Incidenti di percorso (l'apparenza inganna)
Inviato: 10/02/2012, 17:04
INCIDENTI DI PERCORSO (L’APPARENZA INGANNA)
Sono in macchina.
Sto tornando da Fiumicino. Aeroporto.
Via della Scafa, direzione Ostia.
L’unica macchina silenziosa in tutta l’ingorgo.
Devo essere il solo guidatore che si astenga dal mantenere una pressione costante sul clacson.
Non è che gli altri ci guadagnino chi sa che a strombazzare.
Non gli vedo spuntare le ali, ai loro catorci.
Né che le macchine da cui sono circondati si ritirino come le acque del Mar Rosso davanti a Mosè e agli ebrei inseguiti dal farabutto, o quel che era.
Fermi sono e fermi rimangono.
Esattamente come il sottoscritto.
Per questo mi posso permettere il giochino con le dita che mi aveva insegnata nonna Leonella.
Non è che ci sia un gran che da fare, a stare chiusi in una macchina ferma senza nemmeno una copia della Enciclopedia Treccani sottomano.
Finito di giocare con le chiavi, mi metto a studiare oziosamente le facce visibili al volante delle macchine che assediano la mai decrepita Ford Fiesta.
Sono tutti incastrati per bene all’incrocio tra Via della Scafa e il Ponte della Scafa, che è il ponte che passa sopra il fiume Tevere e che divide i comuni di Roma (Ostia) e Fiumicino.
Anch’io, come altri guidatori, alla faccia del freddo, ho i finestrini aperti per vedere meglio la situazione dell’ingorgo. Cavolo, il traffico in questa strada è diventato letteralmente impossibile da anni e anni, e comincia già dallo scalo aeroportuale.
Uno scenario di automezzi fermi o che camminano a passo d'uomo.
Intanto, mi crogiolo in un umore meditaticcio.
L’autoradio mi sta facendo ascoltare “Over the Rainbow” (anche nota con il titolo “Somewhere Over the Rainbow”).
Il titolo significa letteralmente "Oltre l'arcobaleno".
La versione originale è cantata da Judy Garland per il film Il mago di Oz del 1939, ma quella che sto ora ascoltando è la famosa versione del cantante hawaiano Israel “IZ” Kamakawiwo'ole, soprannominato “Gigante buono”, morto nel 1997 all'età di 38 anni.
Nell'ultima parte della sua vita Iz divenne obeso e arrivò anche a pesare 340 Kg.
Versione stupenda.
Voce meravigliosa.
E' una delle poche canzoni che riesce a farti venire i brividi, una ballata dolcissima con la quale Iz ti culla delicatamente.
E l'ukulele come unico strumento, col suo suono particolarissimo, rende indimenticabile una canzone già unica.
Penso ai salesiani del testaccio.
Don Galoppo amava citare questo verso del Vangelo di Matteo: “Osservate i gigli del campo. Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano....”
Don Galoppo, amico di mio nonno Angelino, nonché professore, prima di me, anche di mio padre e di zio Romolo.
Penso ai tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin.
Allora, non vedevo l’ora di andare all’università; per quanto mi riguardava, era lì che la vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo.
Sacro Cuore dai salesiani, al ginnasio e Socrate, al liceo.
In questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a quello che pensavo del mondo. All’università sono diventato un vero studente.
Partecipavo alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo.
Ricordo i mie primi giorni di lavoro.
Neoassunto e infimo nella gerarchia.
Con uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c’era un lavoro importante di un collega in malattia.
Io avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani.
Diamine, penso a Gabriele.
Verso i soldi ha un atteggiamento un po’ schifiltoso. Come il sottoscritto, del resto.
Questa mattina sono andato a trovarlo alla Facoltà di Giurisprudenza di ’Università “Roma Tre” per proporgli di pranzare insieme nei dintorni, prima di ritornare alle nostre rispettive attività.
“Ho solo il tempo per un caffè, papà” mi ha risposto.
“Ma in piedi, al distributore automatico. E a patto che tu abbia le monete”.
In realtà, quella di condividere il pranzo era solo una mezza scusa.
La verità è che volevo stare insieme a lui.
A casa lo vedo così poco.
Prima che lo salutassi, mi ha avvisato che Simonetta e Alessandro sono andati a Collevecchio e torneranno domani.
Mi ha anche consigliato di suonare alla porta stasera, prima di aprire con le chiavi. “Beh, se non vuoi rischiare di trovarti tété-à-tété con una bomba sexy, distesa nuda sul mio divano….” ha aggiunto ridendo.“Oooooh!” ho risposto dandogli un puffetto sulla guancia.
Poi sono tornato in ufficio.
I Ministeri sono i luoghi meno discreti dell’universo conosciuto perché sono saturi di microspie.
Niente di tecnologico, per carità: sono microspie umane, soggetti geneticamente modificati per acquisire un superudito e una supervista.
E poi, siccome hanno pure la lingua geneticamente modificata, la usano per rendere edotto il resto del mondo delle loro scoperte.
Chi sa dove arriverei con i miei onanismi mentali se il vicino di sinistra non decidesse di dare una svolta a quel nostro pezzo di vita in comune, mettendo in moto il suo MP3, o quel che è; caricato a lupara con il classico shtump-shtump-shtump, il rumore che vendono solo ai proprietari di Suv e di auto prive di vetri ai finestrini.
Glielo forniscono direttamente incorporato nella carrozzeria o nelle marmitte.
Forse il titolare di quel rumore ha scatenato ad alzo zero tutti i cavalli vapore dei suoi woofer e subwoofer con la speranza di annichilire e ridurre in poltiglia il parco macchine altrui.
Al punto che mi confondo e invece di tirare su i vetri e sigillare i finestrini suono il clacson. L’effetto è inquietante: le macchine davanti a me, di colpo, cominciano a scorrere.
Mi lascio superare dal mio vicino di sinistra, perché voglio darli una bella occhiata in faccia. Un classico ripieno da Suv.
Il titolare della faccia è un palestrato, un taglia 54 con la testa rasata, occhiali neri avvolgenti, mascellone aggressivo e bomber fornito di cappuccio, che alla bisogna deve tirarsi sulla testa, a scopo profilattico.
Mi sembra che abbia persino un accenno di bava alla bocca.
Invece la bava appartiene al cane recluso nell’apposito box, un rottweiler o chi sa quale altra marca di cane politicamente scorretta, con un tipico sguardo da disturbo bipolare.
Comunque, è problematico capire dove finisce il cane e dove comincia il tanghero palestrato.
Lascio sfilare il Suv davanti a me, e per un secondo mi viene la tentazione di mostrare il dito medio alle due malebestie; mi astengo.
Così mi limito a mostrare i denti al cagnaccio, che mi ignora di brutto, perché deve sentirsi rintronato ancora più di m,e dai colpi di grancassa e di tomtom delle batterie.
Infatti ha il pelo irto. Mi fa quasi pena. Per buona misura permetto ad un paio di altre macchine di insinuarsi tra me e il Suv. Ho deciso dio prendermela con comodo, questa sera.
Dopo essermi districato dall’ingorgo e dal palestrato con rottweiller, a qualche centinaio di metri da casa comincio a cercare posto per la macchina.
Il vero problema, di sera, non è trovarlo, il posto, perché dopo le otto non è complicato.
Il vero problema si presenta la mattina dopo, quando ti tocca dare a caccia dei proprietari della macchine che ti impediscono di uscire.
Quindi, bisogna avere la pazienza e la fortuna di pescare un posto difficile da accerchiare.
Trovo un buco decente non lontano da casa mia.
Entro nel bar di Gioacchino.
Carmelo prepara il caffè maledettemente bene.
In quel momento squilla il telefono.
E’ mia sorella.
“Mario, come va?”
“Mi stanno calando gli ormoni, Antoné”.
“Ih, e che problema c’è? Pure a Carmine. Da un pezzo. Ma lui ancora non lo sa”.
Carmine è il suo compagno, nonché il mio unico cognato, dato che Antonella è mia sorella.
Bevo il caffè ed esco dal bar.
Incontro Luciano, presidente del Manfredi nonché grande amico.
Mi chiede come è andata la giornata.
“Sedute di commissioni per tutto il pomeriggio. Seguite da ingorgo di ottanta minuti, con rumoraccio, cane assassino, e coglione taglia 54”.
Mi guarda interdetto, in attesa di spiegazioni che non arrivano.
Poi alza le spalle e mi saluta.
Mentre cammino verso casa pregusto il film che avrei messo sotto il raggio laser del DVD per dilavare il saporaccio dello shtump-shtump-shtump: “Moulin Rouge” con Nicole Kidman, versandomi convenienti razioni di Scott's Selection Macallan nel mio bicchiere preferito.
Whisky scozzese dal sentore di torba per accentuare un sapore che è caldo e cremoso.
Sto per infilare le chiavi nella toppa, quando mi ricordo dell’ammonimento di Gabry.
L’inquietudine aumenta, mentre faccio un rapido dietro-front.
Squilla ancora il cellulare.
E’ Simonetta.
Mi avvisa che Gabriele li ha raggiunti.
Decisione improvvisa.
Vuol far conoscere Collevecchio ad una sua cara amica.
Mmmh: sarà mica la bomba sexy?
Perfetto: passo in rosticceria e mi compro una porzione di lasagne e di filetti di spatola.
Entro a casa.
Stappo una bottiglia fredda al punto giusto di uno zibibbo secco di Pantelleria e ne assaggio un sorso: un balsamo.
Spazzolo via tutto con lentezza, assaporando ogni boccone e ogni sorso.
C’è pure un residuo di gelato in freezer.
Accendo un attimo il pc per controllare le ultime notizie.
A dire il vero, il pc lo uso solo quando non posso farne a meno.
I fondamentalisti del cyber spazio e i fanatici che provano un orgasmo solo quando trafficano con le frattaglie dei computer, continuano a indurmi sospetto, cautela e circospezione.
Uno non fa di tutto per sfuggire a una possibile morte per avvelenamento da chiacchiericci e maldicenze, per farsi poi intossicare dai legnosissimi blogger notturni, portatori sani di sfortuna.
Per tutti gli dei, mi va a genio l’atmosfera di questa notte.
Mi siedo in poltrona.
Nicole Kidman in tutto il suo splendore e la sua bravura mi accompagna fino a notte inoltrata.
Poi vado a letto. Mi sveglio alla tre del mattino, in preda al sudore.
Temo che per questa notte non chiuderò più occhio.
Così mi metto seduto, prende il bicchiere d’acqua che ho lasciato sul comodino e lo prosciugo, quindi lo riempio di nuovo.
Mancano diverse ore all’alba. E queste sono le ore peggiori, le ore in cui le mie insoddisfazioni hanno la meglio su di me.
Oh, sì, l’unica soluzione è alzarsi e provare a fare qualcosa per distrarmi.
Non ho intenzione di camminare per casa a questa ora del mattino, così accendo l’abat-jour, prendo “ I pilastri della terra” di Ken Follet dal comodino e mi appoggio con la schiena sui cuscini per leggere.
Quando la pallida luce dell’alba comincia a diffondersi su Ostia, il libro ormai mi è caduto sul petto e io sonnecchio tranquillo, immerso in un sonno privo di sogni.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
Sono in macchina.
Sto tornando da Fiumicino. Aeroporto.
Via della Scafa, direzione Ostia.
L’unica macchina silenziosa in tutta l’ingorgo.
Devo essere il solo guidatore che si astenga dal mantenere una pressione costante sul clacson.
Non è che gli altri ci guadagnino chi sa che a strombazzare.
Non gli vedo spuntare le ali, ai loro catorci.
Né che le macchine da cui sono circondati si ritirino come le acque del Mar Rosso davanti a Mosè e agli ebrei inseguiti dal farabutto, o quel che era.
Fermi sono e fermi rimangono.
Esattamente come il sottoscritto.
Per questo mi posso permettere il giochino con le dita che mi aveva insegnata nonna Leonella.
Non è che ci sia un gran che da fare, a stare chiusi in una macchina ferma senza nemmeno una copia della Enciclopedia Treccani sottomano.
Finito di giocare con le chiavi, mi metto a studiare oziosamente le facce visibili al volante delle macchine che assediano la mai decrepita Ford Fiesta.
Sono tutti incastrati per bene all’incrocio tra Via della Scafa e il Ponte della Scafa, che è il ponte che passa sopra il fiume Tevere e che divide i comuni di Roma (Ostia) e Fiumicino.
Anch’io, come altri guidatori, alla faccia del freddo, ho i finestrini aperti per vedere meglio la situazione dell’ingorgo. Cavolo, il traffico in questa strada è diventato letteralmente impossibile da anni e anni, e comincia già dallo scalo aeroportuale.
Uno scenario di automezzi fermi o che camminano a passo d'uomo.
Intanto, mi crogiolo in un umore meditaticcio.
L’autoradio mi sta facendo ascoltare “Over the Rainbow” (anche nota con il titolo “Somewhere Over the Rainbow”).
Il titolo significa letteralmente "Oltre l'arcobaleno".
La versione originale è cantata da Judy Garland per il film Il mago di Oz del 1939, ma quella che sto ora ascoltando è la famosa versione del cantante hawaiano Israel “IZ” Kamakawiwo'ole, soprannominato “Gigante buono”, morto nel 1997 all'età di 38 anni.
Nell'ultima parte della sua vita Iz divenne obeso e arrivò anche a pesare 340 Kg.
Versione stupenda.
Voce meravigliosa.
E' una delle poche canzoni che riesce a farti venire i brividi, una ballata dolcissima con la quale Iz ti culla delicatamente.
E l'ukulele come unico strumento, col suo suono particolarissimo, rende indimenticabile una canzone già unica.
Penso ai salesiani del testaccio.
Don Galoppo amava citare questo verso del Vangelo di Matteo: “Osservate i gigli del campo. Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano....”
Don Galoppo, amico di mio nonno Angelino, nonché professore, prima di me, anche di mio padre e di zio Romolo.
Penso ai tempi di Jimi Hendrix e Janis Joplin.
Allora, non vedevo l’ora di andare all’università; per quanto mi riguardava, era lì che la vita diventava davvero emozionante, a differenza del noioso e vecchio liceo.
Sacro Cuore dai salesiani, al ginnasio e Socrate, al liceo.
In questi posti mi trattavano ancora come un ragazzino e nessuno si interessava a quello che pensavo del mondo. All’università sono diventato un vero studente.
Partecipavo alle manifestazioni di GS e a cose di quel tipo.
Ricordo i mie primi giorni di lavoro.
Neoassunto e infimo nella gerarchia.
Con uno zelo da ultimo arrivato profondevo su quelle antiche pratiche settimane di fatica, e ancora mi stavo arrovellando su quali fossero necessarie e quali superflue quando mi chiamarono dalla direzione e mi dissero che c’era un lavoro importante di un collega in malattia.
Io avrei dovuto sostituirlo, il che comportava la piacevole incombenza di redigere relazioni su prestigiosi istituti di ricerca italiani.
Diamine, penso a Gabriele.
Verso i soldi ha un atteggiamento un po’ schifiltoso. Come il sottoscritto, del resto.
Questa mattina sono andato a trovarlo alla Facoltà di Giurisprudenza di ’Università “Roma Tre” per proporgli di pranzare insieme nei dintorni, prima di ritornare alle nostre rispettive attività.
“Ho solo il tempo per un caffè, papà” mi ha risposto.
“Ma in piedi, al distributore automatico. E a patto che tu abbia le monete”.
In realtà, quella di condividere il pranzo era solo una mezza scusa.
La verità è che volevo stare insieme a lui.
A casa lo vedo così poco.
Prima che lo salutassi, mi ha avvisato che Simonetta e Alessandro sono andati a Collevecchio e torneranno domani.
Mi ha anche consigliato di suonare alla porta stasera, prima di aprire con le chiavi. “Beh, se non vuoi rischiare di trovarti tété-à-tété con una bomba sexy, distesa nuda sul mio divano….” ha aggiunto ridendo.“Oooooh!” ho risposto dandogli un puffetto sulla guancia.
Poi sono tornato in ufficio.
I Ministeri sono i luoghi meno discreti dell’universo conosciuto perché sono saturi di microspie.
Niente di tecnologico, per carità: sono microspie umane, soggetti geneticamente modificati per acquisire un superudito e una supervista.
E poi, siccome hanno pure la lingua geneticamente modificata, la usano per rendere edotto il resto del mondo delle loro scoperte.
Chi sa dove arriverei con i miei onanismi mentali se il vicino di sinistra non decidesse di dare una svolta a quel nostro pezzo di vita in comune, mettendo in moto il suo MP3, o quel che è; caricato a lupara con il classico shtump-shtump-shtump, il rumore che vendono solo ai proprietari di Suv e di auto prive di vetri ai finestrini.
Glielo forniscono direttamente incorporato nella carrozzeria o nelle marmitte.
Forse il titolare di quel rumore ha scatenato ad alzo zero tutti i cavalli vapore dei suoi woofer e subwoofer con la speranza di annichilire e ridurre in poltiglia il parco macchine altrui.
Al punto che mi confondo e invece di tirare su i vetri e sigillare i finestrini suono il clacson. L’effetto è inquietante: le macchine davanti a me, di colpo, cominciano a scorrere.
Mi lascio superare dal mio vicino di sinistra, perché voglio darli una bella occhiata in faccia. Un classico ripieno da Suv.
Il titolare della faccia è un palestrato, un taglia 54 con la testa rasata, occhiali neri avvolgenti, mascellone aggressivo e bomber fornito di cappuccio, che alla bisogna deve tirarsi sulla testa, a scopo profilattico.
Mi sembra che abbia persino un accenno di bava alla bocca.
Invece la bava appartiene al cane recluso nell’apposito box, un rottweiler o chi sa quale altra marca di cane politicamente scorretta, con un tipico sguardo da disturbo bipolare.
Comunque, è problematico capire dove finisce il cane e dove comincia il tanghero palestrato.
Lascio sfilare il Suv davanti a me, e per un secondo mi viene la tentazione di mostrare il dito medio alle due malebestie; mi astengo.
Così mi limito a mostrare i denti al cagnaccio, che mi ignora di brutto, perché deve sentirsi rintronato ancora più di m,e dai colpi di grancassa e di tomtom delle batterie.
Infatti ha il pelo irto. Mi fa quasi pena. Per buona misura permetto ad un paio di altre macchine di insinuarsi tra me e il Suv. Ho deciso dio prendermela con comodo, questa sera.
Dopo essermi districato dall’ingorgo e dal palestrato con rottweiller, a qualche centinaio di metri da casa comincio a cercare posto per la macchina.
Il vero problema, di sera, non è trovarlo, il posto, perché dopo le otto non è complicato.
Il vero problema si presenta la mattina dopo, quando ti tocca dare a caccia dei proprietari della macchine che ti impediscono di uscire.
Quindi, bisogna avere la pazienza e la fortuna di pescare un posto difficile da accerchiare.
Trovo un buco decente non lontano da casa mia.
Entro nel bar di Gioacchino.
Carmelo prepara il caffè maledettemente bene.
In quel momento squilla il telefono.
E’ mia sorella.
“Mario, come va?”
“Mi stanno calando gli ormoni, Antoné”.
“Ih, e che problema c’è? Pure a Carmine. Da un pezzo. Ma lui ancora non lo sa”.
Carmine è il suo compagno, nonché il mio unico cognato, dato che Antonella è mia sorella.
Bevo il caffè ed esco dal bar.
Incontro Luciano, presidente del Manfredi nonché grande amico.
Mi chiede come è andata la giornata.
“Sedute di commissioni per tutto il pomeriggio. Seguite da ingorgo di ottanta minuti, con rumoraccio, cane assassino, e coglione taglia 54”.
Mi guarda interdetto, in attesa di spiegazioni che non arrivano.
Poi alza le spalle e mi saluta.
Mentre cammino verso casa pregusto il film che avrei messo sotto il raggio laser del DVD per dilavare il saporaccio dello shtump-shtump-shtump: “Moulin Rouge” con Nicole Kidman, versandomi convenienti razioni di Scott's Selection Macallan nel mio bicchiere preferito.
Whisky scozzese dal sentore di torba per accentuare un sapore che è caldo e cremoso.
Sto per infilare le chiavi nella toppa, quando mi ricordo dell’ammonimento di Gabry.
L’inquietudine aumenta, mentre faccio un rapido dietro-front.
Squilla ancora il cellulare.
E’ Simonetta.
Mi avvisa che Gabriele li ha raggiunti.
Decisione improvvisa.
Vuol far conoscere Collevecchio ad una sua cara amica.
Mmmh: sarà mica la bomba sexy?
Perfetto: passo in rosticceria e mi compro una porzione di lasagne e di filetti di spatola.
Entro a casa.
Stappo una bottiglia fredda al punto giusto di uno zibibbo secco di Pantelleria e ne assaggio un sorso: un balsamo.
Spazzolo via tutto con lentezza, assaporando ogni boccone e ogni sorso.
C’è pure un residuo di gelato in freezer.
Accendo un attimo il pc per controllare le ultime notizie.
A dire il vero, il pc lo uso solo quando non posso farne a meno.
I fondamentalisti del cyber spazio e i fanatici che provano un orgasmo solo quando trafficano con le frattaglie dei computer, continuano a indurmi sospetto, cautela e circospezione.
Uno non fa di tutto per sfuggire a una possibile morte per avvelenamento da chiacchiericci e maldicenze, per farsi poi intossicare dai legnosissimi blogger notturni, portatori sani di sfortuna.
Per tutti gli dei, mi va a genio l’atmosfera di questa notte.
Mi siedo in poltrona.
Nicole Kidman in tutto il suo splendore e la sua bravura mi accompagna fino a notte inoltrata.
Poi vado a letto. Mi sveglio alla tre del mattino, in preda al sudore.
Temo che per questa notte non chiuderò più occhio.
Così mi metto seduto, prende il bicchiere d’acqua che ho lasciato sul comodino e lo prosciugo, quindi lo riempio di nuovo.
Mancano diverse ore all’alba. E queste sono le ore peggiori, le ore in cui le mie insoddisfazioni hanno la meglio su di me.
Oh, sì, l’unica soluzione è alzarsi e provare a fare qualcosa per distrarmi.
Non ho intenzione di camminare per casa a questa ora del mattino, così accendo l’abat-jour, prendo “ I pilastri della terra” di Ken Follet dal comodino e mi appoggio con la schiena sui cuscini per leggere.
Quando la pallida luce dell’alba comincia a diffondersi su Ostia, il libro ormai mi è caduto sul petto e io sonnecchio tranquillo, immerso in un sonno privo di sogni.
Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)