Tema del racconto
Inviato: 18/12/2022, 9:38
— Cos’è il racconto
Se accettiamo per convenzione di rimanere nel campo dell'espressione letteraria possiamo senza difficoltà definire il racconto come la rappresentazione d'un avvenimento o di una serie di avvenimenti reali o fittizi per mezzo del linguaggio, e più specificamente del linguaggio scritto. Questa definizione positiva (e corrente) ha il merito dell'evidenza e della semplicità: il suo principale inconveniente è forse proprio quello di chiudersi e di chiuderci nell'evidenza, di mascherare ai nostri occhi ciò che appunto, nell'essere stesso del racconto, costituisce problema e difficoltà, cancellando in un certo senso le frontiere del suo esercizio, le condizioni della sua esistenza. Definire il racconto positivamente significa accreditare, pericolosamente forse, l'idea o la sensazione che il racconto sia qualcosa che va da sé, che non vi sia nulla di piú naturale che raccontare una storia o collegare un insieme di azioni in un mito, una novella, un'epopea, un romanzo. L'evoluzione della letteratura e della coscienza letteraria da mezzo secolo in qua avrà avuto, tra altre felici conseguenze, anche quella di attirare la nostra attenzione proprio sull'aspetto singolare, artificiale e problematico dell'atto narrativo. Bisogna ritornare ancora una volta allo stupore di Valéry nell'atto di considerare un enunciato come «La marchesa usci alla cinque». Si sa in quante forme diverse e a volte contraddittorie la letteratura moderna abbia vissuto e reso questo stupore fecondo, quanto si sia voluta e si sia fatta, nella sua stessa sostanza, interrogazione, esitazione, contestazione del discorso narrativo. Una domanda falsamente ingenua come: perché il racconto? – potrebbe per lo meno indurci a ricercare o piú semplicemente a riconoscere i limiti in certo qual modo negativi del racconto, a riflettere sui principali giochi d'opposizioni attraverso cui il racconto si definisce, si costituisce di fronte alle diverse forme del non-racconto.
Gerard Genette Figure II p.1, Einaudi.
«Il testo postula la cooperazione del lettore come propria condizione di attualizzazione. Possiamo dire meglio che un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui - come d’altra parte in ogni strategia.»
Umberto Eco, Lector in fabula, p.54, Mondadori.
Diegesi dal greco διήγησις, 'narrazione', 'racconto', composto di διά, 'attraverso', e ἡγέομαι, condurre guidare, connesso al verbo διηγέομαι, (io) descrivo in dettaglio, è il termine introdotto da Genette e che trova un suo riferimento nella Repubblica di Platone prima e nella Poetica di Aristotele dopo in contrapposizione al termine Mimesi (imitazione). Se il racconto epico è diegesi (per la presenza del narratore che media la realtà), quello teatrale è mimesi (per la presenza degli attori che imitano la realtà).
Mentre si intende per diegetico (o intradiegetico) tutto l’insieme degli elementi, dei segni, degli eventi che pertengono allo sviluppo dell’azione narrativa e della messinscena visiva o che in esso vengono presupposti, e per extradiegetico tutto ciò che esula dall'universo visuale e finzionale, pur contribuendo a comporre l'opera (per es., la musica di commento alle immagini in un’opera filmica). Per omodiegetico si intende invece un narratore che compare come personaggio all’interno della diegesi.
1) Tema centrale del racconto.
Cosa si vuole dire quando si inizia a scrivere? Cosa non si vuole dire?
Perché si scrive?
Ognuno ha i suoi motivi; per qualcuno l’arte è fuga; per qualcun altro un mezzo di conquista. Ma si può fuggire in un eremo, nella pazzia, nella morte; si può conquistare con le armi. Perché proprio scrivere, effettuare per scritto le proprie evasioni e le proprie conquiste? Sta di fatto che, dietro gli intendimenti diversi degli autori, c’è una scelta più profonda e immediata, che è comune a tutti. Vedremo di chiarire quale sia questa scelta e se l’impegno degli scrittori non si ponga come necessario in base propria alla loro scelta di scrivere.
Jean Paul Sartre, Cos’è la letteratura, p.74, Mondadori.
Si può pensare di scrivere del matrimonio, del rapporto tra coniugi, delle difficoltà della vita di coppia, come si può incentrare la narrazione su un qualche tipo di paura: quella di volare, quella dei luoghi chiusi, e via discorrendo.
In ogni caso è l’autore a dire, a rivelare al lettore qual è la sua idea, la sua posizione, il suo atteggiamento nei confronti di ciò che scrive. Perché quando scrive lo scrittore prende posizione, si impegna, prova a immaginare un mondo differente, e quindi il suo scrivere è un progettare, un tentativo di cambiare il reale.
Dunque il punto di partenza di ogni scrivere non può non essere: perché sono davanti la tastiera, cosa voglio dire a chi mi leggerà? Cosa mi impegno a dimostrare?
Ecco, non esiste differenza tra un autore impegnato e uno che non lo è, perché ciascuno a suo modo e con le proprie capacità si impegna, prova a cambiare la consistenza delle cose.
Se accettiamo per convenzione di rimanere nel campo dell'espressione letteraria possiamo senza difficoltà definire il racconto come la rappresentazione d'un avvenimento o di una serie di avvenimenti reali o fittizi per mezzo del linguaggio, e più specificamente del linguaggio scritto. Questa definizione positiva (e corrente) ha il merito dell'evidenza e della semplicità: il suo principale inconveniente è forse proprio quello di chiudersi e di chiuderci nell'evidenza, di mascherare ai nostri occhi ciò che appunto, nell'essere stesso del racconto, costituisce problema e difficoltà, cancellando in un certo senso le frontiere del suo esercizio, le condizioni della sua esistenza. Definire il racconto positivamente significa accreditare, pericolosamente forse, l'idea o la sensazione che il racconto sia qualcosa che va da sé, che non vi sia nulla di piú naturale che raccontare una storia o collegare un insieme di azioni in un mito, una novella, un'epopea, un romanzo. L'evoluzione della letteratura e della coscienza letteraria da mezzo secolo in qua avrà avuto, tra altre felici conseguenze, anche quella di attirare la nostra attenzione proprio sull'aspetto singolare, artificiale e problematico dell'atto narrativo. Bisogna ritornare ancora una volta allo stupore di Valéry nell'atto di considerare un enunciato come «La marchesa usci alla cinque». Si sa in quante forme diverse e a volte contraddittorie la letteratura moderna abbia vissuto e reso questo stupore fecondo, quanto si sia voluta e si sia fatta, nella sua stessa sostanza, interrogazione, esitazione, contestazione del discorso narrativo. Una domanda falsamente ingenua come: perché il racconto? – potrebbe per lo meno indurci a ricercare o piú semplicemente a riconoscere i limiti in certo qual modo negativi del racconto, a riflettere sui principali giochi d'opposizioni attraverso cui il racconto si definisce, si costituisce di fronte alle diverse forme del non-racconto.
Gerard Genette Figure II p.1, Einaudi.
«Il testo postula la cooperazione del lettore come propria condizione di attualizzazione. Possiamo dire meglio che un testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strategia di cui fan parte le previsioni delle mosse altrui - come d’altra parte in ogni strategia.»
Umberto Eco, Lector in fabula, p.54, Mondadori.
Diegesi dal greco διήγησις, 'narrazione', 'racconto', composto di διά, 'attraverso', e ἡγέομαι, condurre guidare, connesso al verbo διηγέομαι, (io) descrivo in dettaglio, è il termine introdotto da Genette e che trova un suo riferimento nella Repubblica di Platone prima e nella Poetica di Aristotele dopo in contrapposizione al termine Mimesi (imitazione). Se il racconto epico è diegesi (per la presenza del narratore che media la realtà), quello teatrale è mimesi (per la presenza degli attori che imitano la realtà).
Mentre si intende per diegetico (o intradiegetico) tutto l’insieme degli elementi, dei segni, degli eventi che pertengono allo sviluppo dell’azione narrativa e della messinscena visiva o che in esso vengono presupposti, e per extradiegetico tutto ciò che esula dall'universo visuale e finzionale, pur contribuendo a comporre l'opera (per es., la musica di commento alle immagini in un’opera filmica). Per omodiegetico si intende invece un narratore che compare come personaggio all’interno della diegesi.
1) Tema centrale del racconto.
Cosa si vuole dire quando si inizia a scrivere? Cosa non si vuole dire?
Perché si scrive?
Ognuno ha i suoi motivi; per qualcuno l’arte è fuga; per qualcun altro un mezzo di conquista. Ma si può fuggire in un eremo, nella pazzia, nella morte; si può conquistare con le armi. Perché proprio scrivere, effettuare per scritto le proprie evasioni e le proprie conquiste? Sta di fatto che, dietro gli intendimenti diversi degli autori, c’è una scelta più profonda e immediata, che è comune a tutti. Vedremo di chiarire quale sia questa scelta e se l’impegno degli scrittori non si ponga come necessario in base propria alla loro scelta di scrivere.
Jean Paul Sartre, Cos’è la letteratura, p.74, Mondadori.
Si può pensare di scrivere del matrimonio, del rapporto tra coniugi, delle difficoltà della vita di coppia, come si può incentrare la narrazione su un qualche tipo di paura: quella di volare, quella dei luoghi chiusi, e via discorrendo.
In ogni caso è l’autore a dire, a rivelare al lettore qual è la sua idea, la sua posizione, il suo atteggiamento nei confronti di ciò che scrive. Perché quando scrive lo scrittore prende posizione, si impegna, prova a immaginare un mondo differente, e quindi il suo scrivere è un progettare, un tentativo di cambiare il reale.
Dunque il punto di partenza di ogni scrivere non può non essere: perché sono davanti la tastiera, cosa voglio dire a chi mi leggerà? Cosa mi impegno a dimostrare?
Ecco, non esiste differenza tra un autore impegnato e uno che non lo è, perché ciascuno a suo modo e con le proprie capacità si impegna, prova a cambiare la consistenza delle cose.