perché accadono certe cose e se ci sono pericoli per la comunità che proteggiamo.
– Forse hai solo bisogno di un buon orologio allora e poi non dovrebbe essere nella tua tasca qualcosa che hai trovato sulla scena di un crimine. Questo potrebbe crearti non pochi problemi.
– Adesso mi minacci? – un passo indietro.
– No, che dici… è solo un consiglio di un vecchio amico.
– Stronzate.
– Potresti farci qualcosa di molto utile con quell’affare. Conosco qualcuno che sarebbe interessato a quel giocattolo.
– Dovrebbero spararmi per averlo e poi mi piacciono le storie complicate, soprattutto quelle dove un vecchio amico mi da una dritta su dove trovare uno straccio…
– Non sai in che guaio ti stai infilando. Fammi fare una... – indica lo smartphone sfilato dalla tasca del suo giubbotto blu. Si allontana. Parlotta per un paio di minuti non perdendo di vista la spazientita poliziotta.
– Andiamo.
– Dove?
– Una persona vorrebbe incontrarti.
– Non so se…
– Tu mi hai chiesto di… ok tagliamo corto, ci vediamo. Alla prossima. Anzi non mi chiamare mai più!
– Aspetta, non ti devi incazzare. Fai il bravo, andiamo. – lo afferra per un braccio.
– Ho la macchina a qualche isolato.
– Andiamo con la… tua. – riflette che avere le mani libere dalla guida, in una situazione potenzialmente pericolosa, poteva essere un vantaggio e non controbatte.

– Potevamo fermarci a mangiare qualcosa. Conosco un posto, dove servono un ottimo pollo con…
– Smettila, non m’innervosire e ti devo avvisare che tutto quello che vedrai e ascolterai rimarrà chiuso in quella zucca vuota che ti ostini a chiamare testa. Nessuno...
– Fottiti, Bill. Mi conosci, altrimenti non avresti mai accettato. Ma questo è il Griffith?
– Già, l’osservatorio, è lì che abbiamo appuntamento con il mio contatto.
– Oggi è lunedì.
– Il giorno di chiusura non è un problema.
Scendono dall’auto e raggiungono un ingresso laterale.
– Aspetta, fermo. – Donna nota per terra dei frammenti di un orologio, la cassa e mille altri pezzi. Si tocca la tasca dei jeans, capisce che quello davanti ai suoi occhi increduli è quel che rimane dell’oggetto rinvenuto sulla scena del crimine. Ricorda una sua frase “dovrebbero spararmi per averlo” e afferra la sua Glock, nascosta sotto la felpa.
– Dammi una sola, cazzo di buona ragione per non spararti… Bill!
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Milano. Centro di Calcolo Politecnico. Ore 22.15
Il sistema sta macinando numeri. Per l’esattezza solo due informazioni, s/no, acceso/spento o 0/1. Nulla di particolarmente complesso se si analizza l’informazione base, ma oltre la capacità di elaborazione umana in tempi ristretti. Le stringhe di comando obbligano i processori ad eseguire una serie prestabilita e sequenziale di operazioni, verifiche e simulazioni. Il tutto senza nulla di visibile. Poi c’è una interruzione di qualche millisecondo. Il sistema ritorna nell’attimo prima e ripete la simulazione ottenuta. Stesso risultato. Ritorna nell’attimo prima e ripete la simulazione ottenuta. Stesso risultato. Il ciclo si ripete mille novecento diciotto volte prima che il dato venga inserito nella successiva operazione.

USS Ross (DDG71) Centro del Mediterraneo. Ore 22.16
Il sistema di gestione delle informazioni riceve una mail estensione polimi.it. L’allegato è sicuro per cui viene inoltrato al destinatario. Una immagine, pensa l'operatore, qualche fidanzato o foto di gattini, daltronde arrivano un sacco di jpg.
La donna bionda riempie adeguatamente la divisa di servizio della US Navy, ed anche se seduta al piccolo tavolino della sua cuccetta si nota che le sue gambe sono gambe che fanno girare la testa agli uomini. Sospira appena mentre il ping sonoro le segnala l'arrivo di una mail. Non contiene nessun testo, ma solo un allegato. Il formato è particolare, una estensione jeq, che solo un propgramma può aprire, e lei ha questo programma sempre a disposizione. Non ci vuole molto per aprirelo, inserire dei codici e poi leggere le informazioni. Scuote il capo e prende un grosso telefono satellitare. Preme solo un tasto prima di dire – Siamo nei guai. Le previsioni si sono rilevate corrette. –
Una voce maschile, solo disturbata dal sistema di comunicazione, sembra assumere un tono preoccupato. – Pensare al peggio per prepararsi al meglio. Non è questo il nostro motto? Dovremmo lasciare che sia la dottoressa Wung e quell’italiano… come si chiama? –
Giacomo. Giacomo Farneti. Ricercatore universitario, ingegnere. Appassionato di montagna, trekking e arrampicate. Gli piace il rafting e giocare agli fps online. E le donne. Penso prima le donne poi il resto. –
- La qual cosa potrebbe essere rivolta a nostro vantaggio liutenant, oppure dovrei già dire liutenant commander. Congratulazioni.
- Grazie. La promozione sarà attiva il mese prossimo. Della Wung e Farneti dovrai occupartene tu… avranno già superato le Mauritius. Assegnali ad una persona di cui ti fidi. Se le informazioni continuano a seguire le nostre previsioni, saranno nel posto giusto al momento giusto.
- Oppure nel posto sbagliato al momento sbagliato. Chiudo.
La donna bionda appoggia il satellitare e poi chiude il coperchio del portatile. Si appoggia allo schienale e alza le lunghe gambe per appoggiarle sul piccolo tavolinetto della sua cabina. Guarda la divisa di combattimento con i gradi e pensa “non è questo che avrei mai pensato di fare quando mi sono arruolata.”. Solo un fugace pensiero prima che l’addestramento le permetta di concentrarsi sul problema più pressante. Come recuperare tutti i dati prima di tutti gli altri. Senza sapere chi sono e quanti sono tutti questi altri.
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Sillogia 35
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Los Angeles
Il suo nickname, “x–file”, era conosciuto da tutti gli smanettoni, quelli più famosi almeno. Era stato cofondatore di alcuni gruppi, nati sul web con il solo scopo di rendere il mondo virtuale e conseguentemente quello reale, un posto migliore, eticamente giusto. Tenuto sotto stretta osservazione da una mezza dozzina di agenzie di sicurezza, era riuscito a tenersi fuori dalle dimostrazioni di forza degli hacker bravi quanto lui ma molto più aggressivi. Lui era un pacifico, trasandato, geniale ventiquattrenne, ossessionato dalla idea che “un gruppo di alieni fosse atterrato da qualche parte sulla Terra, impegnato a pianificare l’invasione del nostro pianeta”. Una vera fissazione la sua. Pubblicava ancora un giornale universitario, su carta stampata, autofinanziato, che lo faceva sentire ancora tra le aule della sua amata università. Era, inoltre, un blogger attivissimo, e forse era questo che preferiva fare in assoluto.
Dormiva solo quattro ore… non di notte, quando surfava per la rete Tor, nel misterioso Deep Web, il luogo digitale più amato da chi aveva a cuore la propria privacy, da chi non amava i posti frequentati dalla massa e preferiva le discese più ripide, le piccole spiagge dorate pronte a comparire davanti agli occhi increduli degli esploratori più scaltri.
Lo trovò. Nascosto. Irrintracciabile sia per le persone comuni che per la maggior parte degli altri. Erano contenuti dinamici, alcuni terabyte di dati, pronti a sparire dal mondo digitale senza lasciare alcuna traccia.
Copiò il contenuto in decine di server per poi riprendersi tutto a operazione conclusa. Violare un sistema privato andava contro le sue idee ma erano quasi due anni che seguiva labili tracce, piccoli sentieri informatici tra le impervie rocce messe a protezione.
Trascorse le successive ore a ricomporre il puzzle, tassello dopo tassello e ormai stanco, quando le prime luci sfilarono per l’aria racchiusa nel suo fatiscente appartamento, si lasciò andare sulla sedia a un pianto disperato e a mezza voce cacciò solo alcune parole: «Sono già tra noi…»

Singapore, uffici della Fujimoto ECS.
– Una violazione ai sistemi…
Davanti a lui l’immagine di un fiore di loto.
– Immagino di sì, direttore. Lei mi evidenzia l’ovvio. – il tono era metallico, distaccato.
– Preparerò un rapporto così da informarla…
– Non si preoccupi.
– I nostri esperti di sicurezza sono già al lavoro per…
Secco, duro – le ripeto, non si deve preoccupare più di questo. – ammorbidì la voce. – Qui il tempo è abbastanza buono, sa? Forse oggi finalmente, potrò pescare qualcosa. Si cauteli e sappia che continuo a nutrire molta stima in lei, non si deve preoccupare, penserò io a gestire questo increscioso episodio.
La finestra della videochiamata si chiuse sullo schermo del suo sottilissimo monitor. Il direttore si alzò di scatto. Corse via dal suo ufficio, dal palazzo. Scelse la metropolitana, lasciando in garage un’auto da settantamila euro.
“Si cauteli… stima…” frammenti di parole. Le stesse con cui il suo misterioso capo si era congedato da Tanaka, fatto accaduto nel suo ufficio, dopo aver avuto una violenta discussione e poche ore prima che lo scienziato restasse vittima di uno strano incidente.
“…non si deve preoccupare…”
La sua famiglia. Una moglie da lui trascurata e due figli adolescenti. Sperava di trovarli già a casa per riabbracciarli, trascorrere con loro qualche ora.
Ripensò agli ultimi due anni, ai sacrifici, ai sorprendenti risultati ottenuti in così breve tempo e al prezzo da pagare: collaborare con alcuni rappresentanti di una razza aliena, esseri in origine incorporei, in rapporto simbiotico con gli ospiti umani.
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Marco Signorelli
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Oceano Indiano. Isola di Amsterdam – Stesso giorno.

Il tizio ha una barba di un mese, incolta. Indossa un maglione di lana sformato, dal colore arancione scuro e sotto una camicia di flanella a quadrettoni. E se ne sta tranquillo seduto dietro ad un grosso monitor a tubi catodici collegato ad un tower posto sotto la scrivania – E quindi vi hanno scaricato qui! – Parla con un accento marcatamente francofono e scettico dopo aver sentito la storia, leggermente censurata, che gli stava propinando Farneti – Ma non eravate previsti… non so che farmene di un ingegnere italiano e di una scienziata, forse fisica, coreana giapponese o cinese! Chiunque vi ha fatto venire fino a Martin de Viviès, vi ha fatto uno scherzo. Un elaborato e costoso scherzo. – Passano almeno quattro secondi di silenzio. – Ahah, ahah, ahah – Ogni risata viene marcata ed il tono della voce viene eliminato da ogni possibili ilarità – che bello scherzo. Ci siamo proprio divertiti..
Farneti stringe i pugni e gli dice in Francese – Non è uno scherzo. Siamo qui per un qualche motivo. La dottoressa Wung è molto importante per… beh… per tutti a quanto ho capito in queste ore. – L’atteggiamento del barbuto non muta, continua a guardare i due in piedi davanti a lui e lo schermo. – Importante in modo alquanto.. importante – Farneti riprende ad usare l’inglese. – E se ci hanno portato qui, anche questo posto è importante.
Il barbuto decide di appoggiarsi allo schienale della sua comoda sedia da ufficio. – Midori Wung ha detto? Che lavorava con il professor Tanaka? – piccola pausa – Non li ho mai sentiti. Ma non ho mai sentito un sacco di cose. – Con un movimento che appare molto studiato posa il gomito sulla scrivania e poi si piega leggermente in avanti con il busto per potersi grattare la testa – beh… tanto che avete da perdere? Il problema è che mi annoio e qui non c’è nulla da fare se non registrare il clima… i pesci… il vento. Una noia. – Si alza di scatto e si dirige verso l’armadietto di metallo che è appoggiato alla parete. Lo apre e vi entra iniziano a scendere delle scale, almeno dal rumore che produce. Poi torna indietro, rimette la testa dentro nella stanza e dice – beh, volete un invito ufficiale? Muovete il culo. – e borbottando torna a scendere.
Farneti e Wang lo seguono per le scale. Gradini di metallo infissi nella roccia viva e che seguono a spirale il perimetro di un pozzo. – Intanto tutto quanto è vero! Gli alieni sono arrivati. I complotti sono reali. L’ordine mondiale è sotto attacco. I poteri economici che decidono la vita delle persone e dei governi… tutto vero – durante tutta la discesa il barbuto parla e parla – No, l’area cinquantuno è solo una base aerea, nulla di strano. Il vero punto di raccolta di tutto è questa isola… ecco perché c’è questo! – Una anonima porta viene aperta e la visione di un hangar illuminato, con strutture di rinforzo, un carroponte e tanto materiale e casse sparse lungo le pareti, appare al gruppo. La cosa più importante è la sagoma di un mezzo che sembra a tutti gli effetti una astronave.
Il barbuto si ferma appena dopo la soglia e annuisce – Si, quella cosa è una astronave. Aliena! Più o meno! Bisognerebbe definire meglio il termine alieno, ma per ora è sufficiente dare per scontato che voi sappiate cosa è una astronave e cosa sono gli alieni.
Scambi di battute tra Farneti e Wang, mezze frasi, ipotesi interrotte prima di arrivare alla conclusione. Midori si rivolge al barbuto che pare essersi disinteressato ai due sedendosi su una cassa a leggere un fumetto – Non capiamo! Cosa è questo posto? Perché siamo qui? –
Il barbuto si limita ad alzare le spalle – Non lo so! Questa cosa non può volare. Ha il motore spaziale rotto. Per quanto ne so non abbiamo la tecnologia per aggiustarlo, ecco perché gli alieni non sono ripartiti subito.. ecco perché mi pagano per fare il mio lavoro e per controllare questo posto. – Riprende a leggere il fumetto – Ahaa… ma se qualcuno avesse trovato il modo di alterare le linee di campo gravitazionale, magari bloccando o alterando il flusso del continum, forse si potrebbe sistemare. –
Wang e Farneti guardano il barbuto – Che c’è? – Dice lui
- Bhe, forse qualcuno lo ha fatto – Dice Midori mentre Farneti la spalleggia – e se in questo posto c’è una connessione con la rete, riusciremo a scoprirlo presto.
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Sillogia 35
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Re: La Sfera - racconto a più mani

Messaggio da leggere da Sillogia 35 »

Los Angeles
Donna impugnava la sua Glock: la mano ferma, gli occhi grandi, attenti e il dito nervoso sul grilletto.
– Allora, Bill! Cazzo, devi dirmi che sta succedendo… ora!
– No, qualcosa non quadra. – il palmo delle mani a difesa del corpo.
– Che cosa succede? – la pistola è sempre puntata dritta al petto dell’amico.
– Ripariamoci e poi discu…
Il giubbotto blu, smanicato di Bill sembra gonfiarsi, sfilacciarsi in almeno tre punti. L’uomo crolla a terra mentre Donna, ha già esploso alcuni colpi verso l’alto, verso il tetto dell’osservatorio da dove, presumibilmente, qualcuno spara come al tiro a segno di un fottuto luna park dove loro erano i bersagli.
– Vai via – sussurra Bill.
– Merda, sei pesante. – lo solleva su di un fianco e insieme, faticosamente, raggiungono una rientranza, una zona meno esposta.
– Ho qualcosa di rotto ma, con tre proiettili in corpo, poteva andarmi peggio.
– Indossi il giubbotto? – tocca le piastre di metallo. – Sì, certo. Come ho fatto a crederci, pensavo di essermi finalmente liberata di uno…
– Il tuo grande amore?
Ridendo – sei proprio uno stronzo. Niente giochini: chi ci sta sparando?
– E’ complicato.
– Merda, se il tizio avesse mirato alla tua zucca vuota, era meglio.
– Le variazioni… gli strani fenomeni. Ecco, non era la prima volta. Ci sono stati altri episodi di crono-spazio distorsione.
– Crono… cosa?
– Non importa, un nome come un altro per dire che qualcuno sta giocando con il tempo e lo spazio. Gioca e noi, un gruppo di pochi colleghi scelti, dobbiamo solo osservare, riferire e, all’occorrenza, ripulire la merda prodotta.
– Come mi hai chiamato?
– Lascia stare Donna. Cristo santo, e no, non doveva andare così. Sono stato autorizzato a farti incontrare il nostro amico speciale. Lui forse ti avrebbe spiegato la situazione. Forse saresti stata coinvolta in qualche…
– Ci hanno scaricato. Non dimenticarlo. Entrambi, e non devi nascondermi più nulla.
– Devo chiedere rinforzi. Colleghi, amici fidati.
Una voce improvvisa, alle loro spalle. – Amici… e di chi ti vo–vorresti fidare?
– Merda e tu chi cazzo sei? – La poliziotta si era sollevata, lasciando il corpo di Bill sul pavimento di pietra. La Glock pronta a crivellare di colpi quel ventenne trasandato, i capelli arruffati, gli occhi stanchi di chi non dorme da almeno ventiquattro ore e uno strano pad in mano.
– Non mi spari… signora Derek.
– Io… sì ti ho già visto da qualche parte! Cazzo chi sei e fai in fretta.
– Mi–mi chiamo Antony DeSoto, un collega di suo marito.
– Ora ricordo. Ti ho visto un paio di volte. Ci siamo incrociati ai laboratori. Che ci fai qui? Cazzo, non capisco più niente.
– Ho scoperto qualcosa di… sono qui, tra di noi, ora.
– Non lo ascoltare, Donna. – si teneva il petto. Il dolore era atroce.
– Bill, taci!
Una raffica di colpi. Vicini. Anche il dottorando si accovaccia per terra.
– Dobbiamo spostarci, qui siamo ancora un bersaglio.
– Un’entrata laterale, più avanti. Po–potremo entrare da lì nell’osservatorio. – Antony balbettava quando era messo sotto pressione.
– Certo, per farci sparare meglio.
– Conosco l’osservatorio e comunque sempre meglio che qui fuori, esposti al tiro di quella… cosa.
– Va bene, spostiamoci. Anche tu Bill.
– No, io resto qui. Avete due minuti o qualcosa di simile e poi chiamo la cavalleria.
– Mi devi molte spiegazioni, amico. Noi andiamo. Resta basso e seguimi.
Si spostarono lungo il perimetro del muro. Raggiunsero l’entrata. Donna scalciò la porta, ruzzolò dentro e cercò con lo sguardo ogni possibile bersaglio: niente. Antony si accostò a lei.
– Quel corridoio.
– Vedo.
– C’è un ascensore ma lo sco–sconsiglio. Usiamo le scale.
– Tieni. – gli porge una pistola.
Afferra con due dita l’impugnatura – che ci devo fare?
Lei lo guarda dura, tagliente. – Resta qui e aspetta i rinforzi.

Donna è sul tetto, accarezzata da un vento leggero, tra i profili delle cupole; lei cerca di non restare in campo aperto, bassa sulle gambe, pronta a far fuoco.
Una luce. E’ come trovarsi in un altro luogo. Una sensazione di mancamento. Piegata in due, mantiene la lucidità necessaria. Qualcuno, molto alto, alle sue spalle l’afferra per i polsi, le porta le braccia dietro la schiena. Il dolore è insopportabile e lei, ancora stordita, lascia cadere la Glock. Un calcio nei fianchi e la donna è sul pavimento davanti l’uomo.
– La tua arma. Avevo finito i proiettili e ora ho nuovamente la possibilità di ucciderti. – Raccoglie la pistola. Aggiusta la mira.
Uno sparo. Secco.
La pistola è ancora fumante tra le mani di Antony che ha la bocca aperta e una gran voglia di vomitare.
Il corpo dell’uomo, alto, calvo, ben vestito, si accascia per terra, sul tetto dell’osservatorio. Inizia a muoversi e una specie di nebbiolina viola cerca di staccarsi da esso
– Donna, allontanati. – grida spaventatissimo il ragazzo.
La poliziotta striscia via, è ancora confusa. Tutto intorno, le appaiono immagini sfuocate, confuse, simili a quelle di uno specchio deformante. Deve resistere e continua ad allontanarsi da quella nebbiolina.
Si aiuta con i gomiti. Deve farcela. Il marito, la carriera e la voglia di maternità: avevano pensato di provare ad avere un figlio. Un bambino. Un adorabile marmocchio. Era lei che non aveva mai voluto ma poi, poche settimane fa, qualcosa era cambiato e…
– Fanculo. – rotola sulle scale. Mette distanza con quella nebbiolina che a ogni istante perde consistenza, coesione. Il vento spira contro la strana manifestazione aliena e questo riesce a far guadagnare altri metri.
Antony osserva a distanza, pronto a fuggir via, urla verso Donna – è una creatura aliena, e non devi permetterle di entrare in te. Sono simbionti. Infestano il loro ospite che perde il controllo del suo corpo. Perderesti la tua umanità. Resisti!
– Nessun cazzo di alieno stronzo entrerà in me, oggi! – si alza in piedi e guadagna altri metri dalla creatura che rallenta ancora fino a fermarsi. La nebbia si trasforma in sabbia che crolla sul pavimento spazzata dal vento in ogni direzione.
– Sì! – urla Antony con le mani verso l’alto. Raggiunge la poliziotta aiutandola a restare in piedi.
– Avvicinami al parapetto, presto, devo fare una cosa. – dalla tasca dei jeans tira fuori l’orologio della rapina. Lo lancia via, oltre il parapetto. Non capisce bene come possa essere riapparso, ma lo vede sparire nell’aria e capisce che forse lo avrebbe ritrovato dopo… prima, spaccato in mille pezzi.
– Lo hai lanciato oltre il campo spazio–temporale in cui siamo finiti e che tra poco collasserà riportandoci nel presente… molto probabilmente.
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Marco Signorelli
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Oceano Indiano. Isola di Amsterdam – Quattordici Marzo, ore 1.00 UTC

Avere a disposizione una nave spaziale aliena non è poi una cosa particolarmente eccitante, se quella nave non funziona e non fa nulla di più interessante di starsene ferma come una qualsiasi lavatrice in discarica. L’unico punto in cui c’è un po’ di animazione è l’angolo a destra dell’hangar. La luce di vari monitor fa brillare quella zona di ombre guizzanti. Farneti, ed il francese barbuto, che ha rivelato di chiamarsi Thèophile solo dopo qualche ora di lavoro e solo su insistenza di Midori, sono impegnati in una animata discussione. – Sei il tipico francese svizzero. Se non è scritto sul manuale non lo prendi in considerazione… bisogna fornire energia facendo questo cablaggio… è logico che..-
- E tu sei il solito ingegnere italiano che pensa di risolvere tutto con del fil di ferro…. Ma se poi esplode tutto? E, rispondi a questo sapientone. Che fai se esplode tutto?
Farneti guarda il francese – Ci penserò se accadrà! Come può esplodere, mettiamo li un blocco, appena supera il livello di… - Si ferma e guarda Midori con interesse. Midori sembra non interessarsi della discussione pratica mentre legge le colonne di numeri e inserisce le variabili in un programma di calcolo e previsioni. – Si? – Chiede stupita ora che il rumore di sottofondo è terminato, oltre a notare che entrambi gli stranieri la stanno guardando – Avete raggiunto un accordo?
Thèophile annuisce e si liscia la barba con la mano destra, Farneti si gratta la radice del naso anche lui con la mano destra – Tu che dici? I calcoli sono plausibili? Il professor Tanaka aveva trovato la risposta? –
Midori guarda ancora i risultati delle equazioni. – Solo ora capisco che il professore era incaricato a trovare il modo per poter usare questa tecnologia. Forse non quando ha iniziato ad interessarsi della gravità e di come manipolarla, ma di certo è stato contattato. Solo ora capisco l’uso di certe approssimazioni e di certe sue teorie. Aveva una base di partenza che molti non potevano conoscere. – Midori chiude gli occhi e sospira. Poi indica i complicati grafici su uno schermo laterale – Questo dimostra che si può viaggiare nello spazio in modo più conveniente. La fattibilità di colonie sui pianeti del sistema solare. Probabilmente anche spingersi oltre… Il professor Tanaka era un genio. Un genio… - Una piccola lacrima che passa inosservata, inizia a scendere lunga la guancia di Midori, poi il primo singhiozzo rompe gli argini della tensione e del dolore per la perdita. Giacomo abbraccia la donna e non dice nulla, ma la tiene stretta a se, mentre Thèophile decide di avere una cosa molto importante da fare dall’altra parte dell’hangar.

Stesso luogo quattro ore dopo.
La stanchezza fa sentire per tutti e tre. Sempre più spesso si passano la mano sugli occhi o sbadigliano o si trovano a guardare gli strumenti come se non capissero come mai si trovano nelle loro mani. Ora una serie di cavi di connessione collegano quello che potrebbe essere il sistema energetico della nave con i generatori della stazione di ricerca. L’interno della astronave non ha nulla di particolarmente alieno. Sembra di guardare le immagini della stazione spaziale internazionale, con tubi e connessioni e cavi che entrano ed escono dai portelli. Strumenti terrestri fissati accanto a quelli che potrebbero essere strumenti alieni. E tanti tanti tanti monitor di tutte le dimensioni.
Farneti sta cercando di fissare dei seggiolini di aereo militare nel punto dove ci sono dei perni di bloccaggio – Ma perché hanno tolto queste cose e non il resto più interessante? Che ci fanno con dei sedili alieni? E poi… che ci fanno qui dei Martin Backer MK 10? – Guarda il francese ma sa che otterrò solo il classico puff. Thèophile decide di fare il classico puff e alzare le spalle – Non lo so, quando sono arrivato qui era praticamente già tutto.. hem… così! Una noia. L’ho già detto che questo lavoro è noioso? Uno pensa che avere una astronave in cantina sia molto forte, ma dopo la prima settimana che la guardi diventa un semplice rottame.
Midori, dopo essersi sfogata, ha ripreso il tipico atteggiamento orientale e mostra tutta la sua forza d’animo e di sacrificio. – E non ti sei mai chiesto come mai c’era una astronave in cantina? Una cantina molto lontana da tutti direi. Senza nessuno che la studiasse per farla funzionare.
Thèophile si gratta il mento irsuto con una espressione perplessa – Perché dovremmo studiare la cantina? Questo è sicuramente un cratere secondario del vulcano, interessante dal punto di vista geologico, ma nulla di più. Io avrei studiato l’astronave, ma non si può. Ci sono ordini.. mi pare… devo averli archiviati da qualche parte. – E si guarda attorno come per cercare qualche cosa. Ma poi riprende a trasportare il sedile. Midori lo osserva poi finge di ignorarlo per continuare il suo lavoro.
Farneti fissa il primo MB e poi si siede sul pavimento - Dobbiamo riposare. Non so voi, ma mi pare di non dormire da due giorni. Inizio a non mettere a fuoco i dettagli. Finiamo qui e poi… - ma non finisce la frase e si addormenta. Anche gli altri due si addormentano nello stesso momento. Midori seduta alla scrivania, mentre Thèophile tra una matassa di tubi di plastica. L’unico segno di vita in tutto l’hangar è un piccolo led sopra una telecamera di sicurezza. La telecamera si muove a destra e a sinistra, poi ronza emette un fiebile ronzio soddisfatta suo semplice lavoro di telecamera.
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Isola di Amsterdam – ventiquattro ore prima
“Finalmente”, l’uomo che pensa in inglese ha raggiunto la sua meta.
Il gommone di salvataggio balla pericolosamente e la scogliera davanti a lui non sembra essere il posto migliore per un approdo di fortuna. Decide comunque di proseguire, di non circumnavigare l’isola per cercare altro. Arrivare senza essere visto gli sembra ancora la soluzione migliore.
La testa gli duole ancora e gli unici frammenti, i pochi ricordi, riguardano Londra, il volto di alcune persone e poco altro. No, c’è qualcosa che gli sfugge ma che presto o tardi sarebbe affiorato. Ora, però, era necessario concentrarsi per non sfracellarsi sulle solide certezze che affiorano tra le pieghe rumorose del mare.
Manovra verso una rientranza, un’insenatura e con il mezzo marinaio si aiuta, corre qualche rischio ma per fortuna l’ultimo beccheggio spinge il gommone a incastrarsi tra due rocce. Abbandona il mezzo. Si ferisce, mentre gattona verso zone più sicure. Non è di sicuro un uomo di mare e guarda il cielo, forse in cerca di qualcosa o di se stesso. Prosegue. Nota che forse è possibile scalare la parete a strapiombo così da raggiungere il margine costiero, circa sei metri più in alto.
La cresta rocciosa taglia le mani e le braccia, è scivoloso e lui rischia di cadere ogni momento.
“Devo farcela” si ripete.
Trascorrono oltre trenta minuti, uno dopo l’altro, ordinatamente in fila e finalmente con un ultimo sforzo afferra uno spuntone per tirarsi su, e con grande sorpresa un uomo gli porge la mano, lo aiuta a salire, gli sorride.
D’improvviso i ricordi si ammassano, insieme, quelli suoi e quelli del suo ospite umano perché, l’uomo che parla in inglese ha riconosciuto nel volto del soccorritore il suo nemico.
– Sei sopravvissuto a tutto, ma non a me, a uno dei tuoi simili. – e con un gran calcio lo ributta giù e vede quel corpo spezzarsi e tingersi di sangue. Una nebbiolina viola si alza, tenta la scalata, incontra la forza delle onde, sembra disperdersi, perde di consistenza, sparisce lentamente senza alcuna possibilità di salvezza.
L’uomo sulla scogliera fa un respiro lungo.
Grida – l’ho imparato dagli umani: solo i più forti hanno diritto alla vita!
L’uomo sistema la cerniera del giubbotto e nel farlo osserva il tatuaggio di un fiore di loto sul polso, un curioso vezzo del suo ospite umano.

Isola di Amsterdam – adesso.
Midori Wung si solleva a fatica dallo scomodo lettino. D’improvviso ricorda di essere svenuta e la paura prende il sopravvento. Si guarda intorno, è ancora nell’hangar ma qualcosa è cambiato. – Giacomo… – quello strano italiano le infonde sicurezza. Nessuno risponde. Scende, è in piedi, barcolla, si aggrappa a una sedia, un tavolo da lavoro, riesce a camminare, pochi passi e finisce sul pavimento.
Due braccia le cingono le spalle. – La prego, si lasci aiutare. – L’uomo ha circa trent’anni, carnagione scura, lineamenti marcati e labbra carnose. I capelli sono corti, curati, neri e gli occhi fissi su di lei, intensi e pericolosi.
– Chi… chi è? – la ragazza ha notato il fiore di loto sul polso dell’uomo. Associa quell’immagine al logo della sua azienda e un brivido le corre lungo la schiena.
– Qualche minuto e starà meglio. Sono certo che capirà meglio la situazione, quando le avrò spiegato ogni cosa. Mi segua, da questa parte.
Il nuovo ambiente sembra essere una specie di postazione di controllo: decine di monitor, uno di essi trasmette immagini dell’hangar e della strana astronave, un altro i laboratori della Fujimoto ECS e volti a lei familiari, quelli dei suoi colleghi di lavoro.
Midori era seduta. Schiude leggermente le labbra – Giacomo? E Thèophile?
– Dopo. Le voglio raccontare una storia prima. Due dei vostri anni, cinque mesi e quattordici giorni, le risparmio le ore; il tempo è un elemento importante nella nostra storia. Prima di questo spicchio temporale – usa pollice e indice della mano destra per rappresentare una porzione – io abitavo un luogo diverso, un tempo altro, una dimensione… ecco immagini un lago, grande, immobile, di cui io e il mio popolo siamo le numerosissime gocce. Poi del posto dove vivo le sponde e il fondale, in pratica ciò che dà la forma al nostro mondo. Siamo esseri incorporei, molto superiori, e questo potrebbe bastarle. –
– Non capisco…
– Odio essere interrotto. Un sasso. Immagini che un sasso, delle onde gravitazionali, colpiscano il nostro lago e alcune gocce, alcuni di noi, raggiungano la terra ferma, la vostra Terra. I più forti, forse solo i più fortunati, sono riusciti a sopravvivere, impossessandosi di questi vostri comodi corpi.
– Simbionti?
– Precisamente, dottoressa. Ci siamo ritrovati e abbiamo deciso di mettere a frutto le nostre conoscenze, il nostro sapere, per tornare nel nostro lago. Ci sembrava la mossa più logica da fare, allora.
– Qualcosa è cambiato?
– Certo, dottoressa Wung. Affidammo a Tanaka, un umano, il compito di portare avanti il progetto, lo studio delle onde gravitazionali. Abbiamo dovuto raccogliere le opportune risorse, e ci è sembrato interessante convincere le autorità, alcuni gruppi di potere del vostro mondo: noi saremmo andati via e voi avreste ottenuto nuova tecnologia, un buon affare per entrambi.
Midori abbassa la testa, è sconvolta – non è un’astronave, vero?
L’uomo sfiora le labbra con le dita della mano destra e prosegue – no, infatti, è solo una potentissima macchina aliena– sorride compiaciuto. – Le teorie di Tanaka, i complessi calcoli, le variabili oggetto dei suoi studi sono il… carburante. Presto il sistema sarà in sincrono e…
– Le crono–spazio distorsioni sono solo il risultato tangibile dei vostri tentativi di rendere operativo il sistema.
– I gruppi di potere che abbiamo contattato sanno questo. Loro vigilano, insieme con alcuni di noi, i cinque ripetitori sulla Terra e quello che abbiamo installato sul vostro romantico satellite, sulla Luna.
– I morti? Tanaka, l’uomo che mi seguiva e non so quanti altri ancora…
– Il suo mentore aveva capito. Era giunto alla giusta conclusione e non potevamo permetterci problemi.
– Preparate un’invasione di massa. Svuoterete il vostro lago e vi riverserete nel nostro mondo: quello che mi vuole far aprire è un portale…
– Multi–portale! Apriremo migliaia di corridoi tra il nostro e il vostro mondo, nello stesso momento, lo stesso istante. I fenomeni di distorsione temporale devono essere corretti, tutto dev’essere costruito in modo perfetto perché un popolo intero…
– …nel passaggio, se si dovesse richiudere, dovessero richiudersi i portali da questa parte, prima di aver completato il tutto rischiereste di finire in una specie di loop perenne, una distorsione, bloccati tra le pieghe gravitazionali.
– Precisamente.
– Perché affidarvi a scienziati terrestri? Se siete così… superiori.
– Il nostro limite è quello dell’ospite. Il cervello umano è una fantastica creazione ma non tutto può essere trasferito in esso del nostro sapere. Noi condividevamo le nostre conoscenze in una specie di serbatoio collettivo, una rete d’intelligenze e immagini quanto possa essere limitante per noi questa nuova situazione. Così vi abbiamo posto rimedio affidandoci a una rete internazionale di scienziati, di computer e ogni altra risorsa utile a colmare questo gap.
– Mi ucciderà?
– Lei dovrà completare il suo lavoro, le ultime simulazioni. Dovrà farlo in tempi brevissimi, entro ventiquattr’ore. Lei vivrà. Se sarà fortunata, ospiterà uno dei…
– Tutti… tutti i suoi… quelli della sua specie sono d’accordo con lei? Sottometterete un’altra razza, inferiore, ma pur sempre degli esseri senzienti.
– Lei è molto intelligente. In effetti, è così. Non tutti sceglieranno la nuova condizione di vita. Trasferire la nostra essenza da un corpo umano all’altro è sembrata una scelta sbagliata ad alcuni di noi. Tenaci oppositori. Uno di essi ha tentato di sabotare il nostro lavoro. Ho tentato di ucciderlo, su un peschereccio, in pieno oceano ma è sopravvissuto. Non capisco come. Un satellite in orbita bassa ha raccolto le immagini del suo mezzo di salvataggio…
– …è qui?
– Ancora un’imperdonabile interruzione – stringe i pugni. – Non ricordo, fin da quando abbiamo iniziato il processo di condivisione, di aver mai saputo di atti violenti perpetrati nella nostra collettività. E’ stato inebriante. Guardare il mio simile disperdere la sua essenza al vento è stato ferocemente meraviglioso.
– L’ha ucciso – trema.
– Mi segua, andiamo dai suoi amici.
Uno dei monitor rilancia l’immagine di un’improbabile coppia, un ragazzo e una donna.
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Los Angeles
– Dobbiamo fare in fretta.
Donna squadra il ragazzo – è finita qui. Basta eroi per oggi e ridammi…
– Ho… ho le prove che qui.
– Che cosa?
Antony si guarda intorno, nell’ingresso. Cerca qualcosa. Segue una pianta digitale dell’edificio richiamata sullo schermo del suo tablet. Si spostano in un corridoio, lo percorrono fino in fondo.
– Devo raggiungere Bill. Andiamo via.
– Sai che non ha bisogno di noi. – si avvicina a un divisorio, dietro di esso una porta chiusa. Alza gli occhi verso Donna.
– Devo… forzare? Oh merda, spostati, ragazzo.
La serratura scatta. Insieme attraversano un altro corridoio, su cui danno nuove porte, in terra attrezzature scientifiche, mappamondi. Antony si ferma nuovamente. Guarda sempre la sua mappa. Una parete e una riproduzione della luna davanti a loro.
– Che significa?
– Un passaggio… f–forse. Non lo so… dev’essere qui, da qualche parte.
– Se mi dicessi, merda, cosa stiamo cercando, forse potremmo non girare a vuoto.
– La luna. Aspetta, sembra cedere, ruota – con le mani riesce a spostarla e un rumore secco annuncia che la parete davanti a loro si è sbloccata, rientra di qualche centimetro.
Donna punta la sua Glock, con due mani. – Resta dietro di me, ragazzo.
Il muro cede, loro entrano.
– Sembra un… – la parete si richiude e il pavimento trasla verso il basso. – ascensore!
La Glock è la prima cosa che esce dal vano, seguita da una donna curiosa e un ragazzo fatto d’adrenalina.
– Proseguiamo, e voglia il cielo che tutto questo abbia finalmente un fottuto senso.
– Sono qui, tra noi.
– Chi, cazzo, è qui?
– Sono alieni… ho qui le prove. Ci invaderanno e tutti noi moriremo. I governi sanno tutto. Il presidente i politici, tutti… tutti complici.
– Piano. Piano amico, dovrai provare ogni singola parola di quello che dici e comunque perché siamo in questo posto.
– Sembra che il Griffith, i lavori di restauro di due anni fa. Si due anni quando sono arrivati loro e qui c’è il mezzo… così potranno… attraverso un tunnel e il tempo in sincrono. Ho le prove… i file.
– Cazzo, la chiarezza è il tuo forte, amico. Ho proprio capito tutto e… aspetta, abbassa la voce. – rallentano dove il corridoio curva a destra. Lei fa capolino oltre l’angolo e quello che vede le fa gelare il sangue. Una grande macchina. Una specie di guscio, simile a un classico disco volante. Tutto intorno, strumentazioni elettroniche, monitor, computer e lucette impazzite.
– E’ quello che cerchiamo?
– Guarda. – Alcuni schermi rimandano le immagini esterne, l’entrata principale dell’osservatorio e l’accesso laterale, dove qualcuno sta soccorrendo Bill. Altri uomini, armati, entrano nella struttura. – Abbiamo compagnia. Cerchiamo un sistema per comunicare con loro. Tu sei il genio, datti da fare.
– Distruggiamola.
Ride. – Hai visto troppi film… amore.
– Non a–avremo altre occasioni. – Gratta i suoi capelli e le braccia. Osserva e comincia a toccare tutto. Una tastiera. Il suo mondo. Incomincia a picchiettare i tasti, a muoversi tra i vari menù alla ricerca di altre conferme, di altre risposte. – La simulazione, eccola. Alcuni schermi si riempiono di numeri simboli, grafici che sembrano non finire mai.
– Sei completamente pazzo... andato! Che cosa dovrebbero essere quei numeri?
– Dei test, simulazioni. Qu–questa barra è all’ottanta percento e a questo ritmo di calcolo mancheranno solo alcune d–decine di ore e se il test dovesse restituire un esito positivo… merda.
– Adesso mi rubi le battute, ragazzo? Mi spaventi. Ragioniamo. Se quelli fuori vogliono far completare il test, forse avranno qualche buon motivo per farlo.
– Non hanno capito m–molto di quello che sta succedendo o forse sperano di ottenere nuove armi, n–nuove tecnologie militari.
– Ragazzo, gli scienziati, il governo degli Stati Uniti, qualche fottuto pezzo grosso, loro controlleranno tutto questo. Non è compito nostro.
– Distruggiamo tutto. Troviamo il modo per farlo. Guarda questo schema: Singapore, Milano, Los Angeles, Montevideo e quel posto lì. – Indica un monitor su cui appare una scritta “BIENVENUE A AMSTERDAM” dipinta su un deposito. – Sono certo: anche in quei luoghi ci sono macchine come questa. Sono in rete e per funzionare devono agire insieme. Se distruggessimo questa, tutto si bloccherebbe e gua–guadagneremmo tempo. Perché rischiare, se ho rag–gione quello che ti stava capitando sopra potrebbe ripetersi per milioni di umani.
– Anche se ti credessi, e dico questo solo per ragionare con te, che cosa dovremmo fare?
– Sovraccarichiamo il sistema: immagina che le macchine, i computer siano già usati al centodieci percento. Do loro altri calcoli, algoritmi privi di soluzione e di significato, surriscaldiamo tutto. Spingiamo tutto al massimo e poi troviamo un modo per bruciare le macchine qui sotto. Posso escludere il sistema antincendio.
– E noi? Pochi istanti ancora e saranno qui i colleghi di Bill.
Digita qualcosa, sposta alcune finestre di dialogo e appare in uno dei monitor la mappa dell’osservatorio.
– Una seconda uscita… mentre ho già bloccato la prima.
Si guardano.
– Merda, facciamolo, ci stiamo cacciando in un cazzo di guaio ma è la cosa giusta da fare.
– Sì – urlando – cazzo, sì!

Isola di Amsterdam.
Midori sfiora il viso di Giacomo che, ancora intontito, legato stretto, una benda sulla bocca cerca gli occhi della bella orientale.
– Che succede – sussurra Thèophile in francese. Tossisce e sembra molto provato. Anche lui è legato.
– Mio prezioso Thèophile.
– Tu…
– Un guardiano perfetto, un mix interessante di testardaggine, senso del dovere e amore per la ricerca, ecco, questa è la tua perfetta rappresentazione. Mi rincresce.
Un colpo secco. Il proiettile buca la testa di Thèophile che si accascia sul pavimento.
– Non ho tempo e non ho molta voglia di convincerti con le buone maniere. Il tuo amico italiano è il prossimo. – punta l’arma verso l’uomo, che sembra volersi schierare a protezione di Midori. La ragazza, tremante, incredula e lo sguardo carico d’odio, è sul punto di svenire ma raccoglie le ultime energie residue.
– Fermo. Ti prego.
– Devi continuare i test. Voglio che tutto sia perfetto e tu sembri essere la chiave di tutto. Supervisionerò il tuo lavoro, sono in grado di farlo, e se noterò qualcosa di strano, anomalo, lo ucciderò, mentre tu non morirai, non subito almeno.
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Dimensione sconosciuta. Tempo indefinito.

Un osservatore esterno potrebbe raffigurare questo mondo come una sfera ribollente di energia. Pure idee che si materializzano con lampi colorati e variazioni cromatiche. Un tempo indefinito di domande e risposte che si fondono. Concetti astratti e ipotesi che devono essere verificate. Tutto è amalgamato.
- Il trasferimento sarà la nostra vita.
- Il traferimento sarà la fine di una razza.
- Questo è nell’ordine delle cose. La razza è insignificante rispetto alla conoscenza.
- La conoscenza ci permetterà di sopravvivere.
I due grandi schieramenti stavano combattendo a livello di puro pensiero. Solo una idea non era allineata.
- Ci perdermo!
Una affermazione che percorse tutta la Sfera come un guizzo Blu.
- Ci perderemo?
- Ci perderemo?
- Perderemo? Perderemo? Perderemo?
- Le costanti dell’altro universo sono diverse. Lo stato fisico ha il predominio, il tempo non è più una variabile. Ci imprigioneremo in un corpo e perderemo l’individualità per diventare una singolarità.
- Questo è stato previsto. Il singolo sopravvivrà.
- Non per sempre. La degenerazione può essere accelerata da eventi esterni. Se questo accadrà la matrice originaria riprenderà il sopravvento. La morte sarà inevitabile.
Un silenzio fatto di calma percorse la Sfera.
- Cosa proponi?
- Io propongo di studiare ancora. Propongo di richiamare i singoli fuggiti. Propongo di non distruggere quella razza. Propongo di trovare una altra via.
- Tu proponi la nostra estinzione.
- Io propongo la nostra vita su un altro piano.
- Il collettivo sta pensando. Il collettivo ha deciso. Il collettivo mette da parte il disaccordo. Noi vogliamo vivere!
- Io vi darò la vita. L’universo fisico ha la possibilità di ospitarci senza dover compiere un genocidio. Questi esseri organici hanno conoscenze che possono ospitarci mentre attenderemo.
- Il Tempo è diventato una costante. L’equazione è stata risolta. Convochiamo gli Esploratori.
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Re: La Sfera - racconto a più mani

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Isola di Amsterdam. Ultimo atto.
- “Chi sei?” – Puro pensiero nella mente di Giacomo. Puro pensiero per una semplice domanda
- “Sono Giacomo Farneti. Sono un uomo.”
- “Uomo! Comprendo. Sono venuto per incontrare gli Esploratori. In questo piano non posso esistere se non dentro un’altra forma. Farai il Tramite?”
Una domanda gentile, onesta, nessun dubbio sulla sincerità del pensiero. Giacomo apre gli occhi nello stesso istante in cui le sue labbra vocalizzano un sì deciso e muto per la benda.
Attorno a lui il passaggio, no.. la sua nuova conoscenza lo chiama “Lo Strappo” e come tale va chiuso.
-Bene, ti sei svegliato. Così la tua coscienza sarà pronta per il primo trasferimento. Dottoressa Wung manca poco, apri il Passaggio. – L’uomo con la pistola sembra ricolmo di sicurezza. La duplice mente di Farneti analizza le informazioni da due punti di vista, quello emotivo e preoccupato dell’umano e quello curioso dell’entità.
-“Il processo è pronto. Dobbiamo agire.” “E come?” “Rivelando la verità!”
La voce di Farneti, ovattata dal bavaglio, cerca di dire –L’equazione è sbagliata!
L’uomo con la pistola non lo sente la prima volta, Farneti ripete il mugolio più volte, sempre più forte. – Che stai dicendo? – Con un movimento brusco libera la bocca dell’italiano che finalmente può dire – L’equazione è sbagliata. Il presupposto è sbagliato. C’è una variabile che non è stata considerata. Il risultato è finito e l’energia diminuisce nel tempo senza…-
- Zitto! Cosa ne vuoi sapere tu? – L’uomo con la pistola colpisce Farneti alla guancia con il palmo della mano. Ma Farneti non sente nulla, non in quel momento.
- L’energia di questo piano d’esistenza è limitata. Avere preso posto in un guscio non garantisce l’evoluzione. Lo stesso guscio si ripristinerà ed il normale flusso diluirà la nostra essenza! Controlla. Già ora potrai sentire i percorsi neurali che si stanno risvegliando.
- Chhh…chi sei? – La mano con la pistola trema, come se l’uomo non riuscisse più a sostenerne il peso.
- Sono una parte della Sfera. Sono la parte che dubita e che chiede. Sono il Ricercatore della Verità. Tu sai che è vero!
- No… menti! Le equazioni sono corrette. Tutti i risultati hanno portato a questo – e le mani si allargano per accogliere tutta la tecnologia creata – Se non fossero vere tutto questo sarebbe illusione!
- Tutto questo è illusione. Lo Strappo sta stillando la nostra Essenza. La nostra Essenza si diluisce e si disperde. Raduna il rancore e la paura. Desisti. Tu sai che è vero.
Midori tiene la testa piegata in avanti per non guardare il cadavere di Thèophile, le mani in grembo dopo aver fatto il lavoro che potrebbe aver condannato l’intera razza umana. L’uomo con la pistola sembra congelato e immobile nel tempo. Solo le labbra si muovono. – Questo è insensato! Se ciò che affermi è vero la nostra rivolta è inutile. Sfuggiamo alla morte per correre verso una morte più vicina! – La mano con la pistola si alza e il dito preme il grilletto. Un colpo che rimbomba in tutto lo spazio. Il corpo di Midori che sussulta e un corpo che si affloscia mentre un lieve vapore viola si libera.
- Ora è finita. – La voce di Farneti risveglia Midori. – Liberaci. Il nostro compito non è finito… Bisogna chiudere lo Strappo.

Il resto è solo un trascorrere lento del tempo. Operazioni che si susseguono. Ordini che partono e rimbalzano dal NORAD al B2 in volo sul Mar di Giada. Sospiri di sollievo emessi dietro monitor dalla luce fredda. Bambini che giocano in un parco con l’innocenza ancora intatta. Capi di stato che si rilassano dopo aver posato il “telefono rosso”.
Un elicottero che preleva Midori e Farneti portandoli verso il mare aperto. Nulla è cambiato nel mondo, ma tutto è cambiato. Li fuori, oltre il confini ci sono altri sogni.

Saremo in grado di sognarli?
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