Legami di sangue (di: digitoergosum)

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Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da Robennskii »

Sono passati dodici mesi da quel giorno. Tutti i miei affetti erano presenti alla cerimonia, tranne te, Saimiri. Il tempo può essere misurato in modi diversi, forse come l'incessante movimento di un'onda che attraversa lentamente l'oceano, o come un viaggio interminabile nello spazio profondo. So solo che la tua assenza si è fatta sentire vivamente. Ti penso spesso, nei momenti di preghiera in chiesa, relegato in fondo come l’ultimo dei fedeli e rivolto al Crocefisso, o in luoghi dove la bellezza della natura si manifesta pienamente. Mi trovo ora seduto sulla scogliera, osservando il mare agitato dalle onde che giungono da lontano. Mi piace immaginare che provengano dalla tua terra natale.

Il mare è sempre stato una parte importante della mia vita, sia vivendo vicino ad esso che cercandolo attivamente. Nel corso degli anni, scavando la sabbia ho raccolto conchiglie sulle sponde marine e le ho dedicate ai miei affetti. All'inizio erano poche e piccole, le tenevo tutte in tasca, ora le conservo in una vetrina ma ognuna di esse ha un significato speciale.

Una conchiglia tondeggiante e bianca, con striature color ambra, mi ricorda nostra madre. Già dal mio primo respiro, e non poteva essere diverso, mi ha amato così profondamente da darmi il soprannome 'Dentino', perché ero piccolo e pallido come un canino. Fino a che è restata in vita, anche se ormai ero più alto di lei e abbronzato dal sole africano, mi ha chiamato così. Era magra e delicata, con un seno inutile non per colpa sua, e non esitò a mordermi e a infettarmi quando il suo petto non poté sostenermi. Il gesto le causò dolore ma lo fece per salvarmi dalla fame. Mi raccontò la verità poco prima di morire, spiegandomi senza più riserbi la genesi delle nostre differenze così marcate.

Mamma era una donna buona, nonostante le sue lotte personali per quanto le accadde. La sua vita cambiò quando, appena sposa e incinta, fu avvicinata a una festa da un uomo brutto e grasso, incurante dell’igiene, dall’età indefinita, che non aveva occhi magnetici e una pelle che profumava di cuoio e sandalo come nei scontati romanzi rosa. Ma, non per merito suo, era irresistibile quando esercitava i suoi comandi. Esercitò su lei i poteri della sua natura, quelli che anche mamma ereditò e mai usò. Fu un oplà finirci a letto e ritrovarsi con i segni dei denti sul collo. Nessuno capì perché divorziò in fretta e furia e fu anche uno scandalo, vista la sua professione. Non cercò mai più la compagnia di un uomo, si dedicò solamente all’istruzione e ad amarci e crescerci.

Era magra come un chiodo. Si nutriva appena per restare in forze con quel che poteva ricevere da un amorevole gattino che a sua volta si saziava col sangue dei topini che cacciava. Tutto sommato non aveva sconvolto più di tanto la natura felina. A parte quel problema, e un atteggiamento schivo e riservato per nasconderlo, viveva come tutti. Era una devota insegnante di religione e trascorreva le sue serate correggendo compiti o guardando film nostalgici. Ogni domenica partecipava alla messa.

Nella culla mi mise subito assieme a te, Saimiri, sorella amata. Eri una scimmietta mia coetanea, ancora più minuta di me che ero piccolo. Avevi quel bel nome musicale, esotico come la terra che ti apparteneva e che non avevi mai calcato, non sapevo ancora quando giocavamo assieme che era il tuo nome e anche quello della tua razza. Quando mamma mi ha svezzato dal suo collo, come per gioco, ti addentavo e mi facevo addentare, ci nutrivamo di tutto, ci bastavamo. Saimiri, la mia conchiglia più bella, quella che assomiglia a una piccolissima brioche e che regala riflessi madreperla. Quando lei ci faceva il bagnetto nella vasca da bagno guardavo la mia pelle rosa e ammiravo la tua peluria color del grano scaldato dal sole. Avevi paura dell’acqua, ricordi? Non volevi che ti lavasse e le mordevi la mano. Agilissima mi balzavi al collo abbracciandomi forte, poi ti agganciavi al lampadario e lesta tornavi a stringermi. Smisi in fretta di provare a muovermi e saltare come te perché finivo sempre a terra: capii che la nostra natura era diversa, ma non ricordo quante cadute mi sono occorse per capirlo. Ricordo ancora i nostri momenti felici insieme. Ti consideravo la mia gemella.

Non andai subito a scuola come i miei coetanei, mamma non si fidava ancora di me, del mio autocontrollo. Preoccupata per il nostro segreto, mi educò rigorosamente. Mi insegnò le tabelline e mi parlò dei paesi del mondo, oltre che ad impartirmi insegnamenti religiosi. Mi educò a confidare in Dio, ad amare il prossimo e soprattutto a rispettarlo. Era una buona cattolica. Mi spiegò che non è il difetto o l’eccellenza fisica a definire l’uomo, ma che sono la coscienza e il cuore.

A un certo punto mi iscrisse a un istituto scolastico. Capì che dovevo attrezzarmi per affrontare il mondo che non sapeva, se non per qualche mito, della nostra esistenza. Ci teneva tanto che la situazione non cambiasse, mi diceva sempre:

- Dentino, mi raccomando, non dobbiamo mai fare sapere alle persone che siamo diversi.

E poi la svolta, con l’uomo a cui ho dedicato la conchiglia grossa, quella che mai avrei potuto tenere in tasca e che avvicinandola all’orecchio ci sento il mare ancora vivo. Padre Carlo.

Per la mia prima comunione, sacramento a cui mamma teneva tanto, dovetti confessarmi. Quello che lei non calcolò fu che secondo i suoi insegnamenti in confessione avrei detto la verità. Il sacerdote la convocò, le disse che nel sacramento aveva saputo delle cose di me che per il suo ufficio non poteva rivelare ma che era lei a dovergliele spiegare. Lo affrontò da pari. Le rispose che anche lei si sarebbe avvalsa del sacramento, con tutti i crismi e riti, inginocchiata nel confessionale e con la veletta sul capo. Padre Carlo, in profonda crisi di coscienza, le disse perentorio che avrebbe violato il suo ministero e che non avrebbe potuto non parlarne con la comunità scientifica, col vescovo o addirittura con il Santo Padre. A quel punto mia madre fece quello che mai lui si sarebbe aspettato. Le mostrò una boccetta piena di veleno e gli rivelò quella che era la sua mossa pietosa studiata da tempo: disse che se il nostro segreto sarebbe stato reso pubblico si sarebbe tolta la vita e l’avrebbe sottratta a me, a te e al gattino.

Padre Carlo sparì per tre mesi, nessuno lo vide più e ancora oggi non so dove sia andato a pregare e a chiedere consiglio a Dio. So che non ci tradì, che tornò risoluto e prese a cuore la nostra situazione. Padre Carlo, un uomo di fede, si prese cura di noi e mantenemmo il nostro segreto protetto. Insieme, decisero che la mia istruzione e protezione erano prioritarie.

Da adolescente che cominciava a avvertire i primi pudori e prudori adolescenziali e che cominciavo a chiedermi se il sesso riguardasse il sangue e quei meravigliosi colli delle ragazze che vedevo in televisione, mi ritrovai a seguire un percorso seminarista molto particolare.

Per me Padre Carlo, quel sant’uomo, mentì e fece mentire un suo amico medico che ancora oggi sarà lì a chiedersi perché ha dovuto falsificare in quel modo i referti medici. Mi dispiace ancora di averlo indotto a macchiarsi, a sporcare la sua probità. Quando il sacerdote andò a parlare col Vescovo della mia situazione presentò una cartella clinica che documentava una rara e complicata forma di sindrome mielodisplasica e che necessitavo di giornaliere trasfusioni di sangue. Disse anche che ero votato a sacerdozio, che voleva diventare missionario e portarmi con se in Africa, per istruirmi all’interno di un ospedale cattolico dove avrebbe potuto garantirmi le cure necessarie. Per me, per aiutarmi, per amore universale, rinunciò al suo comodo posto di curato di campagna per trasferirsi in Africa. La consapevolezza del suo gesto mi portò, anni dopo, a un più sofisticato concetto di amore per l’uomo e per l’umanità.

Chiesi solamente di portare con me le prime conchiglie che avevo raccolto e di partire con te, Saimiri, ma riuscii solamente a ottenere le conchiglie. Salutarti fu tristissimo, tu non capisti che non avremmo più potuto vivere la quotidianità, io non sapevo che non ci saremmo mai più incontrati. Dopo un mese dalla mia partenza mamma m’informò sulla tua morte dandomi spiegazioni vaghe su quanto ti fosse accaduto.

Ricordo ancora vividamente il momento in cui ricevetti le prime trasfusioni di sangue umano, un'esperienza che mi inebriò come il più intenso degli alcolici. Quel sangue africano mi conferiva forza, ma era diverso dal profumo e dal sapore del tuo collo pulito. La mia strada verso il Cristo mi imponeva due sacrifici: rinunciare alla sessualità e alla nutrizione dai colli. La scelta del sacerdozio non è stata facile, soprattutto considerando la mia condizione, destinato a vivere nell'ombra e nella menzogna.

Durante i miei studi di filosofia e teologia, ho cercato conforto e guida nelle opere di grandi pensatori come Origene, che considerava l'anima identica in tutti gli esseri umani, mentre mi mise in difficoltà l’aquinate che la vedeva come un’entità propria del singolo. E quanti spunti mi sono giunti da filosofi come Spinoza, Bentham, Mill e Kant. Nonostante le sfide e le contraddizioni, non ho mai trovato un argomento che mettesse in discussione il mio diritto, come individuo appartenente a una minoranza sconosciuta, di prendere i voti sacerdotali.

L'anno scorso, quando fui nominato Ministro e mi presentai davanti a Dio per dichiarare il mio impegno, le lacrime calde di mamma rappresentarono il culmine di una lunga e difficile lotta. Ricordo ancora vividamente quel momento, con lei inginocchiata e commossa, quando dall'altare, nell'investitura, proclamai: 'Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti…'.

Nostra madre visse ancora per pochi mesi, abbastanza per vedere realizzato il mio sogno. Sul letto di morte, mi rivelò la verità sulla tua morte, sorella. Dopo che andai via smettesti di nutrirti, perdesti la voglia di vivere lontana da me. Ti sei lasciata andare. Dalla tua scomparsa, sentii il peso della solitudine e dell'assenza, ma continuai il mio cammino, portando con me il tuo ricordo.

Tu, la mia conchiglia più bella, l’unica femmina di cui trattengo il ricordo di un profumo e di un sapore, che continuo a pensare nelle mie preghiere.
Gaetano Intile
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da Gaetano Intile »

Marcello con gli anni è cresciuto. I suoi racconti sono precisi, asciutti e mirano al sodo, al cuore nascosto delle emozioni.
Mi riesce difficile indicare i punti deboli, tuttavia sono qui per questo, anzi siamo qui per questa ragione.
Sul tema, mi pare che, come nel racconto di Roberto, tu ti sia soffermato più sul rimpianto che sulla sconfitta. Eppure hai preparato tutto per bene e avresti potuto indagare e indugiare su questo punto, se avessi voluto. Evidentemente la sconfitta è una specie di tabù oggigiorno, ci si avvicina ma non la si affronta. Se il tuo protagonista avesse dato spazio alla sua vera natura, tradendo la madre e il sacerdote, tradendo il sacerdozio e i propri voti, avresti apperecchiato un magnifico conflitto e una disfatta personale. Come Saimiri perde, consegnando se stessa all'oblio (è quello l'unico accenno alla sconfitta, relegato infatti a una scimmia) così il tuo protagonista poteva perdere se stesso se seguiva la sua natura. Ma questo perdersi poteva anche significare ritrovarsi, ritrovare il vero sé, come ogni fallimento insegna.
Il punto vero della disfatta, della sconfitta è proprio questo: cosa impariamo? Qual è il punto di vista di chi perde? Cosa vede? Le sue prospettive cambiano, e in che modo? Nella vittoria ciascuno si erge a giudice, trionfa il sé, la vittoria ci dà diritti. Nella disfatta siamo tutti fratelli, ci assomigliamo, siamo tutti uguali.
A ogni modo, il racconto funziona anche così, con il contraltare alla sconfitta che è il rimpianto di sé, di quanto avrebbe potuto essere.
Il racconto ha una struttura semplice ed efficace, con un io narrante e il punto di vista del protagonista e con una narrazione di tipo riflessivo e rivolta a una terza persona, che è Saimiri, ma dietro questa maschera anche al lettore. Quindi ben fatto. Il rapporto è autodiegetico, il registro mi pare adeguato. Le sequenze narrative sono preponderanti, poche quelle descrittive e quasi assenti quelle dialogiche. Nel complesso però il racconto è equilibrato.
Provo qualche riflessione più puntuale.

Sono passati dodici mesi da quel giorno. Tutti i miei affetti erano presenti alla cerimonia, tranne te, Saimiri. Il tempo può essere misurato in modi diversi, forse come l'incessante movimento di un'onda che attraversa lentamente l'oceano, o come un viaggio interminabile nello spazio profondo (Ecco, queste similitudini. Come scrivevo a Roberto, non fanno altro che complicare la vita, sono quasi sempre superflue e spesso non precise. Sei sicuro che un'onda attraversi l'oceano? E come può un viaggio misurare il tempo? Se la prima volta che leggi pensi, bello. La seconda, ma che vuole dire?). So solo che la tua assenza si è fatta sentire vivamente. Ti penso spesso, nei momenti di preghiera in chiesa, relegato in fondo come l’ultimo dei fedeli (anche qui... l'ultimo dei fedeli siede in fondo?) e rivolto al Crocefisso, o in luoghi dove la bellezza della natura si manifesta pienamente. Mi trovo ora seduto sulla scogliera, osservando il mare agitato dalle onde che giungono da lontano. Mi piace immaginare che provengano dalla tua terra natale.

Il mare è sempre stato una parte importante della mia vita, (la frase l'avrei organizzata in modo diverso: magari con un costringedomi a vivere, e quell'attivamente sa di servizi per l'occupazione... ricercare attivamente il lavoro. In ogni quando e in ogni dove) sia vivendo vicino ad esso che cercandolo attivamente. Nel corso degli anni, scavando la sabbia ho raccolto conchiglie sulle sponde marine e le ho dedicate ai miei affetti. All'inizio erano poche e piccole, le tenevo (occhio ai tempi verbali: troppe eccezioni alla regola. Le ho tenute) tutte in tasca, ora le conservo in una vetrina ma ognuna di esse ha un significato speciale.

Una conchiglia tondeggiante e bianca, con striature color ambra, mi ricorda nostra madre. Già dal mio primo respiro, e non poteva essere diverso, mi ha amato così profondamente da darmi il soprannome (di?) 'Dentino', perché ero piccolo e pallido come un canino. Fino a che è restata in vita, anche se ormai ero più alto di lei e abbronzato dal sole africano, mi ha chiamato così. Era magra e delicata, con un seno inutile non per colpa sua, e non esitò (tempi verbali, occhio. Ha esitato, non ha potuto, ecc.) a mordermi e a infettarmi (questo passaggio logico non lo comprendo. Perché la madre deve mordere il figlio per sostenerlo? Se il figlio è come lei lo sostiene col sangue. Se non è come lei che senso ha morderlo per farlo diventare come lei?) quando il suo petto non poté sostenermi. Il gesto le causò dolore ma lo fece per salvarmi dalla fame. Mi raccontò la verità poco prima di morire, spiegandomi senza più riserbi la genesi delle nostre differenze così marcate. (Scrivi poi di infezione, mentre per tutto il racconto parli di un'altra razza. Se ci si può infettare la razza è unica, se si è in un certo modo sin dalla nascita le cose sono diverse.)

Mamma era (da questo punto adotti definitivamente il passato. A mio avviso, se il racconto lo volgi tutto al passato, visto che si tratta per lo più di ricordi, ti semplifichi la vita) una donna buona, nonostante le sue lotte personali per quanto le accadde. La sua vita cambiò quando, appena sposa e incinta, fu avvicinata a una festa da un uomo brutto e grasso, incurante dell’igiene, dall’età indefinita, che non aveva occhi magnetici e una pelle che profumava di cuoio e sandalo come nei scontati romanzi rosa. Ma, non per merito suo, era irresistibile quando esercitava i suoi comandi. Esercitò su lei i poteri della sua natura, quelli che anche mamma ereditò e mai usò. Fu un oplà finirci a letto e ritrovarsi con i segni dei denti sul collo. Nessuno capì perché divorziò in fretta e furia e fu anche uno scandalo, vista la sua professione. Non cercò mai più la compagnia di un uomo, si dedicò solamente all’istruzione e ad amarci e crescerci.

Era magra come un chiodo. Si nutriva appena per restare in forze con quel che poteva ricevere da un amorevole gattino che a sua volta si saziava col sangue dei topini che cacciava. Tutto sommato non aveva sconvolto più di tanto la natura felina. A parte quel problema, e un atteggiamento schivo e riservato per nasconderlo, viveva come tutti. Era una devota (una insegnante può essere devota? Certo, ma il senso che vuoi attribuire a quel devota ha a che fare con la religione. Quindi una insegnante devota alla religione e perciò una insegnate e una cristiana devota) insegnante di religione e trascorreva le sue serate correggendo compiti o guardando film nostalgici. Ogni domenica partecipava alla messa.

Nella culla mi mise subito assieme a te, Saimiri, sorella amata. Eri una scimmietta mia coetanea, ancora più minuta di me che ero piccolo. Avevi quel bel nome musicale, esotico come la terra che ti apparteneva e che non avevi mai calcato, non sapevo ancora quando giocavamo assieme che era il tuo nome e anche quello della tua razza. Quando mamma mi ha svezzato (occhio ai tempi ballerini) dal suo collo, come per gioco, ti addentavo e mi facevo addentare, ci nutrivamo di tutto, ci bastavamo. Saimiri, la mia conchiglia più bella, quella che assomiglia a una piccolissima brioche e che regala riflessi madreperla. Quando lei ci faceva il bagnetto nella vasca da bagno guardavo la mia pelle rosa e ammiravo la tua peluria color del grano scaldato dal sole. Avevi paura dell’acqua, ricordi? Non volevi che ti lavasse e le mordevi la mano. Agilissima mi balzavi al collo abbracciandomi forte, poi ti agganciavi al lampadario e lesta tornavi a stringermi. Smisi in fretta di provare a muovermi e saltare come te perché finivo sempre a terra: capii che la nostra natura era diversa, ma non ricordo quante cadute mi sono occorse per capirlo (non sono contrario per partito preso alle ripetizioni, ma considera dei sinonimi). Ricordo ancora i nostri momenti felici insieme. Ti consideravo la mia gemella.

Non andai subito a scuola come i miei coetanei, mamma non si fidava ancora di me, del mio autocontrollo. Preoccupata per il nostro segreto, mi educò rigorosamente. Mi insegnò le tabelline e mi parlò dei paesi del mondo, oltre che ad impartirmi insegnamenti religiosi (Sei sicuro che tabelline e geografia definiscono un'educazione rigorosa? Eliminerei questo inciso per far spazio al successivo, più efficace). Mi educò a confidare in Dio, ad amare il prossimo e soprattutto a rispettarlo. Era una buona cattolica. Mi spiegò che non è il difetto o l’eccellenza fisica a definire l’uomo, ma che sono la coscienza e il cuore.

A un certo punto mi iscrisse a un istituto scolastico. Capì che dovevo attrezzarmi per affrontare il mondo che non sapeva, se non per qualche mito, della nostra esistenza. Ci teneva tanto che la situazione non cambiasse, mi diceva sempre:

- Dentino, mi raccomando, non dobbiamo mai fare sapere alle persone che siamo diversi.

E poi la svolta, con l’uomo a cui ho dedicato la conchiglia grossa, quella che mai avrei potuto tenere in tasca e che avvicinandola all’orecchio ci sento il mare ancora vivo. Padre Carlo.

Per la mia prima comunione, sacramento a cui mamma teneva tanto, dovetti confessarmi. Quello che lei non calcolò fu che secondo i suoi insegnamenti (l'inciso non meglio tra virgole?) in confessione avrei detto la verità. Il sacerdote la convocò, le disse che nel sacramento aveva saputo delle cose di me che per il suo ufficio non poteva rivelare (,) ma che era lei a dovergliele spiegare. Lo affrontò da pari. Le rispose che anche lei si sarebbe avvalsa del sacramento, con tutti i crismi e riti, inginocchiata nel confessionale e con la veletta sul capo. Padre Carlo, in profonda crisi di coscienza, le disse perentorio che avrebbe violato il suo ministero e che non avrebbe potuto non parlarne con la comunità scientifica, col vescovo o addirittura con il Santo Padre. A quel punto mia madre fece quello che mai lui si sarebbe aspettato. Le mostrò una boccetta piena di veleno e gli rivelò quella che era la sua mossa pietosa studiata da tempo: disse che se il nostro segreto sarebbe stato reso pubblico si sarebbe tolta la vita e l’avrebbe sottratta a me, a te e al gattino. (da gli rivelò a da tempo lo salterei a piè pari. ...veleno e gli disse che se il nostro segreto...)

Padre Carlo sparì per tre mesi, nessuno lo vide più e ancora oggi non so dove sia andato a pregare e a chiedere consiglio a Dio. So che non ci tradì, che tornò risoluto e prese a cuore la nostra situazione. Padre Carlo, un uomo di fede, si prese cura di noi e mantenemmo il nostro segreto protetto. Insieme, decisero che la mia istruzione e protezione erano prioritarie.

Da adolescente che cominciava a avvertire i primi pudori e prudori adolescenziali e (la prima parte l'hai resa impersonale. e a chiedersi...) che cominciavo a chiedermi se il sesso riguardasse il sangue e quei meravigliosi colli delle ragazze che vedevo in televisione, mi ritrovai a seguire un percorso seminarista molto particolare.

Per me Padre Carlo, quel sant’uomo, mentì e fece mentire un suo amico medico che ancora oggi sarà lì a chiedersi perché ha (abbia) dovuto falsificare in quel modo i referti medici (perché i referti? Il termine è, secondo me, sbagliato in questo contesto. La nozione di referto si riferisce alla fattispecie in cui un professionista sanitario presta la propria assistenza a una vittima di reato o a un autore di reato e in questo caso vi è anche un obbligo di referto. Nel caso del racconto a essere falsificato dovrebbe essere un certificato medico o una diagnosi medica, che è soggetta alla legge e alla deontologia in termini molto ampi, e infatti ne combinano delle belle). Mi dispiace ancora di averlo indotto a macchiarsi, a sporcare la sua probità (o macchiare o sporcare, tutt'e due insieme mi paiono troppo.). Quando il sacerdote andò a parlare col Vescovo della mia situazione presentò una cartella clinica (sulla cartella clinica il discorso è ancora diverso. Referto e cartella sono due documenti diversi) che documentava una rara e complicata forma di sindrome mielodisplasica e che necessitavo di giornaliere trasfusioni di sangue. Disse anche che ero votato a(l) sacerdozio, che voleva(o) diventare missionario e portarmi con se(é) in Africa, per istruirmi all’interno di un ospedale cattolico dove avrebbe potuto garantirmi le cure necessarie. Per me, per aiutarmi, per amore universale, rinunciò al suo comodo posto di curato di campagna per trasferirsi in Africa. La consapevolezza del suo gesto mi portò, anni dopo, a un più sofisticato concetto di amore per l’uomo e per l’umanità.

Chiesi solamente di portare con me le prime conchiglie che avevo raccolto e di partire con te, Saimiri, ma riuscii solamente a ottenere le conchiglie. Salutarti fu tristissimo, tu non capisti che non avremmo più potuto vivere la quotidianità, io non sapevo che non ci saremmo mai più incontrati. Dopo un mese dalla mia partenza mamma m’informò sulla tua morte dandomi spiegazioni vaghe su quanto ti fosse accaduto.

Ricordo ancora vividamente il momento in cui ricevetti le prime trasfusioni di sangue umano, un'esperienza che mi inebriò come il più intenso degli alcolici. Quel sangue africano mi conferiva forza, ma era diverso dal profumo e dal sapore del tuo collo pulito. La mia strada verso il Cristo mi imponeva due sacrifici: rinunciare alla sessualità e alla nutrizione dai colli. La scelta del sacerdozio non è stata facile, soprattutto considerando la mia condizione, destinato a vivere nell'ombra e nella menzogna.

Durante i miei studi di filosofia e teologia, ho cercato conforto e guida nelle opere di grandi pensatori come Origene, che considerava l'anima identica in tutti gli esseri umani, mentre mi mise in difficoltà l’aquinate che la vedeva come un’entità propria del singolo. E quanti spunti mi sono giunti da filosofi come Spinoza, Bentham, Mill e Kant. Nonostante le sfide e le contraddizioni, non ho mai trovato un argomento che mettesse in discussione il mio diritto, come individuo appartenente a una minoranza sconosciuta, di prendere i voti sacerdotali.

L'anno scorso, quando fui nominato Ministro e mi presentai davanti a Dio per dichiarare il mio impegno, le lacrime calde di mamma rappresentarono il culmine di una lunga e difficile lotta. Ricordo ancora vividamente quel momento, con lei inginocchiata e commossa, quando dall'altare, nell'investitura, proclamai: 'Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti…'.

Nostra madre visse ancora per pochi mesi, abbastanza per vedere realizzato il mio sogno. Sul letto di morte, mi rivelò la verità sulla tua morte, sorella. Dopo che andai via smettesti di nutrirti, perdesti la voglia di vivere lontana da me. Ti sei lasciata andare (occhio ai tempi verbali). Dalla tua scomparsa, sentii il peso della solitudine e dell'assenza, ma continuai il mio cammino, portando con me il tuo ricordo.

Tu, la mia conchiglia più bella, l’unica femmina di cui trattengo il ricordo di un profumo e di un sapore, che continuo a pensare nelle mie preghiere.

Commovente il finale. Mi sono lasciato andare sul tema appunti logici al vampirismo. Lo so, ma la storia dell'infezione non mi ha mai convinto.
digitoergosum
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

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Ciao Gaetano. Quando Roberto mi ha reso partecipe della vostra nuova iniziativa letteraria, conoscendo entrambi non ho esitato un attimo a condividerla. Siete, ambedue, due miei riferimenti, sebbene e fortunatamente con aspetti differenti. Non hai idea di quanto apprezzi il tuo puntuale e prezioso intervento sul mio racconto. Per intanto vado a rivedere il mio scritto facendo tesoro delle tue indicazioni. Avrei anche piacere di approfondire con tutti come è nata l'idea per questo mio racconto, e quali "princìpi" etici e letterari ho inteso perseguire e esprimere, ma credo anche che un lavoro debba prima funzionare e solamente dopo possa essere eventualmente spiegato. Aspetto eventuali altri interventi e poi darò la mia spiegazione d'autore. Intanto, come detto, lo rivedo profondamente e lo riposto "sistemato". Infinitamente grazie.
digitoergosum
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da digitoergosum »

Finito (?) ora di rivedere il mio racconto, dopo gli opportuni interventi di Gaetano. Mi chiedo, chiedo a tutti, se sia il caso di aggiornare il testo in cima o se ripostarlo come "risposta rapida" per mantenere il testo iniziale e mostrare come può evolversi un racconto dopo un editing puntuale come quello che ho graziosamente ricevuto. Attendo prima di muovermi. Buona notte.
Robennskii
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da Robennskii »

Vai con risposta rapida, qui Marcello.
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da digitoergosum »

Sono passati dodici mesi da quel giorno. Le persone a me care erano presenti alla cerimonia, tranne te, Saimiri. Mi sei mancata. Ti penso spesso, nei momenti di preghiera in chiesa, seduto in fondo e rivolto al Crocefisso, o in luoghi dove la bellezza della natura si manifesta pienamente. Mi trovo ora sulla scogliera e osservo il mare agitato dalle onde che giungono da lontano. Mi piace immaginare che provengano dalla tua terra natale, che rimbalzino e che tornino indietro portandoti ancora le stesse parole di sempre.
Il mare è sempre stato una parte importante della mia vita, in ogni quando e in ogni dove. Nel corso degli anni, scavando la sabbia ho raccolto conchiglie sulle sponde marine e le ho dedicate ai miei affetti. All’inizio erano poche e piccole, le ho tenute tutte in tasca, ora le conservo in una vetrina ma ognuna di esse ha un significato speciale.
Una conchiglia tondeggiante e bianca, con striature color ambra, mi ricorda nostra madre. Già dal mio primo respiro, e non poteva essere diverso, mi ha amato così profondamente da darmi il soprannome di ‘Dentino’, perché ero piccolo e pallido come un canino. Fino a che è restata in vita, anche se ormai ero più alto di lei e abbronzato dal sole africano, mi ha chiamato così. Era magra e delicata, con un seno inutile non per colpa sua, e quando ha realizzato che avevo ereditato il suo difetto, che non avrebbe mai potuto allattarmi al petto, non ha esitato a farsi mordere per salvarmi dalla fame. Mi ha rivelato quanto voleva e doveva poco prima di morire, spiegandomi senza più remore la genesi delle nostre differenze così marcate rispetto alla maggior parte dell’umanità.
Era una donna buona, nonostante le sue lotte personali per quanto le accadde. Mi ha raccontato che fino al giorno della svolta è stata una persona come le altre, non come me che sono già nato così. La sua vita è cambiata quando, appena sposa e incinta, è stata avvicinata a una festa da un uomo brutto e grasso, incurante dell’igiene, dall’età indefinita, che non aveva occhi magnetici e una pelle che profumava di cuoio e sandalo come nei scontati romanzi rosa. Ma, non per merito suo, era irresistibile quando esercitava i comandi che ha sfoderato su di lei, gli stessi poteri che poi ha giocoforza ricevuto e mai usato. È stato un oplà finirci a letto e ritrovarsi con i segni dei denti sul collo. Nessuno ha capito perché abbia divorziato in fretta e furia, è stato uno scandalo, vista la sua professione. Non ha più cercato la compagnia di un uomo, si è dedicata solo all’istruzione e ad amarci e crescerci.
Magra come un chiodo, si è nutrita appena per restare in forze con quel che ha potuto ricevere da un amorevole gattino che a sua volta si è saziato col sangue dei topini che cacciava. Non aveva sconvolto più di tanto la natura felina. A parte quella particolarità, e un atteggiamento schivo e riservato per nasconderla, ha vissuto come tutti. Era un’insegnante di religione e una devota cattolica; trascorreva le sue serate correggendo compiti o guardando film nostalgici. Ogni domenica partecipava alla messa.
Non so dove e come ti abbia trovata, così piccola. Forse in qualche modo ideale ci ha partoriti gemelli, e nella culla ci ha messo subito assieme, Saimiri. Eri una scimmietta mia coetanea, ancora più minuta di me che ero piccolo. Avevi quel bel nome musicale, esotico come la terra che ti apparteneva e che non avevi mai calcato, non sapevo ancora quando giocavamo assieme che era il tuo nome e anche quello della tua razza. Quando lei mi ha svezzato dal suo collo, come per gioco, ti ho addentato e mi sono fatto addentare, eravamo “cioccolata”, ci siamo nutriti di tutto, ci siamo bastati. Saimiri, sei la conchiglia preziosa, quella che m’inumidisce gli occhi, che assomiglia a una piccolissima brioche e che regala riflessi madreperla. Per te ho composto un testo, una preghiera sulla falsariga di un’invocazione a Maria che avevo scoperto per caso: ”Tu accogli…Tu anima…Tu infiamma…”. Quando ci faceva il bagnetto nella vasca da bagno guardavo la mia pelle rosa e ammiravo la tua peluria color del grano scaldato dal sole. Avevi paura dell’acqua, ricordi? Non volevi che ti lavasse e le mordevi la mano. Agilissima mi balzavi al collo abbracciandomi forte, poi ti agganciavi al lampadario e lesta tornavi a stringermi. Ho smesso in fretta di provare a muovermi e saltare come te perché sono sempre cascato a terra: ho compreso che la nostra natura era diversa, ma non ricordo quante cadute mi sono occorse per capirlo. Rimpiango ancora i nostri momenti felici.
Non mi ha mandato subito a scuola come i miei coetanei, non si fidava ancora di me, del mio autocontrollo. Preoccupata per il nostro segreto, mi ha educato come ha potuto. Mi ha insegnato le tabelline, mi ha parlato dei paesi del mondo, mi ha impartito insegnamenti religiosi. Mi ha educato a confidare in Dio, ad amare il prossimo e soprattutto a rispettarlo. Ho compreso, grazie a lei, che non è il difetto o l’eccellenza fisica a definire l’uomo, ma che sono la coscienza e il cuore.
E poi, arresasi, mi ha iscritto a un istituto scolastico. Ero intelligente e dotato, così diceva, ma dovevo attrezzarmi per affrontare il mondo che non sapeva, se non per qualche mito, della nostra esistenza. Ci teneva tanto che la situazione non cambiasse, mi diceva sempre:
- Dentino, mi raccomando, non dobbiamo mai far sapere alle persone che siamo diversi.
E poi la svolta, con l’uomo a cui ho dedicato la conchiglia grossa, quella che mai avrei potuto tenere in tasca e che avvicinandola all’orecchio ci sento il mare ancora vivo.
Padre Carlo.
Te lo racconto e me lo racconto ancora e ancora, perché è importante, perché ti devo una spiegazione postuma, perché è stato necessario ciò che ci ha drammaticamente diviso e perché so che in qualche modo mi ascolti da quelle coste dove approderemo tutti.
Per la mia prima comunione, sacramento a cui nostra madre teneva tanto, ho dovuto confessarmi. Quello che lei non ha previsto è che, secondo i suoi insegnamenti, in confessione avrei detto la verità. Il sacerdote l’ha convocata, le ha detto che nel sacramento aveva saputo delle cose di me che per il suo ufficio non poteva rivelare, ma che gliele avrebbe dovute spiegare lei. Lo ha affrontato da pari. Ha risposto che anche lei si sarebbe avvalsa del sacramento, con tutti i crismi e riti, inginocchiata nel confessionale e con la veletta sul capo. Padre Carlo, in profonda crisi di coscienza, ha minacciato, convinto, che avrebbe violato il suo ministero e che non avrebbe potuto non parlarne con la comunità scientifica, col Vescovo o addirittura con il Santo Padre. A quel punto nostra madre le ha mostrato una boccetta piena di veleno e gli ha rivelato che se il nostro segreto sarebbe stato reso pubblico si sarebbe tolta la vita e l’avrebbe sottratta a me, a te e al gattino.
Nessuno ha più visto Padre Carlo per tre mesi. Ancora oggi non so dove sia andato a pregare e a chiedere consiglio a Dio. So che non ci ha tradito, che è tornato risoluto e che si è preso cura di noi, mantenendo il nostro segreto protetto. Insieme hanno deciso che la mia istruzione e protezione erano prioritarie.
Da adolescente che cominciava a avvertire i primi pudori e prudori adolescenziali e a chiedersi se il sesso riguardasse il sangue e quei meravigliosi colli delle ragazze che vedeva in televisione, mi ritrovai a seguire un percorso seminarista molto particolare.
Per me Padre Carlo, quel sant’uomo, ha mentito e ha fatto fare lo stesso a un suo amico medico che ancora oggi sarà lì a chiedersi perché abbia dovuto falsificare in quel modo la diagnosi medica nei miei confronti. Mi dispiace ancora di averlo indotto a sporcare la sua probità. Quando il sacerdote è andato a parlare col Vescovo della mia situazione ha mostrato un quadro clinico che documentava una rara e complicata forma di sindrome mielodisplasica e che necessitavo di giornaliere trasfusioni di sangue. Gli ha detto anche che ero votato al sacerdozio, che lui voleva diventare missionario e portarmi con sé in Africa, per istruirmi all’interno di un ospedale cattolico dove avrebbe potuto garantirmi le cure necessarie. Per me, per aiutarmi, per amore universale, ha rinunciato al suo comodo posto di curato di campagna per trasferirsi in un altro mondo e in un’altra realtà. La consapevolezza del suo gesto mi portò, anni dopo, a un più sofisticato concetto di amore per l’uomo e per l’umanità. Alla partenza ho chiesto di portare con me le prime conchiglie che avevo raccolto e di viaggiare con te, Saimiri. Sono riuscito solo a ottenere le prime. Salutarti è stato molto triste, sapevo che non avresti capito che non avremmo più potuto vivere la quotidianità, io non sapevo che non ci saremmo mai più incontrati. Dopo un mese dalla mia partenza nostra madre mi ha informato del fatto che ci avevi lasciato, dandomi spiegazioni vaghe su quanto ti fosse accaduto.
Ricordo ancora vividamente il momento in cui ho ricevuto le prime trasfusioni, un'esperienza inebriante. Quel sangue africano mi conferiva forza, ma era diverso dal profumo e dal sapore del tuo collo pulito.
La mia strada verso il Cristo mi ha imposto due sacrifici: rinunciare alla sessualità e all’ambivalente nutrizione dai colli. La scelta del sacerdozio non è stata facile, soprattutto considerando la mia condizione, destinato a vivere nella menzogna.
Durante i miei studi di filosofia e teologia ho cercato conforto e guida nelle opere di grandi pensatori come Origene, che considerava l'anima identica in tutti gli esseri umani, mentre mi ha messo in difficoltà l’aquinate che la vedeva come un’entità propria del singolo. E quanti spunti mi sono giunti da Spinoza, Bentham, Mill e Kant. Nonostante le sfide e le contraddizioni, non ho mai trovato una speculazione che mettesse in discussione il mio diritto, come individuo giunto senza colpa a una minoranza sconosciuta, di prendere i voti sacerdotali.
L'anno scorso, quando sono stato nominato Ministro e mi sono presentato davanti a Dio per dichiarare il mio impegno, le lacrime calde di nostra madre sono state il culmine di un lungo e difficile percorso, di una investitura che non considero ancora come obiettivo finale, ma importante. Ricordo ancora vividamente quel momento, con lei in prima fila inginocchiata e commossa, quando dall'altare, recitando un Dio fatto uomo, ho proclamato: 'Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti…'.
Nostra madre ha vissuto ancora pochi mesi, Saimiri: abbastanza per vedere realizzato il secondo dei miei sogni. Il primo è sempre stato di ritrovarti, anche se dovesse accadere in Paradiso. Sul capezzale mi ha rivelato la verità sulla tua morte e ancora ne piango quando sono solo come ora, guardando ai flutti. Dopo la mia partenza hai smesso di nutrirti, hai perso la voglia di vivere lontana da me. Ti sei lasciata andare. Dalla tua scomparsa, sento tutt’ora il peso della solitudine e dell'assenza, continuo il mio cammino rivolto al prossimo ma serbando per me il tuo ricordo.
“Tu, la mia conchiglia più bella. Tu, l’unica femmina di cui trattengo l’essenza della sensualità concessami. Tu, l’unica pelle che ho potuto godere con amore non filiale. Tu, il ricordo di un profumo e di un sapore che continuo a respirare nella mia sacralità originale e nella mia preghiera strana e convinta”.
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da Gaetano Intile »

digitoergosum ha scritto: 01/02/2024, 1:19 Finito (?) ora di rivedere il mio racconto, dopo gli opportuni interventi di Gaetano. Mi chiedo, chiedo a tutti, se sia il caso di aggiornare il testo in cima o se ripostarlo come "risposta rapida" per mantenere il testo iniziale e mostrare come può evolversi un racconto dopo un editing puntuale come quello che ho graziosamente ricevuto. Attendo prima di muovermi. Buona notte.
L'idea - correggimi se sbaglio, Roberto - sarebbe quella di consentire a tutti i partecipanti di collaborare alla stesura dei testi, con delle notazioni, delle idee, e via discorrendo. Quindi ognuno dovrebbe dire la sua, non ci sono maestri, altrimenti mi pare che si perda lo scopo (telos) e possa venir meno la volontà (telima) di continuare.
Certe volte mi sorprende come due termini così distanti abbiano una radice comune.

Sui testi che ciascuno posta sarebbe opportuna una discussione, anche sulla genesi, sulle scelte, le idee, il tipo di struttura. Evitiamo di rendere sterile la nostra vena narrativa.
Se non ricordo male, qualche tempo fa, mi pare quando si discuteva della struttura di Anonimania, Marcello suggerì di lasciare per la gara una struttura leggera in modo da attrarre più persone, più partecipanti. La gara come un'occasione di divertimento. Ed era anche giusto; la competizione come un luogo dove crescere in allegria è un modus che condivido. La competizione però oggi è ben altro, lo è nella testa delle persone, e mi pare che ce ne siamo accorti. Ritorno a quell'occasione di divertimento: il significato etimologico di divertire è rivolgersi altrove. Chi si diverte si distrae, pensa ad altro, e quindi si allontana. Noi vogliamo allontanarci? Non vogliamo allontanarci dalla scrittura, perché la vogliamo approfondire, né vogliamo allontanarci gli uni dagli altri. Quindi lo scopo, il telos di questa bottega dovrebbe anche essere l'accrescimento tramite lo scambio reciproco.
Lo so, con Roberto in principio si era parlato di maestri e di apprendisti. Ma come si fa a considerare Marcello o Roberto degli apprendisti?
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da digitoergosum »

Con la promessa di non indugiare oltre a rivedere questo racconto, se non per ulteriori indicazioni che dovessero qui giungermi, e in considerazione che: questo è un laboratorio letterario; dalla prima stesura alla versione che propongo di seguito ci sono diversi interventi e significati; per questo tedio chi ha già letto il racconto due volte e dovrà / vorrà leggerlo una terza.

Sono passati dodici mesi da quel giorno. Le persone a me care erano presenti alla cerimonia, tranne te, Saimiri. Mi sei mancata. Ti penso spesso, nei momenti di preghiera in chiesa, seduto in fondo e rivolto al Crocefisso, o in luoghi dove la bellezza della natura si manifesta pienamente. Mi trovo ora sulla scogliera e osservo il mare agitato dalle onde che giungono da lontano. Mi piace immaginare che provengano dalla tua terra natale, che sbalzino e che tornino indietro portandoti ancora le stesse parole che ti dedico da anni.
Il mare è sempre stato una parte importante della mia vita, in ogni quando e in ogni dove. Nel corso degli anni, scavando la sabbia ho raccolto conchiglie sulle sponde marine e le ho dedicate ai miei affetti. All’inizio erano poche e piccole, le ho tenute tutte in tasca, ora le conservo in una vetrina ma ognuna di esse ha un significato speciale.
Una conchiglia tondeggiante e bianca, con striature color ambra, mi ricorda nostra madre. Già dal mio primo respiro, e non poteva essere diverso, mi ha amato così profondamente da darmi il soprannome di ‘Dentino’, perché ero piccolo e pallido come un canino. Fino a che è restata in vita, anche se ormai ero più alto di lei e abbronzato dal sole africano, mi ha chiamato così. Era magra e delicata, con un seno inutile non per colpa sua, e quando ha realizzato che avevo ereditato il suo difetto, che non avrebbe mai potuto allattarmi, non ha esitato a farsi mordere per salvarmi dalla fame. Mi ha rivelato quanto voleva e doveva poco prima di morire, spiegandomi senza più remore la genesi delle nostre differenze così marcate rispetto alla maggior parte dell’umanità.
Era una donna buona, nonostante le sue lotte personali per quanto le accadde. Mi ha raccontato che fino al giorno della svolta è stata una persona come le altre, non come me che sono nato così: figlio illegittimo e tanto diverso. La sua vita è cambiata quando, appena sposa, è stata avvicinata a una festa da un uomo brutto e grasso, incurante dell’igiene, dall’età indefinita, che non aveva occhi magnetici e una pelle che profumava di cuoio e sandalo come nei scontati romanzi rosa. Ma, non per merito suo, era irresistibile quando esercitava i comandi che ha sfoderato su lei, gli stessi poteri che poi ha giocoforza ricevuto e mai usato. È stato un oplà finirci a letto e ritrovarsi con i segni dei denti sul collo. Per fortuna quel padre che mai saprà di esserlo non si è più trovato, non ci tengo a conoscerlo. Nessuno ha capito perché abbia divorziato in fretta e furia, è stato uno scandalo, vista la sua professione e quella gravidanza sospetta. Non ha più cercato la compagnia di un uomo, si è dedicata solo all’istruzione e ad amarci e crescerci.
Magra come un chiodo, si è nutrita appena per restare in forze con quel che ha potuto ricevere da un amorevole gattino che a sua volta si è saziato col sangue dei topini che cacciava. Non aveva sconvolto più di tanto la natura felina. A parte quella particolarità, e un atteggiamento schivo e riservato per nasconderla, ha vissuto come tutti. Era un’insegnante di religione e una devota cattolica; trascorreva le sue serate correggendo compiti o guardando film nostalgici. Ogni domenica partecipava alla messa.
Non so dove e come ti abbia trovata, così piccola. Forse in qualche modo ideale ci ha partoriti gemelli e nella culla ci ha messo subito assieme, Saimiri. Eri una scimmietta mia coetanea, ancora più minuta di me che ero piccolo. Avevi quel bel nome musicale, esotico come la terra che ti apparteneva e che non avevi mai calcato, non sapevo ancora quando giocavamo assieme che era il tuo nome e anche quello della tua razza. Quando lei mi ha svezzato dal suo collo, come per gioco, ti ho addentato e mi sono fatto addentare, eravamo “cioccolata” di corpi, ci siamo nutriti del nostro tutto, ci siamo bastati. Saimiri, la conchiglia preziosa, quella che m’inumidisce gli occhi, che assomiglia a una piccolissima brioche e che regala riflessi madreperla. Per te ho composto un testo, una preghiera sulla falsariga di un’invocazione a Maria che avevo scoperto per caso: ”Tu accogli…Tu anima…Tu infiamma…”. Non potrei mai recitarla in pubblico, ai fedeli nelle funzioni religiose o negli incontri di preghiera, la considerebbero empia, ma lei è stata il Tuo dono, Signore, e so che l’accetti.
Quando mamma ci faceva il bagnetto nella vasca da bagno guardavo la mia pelle rosa e ammiravo la tua peluria color del grano scaldato dal sole. Avevi paura dell’acqua, ricordi? Non volevi che ti lavasse e le mordevi la mano. Agilissima mi balzavi al collo abbracciandomi forte, poi ti agganciavi al lampadario e lesta tornavi a stringermi. Ho smesso in fretta di provare a muovermi e saltare come te perché sono sempre cascato a terra: ho compreso che la nostra natura era diversa, ma non ricordo quante cadute mi sono occorse per capirlo. Rimpiango ancora i nostri bei momenti.
Non mi ha mandato subito a scuola come i miei coetanei, non si fidava ancora di me, del mio autocontrollo. Preoccupata per il nostro segreto, mi ha educato come ha potuto. Mi ha insegnato le tabelline, mi ha parlato dei paesi del mondo, mi ha impartito insegnamenti religiosi. Mi ha provocato a confidare in Dio, ad amare il prossimo e soprattutto a rispettarlo. Ho compreso, grazie a lei, che non è il difetto o l’eccellenza fisica a definire l’uomo, ma che sono la coscienza e il cuore.
E poi, arresasi, mi ha iscritto a un istituto scolastico. Ero intelligente e dotato, così diceva, ma dovevo attrezzarmi per affrontare il mondo che non sapeva, se non per qualche mito, della nostra esistenza. Ci teneva tanto che la situazione non cambiasse, mi diceva sempre:
- Dentino, mi raccomando, non dobbiamo mai far sapere alle persone che siamo diversi.
E poi la svolta, con l’uomo a cui ho dedicato la conchiglia grossa, quella che mai avrei potuto tenere in tasca e che avvicinandola all’orecchio ci sento il mare ancora vivo.
Padre Carlo.
Te lo racconto e me lo racconto ancora e ancora, perché è importante, perché ti devo una spiegazione postuma, perché è stato necessario ciò che ci ha drammaticamente diviso e perché so che in qualche modo mi ascolti da quelle coste dove approderemo tutti.
Per la mia prima comunione, sacramento a cui lei teneva tanto, ho dovuto confessarmi. Quello che non ha previsto è che, secondo i suoi insegnamenti, in confessione avrei detto la verità. Il sacerdote l’ha convocata, le ha detto che nel sacramento aveva saputo delle cose di me che per il suo ufficio non poteva rivelare, ma che gliele avrebbe dovute spiegare lei. L’ha affrontato da pari. Ha risposto che anche lei si sarebbe avvalsa del sacramento, con tutti i crismi e riti, inginocchiata nel confessionale e con la veletta sul capo. Padre Carlo, in profonda crisi di coscienza, ha minacciato, convinto, che avrebbe violato il suo ministero e che non avrebbe potuto non parlarne con la comunità scientifica, col Vescovo o addirittura con il Santo Padre. A quel punto nostra madre le ha mostrato una boccetta piena di veleno e gli ha rivelato che se il nostro segreto sarebbe stato reso pubblico si sarebbe tolta la vita e l’avrebbe sottratta a me, a te e al gattino.
Nessuno ha più visto Padre Carlo per mesi. Ancora oggi non so dove sia andato a pregare e a chiedere consiglio a Dio. So che non ci ha tradito, che è tornato risoluto e che si è preso cura di noi, mantenendo il nostro segreto protetto. Insieme hanno deciso che la mia istruzione e protezione erano prioritarie.
Da adolescente che cominciava a avvertire i primi pudori e prudori adolescenziali e a chiedersi se il sesso riguardasse il sangue e quei meravigliosi colli delle ragazze che vedeva in televisione, mi ritrovai a seguire un percorso seminarista molto particolare.
Per me Padre Carlo, quel sant’uomo, ha mentito e ha fatto fare lo stesso a un suo amico medico che ancora oggi sarà lì a chiedersi perché abbia dovuto falsificare in quel modo la diagnosi medica nei miei confronti. Mi dispiace ancora di averlo indotto a sporcare la sua probità. Quando il sacerdote è andato a parlare col Vescovo della mia situazione ha mostrato un quadro clinico che documentava una rara e complicata forma di sindrome mielodisplasica e che necessitavo di giornaliere trasfusioni di sangue. Gli ha detto anche che ero votato al sacerdozio, che lui voleva diventare missionario e portarmi con sé in Africa, per istruirmi all’interno di un ospedale cattolico dove avrebbe potuto garantirmi le cure necessarie. Per me, per aiutarmi, per amore universale, ha rinunciato al suo comodo posto di curato di campagna per trasferirsi in un altro mondo e in un’altra realtà. La pienezza del suo gesto mi portò, anni dopo, a un più sofisticato concetto di amore per l’uomo e per l’umanità. Alla partenza ho chiesto di portare con me le prime conchiglie che avevo raccolto e di viaggiare con te, Saimiri. Sono riuscito solo a ottenere le prime. Salutarti è stato molto triste, sapevo che non avresti capito che non avremmo più potuto vivere la quotidianità, io non credevo che non ci saremmo mai più incontrati. Dopo un mese dalla partenza nostra madre mi ha informato del fatto che ci avevi lasciato, dandomi spiegazioni vaghe su quanto ti fosse accaduto.
Ricordo ancora vividamente il momento in cui ho ricevuto le prime trasfusioni, un'esperienza inebriante. Quel sangue africano mi conferiva forza, ma era diverso dal profumo e dal sapore del tuo collo pulito.
La mia strada verso il Cristo mi ha imposto due sacrifici: rinunciare alla sessualità e all’ambivalente nutrizione dai colli. La scelta del sacerdozio non è stata facile, soprattutto considerando la mia condizione, destinato a vivere nella menzogna.
Durante i miei studi di filosofia e teologia ho cercato conforto e guida nelle opere di grandi pensatori come Origene, che considerava l'anima identica in tutti gli esseri umani, mentre mi ha messo in difficoltà l’aquinate che la vedeva come un’entità propria del singolo. E quanti spunti mi sono giunti da Spinoza, Bentham, Mill e Kant. Nonostante le sfide e le contraddizioni, non ho mai trovato una speculazione che mettesse in discussione il mio diritto, come individuo giunto senza colpa a una minoranza sconosciuta, di prendere i voti sacerdotali.
L'anno scorso, quando sono stato nominato Ministro e mi sono presentato davanti a Dio per dichiarare il mio impegno, le lacrime calde di nostra madre sono state il culmine di un lungo e difficile percorso, di una investitura che non considero ancora come obiettivo finale, ma importante. Ricordo ancora vividamente quel momento, con lei in prima fila inginocchiata e commossa, quando dall'altare, recitando un Dio fatto uomo, ho proclamato: 'Prendete e bevetene tutti, questo è il calice del mio sangue per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per tutti…'.
Nostra madre ha vissuto ancora pochi mesi, Saimiri: abbastanza per vedere realizzato il secondo dei miei sogni. Il primo è sempre stato di ritrovarti, anche se so che accadrà in Paradiso. Sul capezzale mi ha rivelato la verità sulla tua morte e ancora ne piango quando sono solo come ora, guardando ai flutti. Dopo la mia partenza hai smesso di nutrirti, hai perso la voglia di vivere lontana da me. Ti sei lasciata andare. Dalla tua scomparsa, sento tutt’ora il peso della solitudine e dell'assenza, continuo il mio cammino rivolto al prossimo ma serbando per me il tuo ricordo.
Tengo tra le mani questo foglio, la preghiera che ho composto per te. La conosco a memoria da anni eppure la leggo prima di affidarla alle onde, perché ti arrivi.
“Tu, la conchiglia più bella, dono di Dio. Tu, sacra come Eva, l’unica femmina di cui trattengo l’essenza della sensualità concessami. Tu, l’altro Cristo e unica pelle che ho potuto godere con amore non filiale. Tu, il ricordo di un profumo e di un sapore che continuo a respirare nella mia preghiera strana, fervida e convinta”.
Gaetano Intile
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da Gaetano Intile »

Ciao, Marcello. A mio parere la sequenza di apertura va molto meglio senza quelle similitudini. Tu che ne pensi?
Hai scelto di mantenere il presente come tempo verbale di riferimento, ma a mio avviso rimane sempre un problema di consequenzialità dei tempi nella parte centrale. A partire dal passo che cito e a seguire.
Quando mamma ci faceva il bagnetto nella vasca da bagno guardavo la mia pelle rosa e ammiravo la tua peluria color del grano scaldato dal sole. Avevi paura dell’acqua, ricordi? Non volevi che ti lavasse e le mordevi la mano. Agilissima mi balzavi al collo abbracciandomi forte, poi ti agganciavi al lampadario e lesta tornavi a stringermi.
Si tratta di un ricordo, è vero, ma tutto il racconto è un lungo ricordare.
Lo puoi modificare con un espediente. Eliminare quel quando iniziale e introdurre un ricordo a modificare il testo. Ad esempio: Ricordo i nostri bagni insieme, la mamma ci immerge nella vasca, io guardo la mia pelle rosa e ammiro la tua peluria color del grano. La rammento benissimo la tua paura dell'acqua, te lo ricordi? Non vuoi che ti lavi, e le mordi la mano. Agilissima ti afferri al collo e mi abbracci forte, balzi poi al lampadario e lesta torni a stringermi.
Insomma, per non adoperare il passato devi modificare leggermente la struttura della frase.
Con Roberto abbiamo passato un po' di tempo a romperci la testa su cose del genere, spero ne sia valsa la pena.
Maria E.
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Re: Legami di sangue (di: digitoergosum)

Messaggio da Maria E. »

Gaetano Intile ha scritto: 01/02/2024, 18:01
digitoergosum ha scritto: 01/02/2024, 1:19 Finito (?) ora di rivedere il mio racconto, dopo gli opportuni interventi di Gaetano. Mi chiedo, chiedo a tutti, se sia il caso di aggiornare il testo in cima o se ripostarlo come "risposta rapida" per mantenere il testo iniziale e mostrare come può evolversi un racconto dopo un editing puntuale come quello che ho graziosamente ricevuto. Attendo prima di muovermi. Buona notte.
L'idea - correggimi se sbaglio, Roberto - sarebbe quella di consentire a tutti i partecipanti di collaborare alla stesura dei testi, con delle notazioni, delle idee, e via discorrendo. Quindi ognuno dovrebbe dire la sua, non ci sono maestri, altrimenti mi pare che si perda lo scopo (telos) e possa venir meno la volontà (telima) di continuare.
Certe volte mi sorprende come due termini così distanti abbiano una radice comune.

Sui testi che ciascuno posta sarebbe opportuna una discussione, anche sulla genesi, sulle scelte, le idee, il tipo di struttura. Evitiamo di rendere sterile la nostra vena narrativa.
Se non ricordo male, qualche tempo fa, mi pare quando si discuteva della struttura di Anonimania, Marcello suggerì di lasciare per la gara una struttura leggera in modo da attrarre più persone, più partecipanti. La gara come un'occasione di divertimento. Ed era anche giusto; la competizione come un luogo dove crescere in allegria è un modus che condivido. La competizione però oggi è ben altro, lo è nella testa delle persone, e mi pare che ce ne siamo accorti. Ritorno a quell'occasione di divertimento: il significato etimologico di divertire è rivolgersi altrove. Chi si diverte si distrae, pensa ad altro, e quindi si allontana. Noi vogliamo allontanarci? Non vogliamo allontanarci dalla scrittura, perché la vogliamo approfondire, né vogliamo allontanarci gli uni dagli altri. Quindi lo scopo, il telos di questa bottega dovrebbe anche essere l'accrescimento tramite lo scambio reciproco.
Lo so, con Roberto in principio si era parlato di maestri e di apprendisti. Ma come si fa a considerare Marcello o Roberto degli apprendisti?

Sono completamente d'accordo con il tuo ragionamento, Namio. Una riflessione che andrebbe messa in atto ed è proprio quello che mi chiedevo nelle varie pieghe delle regole assegnate.
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