Esercizio numero tre

Sezione nella quale si svolgono gli esercizi previsti da questa iniziativa.
Giovanni p
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Giovanni p »

riflessivo

La situazione non mi piace per nulla, devo pensare velocemente a una soluzione, ma non sembra che si possa porre rimedio a una ruota che ormai non c’è più. Le uscite sono lontane e su questa strada maledetta non ci sono possibilità di accostare senza rischiare di farsi ammazzare dai camion. Sento l’ansia che mi assale, il sudore freddo che mi esce dalla pelle e la testa mi gira.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Gaetano Intile »

L’aria fredda del primo meriggio odorava di terra bagnata, il cielo novembrino s’apriva e chiudeva a tratti, per specchiarsi sulla superficie immobile di un mare color dell’olio.
Da ore il convoglio avanzava indolente lungo le curve boscose della costa, precipitate in mare da altri dirupi scoscesi, e quasi a ogni stazione si fermava ad attendere il transito delle coincidenze in senso inverso, oltre a servire i pochi viaggiatori. (questa è una sequenza descrittiva)
A San Giovanni di Chiomonte, un centinaio di case variopinte abbarbicate a un’erta rocciosa, l’unico passeggero a scendere fu un uomo sulla quarantina. (qui inizia quella narrativa introduttiva)
Il viaggiatore attraversò i binari, le spalle alla lunga distesa di silicio chiaro su cui incessante sciabordava il mare, e si guardò intorno senza scorgere anima viva, all'infuori del capostazione e di un uomo seduto sopra una panchina, sotto una grande palma mezza divorata dal punteruolo rosso.(qui termina l'introduzione, ho tentato di velocizzare il ritmo per catturare l'attenzione del lettore.)
Si avviò verso l’uscita con un piccolo trolley a passeggio, con un sobbalzar e strisciar a ogni passo sull’asfalto ormai disfatto della banchina, e un borsone a tracolla: ebbe l'impressione d’esser capitato in uno di quei luoghi deserti che si incontrano, a volte, nelle pellicole americane quando, con la solitudine del paesaggio, il regista suggerisce quella personale, intima, del protagonista. (rallento il ritmo sin quasi a fermarlo con questa sequenza riflessiva)
(Provo a riacquistare velocità con i dialoghi) Prima di varcare il cancello macchiato da oleosi ovali di ruggine, sì numerosi da formare un’immaginaria pittura a pois, l’uomo sotto la palma sfilò di malavoglia la sigaretta sospesa tra le labbra e si alzò. «Proprio a lei stavo aspettando» disse al viaggiatore.
La voce si elevò sicura, quanto la figura massiccia interposta di proposito, tra il viaggiatore e l'uscita, a rappresentare un confine, invalicabile.
S’aggiustò il cavallo dei pantaloni con l'aiuto della sinistra, e le labbra si distesero in un sorriso che pareva di benvenuto.
L'uomo, sulla cinquantina e di statura media, aveva un viso largo e squadrato, ampie narici in un naso porcino, la fronte bassa e quasi nascosta dai folti capelli crespi. Indossava pantaloni blu scuro e, sopra la camicia bianca, un maglione almeno d'una taglia in meno, d'un celeste sbiadito, col logo d’una azienda in evidenza sul davanti, così stretto da stimolare l’immagine d’una camicia di forza. (costringo il lettore ad accelerare con questa descrizione)
«Veramente io non la conosco» replicò il viaggiatore, stupito invece che stizzito.
Ne approfittò, con la mano libera, per sistemarsi alla bell’e meglio la sgualcita camicia di flanella a righe dentro ai frusti pantaloni di velluto a coste.
«Se è per questo, non c'è bisogno di conoscersi» spiegò l’uomo con il maglione azzurro, mentre il treno sferragliando riprendeva pigra la corsa verso occidente.
«Quindi io non devo dirle nulla?» Domandò.
Abbandonata la maniglia del trolley iniziò a raspare il largo mento nascosto dalla folta barba grigia, con il pollice e l'indice insieme, come se fosse sopra pensiero.
«Lei mi ha già detto tutto» fece l'autista.
Confortato dalla sua sicurezza militare uscì una chiave dalla tasca dei pantaloni e indicò il grande bus fermo nel piazzale.
«Quello è l’unico mezzo per salire al paese» provò a chiarire al viaggiatore, «e visto che lei è l'unica persona scesa dal treno, io e questo bus» e lo indicò, per poi con la mano seguire i tornanti in lontananza, dipingendo spirali nell’aria ferma della sera, e fermarsi là dove si trovava l'abitato di San Giovanni «proprio a lei stavamo aspettando. A meno che non abbia intenzione di proseguire a piedi, o di aspettare il prossimo treno.»
E provò a incrociare gli occhi del viaggiatore, per cercarvi dentro la risposta che aveva detto di non aspettare.
Il viaggiatore scosse la testa, arricciò le labbra e infine si decise a replicare: «O forse potrei aspettare qualcuno, non crede?»
L'uomo rimase spiazzato dalla possibilità imprevista d'aver preso un granchio, ritrasse la mano che aveva lasciato pencolare a mezz'aria con la sigaretta a fumare tra le dita, balbettò delle scuse e si mosse, con l’intenzione di far dietrofront e tornare alla sua panchina. (provo ancora ad accelerare con una sequenza narrativa)
«Ma, dopotutto, nessuno verrà a prendermi» si corresse il viaggiatore. «Però non devo andare a San Giovanni, ma a Montefosco» e, con un gesto veloce, si sistemò la pesante montatura colorata scivolata sul dritto del naso fino a fermarsi sulla sua punta aguzza.
Cosicché, quando gli occhiali si trovarono al loro posto, le lenti ne allargarono a dismisura gli occhi castani e sporgenti da miope.
«È il mezzo giusto» si limitò ad aggiungere l'autista, solo per breve tratto immusonito.
E sfoderò un gran sorriso, soddisfatto per in fondo aver avuto ragione.
Senza aggiungere altro s’incamminò verso il pullman, fermo a occupare gran parte del piazzale — stretto tra la montagna e la stazione —, che il debole sole di novembre, quasi a metà della sua breve corsa sulla celeste ellisse dell'eclittica, faticava a rendere lustro per intero.
Il viaggiatore si avviò insieme a lui, seppur un passo indietro.
Aveva il portamento leggermente curvo e le spalle flesse, tuttavia avrebbe sbagliato chi avesse accostato tale pesantezza a un temperamento malinconico. (per un momento costringo il lettore a fermarsi
Basta a volte la sola consapevolezza a piegare una schiena dritta. (Qui costringo il lettore a fermarsi e a riflettere su chi sia in realtà il viaggiatore. Riprendo poi a trottare con i dialoghi.)
«Le valigie dove le metto?» Chiese il viaggiatore, quando fu a un metro dal mezzo, azzurro come il maglione del suo autista, e con una linea bianca ad attraversarlo da capo a coda.
«Le salga con lei» concesse con leggerezza, quasi fosse una Grazia.
Il bus aveva un aspetto antiquato e sembrava anche malmesso, sebbene sul lunotto campeggiasse solenne l'eroica proposta al pubblico acquirente: dalla Sicilia alla Germania in sole 24 ore.
L’autista montò su per primo e, per un attimo, lo sguardo si posò sulla calvizie incipiente dell'altro, ad allargargli la fronte, solcata da tre profonde rughe parallele.
«Non devo andare in Germania» scherzò il viaggiatore, e si sistemò insieme al bagaglio nella prima fila disponibile.
L'autista sorrise. «Allora la lascio nella piazza di Montefosco, così posso tornarmene a casa» fece, ricambiando lo scherzo con una battuta.
Prese posto al volante e chiuse la porta a soffietto, armeggiò con una macchinetta, che pareva uscita da un documentario Luce: ci picchiettò sopra, le dita a pigiare antiquati tasti metallici, di scoloriti gialli e aranci: staccò il biglietto, d'una carta inconsistente simile alla velina, e gli porse il foglietto in cambio d’un paio di monete.
Il viaggiatore ringraziò e, per abitudine, cercò un riscontro del prezzo sul biglietto, girato da parte a parte senza invero notare nulla, sia nel dritto che sul rovescio, a parte un imbarazzante candore uniforme.
Ebbe appena il tempo di sistemarsi, e il bus prese ad affannarsi per un'acchianata stretta e ripida alla fine della quale la strada si slargava in un viadotto rettilineo che attraversava le lattiginose acque d'una grande fiumara: San Giovanni, indicava al suo inizio un cartello mezzo a sghimbescio. Dopo un breve tratto sul piano il pesante automezzo riprese a inerpicarsi, poco più che a passo d'uomo, e a virare a destra e a manca sulla provinciale tutta curve, aggrappata alla montagna quanto la fitta vegetazione.
«Le piace ascoltare canti religiosi?» Si permise il viaggiatore, dopo qualche chilometro d'arrampico solitario, mentre, in sottofondo, un coro di voci bianche intonava un Signore pietà, Cristo pietà.
«È l’unica stazione radio che si piglia da queste parti» gli venne subito da rispondere, e lo fece come se fossero delle scuse.
L'uomo attaccò l’ennesimo tornante ruotando la corona del volante, sovrappose respiri affannosi a un incrociare vorticoso di braccia, in un senso e poi, ormai sul rettilineo, nell’altro, fino a quando le ruote non si raddrizzarono del tutto.
«Teleradiosanmichele» aggiunse, quando le razze del volante ritornarono parallele al cruscotto.
Con una vocettina resa sottile dallo sforzo continuò: «L’ha fondata il nostro amato don Lorenzo, l'arciprete Diologuarda, da che saranno... una cinquina d’anni; coi tempi ca passanu! Eh... si ci deve accontentare, e non solo per la pace dell’anima.»
Non riuscì, oppure non volle, trattenere un sarcasmo amaro, in ogni caso troppo spontaneo per essere bugiardo.
Dopo un paio di curve la curiosità lo ridestò: «Lei è forestiero?»
Sembrava una domanda, ma non lo era.
Il viaggiatore mormorò qualcosa, che si perse nello scoppiettare del clacson.
«Ma l’aria del turista non ce l’ha» e abbassò il volume della radio, per riuscire ad ascoltare la risposta.
«No, infatti.»
«E d'altra parte, di turisti non ne vengono assai qua, a Montefosco; anzi, quasi per niente. In novembre poi… Allora saranno affari» provò.
«A Montefosco di persone ne arrivano parecchie? Per affari voglio dire.»
Nello spostare l'accento sulla sillaba tonica di ogni parola non riuscì a nascondere l’inflessione piemontese.
L’autista si voltò e sbuffò, infastidito per l'aria di sufficienza con cui l'altro aveva formulato la domanda.
«Non creda… Ma vengono, vengono sa? Però nessuno che non conosca già. Anche se, a volte...» e s’interruppe, come se, all’improvviso, fosse stato folgorato da un pensiero che all'improvviso sbriddiò l'oscurità.
«No, sono sicuro, a lei mai l’ho vista» si persuase, e tirò fuori il telefonino dal portaoggetti sopra la radio, per iniziare a giocherellarci.
«Vengo per un morto» si decise a spiegare il viaggiatore, e cercò di cogliere l’espressione dell’altro dallo specchietto retrovisore, mentre il bus procedeva, tra un voltare e l’altro, in mezzo a un fitto castagneto dalle fronde coperte da ricci già aperti, tanto numerosi da sembrare uno di quegli stormi infiniti che riposano sui rami prima di riprender il passo.
Montefosco si svelò all'improvviso. Un nido d’aquile, grigio e compatto, adagiato a cavallo d'una sella rocciosa inclinata a settentrione a contemplare la sterminata lastra d'argento vivo del mare, e circondato da ogni dove da un’immensa e arcigna solitudine.
Da lontano pareva che la modernità l'avesse solo sfiorato; al centro dell’abitato, fitto di tetti rossi, si ergeva il castello, salvatosi da interventi molesti, inserito in un contesto coerente dove le costruzioni, persino le più recenti, ritrovavano, nell'apparente disorganicità della pietra grigio bruna delle facciate, o nel carminio variegato dei coppi di coccio dei tetti, una vetusta e uniforme grazia, sublimata verso il cielo dall'amaranto delle guglie arrotondate d'una decina d'antichi campanili.
A guardare Montefosco da quella distanza s’aveva l’idea d'una compiuta armonia e che vi si potesse vivere in una serenità tale da non essere turbata mai, da nessun accidente.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Gaetano Intile »

Roberto ha scritto: 28/03/2023, 16:24 ...ogni racconto può dividersi in sequenze. E le sequenze sono, in via generale, la narrativa, la descrittiva, la dialogica, l'argomentativa e la riflessiva

Kyrie Eleison

- inizio con alternanza descrittiva e narrativa (paesaggio + azione) fino alla prima frase in discorso diretto
CAMBIO DI SEQUENZA
- inizio parte centrale, misto dialogico, descrittivo, argomentativo (scambio frasi/descrizione due interlocutori nel contesto/possibilità del "granchio")
-chicca/gioiello dell'incipit, una delle pochissime incursioni, riflessive, della voce narrante: "Basta a volte la consapevolezza a piegare una schiena dritta". Questo è un vero e proprio stop che costringe il lettore a fermarsi. Come del resto "sembrava una domanda ma non lo era"
-il testo prosegue con ancora una sapiente, mi sembra, alternanza di dialogico e narrativo
-lumga sequenza descrittiva finale a rallentare: lo scopo è, per me, fornire elementi utili per il prevedibile, prossimo cambio di scena.

In generale, ho intercettato almeno due periodi che potrebbero essere estrapolati senza che il racconto ne risenta se non, appunto, per il ritmo:
-cosicche, quando gli occhiali...
-l'autista monto su per primo...

Io ci ho provato.
Ciao, Roberto. Le sequenze o sono una cosa o un'altra. Dopo il punto e a capo possono cambiare. Ho provato a esaminare il mio incipit prima di questo commento.
Hai capito il meccanismo, è quel che conta. Saper intercalare le sequenze conferisce ritmo alla narrazione, questo è, a mio avviso l'essenziale.
Curioso di leggere un tuo incipit di romanzo se ti va.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Gaetano Intile »

Giovanni p ha scritto: 28/03/2023, 16:54 riflessivo

La situazione non mi piace per nulla, devo pensare velocemente a una soluzione, ma non sembra che si possa porre rimedio a una ruota che ormai non c’è più. Le uscite sono lontane e su questa strada maledetta non ci sono possibilità di accostare senza rischiare di farsi ammazzare dai camion. Sento l’ansia che mi assale, il sudore freddo che mi esce dalla pelle e la testa mi gira.
Ciao, Giovanni.
Sulla sequenza dialogica ti ho risposto. Spero vorrai riconsiderarla.
Come riflessiva questa va bene. È abbastanza intima. Con Roberto abbiamo fatto un gioco con un mio incipit, Kyrie Eleison. Indicare quali sono le sequenze. Almeno le principali. Se hai un incipit tuo, di un romanzo intendo, e hai voglia di condividerlo, potremmo analizzare le sequenze. Con calma, nessuno ci assicuta, volevo dire insegue, ogni tanto mi scappa l'idioma originario.
Robennskii
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Robennskii »

Signor Albero

Ci sono cose che non avremmo mai voluto dire. Che non le hai finite di pronunciare e già appaiono per quel che sono: la più ingiusta condanna per chi le riceve, il perenne tormento per noi.

Erano passati tanti, troppi anni da quando suo padre lo aveva guardato negli occhi con l'espressione di chi, ferito a morte da una mano amica, si accascia al suolo. Che poi Gabriel avesse avvertito il rimorso attanagliargli il petto all'istante, era servito a ben poco. Anzi, seppe da subito che, un giorno, avrebbe ricordato quel momento come il peggiore della sua vita, quello in cui aveva smesso di sentirsi giovane per fare l'ingresso nella "società degli adulti".

Perché se non impari a essere un po' carogna, in quel mondo lì non ci puoi entrare per davvero.

"Buonasera Papi, stanotte sto io con te."

Gabriel non riuscì a trattenere un mezzo sorriso vedendola muoversi, con fare esperto, intorno al suo letto. Per Mercedes, tutti i vecchi erano "Papi" e a nessuno faceva mancare una carezza, così delicata che non te l''aspetteresti da una mano tozza come un bigné.

Gabriel la guardò con gli occhi velati dalle lacrime. Quella donna aveva cuore e lui aveva imparato, nella sua lunga esistenza, a riconoscere il sottile profumo della bontà anche in mezzo a una catasta di carcasse imputridite.

Sollevò il braccio verso la finestra, indicando fuori. Mercedes si voltò:

"Che c'è, Papi? Vuoi che te lo saluti?"

Gabriel, annuendo, segui quel corpo rotondo quasi fosse un delfino che si slanciava verso l'alto.

L'infermiera si affacciò e, scandendo bene le parole, pronunciò un deciso:

"Buongiorno, Signor Albero!"
Ultima modifica di Robennskii il 30/03/2023, 7:28, modificato 2 volte in totale.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Gaetano Intile »

Roberto ha scritto: 29/03/2023, 17:08 Signor Albero

Ci sono cose che non avremmo mai voluto dire. Che non le hai finite di pronunciare e già appaiono per quel che sono: la più ingiusta condanna per chi le riceve, il perenne tormento per noi. (Beh, inizi con una riflessione. Quindi fermi tutti, qui parlo io)

Erano passati tanti, troppi anni da quando suo padre lo aveva guardato negli occhi con l'espressione di chi, ferito a morte da una mano amica, si accascia al suolo. Che poi Gabriel avesse avvertito il rimorso attanagliargli il petto all'istante, era servito a ben poco. Anzi, seppe da subito che, un giorno, avrebbe ricordato quel momento come il peggiore della sua vita, quello in cui aveva smesso di sentirsi giovane per fare l'ingresso nella "società degli adulti". (Poi decidi di velocizzare e spiegare al lettore la siturazione con una narrativa introduttiva)

Perché se non impari a essere un po' carogna, in quel mondo lì non ci puoi entrare per davvero. (Di nuovo costringi il lettore a fermarsi e ad ascoltare... riflessiva)

"Buonasera Papi, stanotte sto io con te." (Dialogica)

Gabriel non riuscì a trattenere un mezzo sorriso vedendola muoversi, con fare esperto, intorno al suo letto. Per Mercedes, tutti i vecchi erano "Papi" e a nessuno faceva mancare una carezza, così delicata che non te l''aspetteresti da una mano tozza come un bigné.

Gabriel la guardò con gli occhi velati dalle lacrime. Quella donna aveva cuore e lui aveva imparato, nella sua lunga esistenza, a riconoscere il sottile profumo della bontà anche in mezzo a una catasta di carcasse imputridite.

Sollevò il braccio verso la finestra, indicando fuori. Mercedes si voltò: (Una lunga sequenza narrativa ci mostra Gabriel, il protagonista.)

"Che c'è, Papi? Vuoi che te lo saluti?"

Gabriel, annuendo, segui quel corpo rotondo quasi fosse un delfino che si slanciava verso l'alto. (questa è una sequenza narrativa di epilogo, potremmo dire.)

L'infermiera si affacciò e, scandendo bene le parole, pronunciò un deciso:

"Buongiorno, Signor Albero!"
Non è un incipit, ma un magnifico corto. Hai del talento per questo genere di racconto. Provo a indicare le sequenze in calce a loro stesse.
Io sono la prolissità fatta persona, con me i corti muoiono di stenti lungo il tragitto.
Grazie, Roberto.
Pecci Gabriele
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Pecci Gabriele »

-Ecco ci risiamo, ancora con sta storia?

Sembri quei testimoni di Geova, catechizzi anche i muri ormai, non ci riesci proprio a ficcartelo in testa vero?-

- Dai te lo ripeto per l'ultima volta su, l'ultima volta e poi basta, ascolta dai che ci siamo quasi...-

- Ascolta dice lui!, Ascolta...ascolta tu piuttosto, si può sapere cos'è che ci ricavi con sta roba? Ci paghi l'affitto forse?-

-Ci ricavo quello che ogni uomo vorrebbe, il rispetto, cosa che ti risulta difficile da capire, d'altronde da una che orienta ancora le sue giornate in base all'oroscopo serale, ho sentito che ultimamente Giove coincide su Saturno, mi sa che piove stasera...-

-Sfotti, sfotti...sfotti pure, almeno loro ci prendono però non ti pare...no? Oggi dicevano giornatina difficile....Cazzo mai cosa più vera... capisci...non c'è la faccio più...mi fai scoppiare il cervello con tutti sti...perché... , perché qui, perché là...perché poi... e sovrapponi questo a quello....e poi è così... e... PIM pum PAM.... facile...e come no! si capisce tutto figurati...e poi dopo arriva il meglio.... il pezzo forte... quando attacchi con la meccanica... e la meccanica fa...e la meccanica dice....la meccanica...te, che l'unica meccanica che conosci è quella che ti manda al cesso, ma fammi il piacere và!

Ma cos'è che sai è? cos'è che speri di sapere te?-

- Non è importante sapere, è importante comprendere quello che si sa! Dai vediamo se hai colto bene quello che ti ho detto prima che se no te lo rispiego!-

- Ma se non ci capisci niente nemmeno te su...comunque no, lascia stare dai... risparmia il fiato...vatti a riposare...fa' conto che non ti ho detto NULLA-

-Ohhh ma è proprio lì che ti volevo portare, è tutto lì il concetto! Vedi che se lo vuoi lo capisci anche te...

Perché se noi..... allora dopo...... sul valore dell'Entanglement....si sovrappone il fattore.... intrensico con...-

- CHIARO no?-


- CRISTALLINO-.
Ultima modifica di Pecci Gabriele il 30/03/2023, 14:03, modificato 4 volte in totale.
Pecci Gabriele
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Pecci Gabriele »

-3 ...2....1_____________ non sento più nulla, secondo molti dovrei perdere ora i miei 21 grammi... almeno quelli. E ora? Morte e rinascita ? Dovessi scegliere sceglierei una donna con una quinta di petto, almeno risparmio il tempo di divermele andare a cercare altrove.

Non vedo tunnel, comunque se può interessare quello laggiù mi pare proprio, si... caspita devo dire che sono seriamente sorpreso, direi quasi imbarazzato, credetemi se vi dico che non l' avrei mai detto, ma... un elefante arcobaleno scuro che balla in verticale sulle zampe di un gorilla albino, non penso sia una scena così scontata voi che dite? Mi chiedo cosa avrebbe significato questo per Froid.

Se volete una mia opinione, è tutta una farsa, tutto un circo, siamo solo biglie roteanti su sé stesse, ma almeno ho vinto la scommessa, ho puntato tutto sulla fisica, peccato non poterglielo dire.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Gaetano Intile »

Pecci Gabriele ha scritto: 30/03/2023, 11:39 -Ecco ci risiamo, ancora con 'sta storia

Sembri uno di quei testimoni di Geova, catechizzi anche i muri ormai, non ci riesci proprio a ficcartelo in testa vero?-

- Dai, te lo ripeto per l'ultima volta, su, l'ultima volta e poi basta, ascolta dai, che ci siamo quasi.-
- Ascolta dice lui! Ascolta... ascolta tu piuttosto, si può sapere cos'è che ci ricavi con 'sta roba? Ci paghi l'affitto forse?-
-Ci ricavo quello che ogni uomo vorrebbe, il rispetto, cosa che ti risulta difficile da capire, d'altronde da una che orienta ancora le sue giornate in base all'oroscopo serale... ho sentito che ultimamente Giove è congiunto a Saturno, mi sa che piove stasera...-
-Sfotti, sfotti... sfotti pure, almeno loro ci prendono però non ti pare... no? Oggi dicevano giornatina difficile....Cazzo, mai cosa più vera... capisci... non ce la faccio più... mi fai scoppiare il cervello con tutti 'sti... perché... perché qui, perché là... perché poi... e sovrapponi questo a quello....e poi è così e PIM pum PAM.... facile, come no! Si capisce tutto figurati, e dopo arriva il meglio... il pezzo forte, quando attacchi con la meccanica; la meccanica fa, e la meccanica dice... la meccanica, te che l'unica meccanica che conosci è quella che ti manda al cesso la mattina, ma fammi il piacere và!
Ma cos'è che sai, eh? Cos'è che speri di sapere, te?-
- Non è importante sapere, è importante comprendere quello che si sa! Dai, vediamo se hai colto bene quello che ti ho detto prima, che sennò te lo rispiego!-
- Ma se non ci capisci niente nemmeno te su... comunque no, lascia stare dai, risparmia il fiato, vatti a riposare... fa' conto che non ti ho detto NULLA.-
-Ohhh, ma è proprio lì che ti volevo portare, è tutto lì il concetto! Vedi che se lo vuoi lo capisci anche te... Perché se noi... allora dopo... sul valore dell'Entanglement si sovrappone il fattore.... intrinseco con... CHIARO no?-
- Direi CRISTALLINO-.
Ho dato una sistemata, Gabriele. I vocativi, mi raccomando. Dopo un Dai, Eh, Su, Te, Tu, o i nomi propri se si compie l'atto di chiamare, di vocare appunto, va la virgola.
Ottimo racconto, frizzante e tutto dialoghi come avevo chiesto. Bel lavoro. Ho visto che Roberto ha postato il suo su BA. Perché con questo non ci partecipi alla gara stagionale? Cristallino.
Bravo.
Robennskii
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Re: Esercizio numero tre

Messaggio da Robennskii »

Ciao Namio. Sì, ho pensato che un esercizio, se svolto bene, può diventare un bel manifesto per questa magnifica iniziativa. Da cui l'aggiunta del link all'Officina.

E allo stesso tempo, diventa uno stimolo per noi a dare il massimo qui.

Scusa la digressione, mi scuso anche con gli altri colleghi. Riprendiamo le lezioni.
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