Pagina 1 di 3

Esercizio numero sei

Inviato: 08/05/2023, 10:23
da Gaetano Intile
Comporre un racconto di lunghezza a piacimento in cui sia presente una trama cinica, ossia una trama che segni il trionfo del personaggio cattivo, perfido, malevolo.
E un altro racconto in cui sia possibile rintracciare una trama di degenerazione, in cui cioè il protagonista, in seguito a una serie di insuccessi e fallimenti, decida di rinunciare ai propri ideali.
Un esempio è l'insuperato Zio Vanja di Checov. Una particolarità, non so se vi è capitato di vederlo, è la pellicola di Ryusuke Hamaguchi, Drive My Car, dove l'occasione della rappresentazione dell'opera teatrale di Checov Zio Vanja fa da supporto a una trama che in effetti è poi l'opposto della trama di Checov. Anzi, ripercorre la trama di Zio Vanja si direbbe à rébour.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 12/05/2023, 11:06
da Robennskii
N.d.A.: la storia che segue è frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti reali deve intendersi del tutto involontario e puramente casuale.

Domani è oggi

Si erano amati come solo i bambini sanno fare. Un sentimento tanto puro da suscitare meraviglia.

Vicente aveva appena ricevuto il rapporto della scientifica: asfissia da annegamento. Il video di una telecamera mostrava il “Puente de los Amantes” deserto e il giovane in piedi sul parapetto. Non c’era molto da indagare, in quella tiepida serata di primavera.

Ma il ragazzo aveva vent’anni e il commissario, nonostante la lunga esperienza alla Omicidi, avvertiva un disagio dimenticato… quasi un presentimento.
O, forse, era solo l’ennesima notte da dimenticare.

L’indomani non furono che telefonate e giornalisti. E la mattina successiva non poté sfuggire alle scartoffie che, pazienti, lo avevano atteso sulla scrivania. Per fortuna, la tazza fumante sul dossier “Blazquez” prometteva qualche minuto di tregua.

“Commissario, c’è un tizio nell’atrio. Vuole parlare con lei”.

“Benitez che diamine, mi fai finire almeno il caffè?” ringhiò lui. Ma l’altro aveva imparato negli anni a conoscerlo e sapeva che, sotto quella scorza dura, batteva un cuore grande: il ragazzo, jeans maglietta capelli arruffati, già indugiava sulla porta.

“Commissario Vicente?”

“Sono io. Prego, si accomodi” rispose lui, mentre fulminava Benitez con lo sguardo.

A Vicente bastarono pochi secondi per squadrare quel giovane: i suoi occhi scavati dall’angoscia gli confermarono, ancora una volta, come le notti insonni non appartengano solo ai funzionari di polizia.

“Mi chiamo Isandro Galvez. Sono… ero un amico di Diego”.

Vicente stette in ascolto per un seguito che non arrivò. Al suo posto, lacrime improvvise. Tirò allora fuori il “kit”, mentre Benitez si muoveva rapido. Dopo qualche istante, un’altra tazza fumante diffondeva l’aroma nell’angusto ufficio mentre, sul bordo della scrivania, fazzoletti di carta, sigarette e caramelle al limone avevano fatto la loro comparsa dal nulla.

Vicente attese che il giovane si calmasse. Poi iniziò a fare il commissario.

“Parla del Blazquez o sbaglio, Sig. Galvez?”.

No, non sbaglia. Diego, il mio miglior amico”.

“Ci dispiace per lui. Creda, l’accaduto ha toccato anche noi. Ma di fronte a un gesto del genere non c’è nulla da fare, se non rassegnarsi.

“Commissario, mi ascolti: sono qui per denunciarne l’omicidio!”

Vicente si lasciò andare sulla spalliera della sedia, colto di sorpresa come raramente gli capitava. Benitez fece finta di sbirciare alcuni documenti, poi uscì di propria iniziativa senza attendere il gesto che sarebbe arrivato da lì a poco.

“Isandro - posso chiamarla così? – per fortuna il collega era distratto e non ha ascoltato. Comprendo la sua disperazione, ma questo è un commissariato: prima di affermare certe cose bisogna fare attenzione. Il caso è destinato a essere archiviato, abbiamo il video del suicidio. Glielo risparmierei ma, se proprio non riesce ad accettare la realtà, farò un’eccezione.”

“Lei non capisce, commissario! Lo hanno costretto a togliersi la vita!”

“Ma di che parla?”

“Se aveste chiesto in giro, forse sapreste qualcosa in più”.

Vicente ebbe un gesto di stizza. Poi guardò il giovane negli occhi: quel ragazzo avrebbe potuto essere suo figlio.

“Ascolti Isandro, non sfidi la mia pazienza. Abbiamo acquisito delle informazioni sommarie e per un caso del genere sono più di quanto serve.”

“E Lory, cosa dite di Lory?”

“Che ci sono più cuori infranti nel mondo che stelle in cielo. Conosciamo la storia dei due, dell’allontanamento recente dopo che lei si è fatta assumere al Demon Cube.”

“Forse non vi hanno detto…”

“Per cortesia, Isandro. Questa città ha problemi enormi. Potrei disegnarle ora qui, in un istante, l’intera rete dei locali, di fiancheggiatori e prestanomi di Ilija. Ma non è un reato essere assunti nei suoi club. Sappiamo anche delle squillo, che ci creda o no.”

“E’ stato lui, Ilija. Ha costretto il mio amico a togliersi la vita. E non finirà qui, vedrà.”

“Anche se fosse in grado di provarlo avremmo una istigazione al suicidio, ben poca cosa per il maggior trafficante di cocaina della regione.
Un momento: cosa ‘non finirà qui’?”

“Si è tolto la vita per salvare lei. Lory non reggerà al dolore.”

“La coca è un grande aiuto” rispose Vicente, mordendosi subito dopo le labbra. “Non possiamo fare nulla.”

Isandro tirò fuori una foto di qualche tempo prima, con Diego e Lory sorridenti sullo sfondo di una prato fiorito. Lei era di una bellezza straordinaria: il classico viso d’angelo sopra un corpo perfetto. E quelle labbra che sembravano disegnate da un artista… Vicente scrollò il capo poi, con voce ferma, chiamò dentro Benitez.

“Prosegua pure, il brigadiere è un mio fidato collaboratore. Quanto dirà qui resterà tra queste mura.”

Benitez annuì platealmente. Isandro continuò:

“La sera prima che accadesse tutto, Diego mi ha chiamato. Voleva parlarmi di persona, così ci siamo incontrati da lui:
 Isandro, ho trovato un modo per salvare Lory.

 Che racconti? Con quella gente non si scherza.

 Ho offerto a Ilija un accordo in cambio della sua vita.

 Lory è chiusa in una gabbia, dalla dipendenza non si esce. Sai che strada ha preso: è la escort preferita dai ricconi di passaggio.

 No! Tutto è possibile. Ilija la tiene in pugno, ma una volta libera potrà curarsi, disintossicarsi. La seguirai tu per me.

 Io? Perché io?

 Non chiedere oltre: presto capirai. Ilija ha accettato. Dammi la tua parola: lo farai per me?

A quel punto, Isandro si fermò e Vicente stette a osservarlo in silenzio. Se c’è un sentimento che un commissario impara presto a riconoscere è il dolore sincero. Trascorsero due minuti lunghi come l’eternità, poi il giovane riprese:

“Ieri, dopo aver sentito la notizia, ho capito e mi sono precipitato al Demon Cube. Ero sconvolto: gli scagnozzi alla porta mi hanno tirato dentro, dandomi il benvenuto a calci e pugni. Solo quando ho urlato che mi mandava Diego si sono fermati. Pochi istanti dopo ero seduto a un tavolo, controllato a vista nel locale deserto. Il boss è arrivato subito, con Lory accanto. O, meglio, ciò che resta di lei… nel suo sguardo spento non brilla più la scintilla di un tempo.
Ilija mi ha affrontato subito:

 Tu chi sei?

 Sono colui che deve riscuotere il riscatto. Diego ha fatto quanto hai chiesto.

 Hai fegato, ragazzo. Esiste ancora l’amicizia!

Una grassa risata ha riempito il locale, seguita da cui quella dei due scagnozzi. Ho dovuto reprimere un sussulto di rabbia.

 A cosa ti è servita la vita del mio amico? Perché questo?

A quel punto la risata di Ilija si è interrotta, annientata dal suo sguardo tagliente.

 Davvero lo vuoi sapere?

L’ho visto prendere un cellulare dal taschino. Mentre scorreva il display, la luce fioca dello schermo ha illuminato i suoi occhi di ghiaccio. Ho provato una paura profonda, come se il male in persona mi stesse di fronte.

 Eccolo.

Ho seguito il movimento del telefono che scivolava lungo il tavolo verso di me.

 Sai far partire un filmato, vero?

Non potevo tirarmi indietro: cliccai il maledetto pulsante. C’era un ponte illuminato dalle lanterne. Davanti al telefono stava Lory, di spalle, poggiata sul davanzale di una finestra aperta. Aveva un vestito di strass, la schiena scoperta e i capelli biondi raccolti. Il movimento incessante dell’inquadratura non lasciava dubbi: qualcuno la stava possedendo, anche se lei sembrava una bambola inerte. Poi, una voce da dietro e le parole che non dimenticherò mai:

‘Vedi il ragazzo sul ponte? Certo, lo conosci. E sai, sta per gettarsi. L’illuso spera di poterti salvare…! ’

Lei ha tentato di reagire, ma una striscia di polvere bianca sul dorso della mano di lui, tenuta a portata del viso, l’ha inchiodata lì.

‘Ferma così… guarda, goditi quest’attimo sublime. Sniffa... ora… così… si butta… ora! ’

Stavo per perdere il controllo. Con gli occhi gonfi di lacrime ho fissato quel mostro di fronte a me, implorando un perché.

 Sai ragazzo, c’è chi paga bene per le emozioni forti.

Ilija si è voltato quindi verso Lory.

 Tu cosa vuoi fare? Puoi andare, se desideri.

Lei ha abbassato il capo, incapace di trovare uno scampolo di sé. Lui si è rivolto di nuovo a me.

 Il colloquio è terminato. Ti do un minuto per uscire tutto intero, ragazzo, e non farti vedere mai più. O vuoi forse rapirla? Perché se è così, dovrò chiamare la polizia…

Mi sono alzato tra le risate di quei porci. Ma prima di varcare la soglia, Lory, divincolandosi dal boss, ha schivato le guardie e mi si è gettata addosso. Nell’orecchio, il suo fiato in affanno e un’ultima, disperata richiesta:

 Salvami Isandro, ti scongiuro! O domani mi uccido.

Commissario … domani è oggi.”

Vicente sentì un brivido lungo la schiena. Osservò Benitez che scrollava il capo. Nei loro sguardi, la frustrazione di una lotta impari lunga una vita. Ma stavolta era proprio troppo.

“Sei con me?” chiese il commissario.

“Sono con lei!” sbottò il brigadiere.

Vicente sorrise. Finalmente, sorrise.

“Fanculo al distintivo: Isandro, se vuole venga con noi. Andiamo a prenderci la ragazza!”

Un barlume di speranza riaccese il volto del giovane. Ma, prima di uscire, uno squillo risuonò nella stanza:

“Sono Benitez… … no frena, stiamo per partire… come, il corpo di una ragazza? Dove? Stamane all'alba sotto ... sotto... il “Puente de los Amantes"?

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 12/05/2023, 16:28
da Gaetano Intile
Ciao, Roberto.
Ottimo racconto, hai tempo per elaborarlo e farlo diventare perfetto
La trama cinica c'è, perché Ilja vince assoggetta Lory e induce Diego al suicidio.
Nel finale lasci però intendere che Linares e Benitez possano capovolgere la situazione, e mandare a monte la tua trama cinica. Quindi il finale l'avrei reso definitivo nel senso di una vittoria di Ilja con Linarese che ammette di non poter agire perché non aveva prove per poter arrestare Ilja o cose del genere. Diciamo che ti sei fatto prendere dalla sorte della povera Lory. Anzi, nella battuta finale Benitez sembra ricevere la notizia della morte di Lory. Ma quel all'alba mi ha un po' confuso. Nel caso della morte di Lory prima che la polizia la possa salvare la tram cinica sarebbe compiuta.
Quindi un ottimo lavoro.

Con lo stesso racconto riesci a inserire una trama degenerativa con Linares o Isandro che rinunciano a Lory?
Sono contento del risultato.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 12/05/2023, 18:57
da Robennskii
Fammi provare a rielaborare un attimo il finale.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 12/05/2023, 19:17
da Robennskii
Ora riflettendo su quanto hai scritto, ti confesso che la trama termina proprio così con la notizia di un ulteriore suicidio avvenuto all'alba.

Però il fatto che tu mi dica che il termine "Alba" ti abbia confuso mi mette un po' in agitazione. Sai ci ho pensato parecchio sul finale considera che ho dedicato questi tre giorni alla composizione di questo testo. Ho deciso per la morte di Lori che in un colpo solo fa vincere il cinico doppiamente.

Ma a questo punto è importante per me comprendere se quel termine Alba può davvero ingenerare problemi. Ho fatto una piccola modifica e ti sarei grato di un parere ulteriore.

Per quanto riguarda la trama degenerativa, non posso nasconderti che gli esercizi diventano sempre più difficili. Ma ci proverò, e speriamo bene però dammi tempo. Attendo un tuo parere su quello che ti ho chiesto perché vorrei pubblicare il racconto su BA.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 13/05/2023, 12:10
da Gaetano Intile
Stamane all'alba va bene, adesso la comprensione di quanto accade nel finale è più immediata.
Nella trama cinica, a mio avviso, il cattivo deve sconfiggere il buono. Se dunque vorrai sviluppare il racconto in questo senso in futuro forse dovrai far in modo che la contrapposizione tra il commissario e l'antagonista duri nel tempo, con qualche sequenza del tipo peripezia e poi il commisario perda lo scontro finale con il cattivo per qualche motivo.
Ricordati sempre che è il contrasto tra gli opposti caratteri a costituire il fulcro di una narrazione. Se non c'è contrapposizione (può anche essere interiore o contro gli elementi o riguardare il passato del protagonista) il racconto perde forza.
Quando lo metti a posto prova anche a far raccontare al narratore in modo da accorciare i dialoghi, l'ho anche ricordato a Giovanni per i suoi testi. Costruire per dialoghi è più facile, ma il racconto alla fine stanca.
La questione fondamentale quando si scrive rimane per me comunque l'individuazione del narratore e del punto di vista.
Di recente ho riletto Fontamara di Ignazio Silone. Un romanzo di denuncia, sul filone di Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, ma l'autore, mi sono accorto a una lettura da anziano, ha adoperato degli stratagemmi per poter seguire tutte le vicende dei suoi amati cafoni. Stratagemmi che prima non avevo notato.
Magari se ti capita di leggerlo ne riparliamo.
La teoria della narrativa o narratologia consente a me che leggo di individuare le strutture della narrazione. E di immedesimarmi nei problemi che un autore ha dovuto affrontare per poter raccontare proprio in quel modo.

Tempo ne hai quanto ne vuoi. Io provo a postare qualche altro contenuto nel frattempo.
L'idea che mi sono fatto io dell'Officina è che sia un qualcosa che continua nel tempo, dovrebbero aggiungersi altri partecipanti però, altrimenti non ha molto senso. Pazienza.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 13/05/2023, 13:03
da Robennskii
Ok
Grazie di tutto, anche del più (...!) . Vedo se riesco a rielaborarlo nell'altra direzione dando maggior spazio al narrato.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 16/05/2023, 16:58
da Giovanni p
Esercizio 6b

Buonasera, Gaetano

ho finito il primo dei due esercizi, quello dove il protagonista ha un involuzione che lo porta a degenerare, spero ti piaccia.

Grazie in anticipo per la lettura.

Le mani mi fanno ancora male, devo cercare di coprirle velocemente con le fasce, non voglio che Matilde le veda. Apro e chiudo le dita cercando di distendere al massimo il palmo sentendo tirare pollice e mignolo, per fortuna non ci sono tagli, solo un forte arrossamento. Mentre mi fascio le mani penso a quanto sia bello questo posto quando è vuoto. Non ho mai frequentato una palestra così pulita, se non avessi la convenzione non sarebbe certo stata alla portata del mio portafogli. Ho finito con la fasciatura, mi alzo e mi incammino verso la sala pesi dove Matilde mi sta aspettando. La luce dei lampioni mi accompagna per tutta la durata del corridoio, fuori è notte e c’è la nebbia. Il corridoio finisce e dietro ad una porta, anzi dietro la porta dato che ce né solo una, trovo Matilde con la mia scheda fra le mani.

- Alla buon ora! Esclama Matilde nel vedermi

Io annuisco senza dire nulla.

- Vediamo di metterci un po’ di grinta caro il mio montanaro, le carezze non mi danno soddisfazione.

Aspetto che prenda il sacco senza dire nulla, sono abituato ai suoi metodi da coatta, ciò nonostante Matilde mi piace, mi piacciono i suoi occhi, il suo sorriso impertinente e i suoi capelli neri. Dopo aver frequentato questa palestra di tamarri noto con piacere che è l’unica a non essersi rifatta il naso o le labbra, è bella così anche con i suoi tatuaggi da carcerato.
- Forza dolcezza, mena forte!
L’esercizio è sempre il solito, serie di jab da portare al saccone mentre lei lo tiene a cambia posizione. Come sempre sorride con arroganza, ma stavolta il suo sorriso si chiude dato che con un pugno la faccio finire a terra. Il colpo è stato forte, non se lo aspettava infatti mi guarda sgranando gli occhi, poi stringendo il saccone come fosse un cuscino si alza e dice sorridendo:

- Ti hanno dato da mangiare stasera?

Lei sorride ironica, io no.

- Forza mena duro, sennò potrei pensare che sia stato solo un colpo di fortuna.
E invece no. Avanzo menando diretti senza contarli e senza guardare Matilde in faccia, ad ogni mio passo lei è costretta ad arretrare anche se oppone resistenza fino a che non la faccio cadere di nuovo. Stavolta sbatte le spalle e il gomito destro contro il muro. Si alza ma non sorride, dentro di me sento scorrere l’inferno.

- Mi sembri un po’ agitato, qualcosa non va?

La sua arroganza si è dissolta.

- Matilde, non eri te a dirmi che devo menare forte?

- Non si risponde con una domanda – dice rimettendosi in posizione – non e lo hanno insegnato?

- Lascia perdere quello che mi hanno insegnato, questo corso costa caro, diamoci dentro.

Lei annuisce digrignando i denti, io attacco con rabbia sentendo i muscoli sulla schiena bruciare e le nocche dolere, lei finisce di nuovo a terra e io sento il sudore piovere sul tappetino di plastica morbida.

“ Ruffiano del cazzo!”

Questa parola mi perseguita da tutta la sera, non m’interessa se mi ha denunciato, quel coglione ha avuto quello che si meritava. Adesso non vedo più Matilde, non sono più in palestra, ma per strada. Intorno a me ci sono i miei nuovi “amici” quelli con i quali ho faticato al massimo per integrarmi, offrendo loro aperitivi e cercando di essere un amico.

“Con quale risultato?” mi domando mentre mi accanisco contro un saccone nero e chi lo regge.

Ne è uscito male Longo, una faccia gonfia come un pallone, ma ci sono rimasti male anche gli altri. Quel l’idiota di Longo non passerà più dal bar per insultare chi gli capita a tiro, d’altronde gli altri me lo avevano detto:

“ Longo non c’è con la testa, si diverte male, sopportalo e basta.”

Ci sono sere che dopo il lavoro aspettavo Longo solo per farmi una risata, anche se spesso ridevano tutti tranne me. In paese me lo avevano detto:

“ Sarà dura in città, lì la gente è cattiva”

Ma io ci avevo riso su, sono sempre stato un ottimista e sono sempre stato allo scherzo di tutti. Poi mi sono reso conto che è così, basta aprire bocca e il mio accento mi tradisce, dovrei stare zitto in eterno e chiaramente non è possibile. Ma fa nulla, le battute le accetto e accetto anche che per integrarsi ci voglia tempo e fatica, fino a quando quel cretino di Longo se ne esce fuori dandomi del ruffiano solo perché gli dico che non è carino buttare le sigarette in strada quando siamo seduti ad un tavolo con sopra un posa cenere. Lui di tutta risposta mi soffia del fumo in faccia e dice quello che gli pare, come sempre, mentre gli altri ridono. Io inaspettatamente gli sputo in faccia. Da lì a poco il danno è fatto, lo meno così forte che dei tagli gli si aprono sulla faccia, non avevo mai picchiato qualcuno, ma nonostante non rimango scioccato. Me ne vado e tutti spariscono allora dalla mia vista, come ora dalla mia mente. Davanti a me adesso c’è Matilde di nuovo a terra. Si alza per la terza volta e mi guarda come se di fronte avesse la cosa più repellente al mondo, io le chiedo:

- Matilde, va bene così?

Lei molla a terra il saccone e mi risponde:

- Va bene il cazzo…

- Non eri te a dirmi che ero una causa persa? la interrompo allungando la mia faccia verso la sua.

Lei vorrebbe mollarmi uno schiaffo, ne sono sicuro, ma non lo fa. Socchiude gli occhi con disappunto diventando ancora più bella.

- Fra poco devo andare quindi vedi di non rompermi, campagnolo.

Io scuoto la testa e indico l’orologio appeso al muro.

- Matilde, sono le dieci e quaranta, il corso finisce alle undici. Non ti lamenti sempre che i lavativi non ti piacciono?

Lei ridacchia abbassando la testa, adesso è nervosa, poi dice:

- Perché adesso vuoi anche piacermi?

Io non le rispondo, questa non mi è piaciuta.

- Oppure- continua lei – stasera ti sei reso conto di avere un paio di palle, che magari ti girano, e vuoi divertirti con me? Se vuoi mi metto i guanti e vediamo come finisce…

Matilde è bella, forse non intelligentissima, ma furba si.

- Cara Matilde…

- Lo so come mi chiamo non trattarmi da deficiente.

- Comunque sia, il tuo non è il modo migliore di parlare con un cliente mandato qua da un azienda che potrebbe mandarti molti clienti.

Lei scuote la testa senza abbassare lo sguardo, poi dice:

- Ma che vuoi fare? Mi vuoi ricattare?

Io sorrido sapendo di farla innervosire.

- E che ricatto sarebbe questo, semmai ti sto dando un consiglio.

- E cioè?

- Cioè non trattare male i clienti. Sei stata te a dirmi che quando mi alleno con te devo metterci tutta la forza che ho in corpo, o no?

La sua espressione mi fa paura, è furiosa. Anche se è una ragazza, se decidesse di mettermi la mani addosso non avrei speranza. Tuttavia non risponde, non mi aggredisce, rimane in silenzio con la sua rabbia che sta per esplodere. Mi rimetto in guardia, Matilde socchiude gli occhi e aggrotta la fronte tentando di uccidermi con la sguardo, ma io non vedo lei, vedo la riunione di stamani mattina e sento quello che Rossi mi ha detto in bagno dopo che il contratto a tempo determinato lo hanno dato a lui.

“Non hai motivo per prendertela, sei bravo, tutti ce ne siamo accorti, ma questo è un lavoro dove si deve raggiungere lo scopo, non farsi problemi di etica. “

Rossi mi parlava mentre era impegnato a lavarsi le mani, senza avere la premura di guardami.

“D’altronde sei fortunato già così. Uno come te che viene dalla campagna ha bisogno di altro tempo per adattarsi ed integrarsi con la metropoli, se ti avessero buttato subito in mezzo avresti perso tutto subito, così puoi lavorare su te stesso ancora per me un po’. E poi si sa da cosa nasce cosa.”

Detto ciò se né andato senza dirmi nulla, sorridendo, senza guardarmi. Il bagno sparisce, la palestra riappare, Matilde stavolta non va giù, ma siamo entrambi sfiniti.

- Matilde, per stasera finiamo qua.

Lei mi annuisce e poi scaraventa il saccone nell’angolo alle sue spalle.

- È meglio

Annuisco e le rispondo a mia volta:

- Si è meglio.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 17/05/2023, 11:37
da Gaetano Intile
Un bel racconto, ti costringe a continuare la lettura fino all'epilogo. La struttura è lineare ma solida, un io narrante con focalizzazione interna e punto di vista del protagonista che non abbandoni fino alla fine. Una breve sequenza narrativa che fa da introduzione e poi sequenze dialogiche inframmezzate da scene narrative rendono il testo scorrevole, insomma non ci si annoia fino all'epilogo affidato al dialogo. Io nel finale in più ci avrei messo qualche pensiero dell'eroe.
Quanto alla trama degenerativa, l'eroe rinuncia ai propri ideali a causa dei suoi insuccessi? Non mi pare. Piuttosto, l'eroe protagonista pare di continuo messo alla prova. Messo alla prova al lavoro, messo alla prova dai nuovi amici, messo alla prova da Matilde, che lo apostrofa con quel Ruffiano di merda, messo alla prova finanche da se stesso durante il lungo incontro scontro con una ragazza che alla fine gli piace. Potrebbe benissimo essere una trama di prova, per intenderci affine, vicinissima, a quella degenerativa. Ma nella trama di prova l'autore concentra l'attenzione del lettore proprio sulle prove da superare. La lunga scena dialogata tra l'eroe e Matilde ribadisce i tentativi dell'eroe di sentirsi all'altezza.
Mentre, a mio avviso, per esserci degenerazione, il protagonista avrebbe dovuto comportarsi in modo diverso: ad esempio, lanciare una sfida a Matilde e farle del male, intenzionalmente, come ha fatto con Longo, quando capisce che lei lo respingerebbe, così, per pura cattiveria, perché ha deciso di non sopportare più, e magari pensare di far del male anche a Rossi, di vendicarsi. E nel farlo forse dovresti rimarcare, nella parte introduttiva, la sua non violenza, il suo essere un bravo ragazzo di montagna, in modo da sottolineare il contrasto tra l'eroe prima e l'eroe dopo. Insomma, il cambiamento si deve intuire come radicale, un mutamento di visione del mondo dell'eroe, che si scopre cattivo, non un'arrabbiatura passeggera e pure motivata dalla stronzaggine altrui.
E sì che Matilde lo sprona in questo senso, lo stuzzica, lo costringe a uscire all'aperto. Forse hai voluto troppo bene sia al tuo eroe che a Matilde. Si vede che anche tu sei un bravo ragazzo.
A prescindere dalla trama il racconto è avvincente, valido, solido, piacevole. Ho trovato qualche refuso da fretta, basta una rilettura.
Aspetto la trama cinica, per cui puoi anche utilizzare la traccia di questo stesso racconto, secondo me, con qualche modifica.

Re: Esercizio numero sei

Inviato: 19/05/2023, 19:11
da Giovanni p
esercizio 6a


Buonasera, Gaetano

questa è la traccia dove il protagonista malvagio ha la meglio, ti ringrazio in anticipo per la lettura.

- Marchese, mi ha fatto chiamare?
Belotti, attese con le mani i mano una risposta mentre il marchese Francesco Giacomo Roy da Serravalle fissava il grano verde ondeggiare teneramente al vento. Quel grano era il vanto della sua provincia, riempiva gli occhi a tutti quelli che percorrevano le strade candide che si snodavano fra le colline, alzandosi e precipitando a perdita d’occhio verso la vallata dove alcune casupole, squallide e scalcinate, ricordavano più delle famiglie di funghi in un bosco che dei veri centri abitati. Laggiù, sotto quei tetti fatiscenti, tre generazioni di essere umani abitavano numerosi in poche stanze in una promiscuità dignitosa. Le donne più anziane si occupavano dei bambini che erano molti e gli uomini, per quanto vecchi fossero, lavoravano tutto il giorno nei campi per far sì che il grano del marchese fosse il più fitto del centro Italia. Le donne giovani aiutavano come potevano dei campi i loro padri, fratelli e mariti, distruggendosi schiena e mani.

- Belotti, vuoi siete uno svizzero in terra italica – dissi il marchese voltandosi - un tesoro prezioso per un modesto possidente come me.
Belotti chinò la testa con profonda modestia, senza però accogliere nel suo animo quelle parole buone.

- La chiamavo perché ho bisogno di consultarmi con voi, ci sono alcune questioni economiche che mi disturbano il sonno.
A quelle parole le mani di Belotti si fecero umide.
- Questioni economiche, signor marchese?
- Non si allarmi buon Belotti – disse il marchese sedendosi alla sua scrivania di ebano – non siamo ancora sul lastrico!
Belotti colse il tono ironico del marchese e sorrise con benevolenza, stando attento però a non sconfinare nella condiscendenza.
- Vede Belotti, i tempi cambiano, le persone cambiano e persino il denaro cambia, questo lei lo capisce vero?
Belotti annuì, ma nella sua testa si agitavano i pensieri più gravi, anche se il marchese sembrava tranquillo.
- Come saprà, con i cambiamenti che ci sono stati, un paolo non vale più un paolo da quando c’è la lira.
- Signor marchese – disse con tono basso Belotti mentre guardava la scrivania scura – io posso giustificarmi.
Il marchese guardò la testa di Belotti, quasi ormai calva, e sorrise aspettando le sue fantomatiche giustificazioni.
- Ho investito buona parte dei suoi titoli in obbligazioni britanniche, ho fatto cambi di valute in franchi svizzeri e ho commerciato in pietre preziose tutte le entrate non registrate, il suo patrimonio è intatto ve lo posso garantire.
La faccia di Belotti si alzò, era pallido e aveva gli occhi lucidi. I marchese gli sorrise con benevolenza, poi disse mentre la luce del giorno a le sue spalle lo illuminava:
- Belotti… ma che mi combina?
Questo non rispose, il marchese scosse la testa e aggiunse:
- Io non sono qua per rimproverarla, io non dubito del suo lavoro che per me è preziosissimo. Io ho bisogno del suo aiuto.
Belotti sentì il sudore inzuppargli la schiena, la sua camicia fortunatamente era coperta da un pesante capotto scuro che portava anche in quei giorni di primavera.
- Al vostro servizio- disse abbassando di nuovo la testa.
Il marchese i alzò e tornò a guardare fuori dall’enorme finestra che dava sulle sue proprietà. I suoi lineamenti erano distesi, ma i suoi occhi puntavano qualcosa che poteva scorgere appena dalla sua finestra.
- Come sono messe le mie polizze assicurative? chiese il marchese senza voltarsi.
- Perfettamente, signor marchese. Le ho revisionate tutte!
- Anche quelle dei campi?
- Soprattutto quelle dei campi, signor marchese!
- Anche quelle sulla mia tenuta?
- Certamente, signor marchese!
- Anche quelle della diga?
Quella domanda risultò strana a Belotti, si agitò, ma poi rispose:
- Certamente, signor marchese. Ma è mio dovere ricordarle che la polizza sulla diga non è tutta a carico vostro, ma anche a…
- A carico dello stato- disse voltandosi il marchese – giusto?
Belotti annuì nervosamente.
- Per fortuna ci capisco ancora qualcosa – aggiunse il marchese sorridendo – vero, Belotti?
Il tono gioviale lo mise in profondo imbarazzo, si limitò ad annuire di nuovo nella maniera più ossequiosa possibile. Il marchese si rimise alla sua scrivania scivolando come un felino.
- Vede Belotti, come saprà io viaggio molto.
Belotti annuì con il solito nervosismo.
- E viaggiare apre la mente, espande gli orizzonti.
- Si, signor marchese.
- Io appartengo ad un’antica famiglia, nemmeno io conosco alla perfezione il mio albero genealogico, forse nemmeno mio padre lo conosceva…se lo ricorda mio padre, Belotti?
- Io devo tutto a suo padre, signor marchese, io sono figlio di contadini, è stato lui a farmi studiare!
Per un attimo Belotti era uscito dal suo angusto confine, il ricordo del marchese Ferdinando Francesco Quarini da Serravalle lo aveva acceso, gli aveva reso la luce nello sguardo. Impiegò poco però a capire che il suo era stato uno sbaglio. Il marchese infatti lo fissava, il suo sorriso si era ritirato e il suo sguardo si era fatto inquisitorio.
- Le chiedo umilmente scusa, signor marchese, ho parlato con un trasporto che non si…
Una risata interruppe Belotti, il quale nel vedere ridere il marchese si mise a ridere anche lui, sudando e con il cuore che gli batteva forte.
- Scusarsi? Ma lei Belotti mi riempie di gioia!
Belotti annuì come se fosse colpito da una scarica elettrica.
- Mio padre è nel cuore di tutti, e sarà sempre così!
Il marchese si alzò dalla sedia per sedersi sulla scrivania.
- È stato mio padre a voler far studiare i figli dei mezzadri e sempre lui a bonificare tutti i territori che vanno verso il mare, dove la povera gente moriva di malaria e di stenti.
La faccia di Belotti si face scura.
- Non mi morirono anche i suoi genitori di malaria, Belotti?
Lui annuì, senza nervosismi stavolta.
- Vede Belotti – disse il marchese alzando il ginocchio destro per poi afferrarlo con entrambe le mani – la generosità della mia famiglia ha reso grande questa terra una volta aspra. Ma i tempi stanno cambiando e anche noi dobbiamo cambiare con loro.
- Certamente, signor marchese.
- Nel mio ultimo viaggio al meridione ho notato che tutti i miei eguali hanno portato avanti un'unica strategia, cioè la tesaurizzazione.
Il marchese si alzò e iniziò a camminare per la stanza sgranchendosi le gambe.
- Alcuni mesi fa sono stato al nord, e lì invece quelli come me hanno sposato la causa dell’innovazione.
Belotti cercava di capire dove il marchese volesse arrivare, temendo il peggio.
- E mi sono domandato: “ma noi del centro, in che direzione dobbiamo andare?”
- Non lo so, signor marchese.
Il marchese sorrise e avvicinandosi a Belotti disse:
- La nostra strada è la speculazione.
Belotti rimase immobile come se una belva feroce lo stesse puntando.
- Nelle mie farneticazioni improduttive ho pensato: “quanto potrei riscuotere di premio assicurativo se la diga venisse giù e danneggiasse i miei possedimenti?”
- Seicentomila lire, signor marchese- rispose Belotti muovendo sole la bocca, come se il resto del suo corpo fosse murato.
- Bravo Belotti! – esclamò il marchese indicandolo con l’indice destro- e mi dica, quanto possono valere i miei possedimenti?
Belotti abbasso la faccia avvicinando il mento allo sterno, poi rispose:
- La sua magione e i campi possono valere centomila lire. Con le case dei mezzadri potremmo arrivare a perdere centocinquantamila lire.
- Belotti, voi siete troppo buono! Le case dei mezzadri valevano questa cifra quando mio padre faceva manutenzioni e interventi edili, ma ora non varranno più di trentamila lire.
Belotti si sentì morire, il marchese annusò la sua paura e ne trasse un godimento simile ad un orgasmo.
- Belotti lei come immagino si terrà aggiornato, immagino, sull’annosa questione meridionale?
Belotti annuì.
- Sa dirmi quanto vale un bracciante lucano?
- Intende quanto deve essere retribuito?
- Si, quanto vale, Belotti.
- Non saprei dire…
- Un bracciante lucano vale un terzo di quelli nostrani.
Belotti sentì il conato salirgli dallo stomaco.
- Vede, io nel mio fantasticare ho pensato ad una tragedia, d’altronde le tragedie succedono, vero Belotti?
Belotti non rispose.
- Mettiamo che il fiume esondi a causa della diga che non regge la pressione dell’acqua, e che oltre che il grano spazzi via anche le povere case dei miei mezzadri. Io avrei il cuore distrutto da tanta sciagura, ma le mie tasche sarebbero decisamente più gonfie, molto di più a raccogliere il grano che vede la fuori.
- Ma signor marchese…
- E poi, in fondo, non siamo tutti italiani? Non sarebbe bello rimpiazzare i nostri mezzadri, ormai stanchi e sfibrati, con dei mezzadri nuovi?
- Signor marchese, io…
- Già, veniamo a lei, Belotti!
La faccia del marchese si avvicinò a quella di Belotti come il muso di un aspide si avvicina al topo che sta per mangiare.
- Lei metterà in pratica le mie fantaticherie, e lo farà con la precisione e la serietà che la contraddistingue. Lei farà tutto questo per me e lo farà impegnandosi al massimo, ma soprattutto stando zitto con tutti, mezzadri in primis.
La faccia del marchese si allontanò da quella cadaverica di Belotti, poi riprese dicendo:
- Hanno dodici e dieci anni i suoi figli?
Belotti annuì cercando di domare il tremito.
- Ho già sottoscritto per loro le spese di trasferimento a Torino per le scuole superiori e se saranno bravi per gli studi universitari. Naturalmente avranno vitto e alloggio pagati e anche dei vestiti che si addicano alla città.
Il petto di Belotti accusò una fitta.
- Se li immagina, Belotti…due dottori. - disse il marchese avvicinandosi alla finestra. - Un giorno titoli come marchese, conte o barone non varranno nulla, ma un dottore è per sempre.
La testa di Belotti girava al punto che rischiò di svenire.
- Voglio che entro giugno si tutto fatto, pensi lei a tutto.
Belotti si inchinò capendo che doveva andare.
Mentre il marchese scriveva alla sua amante francese dandole appuntamento nella sua villa sul Tirreno per giugno, Belotti piangeva accarezzando il grano ancora tenero cercando di non pensare ai mezzadri e le loro famiglie.