Il Pianeta Sound
Atterrai sul pianeta Sound nell’ora in cui i colori lievitano nell’aurora boreale , camminai da solo lungo quel desolato pianeta, ove poteva saltare fuori tutto ad un tratto qualche creatura sconosciuta dalle cattive intenzione, m’accompagnava la mia canzone disperata ed il mio rap a piedi sotto due soli vicino a Dio ai confini dell’universo esplorato. I miei orologi smisero di accordarsi tra loro: uno segnava il prima, l’altro il dopo, e il terzo, testardo, indicava sempre l’istante in cui non avevo il coraggio di guardare. La gravità andava a zig-zag come un vecchio bluesman , dopo una notte di bourbon cosmico. Tirai fuori la mia armonica di metallo, la poggiai sulle labbra come un cane fedele, e incominciai a suonare promettendo a me stesso che non avrei voluto sapere ciò che già temevo di sapere. Il suono della mia armonica a bocca , mi riportò alla mia giovinezza a quella bellezza terrestre dove ogni conquista è un sogno ad occhi aperti , Ed il mio animo agognava tra le pietre di quel pianeta distante anni luce dalla terra. Io ero li su quel pianeta giunto dopo un lungo sonno in ibernazione , nella certezza di esplorare e visitare un luogo in cui si sapeva poco di ciò che fosse per davvero.
Al mio arrivo sul pianeta , fui indirizzato in una locanda gestita da coloni terrestri , costruita con cornici vuote: si chiamava La Risposta Mancante. Dietro un bancone c’era un androide dal cappello di feltro e le dita di rame, ognuna incisa con una domanda. Mi porse una tazza di infusi caldi . La bevvi senza rompere il silenzio circostante, osservai con curiosità i volti di coloro, erano seduti ai tavoli , tutta gente proveniente da galassie diverse dalle mie, c’erano diverse etnie poche socievoli e molti androidi a controllare l’ordine.
“Cosa cerchi?” mi chiese l’androide al banco , il suo timbro aveva un ronzio ciclico , come i trasformatori dei vecchi amplificatori.
“L’amore ,” dissi, e la parola, pronunciata, si spaccò in due : amo…re e rimase in equilibrio su un filo di aria.
“Qui l’amore non esiste ,” rispose. “Qui è una melodia che non appartiene a nessuna scala finché non la suoni.”
Appoggiai il bottleneck al dodicesimo tasto e lasciai parlare il metallo. Nacque il primo canto.
Il Blues della Sabbia Accordata
Dodici battute di sabbia, dodici di vento ,
perché, cammino sulle domande che hanno smesso
di chiedere la verità. Se l’amore non esiste ,
ascolto quel che tace in me.
Ho messo la mia vita in tasca, pesa meno di un sasso,
sotto il cappello il cielo ride, fa rumore a ogni passo.
Se l’amore non esiste , ascolto quel che tace in me.
Ascolto con l’orecchio il pianeta, sento un sordo battito
andare su e giù, forse è il cuore di questo pianeta,
forse è il mio che fa bum , bum.
Se l’amore non esiste , ascolto quel che tace in me.
L’androïde batteva il ritmo con le nocche. “Bravo. Hai visto la porta, non ancora la soglia.” Poi mi indicò una strada fatta di parentesi aperte. Camminando, vidi le parentesi chiudersi quando smettevo di pensarci. Non era una minaccia: era parte della grammatica cosmica. Fatta di lettere sonore che s’intrecciavano al mio pensiero musicale , era l’eco del vuoto dell’universo che io percepivo , l’eco delle guerre dei cannoni laser che sparavano raffiche di luce verso i nemici dell’unione terrestre ed extraterrestre. I nemici , mimesi espressive , che creano e muoiono al calare del sole . Astri luccicanti nell’oscurità della conoscenza , generanti quella utopica verità che rende un uomo libero.
Il primo luogo che visitai fu il Canyon delle Parole Dette, dove ogni frase pronunciata da chiunque, mai, veniva scolpita in aria e stratificata come roccia. Le parole , nuove simile alla sabbia , scivolava nel vento del deserto del pianeta; Il suono delle parole quelle antiche erano basalto, lucide sempre pronte all’uso. Un freddo vento faceva sfogliare i secoli e le sentenze.
Tutto ad un tratto vidi una figura fatta di polvere alzò il capo. “Io sono l’Argonauta ,” disse, e le sue iridi erano un indice analitico.
“Cerco l’amore ,” ripetei, stanco di ascoltare il mio eco.
L’Argonauta sorrise senza labbra. “Vuoi una mappa o la terra? Una mappa promette sicurezza, la terra promette fango.”
“E se l’amore fosse una mappa fatta di fango?”
“Eureka,” rispose con un accento sconosciuto,
“impasterai con i piedi la tua risposta umano .”
Ma come farò a sapere se questa è la strada giusta ,
tu sei un illusione?
Io sono l’immagine del tuo essere profondo.
Sono l’immagine della tua agonia e della tua follia.
Io voglio giungere al tempio dell’amore .
Capire chi sono e cosa sarò .
Questa è la strada questa è la tua domanda ?
Cerca ora la tua risposta.
Proseguendo, raggiunsi il Lago di Fase, uno specchio che non rifletteva la mia immagine , ma il senso delle mie illusioni . Non vidi il mio volto, ma uno strumento con cui non avevo mai suonato, vidi un figlio che non avevo mai avuto, una bugia che non avevo mai detto e un racconto che avevo raccontato troppe volte. Ogni immagine aveva un suono, e tutte insieme producevano un battimento lento, come due corde quasi uguali che litigano sull’intonazione.
Mi inginocchiai, ruotai la vite della sesta corda. Il battito quasi si fermò. Il silenzio fece un passo avanti.
“Chi è che suona quando nessuno ascolta?” chiesi all’acqua.
L’acqua mi restituì un sorriso di onde.
“Chi è che ascolta quando nessuno suona?”
La vita t’ascolta e si prende cura di te ,
si prende cura del tuo dolore, della tua misera esistenza.
Sarò mai in grado di giungere all’amore ?
Uomo sei testardo l’amore vive in te , sei tu l’amore.
Sulla via verso la verità, quella risposta m’indicò tutte le direzioni, ma la più vera , mi conduceva verso una città-bussola: la Città degli Sguardi. Le sue case non avevano porte, solo finestre; ogni finestra aveva un paio d’occhi. Appena vi entrai, gli sguardi si accordarono fra loro e mi sentirono come se fossi un essere in cerca di risposte . Compresi lì la verità non abita nell’oggetto, ma è relazione , lega un oggetto al suo soggetto tramite il predicato.
Una bambina con le pupille a spirale mi porse un triangolo. “Qui l’amore è un tempo passato ,” disse. “Non un sostantivo, un verbo che coniuga il possibile all’impossibile .”
“Quale verbo e mai questo ?”
“essere ,” rispose. “Come prendere un accordo, come si tiene in mano uno strumento musicale .”
Suonai il secondo canto sulle scale d’una piazza di sale.
Il Blues del Meridiano
Cammino sull’orlo della follia il quale spacca il giorno a metà,
da una parte è memoria, dall’altra non so che sarà.
Dammi un minuto sincero, e il resto lo inventerò strada facendo .
Ho messo il mio amore sul tavolo, ho messo la fede a cuocere piano, il giudizio l’ho sciolto in acqua, ora brucia il mio animo .
Dammi un minuto sincero, e il resto lo inventerò strada facendo .
Se cerco un sì senza il suo no, mi perdo tra gli specchi e il tè,
l’amore non è in quanto è : resto nel dubbio, se cerco me.
Dammi un minuto sincero, e il resto lo inventerò strada facendo.
Dopo la piazza, una linea nera, tagliava il pianeta da polo a polo: il Meridiano Zero, la costola su cui il pianeta si riposava quando nessuno guardava. Camminai sopra, la luce oscillante come una lampada nella cabina di un peschereccio. Lì incontrai il Custode del Silenzio, un essere fatto di pausa e sospiro.
“Ogni risposta che porti con te è una valigia che dovrai aprire prima o poi ,” mi disse.
“E se la risposta fosse la valigia stessa?”
“Allora imparerai a viaggiare leggero.”
“Perché questo pianeta suona come un amplificatore?” chiesi, osservando il tremolio dell’orizzonte.
“Perché l’amore ti trasforma : si trasmette. È un’onda sonora che attraversa le forme, senza appartenere a nessuna. Puoi chiamarla amore, se vuoi, ma la parola è suono . Meglio chiamarla musica .”
Mi sedetti lungo una linea, tirai un bend sulla terza corda finché la nota non si lacerò in due. Scese la sera, ma non fu buio; fu l’altro lato della luce. Compresi , avevo cercato una pietra con inciso “amore ”, la verità di questo pianeta, il quale , mi sta porgendo un diapason.
Nella notte, trovai l’ultima sala, un teatro scavato in una meteora. Sul palco, non c’era nessuno. Eppure, le sedie scricchiolavano come un pubblico impaziente.
“Qui si canta senza voce,” annunciò una voce . “Qui si suona il coraggio di chi non ha l’ultima parola.”
Salii e appoggiai l’armonica sulla mia mano. lasciai che il pianeta, attraverso il suo suono naturale , facesse il resto. Quando la materia si mise a respirare, arrivò il terzo canto, lento , come una confessione che non chiede assoluzione.
Il Blues del Diapason
Non ho trovato una pietra, né un libro, né una verità,
ho trovato un diapason che non smette di accordare.
Se la verità è un’onda, io imparo a vivere in mé.
Dodici battute di niente, e poi ogni cosa si trasforma,
tra quello che sono e ciò che suono c’è una porta da varcare.
Se la verità è un’onda, io imparo a vivere in mé.
Ho le mani vuote, lascio cadere i mille miei perché,
se non possiedo la luce, almeno non spengo me stesso.
Se la verità è un’onda, io imparo a vivere in mé.
Quando finii, di suonare, non c’era applauso. Sentii un respiro comune, come se il pianeta avesse atteso proprio quel momento per cambiare stagione. La gravità si raddrizzò; i miei orologi si guardarono e, per la prima volta, risero. L’androide della Locanda mi aspettò fuori dal teatro, col cappello spolverato di polline stellare.
“Non hai trovato ciò che volevi,” mi disse.
“No,” risposi, e mi sorpresi della gravità.
“Ho trovato cosa volevo essere senza morire.”
“Questo pianeta non ti darà una mano.
Ti dà una verità.”
“Suonare la verità?”
“Suonare con verità,” corressi.
“Non è la stessa cosa.” Mi rispose
Ed io sorrisi sulla via del ritorno, attraversai di nuovo la Città degli Sguardi. Le finestre si richiusero come occhi sazi. L’Argonauta mi scrisse una lettera nuova: La raccolsi. Il Lago di Fase era liscio come un vinile non inciso. Il Meridiano Zero si assottigliava fino a diventare un capello di luce. Quando entrai nella mia astronave , il ronzio del pianeta si accordò al mio. Mi sedetti al posto di comando, misi il diapason in tasca, e fu come mettere un cuore nel petto di un’idea.
Decollai. Pianeta Sound si rimpicciolì fino a diventare un punto, poi quel punto smise di essere luogo e restò frequenza. Non portavo via l’amore cercato ; portavo via la volontà di restare vivo . Non cercavo più l’ultima risposta, ma la prima domanda fatta con pazienza.
Prima di entrare nel buio interstellare, presi la mia armonica a bocca e incisi l’ultimo giro. Non era un addio, era un invito.
Canto in quattro accordi
Se ti cerco come oggetto, ti possiedo senza toccarti.
Se ti ascolto come ritmo, ballo senza possederti.
Se mi perdo nella strada, ricordami di respirare.
Se taccio quando serve, tu amore —sai suonare.
La mia rotta non era più una ipotetica direzione , ma una cadenza sospesa. E in quella sospensione, non ero più solo: c’era il mondo intero, in ascolto. Non avevo trovato l’amore è vero ma avevo imparato a trovare me stesso in ciò che è vero. E quando smisi di lottare udii il mio rumore. E compresi il giusto momento, per essere me stesso attraverso il mio canto libero.
Il Pianeta Sound
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Dino De Ferraro
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