Condizioni elementari di una sequenza narrativa

"Officina" come luogo, dove si può imparare a capire cos’è un racconto, dove poter apprendere le tecniche costruttive della narrazione, almeno le più elementari.
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Condizioni elementari di una sequenza narrativa

Messaggio da Gaetano Intile »

Rimane da stabilire quali siano le condizioni elementari per cui una sequenza discorsiva possa essere definita narrativamente rilevante…
Anche senza ricorrere alla distinzione già proposta tra narrativa naturale e artificiale si potrebbe accettare come definizione di una narrativa rilevante e coerente la seguente, che riassume una serie di condizioni proposte da van Dijk nel 1974: una narrazione è una descrizione di azioni che richiede, per ogni azione descritta, un agente, una interazione con l’agente, uno stato o mondo possibile, un mutamento, con la sua causa e il suo proposito che lo determina; a questo si potrebbero aggiungere stati mentali, emozioni, circostanze; ma la descrizione è rilevante se le azioni descritte sono difficili e solo se l’agente NON ha una scelta ovvia circa il corso delle azioni da intraprendere per cambiare lo stato che non corrisponde ai propri desideri; gli eventi che seguono questa decisione NON devono essere inattesi e alcuni di essi devono apparire inusuali o strani. È chiaro che una serie di requisiti del genere esclude dal novero dei testi narrativi delle asserzioni quali:

Ieri sono uscito di casa per andare a prendere il treno delle 8.30 che arriva a Torino alle dieci. Ho preso un taxi che mi ha portato alla stazione, qui ho acquistato il biglietto e mi sono recato al binario esatto. Alle otto e venti sono salito sul treno, che è partito in orario e mi ha condotto a Torino all’ora stabilita.

Di fronte a qualcuno che narra una storia del genere ci chiederemmo come mai ci faccia perdere tanto tempo violando la prima massima conversazionale di Grice, per cui non bisogna informare più del richiesto.
Tuttavia, gli elementi elencati da van Dijk sono forse eccessivi.
Mi spiego. Il Primo libro del Genesi racconta indubbiamente una storia in cui avvengono mutamenti di stato, a opera di un agente fornito certo di chiari propositi, il quale attivando cause ed effetti compie azioni di rara difficoltà che non costituivano una scelta del tutto ovvia. Ma nessuno potrebbe dire che gli eventi conseguenti all’azione risultavano inattesi, strani o inusuali all’agente stesso, perché egli sapeva perfettamente cosa sarebbe accaduto quando diceva: “Fiat Lux”o quando separava la terra dalle acque. Eppure sarebbe difficile negare che il rapporto del Genesi sulla creazione dell’universo sia in sé un bel pezzo di narrativa.
Si potrebbero pertanto restringere i requisiti fondamentali di una sequenza narrativa a quelli proposti da Aristotele nella sua Poetica: dove è sufficiente individuare un agente (non importa se umano o non), uno stato iniziale, una serie di mutamenti orientati nel tempo e prodotti da cause, sino a un risultato finale (non importa se interlocutorio o definitivo). Non aggiungeremo che l’agente, a seguito delle azioni, subisca un mutamento di fortuna, passando dall’infelicità alla felicità o viceversa.
Mantenendo una serie così ridotta di requisiti potremmo arrivare a dire che anche la descrizione delle operazioni necessarie alla produzione di litio data da Peirce sia un brano di narrativa.
A ogni modo, questa serie di requisiti minimi consente di individuare un livello di narrativa anche in testi che apparentemente narrativi non sono.
Prendiamo l’incipit dell’Etica di Spinoza.

Per causam sui intelligo id cuius essentia involvit existentiam: sive id cuius natura non potest concipi nisi existens.

Si possono ravvisare almeno due fabulae incassate. L’una riguarda l’agente (grammaticalmente implicito) e cioè |ego| intelligo (io comprendo), che compie l’azione di comprendere, e quindi passa da una situazione di conoscenza confusa a uno di conoscenza più chiara di cosa sia Dio. Da notare che se intelligo viene interpretato come capisco o riconosco, Dio rimane un oggetto non modificato dell’azione. Ma se con lo stesso predicato si intende Io voglio dire, allora l’agente, ego, istituisce attraverso l’atto della propria definizione il proprio oggetto come unità culturale, ovvero lo fa essere.
Questo oggetto è il soggetto della fabula incassata. È un soggetto che compie un’azione mediante la quale, per il fatto stesso di essere, esso esiste.
Pare che, in questa vicenda della natura divina, nulla accada, perché non vi è alcun lasso temporale tra l’attuazione dell’essenza (essentia) e l’attuazione dell’esistenza (existentiam). Né l’essere pare un’azione tale che attuandola si abbia l’esistere.
Tranquilli, si è scelto questo esempio proprio come caso limite.
In questa storia sia azione che decorso temporale sono a un grado zero (uguale a infinito). Dio agisce sempre automanifestandosi ed esiste sempre, sempre producendo il fatto che esiste per il fatto stesso che è. Poco, pochissimo, per un romanzo d’avventura, ma abbastanza perché si diano, a grado zero, le condizioni essenziali di una fabula. Troppe puntate, nessun colpo di scena, ma dipende anche dalla sensibilità del lettore. Il Lettore Modello di una storia del genere è un mistico o un metafisico, un tipo umano di cooperatore testuale capace di provare intense emozioni davanti a questa non vicenda che non cessa di stupirlo per il suo carattere singolarissimo. Per gli altri lettori non significa nulla. L’Amor dei Intellectualis è una fiera passione ed esiste l’inesausta sorpresa del riconoscimento della Necessità.
Se vogliamo, la fabula è così trasparente che riconduce a una vicenda immobile di puri attanti: e alla costituzione di una struttura di mondi con un solo individuo che possiede tutte le proprietà e a cui tutti i mondi possibili sono accessibili.
D’altra parte è sempre possibile avvicinare da un punto di vista di costruzione narrativa anche testi che non contengono alcuna fabula. È quello che in modo mirabile ha fatto Greimas nel 1975 analizzando un discorso non figurativo, cioè l’introduzione di Dumezil al suo Naissance d’Archange (saggio sulla nascita della teologia zoroastriana). Dove il testo scientifico non manifesta soltanto una organizzazione discorsiva, ma anche una organizzazione narrativa fatta di colpi di scena scientifici o accademici, lotta con gli opponenti, vittorie e sconfitte. È la storia della costruzione di un testo e della messa in opera di una strategia cui non mancano volontà persuasive, con un soggetto agente che alla fine pretende di personificare la Scienza stessa.
Suggerimento molto importante che può portarci a rileggere tutti i testi argomentativi come la storia di una battaglia persuasiva (a volte molto sottile) giocata e vinta. Almeno fino a quando un’analisi del testo non ne metta a nudo gli artifici.
Da Lector in Fabula di Umberto Eco, Bompiani.
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