Distanza
Inviato: 22/05/2023, 15:44
Con il riprendere la distinzione platonica tra diegesi (il racconto gestito da un narratore) e mimesi (il racconto condotto dai personaggi attraverso il dialogo) o quella di Henry James tra telling (narrare) e showing (mostrare), Genette considera che il racconto più particolareggiato, o mimetico, sia meno distante di quello narrato.
Il racconto mimetico implica sia il predominio jamesiano della scena, sia l’assenza, o trasparenza, del narratore. Con riferimento alla maggiore o minore potenzialità mimetica si possono distinguere diverse forme di discorso, proprie del racconto di parole (costituito non da fatti ma delle voci dei personaggi).
A) Il discorso NARRATIVIZZATO o racconto, è il tipo più distante, gestito da un narratore che riassume le parole dei personaggi.
B) Il discorsto TRASPOSTO , in stile indiretto, è più mimetico e quindi meno distante del precedente, ma conserva la presenza del narratore che può riassumere o citare le parole dei personaggi in modo più o meno arbitrario.
C) il discorso TRASPOSTO IN STILE INDIRETTO LIBERO è ancor più mimetico perché il discorso del narratore imita quello del personaggio o il personaggio si esprime attraverso la voce del narratore, sicché non è possibile distinguere le parole dell’uno da quelle dell’altro e dire che si tratti di parole o pensieri.
D) il discorso RIFERITO O DIRETTO, è la forma più mimetica e la meno distante, perché il narratore cede la parola al personaggio.
Nella novella NEL SEGNO di Pirandello si trovano tutt’e quattro le forme di discorso, dalla scena dialogata iniziale al discorso narrativizzato, dal discorso trasposto in stile indiretto al discorso indiretto libero.
O prendiamo quest’altro esempio tratto da Il giardino dei Finzi-Contini di Bassani.
Ne nacque un litigio. Io recitavo la parte del testardo interrompitore, e lei, dal canto suo, alzando la voce e bamboleggiando, ad accusarmi della “solita pignoleria”. “Era evidente”, gridava, “io dovevo aver fiutato la sua intenzione di non mettermici nemmeno, nella sua epigrafe, e così, per pura gelosia, mi rifiutavo di stare ad ascoltarla.”
Poi ci calmammo. Prese a parlarmi una volta di più di quando lei e Alberto erano ragazzi. Se volevo proprio saperla, la verità, tanto lei quanto Alberto avevano sempre provato una grande invidia nei confronti di chi come me aveva la fortuna di studiare in una scuola pubblica. Ci credevo? Arrivavano al punto d’aspettare con ansia, ogni anno, l’epoca degli esami soltanto per il gusto d’andare anche loro a scuola.
“Ma perché, se vi piaceva tanto andare a scuola, studiavate poi in casa?” domandai
“ Il papà e la mamma, la mamma soprattutto, non volevano assolutamente…”
Allora, le prime due frasi sono diegetiche, con e lei ... ad accusarmi si passa al discorso narrativizzato, che riassume parte delle parole del personaggio citandone alcune direttamente. Segue il discorso indiretto libero. Il secondo capoverso comincia ancora in forma diegetica, per passare a una frase in discorso narrativizzato (Prese a parlarmi) e il solito indiretto libero interroto poi dal discorso diretto del dialogo.
L’intervento del narratore può essere notato anche dalla variazione dei modi e tempi verbali, ad esempio nell’opposizione indicativo-condizionale, passato remoto-imperfetto.
Ecco un brano di Italo Svevo, tratto dal romanzo Una Vita:
Aiutata dalla cameriera Annetta servì il tè. Con Macario ella insistette che prendesse anche qualcosa d’altro; incaricò la cameriera di porgere una tazza ad Alfonso, gli occhi del quale brillarono d’ira. Cominciava a sentire il dovere di reagire; quello che più di tutto lo preoccupava era il timore che Macario lo disprezzasse non vedendolo subire tanto umilmente tali impertinenze. Avrebbe dato del suo sangue per trovare una parola acconcia, pungente.
Solo la prima frase attiene al livello della diegesi, in quanto si riferisce a un’azione: il servire il tè, in altre parole, il narratore gestisce direttamente il racconto.
Nella seconda frase vi è un contenuto metalinguistico, perché allude alle parole di Annetta rivolte a Macario (discorso narrativizzato). La terza frase comprende un fatto extralinguistico (la cameriera porge la tazza ad Alfonso), ma mediato da quell’incarico che dà all’enunciato un valore direttivo; l’aggiunta gli occhi del quale brillarono d’ira è un intervento del narratore (una sottolineatura psicologico-valutativa), perché qualcuno dice la causa dell’evento. Tutte le altre frasi sono pensieri, giudizi, propositi del narratore onnisciente che sembra trasporre, col condizionale, un’eco emotiva dello stato d’animo di Alfonso, quasi un pensiero indiretto libero.
Dunque, per Genette la distanza è un modo con cui la narrazione regola il flusso informativo avvicinandosi o allontanandosi dalla diegesi.
Non tutti gli autori la pensano come Genette, ad esempio in Distanza e Punti di Vista Wayne Booth segue una strada diversa. Ma non voglio mettere troppa carne al fuoco.
Il racconto mimetico implica sia il predominio jamesiano della scena, sia l’assenza, o trasparenza, del narratore. Con riferimento alla maggiore o minore potenzialità mimetica si possono distinguere diverse forme di discorso, proprie del racconto di parole (costituito non da fatti ma delle voci dei personaggi).
A) Il discorso NARRATIVIZZATO o racconto, è il tipo più distante, gestito da un narratore che riassume le parole dei personaggi.
B) Il discorsto TRASPOSTO , in stile indiretto, è più mimetico e quindi meno distante del precedente, ma conserva la presenza del narratore che può riassumere o citare le parole dei personaggi in modo più o meno arbitrario.
C) il discorso TRASPOSTO IN STILE INDIRETTO LIBERO è ancor più mimetico perché il discorso del narratore imita quello del personaggio o il personaggio si esprime attraverso la voce del narratore, sicché non è possibile distinguere le parole dell’uno da quelle dell’altro e dire che si tratti di parole o pensieri.
D) il discorso RIFERITO O DIRETTO, è la forma più mimetica e la meno distante, perché il narratore cede la parola al personaggio.
Nella novella NEL SEGNO di Pirandello si trovano tutt’e quattro le forme di discorso, dalla scena dialogata iniziale al discorso narrativizzato, dal discorso trasposto in stile indiretto al discorso indiretto libero.
O prendiamo quest’altro esempio tratto da Il giardino dei Finzi-Contini di Bassani.
Ne nacque un litigio. Io recitavo la parte del testardo interrompitore, e lei, dal canto suo, alzando la voce e bamboleggiando, ad accusarmi della “solita pignoleria”. “Era evidente”, gridava, “io dovevo aver fiutato la sua intenzione di non mettermici nemmeno, nella sua epigrafe, e così, per pura gelosia, mi rifiutavo di stare ad ascoltarla.”
Poi ci calmammo. Prese a parlarmi una volta di più di quando lei e Alberto erano ragazzi. Se volevo proprio saperla, la verità, tanto lei quanto Alberto avevano sempre provato una grande invidia nei confronti di chi come me aveva la fortuna di studiare in una scuola pubblica. Ci credevo? Arrivavano al punto d’aspettare con ansia, ogni anno, l’epoca degli esami soltanto per il gusto d’andare anche loro a scuola.
“Ma perché, se vi piaceva tanto andare a scuola, studiavate poi in casa?” domandai
“ Il papà e la mamma, la mamma soprattutto, non volevano assolutamente…”
Allora, le prime due frasi sono diegetiche, con e lei ... ad accusarmi si passa al discorso narrativizzato, che riassume parte delle parole del personaggio citandone alcune direttamente. Segue il discorso indiretto libero. Il secondo capoverso comincia ancora in forma diegetica, per passare a una frase in discorso narrativizzato (Prese a parlarmi) e il solito indiretto libero interroto poi dal discorso diretto del dialogo.
L’intervento del narratore può essere notato anche dalla variazione dei modi e tempi verbali, ad esempio nell’opposizione indicativo-condizionale, passato remoto-imperfetto.
Ecco un brano di Italo Svevo, tratto dal romanzo Una Vita:
Aiutata dalla cameriera Annetta servì il tè. Con Macario ella insistette che prendesse anche qualcosa d’altro; incaricò la cameriera di porgere una tazza ad Alfonso, gli occhi del quale brillarono d’ira. Cominciava a sentire il dovere di reagire; quello che più di tutto lo preoccupava era il timore che Macario lo disprezzasse non vedendolo subire tanto umilmente tali impertinenze. Avrebbe dato del suo sangue per trovare una parola acconcia, pungente.
Solo la prima frase attiene al livello della diegesi, in quanto si riferisce a un’azione: il servire il tè, in altre parole, il narratore gestisce direttamente il racconto.
Nella seconda frase vi è un contenuto metalinguistico, perché allude alle parole di Annetta rivolte a Macario (discorso narrativizzato). La terza frase comprende un fatto extralinguistico (la cameriera porge la tazza ad Alfonso), ma mediato da quell’incarico che dà all’enunciato un valore direttivo; l’aggiunta gli occhi del quale brillarono d’ira è un intervento del narratore (una sottolineatura psicologico-valutativa), perché qualcuno dice la causa dell’evento. Tutte le altre frasi sono pensieri, giudizi, propositi del narratore onnisciente che sembra trasporre, col condizionale, un’eco emotiva dello stato d’animo di Alfonso, quasi un pensiero indiretto libero.
Dunque, per Genette la distanza è un modo con cui la narrazione regola il flusso informativo avvicinandosi o allontanandosi dalla diegesi.
Non tutti gli autori la pensano come Genette, ad esempio in Distanza e Punti di Vista Wayne Booth segue una strada diversa. Ma non voglio mettere troppa carne al fuoco.