Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre lune

Qui potete inserire qualche vostra opera, per condividerla con tutti gli altri iscritti del forum.
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Massimo Vaj
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

Messaggio da leggere da Massimo Vaj »

La tentazione di attribuire l'incomprensione alla giovane età è troppo forte perché non ingeneri sospetti sulla sua veridicità. Ventuno anni sono più che sufficienti perché la razionalità faccia ciò che le spetta di fare attraverso l'uso della ragione. Semmai ai ventuno anni si potrebbe imputare il lasciarsi sfuggire opportunità per aver dato troppo spazio al proprio orgoglio intellettuale. Nel mio caso, invece, questo orgoglio non ha ragioni di essere, perché nulla di quello che espongo è di mia creazione, né appartiene al lavorio cerebrale. Di mio c'è solo la scelta, spesso infelice, di termini che ritengo essere i più adatti a evitare confusioni sul senso che le parole usate da me devono avere. Non sono una persona di cultura e leggo pure poco rispetto a quello che potrei. Preferisco girare col trial sulle mulattiere sopra casa mia e zappare la terra che lavoro per vivere. Non era mia intenzione convincere, ma soltanto dare elementi di riflessione. Non ho interesse a sostituire un credere con un altro credere, perché sul piano della credenza sta bene in mostra solo la pagnotta, non l'intelligenza... ;)
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carlo
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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non so perchè ma ero certo fossi assai più grande :)
quaesitor
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

Messaggio da leggere da quaesitor »

@Massimo: posso capire la tentazione di speculare sulla persona e sui suoi trascorsi/motivazioni, ma questa non è la sede per un confronto di questo tipo. Visto che lo spazio di confronto è limitato, ti prego di rimanere sul contenuto della 'arida lettera' da me concretamente esposta. Le dietrologie vanno bene in una discussione in cui siano direttamente in questione i nostri trascorsi, in caso contrario sembrano un modo di spostare l'attenzione su questioni collaterali e in fin dei conti ininfluenti rispetto alla forza o meno delle argomentazioni.

@Carlo: me lo dicono anche le ragazze con cui ci provo... e non è affatto un bene ;(
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Massimo Vaj
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

Messaggio da leggere da Massimo Vaj »

Non capisco cosa tu voglia dire, a meno che tu non intenda mettere sullo stesso piano l'esperienza vissuta da un sessantenne con quella di un ventenne, cosa ridicola a farsi soprattutto dopo aver notato che il sessantenne è vivo per miracolo, mentre il ventenne crede che i miracoli riguardino soltanto la propria fantasia speculativa, che è malamente sostenuta dal non aver compreso ciò che ha studiato sui libri scritti da qualcun altro il quale, a propria volta, non ha afferrato il senso intimo espresso dagli autori letti, ma ti accorgerai presto della vacuità a cui conduce il ragionamento quando non ha princìpi certi dai quali procedere. Princìpi non morali, ma universali. Già è difficile sapere cosa significhi un principio che sia universale, immagina quando questi princìpi sono molti, e ordinati tra loro dal grado di prossimità al principio centrale. L'apprendimento scolastico è nozionistico e non ha punti di contatto con il comprendere, figurati col conoscere, e pensa che nemmeno il conoscere, anche quando è di qualità, ha punti di contatto con la consapevolezza assoluta, e non è neppure detto che quest'ultima sia capace di disporre un essere alla sua messa in atto nella propria esistenza. La consapevolezza, assoluta perché conseguenza del "vedere" attraverso l'Intelligenza universale, non è in relazione con l'intelligenza individuale se non attraverso il fatto che quest'ultima si occupa esclusivamente di tradurre, consegnando alla dimensione relativa della coscienza la decodificazione del sapere immediato e assoluto. Traduzione necessariamente imperfetta perché deve tralasciare l'Essenza, incomunicabile perché non relativa. Ciò di cui sto parlando costituisce il nocciolo dei tuoi studi - o per meglio dire di quello che dovrebbero essere e forse saranno i tuoi studi - perché tu ti fregi di un conoscere che a ventuno anni ancora non hai studiato. Quanti esami hai dato lo dice l'età che hai, insieme a quanto sei convinto di essere un super cervellone. È una malattia che la vecchiaia ti guarirà, lasciandoti intontito per una presunzione che avrà lasciato dietro di sé solo incalcolabili danni. La prima qualità di un ricercatore di verità consiste nel saper scansare il proprio orgoglio intellettuale, la seconda è il sapere che sarà la verità a rivelarsi e non il ricercatore a scovarla. Non sto parlando di umiltà, che sarebbe solo un onesto ammettere i propri limiti, quando si fosse privi di qualità speciali, oppure una falsità se si possedessero doni reali. L'umiltà si addice soltanto agli esseri che essendo già usciti da questo mondo si propongono di non far pesare la superiorità della luce, di cui sono portatori, a occhi che ne rimarrebbero offesi. E non è il caso mio né, con esagerata evidenza, il tuo.
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

Messaggio da leggere da quaesitor »

Non spreco tempo a controbattere affermazioni così ridicolmente strumentali. Come fai a giudicare i miei trascorsi? Io l'ho forse fatto? Cosa te ne dà il diritto? Come fai a sapere quanto o cosa ho studiato (l'università c'entra poco e niente)?
Ah, dimenticavo che l'Essenziale non si coglie con lo studio, ed è invisibile al ragionamento... allora a che serve questionare in maniera così ridicola su quello che avrei studiato o meno, compreso o meno? Tanto deve arrivare l'uccellino della Verità.

Questi post sono un concentrato di:
- ripetizioni alla nausea--> Ho capito il discorso della differenza tra gli intelletti già la prima volta, e l'ho rifiutato, non c'è bisogno di riproporlo tale e quale. Se hai trovato una falla nel modo in cui l'ho rifiutato esponila pure, ma non è che la centesima volta che ripeterai il discorso iniziale lo accetterò.
- attacchi alle intenzioni o volti alla delegittimazione del dissenso ancora prima di considerarne le motivazioni--> "Tu rifiuti quello che dico, perciò o sei in malafede o non capisci niente" Che razza di procedere sarebbe?
- dietrologie futili e generalizzazioni riguardo la persona--> E chi se ne frega di me, per la miseria! Anche se le risposte di cui sopra le avesse scritte una scimmia battendo a caso sulla tastiera hai il dovere di rispondere a quelle, non di trovare una stortura in chi le scrive.
Hai qualcosa con cui controbattere quello che dico? Felicissimo di ascoltarti. Non vuoi/puoi/hai interesse a farlo? Taciamo tutti e amen.
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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Chiunque non veda i princìpi è nella necessità di rifiutare la vista interna di chi i princìpi vede, e su questo non c'è da discutere, ma occorrerebbe farlo se tu dici, come hai detto, che l'importante sarebbe il doversi chiedere che cosa Dio è. Questo significa che, per te, l'Assoluto è un essere o, addirittura, un qualche cosa di esistente. La logica non ti dice che una Realtà che sia assoluta e causa dell'esistenza non può essere esistente a propria volta, perché nessun contenitore può essere compreso dal proprio contenuto? Nessuna causa, anche nella dimensione relativa, partecipa ai suoi propri effetti né da questi può essere modificata, ed è così a immagine di quanto accade nella sfera principiale. È per questa ragione che il fuoco non può bruciare il calore dal quale è stato generato. Questi sono argomenti accessibili alla logica di un ragazzino che deve ancora fare la prima comunione, e se non sono compresi significa che chi non li comprende è meglio si dedichi a cose lontane dagli studi di orientalistica, per dire a casaccio... quelli dedicati al miglioramento del tostapane, attraverso i quali potrà almeno sperare di riuscire a fare una colazione decente.
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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La discussione è anche interessante, ma non trascendete nell'insulto anche se velato, tra l'altro la riparazione dei tostapane è cosa difficile e degna di rispetto. Non credo nessuno di noi possieda verità rivelate, e in questo forum la cosa bella è sempre stata proprio il clima assai disteso di ogni dibattito, vi prego quindi di mantenerlo tale.
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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È giusto non credere che qualcuno possa possedere verità rivelate, semplicemente perché la verità non la si può possedere, a meno di essere la Verità stessa. La Verità dei princìpi, che deve essere scritta con la "V" maiuscola perché non ha opponenti, la si può al massimo vedere, non certamente inventare né ideare, e nessuno che descriva un orizzonte diverrà, attraverso l'averlo visto, proprietario di quell'orizzonte. Qui si tratta di un ragazzino di ventuno anni, pieno di sé e che si spaccia, orgoglioso come un tacchino alla festa del ringraziamento, di essere un laureando in Orientalistica e appassionato di filosofia. Ventuno anni sono appena sufficienti per potersi definire aspirante di qualcosa. Mi spiace Carlo, ma detesto gli individui convinti che uno scarso grado intellettivo, che si camuffa coprendosi di parole, possa compensare la malafede.
Sono sempre pronto a essere cacciato, quando devo difendere l'evidenza di situazioni malate che non avranno mai il mio tacito consenso né, tantomeno, la mia collaborazione.
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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"Chiunque non veda i princìpi è nella necessità di rifiutare la vista interna di chi i princìpi vede, e su questo non c'è da discutere"
-
Certo, i soliti principi che si possono 'vedere' ma non enunciare (un'assurda contorsione del linguaggio). Di cosa ti lamenti, scusa? Lo dici tu stesso che non sono comunicabili.

"occorrerebbe farlo se tu dici, come hai detto, che l'importante sarebbe il doversi chiedere che cosa Dio è. Questo significa che, per te, l'Assoluto è un essere o, addirittura, un qualche cosa di esistente."
-
Qua siamo al delirio, usi frasi da me scritte in un altro contesto e con altra finalità. Ciò che intendevo nell'altro discorso riguarda un ambito differente, e si riferiva alla necessità di superare la sterile dicotomia ateo/credente per andare a vedere cosa significa un termine spesso usato in maniera non consapevole. Tra l'altro l'identificazione Dio=Assoluto è qualcosa che tu stesso hai criticato, quindi perché la usi adesso?


"La logica non ti dice che una Realtà che sia assoluta e causa dell'esistenza non può essere esistente a propria volta, perché nessun contenitore può essere compreso dal proprio contenuto? Nessuna causa, anche nella dimensione relativa, partecipa ai suoi propri effetti né da questi può essere modificata, ed è così a immagine di quanto accade nella sfera principiale. È per questa ragione che il fuoco non può bruciare il calore dal quale è stato generato."
-
1) Tutte queste metafore sono fuorvianti, attingono dall'esperienza per giustificare una tesi su una 'realtà' che non fa parte dell'esperienza (nemmeno dell'esperienza 'discorsiva' visto che la Verità è altra dal discorso).
2) "Una Realtà che sia assoluta e causa dell'esistenza (diciamo dell'essere? Il concetto di 'esistenza' è fin troppo vago)": in questa stessa frase c'è un vizio di forma. Cosa vorrebbe dire 'Realtà'?! Se vogliamo proprio vedere la cosa in questi termini le vie sono solo due: o l'essere contiene il proprio fondamento, o non lo contiene; se non lo contiene allora il suo fondamento è diverso dall'essere (è non-essere); se quel fondamento è non-essere, allora è Nulla; se è Nulla è contraddizione. E non venirmi a parlare di Potenzialità Inespresse o cose del genere che sarebbe davvero ribaltare il tavolo con un trucco da saltimbanco.
3) Ma poi tra l'altro chi l'ha detto che l'essere dovrebbe avere una causa? Usare il concetto di causa come se fosse assoluto ti porta all'aporia che il vecchio Aristotele credette di risolvere con il Dio-Causa, tra l'altro fallendo miseramente.

"Questi sono argomenti accessibili alla logica di un ragazzino che deve ancora fare la prima comunione"
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Un ragazzino di sicuro li accetterebbe a occhi chiusi, perché si farebbe ingannare dalle metafore a buon mercato.

"se non sono compresi significa che chi non li comprende è meglio si dedichi a cose lontane dagli studi di orientalistica, per dire a casaccio... quelli dedicati al miglioramento del tostapane, attraverso i quali potrà almeno sperare di riuscire a fare una colazione decente."
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Insultami un altro po', di sicuro le tue tesi diventeranno più robuste.

"Qui si tratta di un ragazzino di ventuno anni, pieno di sé e che si spaccia, orgoglioso come un tacchino alla festa del ringraziamento, di essere un laureando in Orientalistica e appassionato di filosofia."
-
Con le metafore vai forte, buon pro ti facciano nella scrittura.

" Mi spiace Carlo, ma detesto gli individui convinti che uno scarso grado intellettivo, che si camuffa coprendosi di parole, possa compensare la malafede."
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Ho fatto bingo, a quanto pare. Avevo tirato troppo basso; pensavo mi dessi del deficiente O dello strnzo in malafede... e invece mi dai del deficiente E dello strnzo in malafede*. Notevole, a cosa possa servirti nel presente discorso non si sa, ma veramente notevole.
"Che si camuffa coprendosi di parole" poi, è geniale: con cosa dovrei esprimermi di preciso? In un linguaggio che ti sia accomodante? A gesti e grugniti?

"Sono sempre pronto a essere cacciato, quando devo difendere l'evidenza di situazioni malate che non avranno mai il mio tacito consenso né, tantomeno, la mia collaborazione."
Non farai la fine del martire per la Verità inascoltato e messo all'angolo dall'indegna plebaglia, stanne pur tranquillo, non per mia richiesta. Accetterò tutti i tuoi begli insulti meravigliosamente confezionati, pur di permetterti di continuare a testimoniare il Verbo in questo deserto pieno di demoni ottusi e allo stesso tempo in malafede come sono io.
Chi ti legge darà la propria sentenza, se non qui in cuor proprio.


* Che tra l'altro implica un equilibrismo terminologico notevole, visto che per essere in malafede bisogna essere in grado di capire e distinguere il giusto (la tua via della Verità) dall'erroneo, cosa piuttosto difficile da fare se come nel mio caso si hanno fette di prosciutto davanti agli occhi.


PS: non ho più intenzione di rispondere, in questo periodo devo concludere un libro e il tempo è agli sgoccioli. Ovviamente puoi interpretare la mia uscita di scena come vuoi, fare tutte le dietrologie e inventarti tutti i raffinati insulti che vuoi... non me ne può fregar di meno.
E compra il mio libro, quando uscirà, così potrai sputarci sopra ;)
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Massimo Vaj
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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Ti avevo lasciato il link di un mio scritto che ha per titolo "Cosa si deve intendere per principi universali". In quello scritto spiego cos'è un principio universale e do alcuni esempi. Leggerlo non dà accesso alla conoscenza dei princìpi né, tantomeno, alla loro disposizione gerarchica rispetto alla centralità del principio primo. Dà soltanto un appoggio, diciamo così... preparatorio, niente di più, perché il conoscere immediato e diretto non è un fatto culturale né il lavorio della mente. Non è neppure un'idea. Ho già citato persone che hanno avuto accesso a questo modo di vedere la realtà determinato dalla vista interiore aperta sui princìpi universali e le loro conseguenze. Leggiti magari "Il Convivio di Dante" e vedrai che è di questo "vedere" che tratta. A questa consapevolezza si accede attraverso l'iniziazione, satori la chiamano i giapponesi, e la storia dell'umanità è intrisa da questo speciale conoscere che ha determinato la dottrina chiamata metafisica. Nessun popolo ignora l'apertura della vista immediata, interna perché spirituale. Uno che studi orientalistica e che non sa questo è meglio che asfalti le strade d'estate. Non si tratta di cultura e non ci si arriva attraverso lo studio, né per le opere compiute, ed è evidente che chiunque non "veda" direttamente... nemmeno può immaginare di cosa si tratti in realtà, ma ignorare la propria ignoranza non conduce a risultati che possano modificare né l'ignorare, e neppure l'ignoranza.
Ultima modifica di Massimo Vaj il 02/07/2013, 12:26, modificato 1 volta in totale.
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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Dante Alighieri - Il Convivio

Capitolo primo

Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia*, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di prima natura impinta, è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti. 2. Veramente da questa nobilissima perfezione molti sono privati per diverse cagioni, che dentro a l’uomo e di fuori da esso lui rimovono da l’abito di scienza. Dentro da l’uomo possono essere due difetti e impedi[men]ti: l’uno da la parte del corpo, l’altro da la parte de l’anima. 3. Da la parte del corpo è quando le parti sono indebitamente disposte, sì che nulla ricevere può, sì come sono sordi e muti e loro simili. Da la parte de l’anima è quando la malizia vince in essa, sì che si fa seguitatrice di viziose delettazioni, ne le quali riceve tanto inganno che per quelle ogni cosa tiene a vile. 4. Di fuori da l’uomo possono essere similemente due cagioni intese, l’una de le quali è induttrice di necessitade, l’altra di pigrizia. La prima è la cura familiare e civile, la quale convenevolmente a sé tiene de li uomini lo maggior numero, sì che in ozio di speculazione esser non possono. L’altra è lo difetto del luogo dove la persona è nata e nutrita, che tal ora sarà da ogni studio non solamente privato, ma da gente studiosa lontano. 5. Le due di queste cagioni, cioè la prima da la parte [di dentro e la prima da la parte] di fuori, non sono da vituperare, ma da escusare e di perdono degne; le due altre, avvegna che l’una più, sono degne di biasimo e d’abominazione. 6. Manifestamente adunque può vedere chi bene considera, che pochi rimangono quelli che a l’abito da tutti desiderato possano pervenire, e innumerabili quasi sono li ’mpediti che di questo cibo sempre vivono affamati. 7. Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli si manuca! e miseri quelli che con le pecore hanno comune cibo! 8. Ma però che ciascuno uomo a ciascuno uomo naturalmente è amico, e ciascuno amico si duole del difetto di colui ch’elli ama, coloro che a così alta mensa sono cibati non sanza misericordia sono inver di quelli che in bestiale pastura veggiono erba e ghiande sen gire mangiando. 9. E acciò che misericordia è madre di beneficio, sempre liberalmente coloro che sanno porgono de la loro buona ricchezza a li veri poveri, e sono quasi fonte vivo, de la cui acqua si refrigera la naturale sete che di sopra è nominata. 10. E io adunque, che non seggio a la beata mensa, ma, fuggito de la pastura del vulgo, a’ piedi di coloro che seggiono ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho lasciati, per la dolcezza ch’io sento in quello che a poco a poco ricolgo, misericordievolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale a li occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho fatti maggiormente vogliosi. 11. Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convivio di ciò ch’i’ ho loro mostrato, e di quello pane ch’è mestiere a così fatta vivanda, sanza lo quale da loro non potrebbe esser mangiata. 12. E questo [è quello] convivio, di quello pane degno, con tale vivanda qual io intendo indarno [non] essere ministrata. E però ad esso non s’assetti alcuno male de’ suoi organi disposto, però che né denti né lingua ha né palato; né alcuno assettatore di vizii, perché lo stomaco suo è pieno d’omori venenosi contrarii, sì che mai vivanda non terrebbe. 13. Ma vegna qua qualunque è [per cura] familiare o civile ne la umana fame rimaso, e ad una mensa con li altri simili impediti s’assetti; e a li loro piedi si pongano tutti quelli che per pigrizia si sono stati, che non sono degni di più alto sedere: e quelli e questi prendano la mia vivanda col pane, che la farò loro e gustare e patire. 14. La vivanda di questo convivio sarà di quattordici maniere ordinata, cioè quattordici canzoni sì d’amor come di vertù materiate, le quali sanza lo presente pane aveano d’alcuna oscuritade ombra, sì che a molti loro bellezza più che loro bontade era in grado. 15. Ma questo pane, cioè la presente disposizione, sarà la luce la quale ogni colore di loro sentenza farà parvente. 16. E se ne la presente opera, la quale è Convivio nominata e vo’ che sia, più virilmente si trattasse che ne la Vita Nuova, non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per questa quella; veggendo sì come ragionevolmente quella fervida e passionata, questa temperata e virile esser conviene. 17. Ché altro si conviene e dire e operare ad una etade che ad altra; perché certi costumi sono idonei e laudabili ad una etade che sono sconci e biasimevoli ad altra, sì come di sotto, nel quarto trattato di questo libro, sarà propria ragione mostrata. E io in quella dinanzi, a l’entrata de la mia gioventute parlai, e in questa dipoi, quella già trapassata. 18. E con ciò sia cosa che la vera intenzione mia fosse altra che quella che di fuori mostrano le canzoni predette, per allegorica esposizione quelle intendo mostrare, appresso la litterale istoria ragionata; sì che l’una ragione e l’altra darà sapore a coloro che a questa cena sono convitati. 19. Li quali priego tutti che se lo convivio non fosse tanto splendido quanto conviene a la sua grida, che non al mio volere ma a la mia facultade imputino ogni difetto; però che la mia voglia di compita e cara liberalitate è qui seguace.

* La metafisica è anche chiamata così perché essendo universale è di conseguenza prima e unica.
Link al testo completo: http://www.filosofico.net/conviiviodante.htm
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Re: Vuoto - il racconto di Carlo Trotta rifiutato in le tre

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La Certezza assoluta attraverso cui si vedono i princìpi ordinatori della realtà non può essere comunicata né insegnata semplicemente perché non è relativa e nel relativo, seguendo le leggi della consequenzialità, non può restringersi per entrare, ma chi vede può dire ciò che di quella Certezza è comunicabile perché traducibile in parole. Così se si ha intenzione di descrivere il principio universale del movimento, che è norma del muoversi dell'intero universo, si deve dire che questo principio, essendo asse fisso del movimento e non potendo, in quanto causa di quel muoversi, muoversi a propria volta perché ogni causa non partecipa ai suoi propri effetti, quel principio, dicevo, impone al tutto di muoversi al fine di sussistere e poter durare. In definitiva la vita deve il suo esserci al movimento, e se il principio del movimento cambiasse a propria volta, di conseguenza la vita cesserebbe di essere, a causa della fine del suo pulsare. Così si deve aggiungere che, nel suo essere universalmente applicato, il principio che è asse fisso del movimento non è, per questa sua fissità, assoluto. È fisso in relazione a ciò che gli ruota attorno, ma quando la rotazione cesserà anche il suo essere asse svanirebbe. Nessun principio universale è assoluto, perché l'Assoluto è unico e non affermato, se non attraverso la riflessione capovolta delle possibilità universali che esprime.
Come si vede ho portato l'esempio di uno dei princìpi universali, ne ho appena parlato, ma chi ha letto o leggerà non avrà, attraverso questa lettura, alcuna possibilità di vedere nell'immediatezza diretta questo principio né gli altri, insieme al loro modo di essere e agire. Il lettore comprenderà ciò che ho descritto, ma sarà una comprensione avuta nella sfera superficiale e culturale, e da questa piccola comprensione non sarà in grado di muoversi verso le conseguenze vicine o estreme che ha la realtà di questo principio. Per fare un altro esempio, qualità e quantità sono due principi universali, ma nessuno di chi leggerà sarà in grado di comprendere le relazioni derivate dal loro interagire all'interno della realtà. Dei rapporti tra loro e di quelli in ognuna delle due sfere che sono a loro associate. Tantomeno si sarà in grado di descrivere il modo nel quale le loro funzioni agiranno e secondo quali rapporti geometrici, matematici e logici. Potrei descriverle, certo, e scriverci sopra un libro, ma i risultati saranno analoghi a quelli dati dalla conoscenza superficiale avuta dopo aver letto le considerazioni da me espresse riguardo al principio del movimento. La conoscenza culturale non è la Certezza universale, sovra temporale e sovra individuale. Se qualcuno sarà interessato io sono in grado di descrivere nei minimi dettagli ogni modalità dell'agire della qualità e della quantità, ma la qualità della capacità di comprensione del lettore non cambierà in conseguenza di questo mio aver descritto.
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