Personaggi

Discutiamo qui dell'Analisi della struttura di un testo.
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Gaetano Intile
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Personaggi

Messaggio da Gaetano Intile »

a) Ruolo attanziale

— Se si può pensare a una narrazione senza azioni o avvenimenti, è impossibile pensare a un racconto senza protagonisti.
Secondo Propp e Todorov, ciò che finisce per contare nella logica narrativa è una linea evenemenziale in cui il personaggio si distingue e vive per il ruolo, la sfera d’azione, per il suo essere attante o agente.
Il grande formalista russo Vladimir Propp (1895-1970), nel suo Morfologia della fiaba (1928), ha sistematizzato le azioni dei personaggi in rapporto alle vicende narrate, giungendo alla conclusione che, al di là della loro condizione sociale e dei loro sentimenti, essi rivestono dei ruoli fissi.
Tali ruoli sono:
- eroe-protagonista: è il personaggio che fa muovere la storia e che è dotato di qualità positive;
- aiutante: colui il quale aiuta l’eroe a portare a termine la missione, spesso dopo averlo messo alla prova;
- mandante: chi affida all’eroe un compito;
- donatore: chi guida l’eroe, dandogli un dono magico;
- antagonista: è il personaggio, sempre negativo, che si oppone all’eroe creando tutta una serie di difficoltà per impedirgli di eseguire il suo compito;
- persona ricercata: premio amoroso finale per l’eroe.

— Riprendendo la sistematizzazione di Propp, il semiologo franco-lituano Algirdas Julien Greimas (1917-1992), fondatore della scuola semiotica di Parigi, elabora il cosiddetto modello attanziale, che visualizza i sei ruoli (attanti) fondamentali (a coppie di due) svolti dai personaggi in un racconto.
Va precisato che Greimas utilizza il termine attante (veicolato dagli studi semiotici e largamente adoperato da Eco nel suo Lector in Fabula) e non quello di personaggio perché a differenza dei personaggi, o meglio degli attori, che si trovano sul piano discorsivo e ricevono un 'riempimento semantico' più cospicuo avendo a che fare con la struttura narrativa più superficiale, gli attanti non corrispondono a elementi direttamente individuabili a partire dalla superficie del testo, dal modo in cui questo si presenta o da come appare organizzato a una prima lettura. Gli attanti sono infatti una sorta di nodi profondi dell'organizzazione narrativa, collegati all'idea che il modo in cui l'essere umano è in grado di 'fare del senso' si strutturi in forma essenzialmente narrativa, e che questa forma sia propria di ogni manifestazione testuale (dal romanzo alla musica, dal film al diritto, dalle arti plastiche alle pratiche quotidiane). Per questo motivo, poiché l'organizzazione attanziale rispecchia in un certo senso l'ipotesi che vi siano degli universali linguistici che si annidano nella struttura profonda dei testi, il loro numero è limitato. Diversamente, il catalogo degli attori risulta aperto, poiché gli investimenti tematici del piano discorsivo rispecchiano più da vicino la differente organizzazione e le peculiarità di ogni testo.
L'idea che gli attanti siano un catalogo chiuso viene a Greimas dagli studi sulla fiaba russa di Vladimir Propp, che aveva individuato una lista di funzioni narrative sempre necessariamente presenti nel corpus di testi che aveva analizzato. Partendo dalle trentuno funzioni proppiane originarie, Greimas riduce la lista a poco meno di una decina di tipi attanziali, quali ad esempio: Destinante/Destinatario, Soggetto/Oggetto, Aiutante/Opponente e così via. Risulta quindi che l'attante non è definito in maniera ontologica, rispondendo alla domanda Chi (o che cosa) è?, bensì in maniera relazionale o funzionale, rispondendo alla domanda Che cosa fa? Si intende che l'attante può essere umano o non umano, compiere un'azione direttamente o indirettamente (per mezzo di delegati), e in forma attiva o passiva (subendo l'azione altrui). Per fare un esempio, nella frase "il cane morde l'osso", il cane e l'osso non sono attanti ma attori, perché ricevono un investimento tematico definito. Gli attanti, che vengono presupposti dai termini 'cane' e 'osso', sono in questo caso un Soggetto (cane) e un Oggetto (osso). Possiamo immaginare che il Destinante che ha 'comandato' al cane di mordere l'osso sia la 'fame' o il 'gioco' o altro: a questo livello la convocazione tematica non ci interessa. I ruoli attanziali restano ben definiti al di là dell'attribuzione di caratteri discorsivi (attori, temi, figure) e nell'esempio citato sono un Soggetto, un Oggetto e, anche se non viene esplicitato nella frase, un Destinante (colui che dà impulso allo svolgimento narrativo).

I sei attanti principali, individuati a coppie, sono:
- il soggetto desidera un oggetto (cosa o persona o ideale);
- l’adiuvante e l’oppositore sono coloro che, con le loro azioni concrete, rispettivamente aiuteranno o ostacoleranno l’oggetto nel suo cammino verso l’oggetto;
- il destinanteè colui che, potendo esercitare un certo ascendente sull’oggetto, farà in modo di indirizzare l’oggetto verso il destinatario, il quale può essere il soggetto, l’oppositore o un altro personaggio.
La dinamica soggetto-oggetto sarà caratterizzata dal volere: per giungere
all’oggetto, egli si muoverà lungo l’asse del desiderio; il rapporto tra adiuvante e
oppositore si muoverà lungo l’asse del potere, mentre quello tra il destinante’0r e
il destinatario lungo l’asse della comunicazione (o partecipazione).
Un personaggio può quindi svolgere nella vicenda un ruolo di primo piano,
essere un personaggio protagonista, oppure rappresentare una parte
marginale di contorno, come personaggio secondario.
Per Greimas tutti i testi sono generati da strutture narrative organizzate in un percorso.
Ad esempio, il Soggetto (ruolo attanziale) protagonista (ruolo attoriale) si trova disgiunto da un Valore fondamentale nel contesto socio-culturale in cui opera. Dovrà quindi superare una serie di Prove per riuscire a ricongiungersi con l’Oggetto che incarna il Valore.
Questo percorso è organizzato secondo una struttura in cui si succedono quattro fasi distinte:
Contratto o manipolazione, dove qualcuno fa fare qualcosa a qualcun altro (in cui il Destinante convince il Soggetto (l’Eroe) a fare qualcosa con la minaccia, la seduzione, la convinzione, la promessa, ecc.
Competenza, in cui l’Eroe (il Soggetto) acquisisce la capacità di fare qualcosa, quindi si dota dei mezzi necessari per raggiungere lo scopo (Oggetto) tramite il volere o il sapere o il dovere o il potere o incroci tra questi mezzi.
Il voler fare e il dover fare si dicono modalità virtualizzanti, mentre il saper fare e il dover fare modalità attualizzanti. Non tutte le modalità sono tra loro compatibili.
Performanza, in cui il Soggetto (l’eroe) realizza l’intento. È la manifestazione della competenza acquisita durante le prove. E dunque si congiunge/ottiene l’Oggetto.
Sanzione, dove chi ha compito l’azione viene premiato o meno, o anche punito. Fase in cui il Destinante giudica se il Soggetto ha operato conformemente al contratto iniziale.




— Spesso al protagonista viene affiancato un altro personaggio che ha un ruolo pari al suo. I due personaggi principali possono essere legati tra loro da rapporti di solidarietà o di
antagonismo e questo permette di sviluppare un intreccio narrativo interessante.
All’estremo opposto del protagonista vi sono le comparse, cioè quei personaggi che stanno sullo sfondo del racconto con un ruolo passivo, e i cosiddetti personaggi cordicella (string character) che ricoprono un ruolo minore nello sviluppo della trama.

— b) La caratterizzazione del personaggio
Un personaggio è caratterizzato dall’essere, cioè l’insieme delle sue qualità, dal fare, l’insieme delle sue azioni, dal vedere, la prospettiva da cui osserva la realtà, dal parlare, gli atti linguistici di cui è soggetto (emittente) o oggetto (destinatario).
Di un personaggio, quindi, il narratore potrà evidenziare:
- i tratti fisici e anagrafici: età, aspetto fisico, modo di vestirsi, nome, nazionalità, luogo di origine;
- i tratti socio-economici: status sociale, livello culturale, posizione economica, modo di vivere;
- i tratti ideologici: concezione del mondo, visione politica, valori esistenziali;
- i tratti psicologici: carattere, comportamenti, qualità umane.
Per quanto concerne in particolare i tratti psicologici, il personaggio può essere ricondotto a diverse tipologie:
- personaggi a tutto tondo («round characters») o multidimensionali: sono personaggi (di solito i protagonisti) le cui caratteristiche non possono essere compendiate in un’unica espressione; il loro carattere si presenta come sfaccettato e imprevedibile (in positivo e in negativo), tanto che un personaggio è a tutto tonfo di solito stupisce il lettore;
- personaggi piatti («flat characters») o unidimensionali: sono personaggi (di solito i personaggi minori) i cui comportamenti sono prevedibili e le cui caratteristiche possono essere compendiate in un’unica espressione; sono inoltre privi di spessore psicologico;
- personaggi cinetici (o in evoluzione): sono personaggi che, nel corso della vicenda, subiscono un radicale mutamento (in positivo o in negativo). Tale mutamento porta a rilevanti trasformazioni comportamentali.
- personaggi statici: sono personaggi che, nel corso della vicenda, non subiscono mutamenti e le cui caratteristiche rimangono immutate. La staticità non ha a che fare con i tratti psicologici (un personaggio statico può avere degli sbalzi d’umore o di comportamento), ma con i mutamenti profondi.
La loro presentazione può essere:
— Diretta, quando il personaggio viene presentato per via dialogica o dalla voce narrante;
— Indiretta, quando le informazioni relative al personaggio sono ricavate dalle sue azioni o dai suo pensieri o addirittura sono dedotte dal lettore.

— c) La costruzione del personaggio
Il personaggio è una creatura del narratore: è lui a decidere i suoi tratti, è lui a decidere quali strategie adottare per farlo essere ed agire.
Studiare la modalità con cui il narratore costruisce il personaggio è di estrema importanza per l’analisi narrativa.
Showing e Telling
Che un personaggio venga presentato dal narratore, da un altro personaggio o che si auto presenti, resta il fatto che è sempre il narratore a costruire il personaggio e lo fa attraverso due tecniche specifiche:
- con lo showing (modo drammatico o presentazione indiretta) il narratore si limita a far agire e parlare i personaggi: presenta il personaggio dicendo ciò che fa o ciò che dice. Ne consegue che il ruolo dell’inferenza del lettore è maggiore;
- con il telling (modo narrativo o presentazione diretta), il narratore interviene direttamente a formulare un giudizio (positivo o negativo) sul personaggio:
presenta il personaggio dicendo ciò che è, riducendo o annullando del tutto l’inferenza del lettore.
In estrema sintesi: con lo showing il narratore descrive senza dire, con il telling il narratore dice senza descrive.
Per esempio, se il narratore dice: «Luigi, che era molto sensibile, non sopportò la visione dell’animale ferito» dice (che Luigi è sensibile) e quindi fa ricorso al telling; se invece dice: «alla vista dell’animale ferito, Luigi chiuse gli occhi e si mise una mano sulla fronte»
descrive senza dire (che Luigi è sensibile) e quindi fa ricorso allo showing.
La differenza tra showing e telling 1 è strettamente legata alla distinzione,
introdotta già da Platone (Repubblica 392c-394b), tra mimesi (racconto puro: il
narratore si nasconde) e diegesi (racconto mediato: il narratore parla in nome
proprio). Nella mimesi (showing) vi è un massimo d’informazione e un minimo
d’informatore, visto che il narratore si nasconde, mentre nella diegesi (telling)
avviene il contrario.
Pertanto, più il narratore è presente nel racconto (diegesi), più ci si trova in presenza del modo narrativo (telling); meno il narratore è presente (mimesi), più ci si trova in presenza del modo drammatico (showing).

— d) Dare la parola al personaggio
Oltre ad agire, i personaggi parlano e pensano; per far conoscere al lettore le loro parole e i loro pensieri, il narratore può far ricorso:
- alla citazione, con la quale si assiste all’eclissi (convenzionale) della mediazione del narratore che fa parlare immediatamente (cioè senza mediazione narrativa) i personaggi;
- al resoconto, con il quale le parole e i pensieri dei personaggi vengono mediati dal narratore.
Entrambe queste modalità possono essere legate (tagged) o libere (free): mentre le prime sono introdotte da un sintagma di legamento («disse», «penso»,
ecc.), le seconde ne sono prive.

— e) La citazione di parole
La citazione può essere di parole (discorso diretto, legato o libero) o di pensieri (pensiero diretto, legato o libero), e, secondo convenzione, il contenuto della parola o del pensiero viene introdotto da caporali o virgolette.
La citazione di parole si concretizza in tre forme:
- dialogo: due o più personaggi parlano tra loro in successione;
- monologo: un personaggio parla a un interlocutore presente ma silenzioso.
- soliloquio: un personaggio parla tra sé e sé oppure a interlocutori immaginari, in assenza di interlocutori reali; a voce alta, bassa o anche in silenzio.
Il soliloquio è assai vicino alla citazione di pensieri, la quale presenta invece due forme:
- monologo interiore: è una forma di pensiero diretto libero esteso in cui un
personaggio pensa in assenza di qualsiasi interlocutore;
- flusso di coscienza: è una sorta di esasperazione del monologo interiore dal momento che l’ordinamento dei pensieri è casuale (libere associazioni) e che la sintassi viene stravolta (si va oltre la sintassi, dice Seymour Chatman).

— f) Il resoconto
Mentre nella citazione il narratore utilizza il presente del personaggio (ad es. «Giorgio disse: “Non me ne importa niente”»), nel resoconto, sovrapponendo la sua voce a quella del personaggio, utilizza il tempo della narrazione e i deittici in terza persona (ad es. «Giorgio disse che non gliene importava niente»).
Anche il resoconto (di parole o di pensieri) può essere legato o libero; avremo quindi:
- il discorso indiretto legato, introdotto da espressioni «pensò che», «disse
che», ecc.;
- il discorso indiretto libero, non introdotto da verbi del dire o del pensare e senza delimitazioni mediante caporali o simili.
Spesso si può trovare anche il resoconto sintetico (chiamato anche discorso
indiretto narrativizzato), che si distingue dal discorso indiretto in quanto più
breve e meno ricco di sfumature, come si può vedere da questo esempio:
discorso diretto
Dissi a mia madre: «È
assolutamente necessario, e
decidiamolo subito perché
me ne rendo conto bene ora,
perché non cambierò più e
diversamente non potrei
vivere, è assolutamente
necessario che io sposi
Albertine».
discorso indiretto
Dissi a mia madre che era
assolutamente necessario, e
che bisognava deciderlo
subito perché me ne
rendevo conto bene allora,
perché non sarei più
cambiato e diversamente
non avrei potuto vivere, che
era assolutamente
necessario che io sposassi
Albertine.
resoconto sintetico
Informai mia madre della
mia decisione di sposare
Albertine.


1La distinzione tra telling e showing risale a J. W. Beach: «Autori come Thackeray, Balzac o
H. G. Wells… sono sempre occupati a dire (telling) al lettore cosa è accaduto piuttosto che
mostrargli (showing) la scena, a dire (telling) al lettore cosa deve pensare dei personaggi piuttosto che lasciare al lettore il compito di giudicare da solo o lasciare che siano i personaggi stessi a dirsi
gli uni rispetto agli altri. Preferisco fare una distinzione tra i romanzieri che “dicono” (tell) e
quelli che [come Henry James] “mostrano” (show)»
Robennskii
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Re: Personaggi

Messaggio da Robennskii »

Letto per esercizio otto. Non facile il ruolo attanziale.
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