Il regno di Utopia
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Il regno di Utopia
Il genere fantascienza nasce come uno spin off, si direbbe oggi, del genere letterario utopico, molto di moda in Inghilterra tra XVI e XVIII secolo.
Basti pensare a Utopia di Thomas More, o a Nuova Atlantide, di Francis Bacon, non a caso il padre della moderna epistemologia, per arrivare a Swift e ai suoi imitatori.
Cos'è l'Utopia? Dal greco Ou-Tòpos, ossia il NON LUOGO. Con quell'OU molto simile a EU, l'Eutopia (o forse anche Utopia), il buon luogo.
E infatti la fantascienza, come genere, sorge nel mondo anglosassone, non per caso. Da H.G Wells con le sue macchine del tempo a Mark Twain con i suoi viaggi alla corte di Re Artù.
L'Inghilterra del XIX secolo è forse il più, o di sicuro uno dei più, avanzati paesi del globo. E la fantascienza, come il genere utopico che l'ha preceduta, nasce da una fame di futuro. E dall'illusione che con la narrativa fantascientifica si potrebbe meglio comprendere la società presente e anche, forse soprattutto, si possa agire per indirizzare quella futura.
La fantascienza, nel corso del XIX secolo e all'inizio del XX fino alla sua età d'oro subito dopo il II conflitto mondiale, è un genere ottimista, proiettato nel futuro, e incarna i progressi della scienza e della tecnologia, i quali non sono mai visti come nemici, ma come possibilità infinita di agire e cambiare il mondo.
E anche il rapporto tra scienza e capitalismo è inteso con ottimismo, dove il presente è ricco di potenzialità e il futuro è il luogo proiettato nel tempo dove realizzare queste possibilità.
L'epoca d'oro della fantascienza corrisponde, più o meno, ai meravigliosi trenta dello stato sociale in Occidente, un periodo in cui le conquiste sociali per la popolazione occidentale crescevano di anno in anno.
Il sogno di un benessere in crescendo e sempre più ben distribuito è fino ai Sessanta una realtà che cresce col tempo.
Ma all'incirca alla metà degli anni Settanta, con la crisi del vecchio capitalismo e l'affermarsi del neoliberismo, ecco che il presente muta nella percezione generale e da pieno di potenzialità si trasforma in ricco di incognite. Per non parlare del futuro, che da luogo di realizzazione delle potenzialità presenti diventa il luogo dove ogni minaccia, ogni peggior incubo, può farsi reale.
Muta anche il rapporto con la scienza e la tecnologia. Un vero cambiamento di paradigma. Da soluzione di ogni problema la tecnologia diventa prima minaccia e poi essa stessa problema.
In questo modo la fantascienza ottimista dell'età d'oro non può sopravvivere a questo mutamento radicale di visione. La fantascienza classica muore perché il futuro non ha più nulla da dire o è solo foriero di catastrofi ben peggiori di quelle presenti.
Il futuro muore perché la scienza cessa di essere prometeica, preveggente, ma diventa il suo stesso opposto. Non figlia di Prometeo, ma di suo fratello Epimeteo, colui che non vede nulla.
La fantascienza diventa per forza di cose apocalittica, il futuro cessa di aver qualcosa da dire al presente, diventa non un NON LUOGO, ma un cattivo luogo, anzi il presente apocalittico diventa un luogo eterno e indistinto. Anche il tempo, avvolto in questa nebbia, cessa di avere senso.
La fantascienza è quindi un genere percorso da una profonda decomposizione strutturale dei suoi elementi fondanti e quelli nuovi che ha acquistato ne hanno fatto un genere diverso, come diversa è la società a cui si rivolge.
Basti pensare a Utopia di Thomas More, o a Nuova Atlantide, di Francis Bacon, non a caso il padre della moderna epistemologia, per arrivare a Swift e ai suoi imitatori.
Cos'è l'Utopia? Dal greco Ou-Tòpos, ossia il NON LUOGO. Con quell'OU molto simile a EU, l'Eutopia (o forse anche Utopia), il buon luogo.
E infatti la fantascienza, come genere, sorge nel mondo anglosassone, non per caso. Da H.G Wells con le sue macchine del tempo a Mark Twain con i suoi viaggi alla corte di Re Artù.
L'Inghilterra del XIX secolo è forse il più, o di sicuro uno dei più, avanzati paesi del globo. E la fantascienza, come il genere utopico che l'ha preceduta, nasce da una fame di futuro. E dall'illusione che con la narrativa fantascientifica si potrebbe meglio comprendere la società presente e anche, forse soprattutto, si possa agire per indirizzare quella futura.
La fantascienza, nel corso del XIX secolo e all'inizio del XX fino alla sua età d'oro subito dopo il II conflitto mondiale, è un genere ottimista, proiettato nel futuro, e incarna i progressi della scienza e della tecnologia, i quali non sono mai visti come nemici, ma come possibilità infinita di agire e cambiare il mondo.
E anche il rapporto tra scienza e capitalismo è inteso con ottimismo, dove il presente è ricco di potenzialità e il futuro è il luogo proiettato nel tempo dove realizzare queste possibilità.
L'epoca d'oro della fantascienza corrisponde, più o meno, ai meravigliosi trenta dello stato sociale in Occidente, un periodo in cui le conquiste sociali per la popolazione occidentale crescevano di anno in anno.
Il sogno di un benessere in crescendo e sempre più ben distribuito è fino ai Sessanta una realtà che cresce col tempo.
Ma all'incirca alla metà degli anni Settanta, con la crisi del vecchio capitalismo e l'affermarsi del neoliberismo, ecco che il presente muta nella percezione generale e da pieno di potenzialità si trasforma in ricco di incognite. Per non parlare del futuro, che da luogo di realizzazione delle potenzialità presenti diventa il luogo dove ogni minaccia, ogni peggior incubo, può farsi reale.
Muta anche il rapporto con la scienza e la tecnologia. Un vero cambiamento di paradigma. Da soluzione di ogni problema la tecnologia diventa prima minaccia e poi essa stessa problema.
In questo modo la fantascienza ottimista dell'età d'oro non può sopravvivere a questo mutamento radicale di visione. La fantascienza classica muore perché il futuro non ha più nulla da dire o è solo foriero di catastrofi ben peggiori di quelle presenti.
Il futuro muore perché la scienza cessa di essere prometeica, preveggente, ma diventa il suo stesso opposto. Non figlia di Prometeo, ma di suo fratello Epimeteo, colui che non vede nulla.
La fantascienza diventa per forza di cose apocalittica, il futuro cessa di aver qualcosa da dire al presente, diventa non un NON LUOGO, ma un cattivo luogo, anzi il presente apocalittico diventa un luogo eterno e indistinto. Anche il tempo, avvolto in questa nebbia, cessa di avere senso.
La fantascienza è quindi un genere percorso da una profonda decomposizione strutturale dei suoi elementi fondanti e quelli nuovi che ha acquistato ne hanno fatto un genere diverso, come diversa è la società a cui si rivolge.
- Massimo Baglione
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Re: Il regno di Utopia
"fame di Futuro", bell'immagine.
La nostra seconda antologia NASF era a tema, appunto, "Utopia, Distopia, Ucronia".
Credo che in questi tre àmbiti si possa includere gran parte della Fantascienza mondiale.
La nostra seconda antologia NASF era a tema, appunto, "Utopia, Distopia, Ucronia".
Credo che in questi tre àmbiti si possa includere gran parte della Fantascienza mondiale.
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Re: Il regno di Utopia
Ciao, Massimo.
Sono intervenuto nel sito a gamba tesa e mi spiace.
Da ragazzo la fantascienza la divoravo, credo di aver letto tutto Asimov, Clarke, gran parte di Dick (che la fantascienza ha ammazzato secondo alcuni critici), Heinlein, Le Guin, Zelazny, adoravo Silverberg, e via discorrendo.
Poi qualche cosa si è rotta. Per intenderci, non ne leggo più, ma la seguo in TV. Ma, non so se hai notato, le serie sono tutte apocalittiche (Silo, Raises by the wolves, Halo, The Last of us, la stessa Fondazione ha un che di apocalittico) e pure lo stesso luminoso universo di Star Trek sta seguendo, mi pare, questa parabola, con gli spin off o i reboot diventati via via più tenebrosi a partire dalle scelte cromatiche più cupe e dai filtri adoperati per girare le scene.
In questo senso credo che il genere sia indicativo più di altri, come il canarino nella gabbia per i minatori, di un mutamento di atmosfera. Una sorta di sensore degli umori. Certo, oggi fame di futuro se ne vede poca, già ci basta il presente.
La fantascienza nasce dal genere utopico, il genere distopico si è affermato a partire da Huxley, Orwell (1984 più che la Fattoria degli Animali), ma forse lo stesso Wells.
Credo che il problema maggiore della narrativa di genere fantascientifico sia stata la non significatività della stragrande maggioranza della produzione. Il che l'ha relegata, soprattutto in Italia, allo stesso livello del romanzo rosa, di certo più in basso del giallo.
Manca la qualità insomma.
Se ci riesco vorrei scrivere sulla Poetica nel genere fantascientifico, se mi consenti di postarlo qui.
Sono intervenuto nel sito a gamba tesa e mi spiace.
Da ragazzo la fantascienza la divoravo, credo di aver letto tutto Asimov, Clarke, gran parte di Dick (che la fantascienza ha ammazzato secondo alcuni critici), Heinlein, Le Guin, Zelazny, adoravo Silverberg, e via discorrendo.
Poi qualche cosa si è rotta. Per intenderci, non ne leggo più, ma la seguo in TV. Ma, non so se hai notato, le serie sono tutte apocalittiche (Silo, Raises by the wolves, Halo, The Last of us, la stessa Fondazione ha un che di apocalittico) e pure lo stesso luminoso universo di Star Trek sta seguendo, mi pare, questa parabola, con gli spin off o i reboot diventati via via più tenebrosi a partire dalle scelte cromatiche più cupe e dai filtri adoperati per girare le scene.
In questo senso credo che il genere sia indicativo più di altri, come il canarino nella gabbia per i minatori, di un mutamento di atmosfera. Una sorta di sensore degli umori. Certo, oggi fame di futuro se ne vede poca, già ci basta il presente.
La fantascienza nasce dal genere utopico, il genere distopico si è affermato a partire da Huxley, Orwell (1984 più che la Fattoria degli Animali), ma forse lo stesso Wells.
Credo che il problema maggiore della narrativa di genere fantascientifico sia stata la non significatività della stragrande maggioranza della produzione. Il che l'ha relegata, soprattutto in Italia, allo stesso livello del romanzo rosa, di certo più in basso del giallo.
Manca la qualità insomma.
Se ci riesco vorrei scrivere sulla Poetica nel genere fantascientifico, se mi consenti di postarlo qui.
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Re: Il regno di Utopia
Ecco perché esiste NASF, per cercare di aumentare questo livello medio :-PManca la qualità insomma.
Certo!Se ci riesco vorrei scrivere sulla Poetica nel genere fantascientifico, se mi consenti di postarlo qui.
Apri un topic apposito, così teniamo tutto in ordine.
Re: Il regno di Utopia
Come mai questa critica a Dick?? Ignoravo completamente....Gaetano Intile ha scritto: ↑17/05/2023, 12:03 Ciao, Massimo.
Sono intervenuto nel sito a gamba tesa e mi spiace.
Da ragazzo la fantascienza la divoravo, credo di aver letto tutto Asimov, Clarke, gran parte di Dick (che la fantascienza ha ammazzato secondo alcuni critici),
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Re: Il regno di Utopia
Su Dick la critica letteraria ha sempre sparato ad alzo zero. Prosa discontinua, servo dell'industria letteraria, illeggibile in lingua inglese (e in altre lingue supportato da benevole traduzioni che ne hanno attutito l'impatto) fino all'ultimo Dick, quello di Esegesi, su cui apriti cielo.
Non è mai stato amato in vita, ha provato ad affermarsi come autore di romanzi mainstream (ne ha scritti otto), ma i suoi romanzi venivano sempre rifiutati dagli editori. Con la fantascienza l'accusa principale è di aver strizzato l'occhio al genere popolare in voga negli anni Sessanta e Settanta e all'industria culturale che esigeva un certo genere di prodotto per un certo genere di lettori. Contro di lui hanno detto di tutto insomma.
Non è mai stato amato in vita, ha provato ad affermarsi come autore di romanzi mainstream (ne ha scritti otto), ma i suoi romanzi venivano sempre rifiutati dagli editori. Con la fantascienza l'accusa principale è di aver strizzato l'occhio al genere popolare in voga negli anni Sessanta e Settanta e all'industria culturale che esigeva un certo genere di prodotto per un certo genere di lettori. Contro di lui hanno detto di tutto insomma.
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Re: Il regno di Utopia
Perchè si è scoperto che il genere distopico attira più di quello utopico e di conseguenzaGaetano Intile ha scritto: ↑17/05/2023, 12:03 ...Ma, non so se hai notato, le serie sono tutte apocalittiche...
le case di produzione e quelle editoriali si sono allineate ai gusti del pubblico.
La serie della Fondazione non la definirei "apocalittica", semmai "decadente" e per quanto riguarda
Star Trek... meno male che c'è Lower Decks