TEMPI MIGLIORI - Due. In viaggio.
Inviato: 26/03/2006, 14:27
sono stati il cinema e i libri a cambiargli la vita
sono le fantasie di quelle storie a far battere i cuori
come sempre i desideri a far muovere le persone
scintille che volano in alto nel cielo come piccoli segnali utili a immaginare i lo?ro sogni
ma ci sono anche quelli che non vanno al cinema e ai libri non sono interessati
solo quelli - mai sfogliati - da tenere in salotto
per quella gente e quei richiami
in questi casi aspettare
altre fotografie da scattare e da sfogliare negli album per ricordare tra qualche anno la sera...
? Ecco i biglietti... prego... ?
Dietro di me le persone aspettano in coda, civilmente ras?segnate, come questa citt? impone ai suoi abitanti, al loro turno.
Stanno conversando del mare e della spiaggia che li aspet?ta per il fine set?timana.
Stanno avviandosi dalla madre dalla compagna o dal ma?rito, dopo una settimana passata a sgobbare a Milano.
Dalla faccia che hanno si capisce che si portano dietro la stanchez?za di una settimana di lavoro. In un posto che fin da lu?glio comincia a ti?rare gi? il bandone e dove diventa sem?pre pi? difficile trovare qualche po?sto aperto per mangiare o per comperare qualcosa.
Insieme a quel mucchio di persone ci sono anche gli ul?timi lavora?tori del?la scuola rimasti forse per qualche esame di maturit?. Sono i pro?fessori che ven?gono al nord ad adope?rarsi e tirar su qualche soldo con la missione.
Milano e un po? tutta la Lombardia sono sedi ancora buo?ne per fa?re quel mestiere, perch? c?? bisogno di questi la?voratori e si pu? ancora confidare in qualche posto pubblico dove, dopo che sei entrato, non ti butta pi? fuori nes?suno.
I lombardi infatti fanno lavori diversi, pi? seri. Di sicu?ro meglio pa?gati di quelli pubblici lasciati a chi viene da altre re?gioni pi? a sud.
Ma si lamentano lo stesso dei linguaggi e delle cadenze che si sen?tono negli uffici pubblici. Sempre pi? spesso per stra?da o sui mezzi si possono ascol?tare le bat?tute per la lin?gua che parlano gli insegnanti dei loro figli o gli impie?gati delle Poste.
Loro, i pendolari del venerd? pomeriggio continuano per? a prendere i treni che ogni settimana sono carichi di persone che li riportano a casa per fargli rivedere il mare.
Molti non sono riusciti a cambiarsi e sono an?cora vestiti con gli abiti da lavoro. Alcuni invece indossano magliette colorate e san?dali perch? hanno cambiato registro. Non vogliono perdere tempo e sono gi? pronti per il mare.
? Ecco i biglietti... ? mi dice il ferroviere allo sportello, mentre li fa spun?tare da sotto il doppio cristallo che lo separa dai clienti. Il pi? delle volte non si capisce nulla e allo?ra l?operatore indispettito ripete l?informazione e aspetta che il cliente passi i soldi. Molti hanno sul vetro un marchingegno che dovrebbe servire ad amplificare le voci e migliora?re la co?municazione con i clienti, ma quei trabiccoli sono sempre spen?ti e forse sono stati istallati solo per dare qual?che busta?rella ai soliti furbi.
Dopo aver passato i soldi dalla fessura in basso esco dalla fila e mi avvio in fretta verso il binario.
Continuo per? ad osservare le persone in attesa che nel frattempo hanno allungato la fi?la.
Riesco a parlare con poche persone e forse pro?prio per questa ragione sono sempre stato un grande investigatore, che rimane sulla porta. Osservo e ana?lizzo quello che sta succedendo senza mai entrare dentro le cose, le stanze, le persone che si muovono nei miei pa?raggi.
La stazione di Milano Centrale ? sempre stata una buona occasione per questo genere di in?vestigazioni. Le scale mobili al centro e le due laterali, che uso pi? spesso perch? meno con?trollate, dove ? pi? difficile che ti chie?dano i documenti, sono sempre in funzione e pie?ne di perso?ne.
Di sopra ? la stessa situazione che si trova alla bigliet?teria. Prima di arri?vare ai binari ci sono i bar le edicole e i ne?gozi che non smettono un secondo di lavorare e per ogni acquisto c'? una fila.
In quella situazione ? pi? interessante osservare le per?sone che si portano dietro, come bagagli, le loro fissazioni e le loro manie. Qualcuno tira fuori il pettine per essere a posto per il prossimo incontro, altre si rifanno in continuazione il trucco. Altri ancora sfogliano il giornale che si sono portati dietro.
Quando sono nella disposizione d?animo giusta vengo ad osserva?re il formicaio di gente che riempie questo luogo e a vol?te ? meglio che andare al ci?nema: non paghi il biglietto e ti godi uno spettacolo che dura tutto il tempo che vuoi.
In quelle occasioni mi metto seduto a leggere il giorna?le come se anch?io aspettassi qualcuno e guardo atten?tamente la gente intorno.
Ci sono quelli che non sanno da che parte andare, quelli che invece pas?sano in fretta e quelli che aspettano qualcuno o qualcosa: un treno, una donna o un uomo.
Quando si avvicina l?ora dell?arrivo o della partenza si or?ganizzano. Con?trollano, guardandosi ai cristalli dei negozi di giornali, se sono a po?sto e comin?ciano a passeggiare sem?pre pi? nervosi per prepararsi all?in?contro. Mettersi in movi?mento d? loro una specie particolare di sicurezza e sembra quasi che il tempo di attesa si possa in questa maniera accorcia?re. Come mio padre quando aspetta qualcuno. Si mette in agita?zione alla finestra, fumando e andando avanti e indietro, per vedere l?arrivo il prima possibile. Come se restare l? possa ridurre il tempo che man?ca. Il tempo allora diventa allora pi? breve e sembra non finire mai. O forse ? solo per gustare meglio l'attesa assaporandola lentamente.
Guardo e scommetto su alcune caratteristiche utili ad im?maginare come in un?anteprima le storie delle persone vi?cine o che mi passano ac?canto.
Solo da pochi fotogrammi credo di riuscire a capire la sto?ria che sta die?tro a ognuno di loro. Non sbaglio mai per?ch? subito quelle perso?ne scompaio?no e le mie supposizioni non avranno mai nessuna confer?ma. Rimangono sol?tanto storie pos?sibili.
Oggi, mentre torno a visitare mio padre, noto il vesti?to, il modo di porta?re la borsa o la valigia e altri piccoli se?gnali che possono essere utili alle mie fantasticherie.
Qualche anno fa era per? pi? semplice az?zeccare il pronosti?co. Da come vestivano capivi le persone ed era faci?le capire come la pensavano. Sapevi subito se era?no gente che la pensava come te.
Ora ? pi? difficile anche se forse ? meglio cos?, senza trop?pe semplifica?zioni che a volte fanno prendere delle can?tonate.
Senza aiuti di?venta pi? diffi?cile trovare l?enigma che si nascon?de dietro ad ognuno. So?no tutti uguali e tutti diver?si.
Le insegnanti le riconosco per come sono bardate con i lo?ro abitini quasi eleganti, comprati in qualche grande ma?gazzino di Corso Buenos Aires. ? l? che possono trovare le offerte speciali quando ci sono le svendi?te. Per cerca?re di essere al pari con le col?leghe, le mo?gli dei pro?fessionisti che fanno quel lavoro solo per passare la giornata, che in?vece non badano a spese e sono sempre vesti?te all?ulti?ma moda. Ma sono le borse cari?che di carta e di libri che fanno capire quando si ? di fronte ad un insegnante fuori ruolo che ha biso?gno di punteggio per avere un posto stabile e final?mente si?stemarsi.
A volte a Fidenza, quando ormai con un po? di fanta?sia si comincia ad annusare la fragranza del mare, quelle per?sone in viaggio che fino a Piacenza quasi si mettono a russa?re, si ride?stano e corrono gi? di corsa dal treno. Per ac?caparrarsi un pani?no e una lattina che alcune donne vendono lungo il marciapiede.
Sono le stesse donne che si incontrano quando si passa in auto?strada.
In autunno lungo certi tratti della Cisa mostrano agli automobi?listi i funghi che hanno trovato nei boschi della Lu?nigiana tentando di venderli.
La strada, piena di curve e tornanti, costringe a con?trollare la velo?cit? e gli automobilisti possono fermarsi senza dif?ficolt?.
I primi tempi che abitavo a Milano, quando ancora tor?navo spesso a casa il venerd? sera, dopo un po? che ero sul tre?no, aprivo il finestrino. Respiravo l?aria che entrava per?ch? sa?pevo che sarebbe arri?vato l?odore del ma?re.
Dopo Pontremoli era una specie di soddisfazione per i polmoni e per il naso respirare quell?aria, anche se poi le esa?lazioni e il frastuono della ferrovia guastavano sempre quel?l?atmosfera che era solo immagina?ta.
Mettevo fuori tutta la testa fino quasi a perdere il fiato per la velo?cit? del treno, fino a farmi lacrimare gli occhi. Quando poi non riuscivo pi? a respirare rimettevo la faccia dentro il va?gone e mi rendevo conto dagli odori che c?erano intorno che era stata solo un?idea o la nostalgia a farmi av?vertire il mare che era ancora lontano.
Ma era un?idea presente solo nella mia te?sta. Dal gioved? mi prendeva la voglia di vederlo il ma?re e allora non avevo la forza di rimandare il viaggio alla settimana successiva. Le davo ragio?ne e apri?vo il fine?strino godendo per l?odore purtrop?po lontano oltre le colline e le luci delle case.
Quando ancora il venerd? pomeriggio ritornavo a casa, ero abitua?to ad osservare i viaggiatori che uscivano dagli scompar?timenti e quando il treno si fermava alla sta?zione gurdavo certe piccole famiglie in atte?sa.
Si salutavano con le mani e con gli sguardi quando si era?no intravi?sti dal treno ancora in corsa.
Guarda pap?. ? sulla prima carrozza. Dai! Andiamo?gli incontro e fac?ciamogli una bella sorpresa, diceva la don?na al fi?glio che teneva per mano, mentre il bimbo, dopo aver scor?razzato su tutti i marciapiedi della stazione, vi?sibilmente annoia?to non vedeva l?ora di essere finalmente a tavola.
La donna trascinando il figlio per la mano, si avvicina?va veloce alla porta da dove sarebbe sceso il suo uomo.
Dopo una settimana che erano stati lontani lei non po?teva aspetta?re un minuto di pi? senza guardarlo da vicino, senza abbracciarlo un po?, per control?lare se era ancora la stessa per?sona che aveva lasciato in citt?.
Vedi di non fare subito tante storie che il pap? deve es?sere stanco... non lo invidio... con tutto il caldo che c?? a Mila?no e soprat?tutto a casa no?stra. La donna si raccomanda?va con il figlio che non dove?va fa?re le soli?te sto?rie e finire per rovinare, come era capitato al?tre volte, la serata. Per?ch? il bambi?no lo sapeva che in quel?le si?tuazioni poteva permettersi quello che voleva.
Per potersi permettere due mesi di mare, il pap? resta?va a Milano. Con la segretaria che lo avrebbe accudito co?me una compagna.
Lui per ringraziarla dell?attenzione l?avrebbe ricom?pensata portan?dola in qualche piccola locanda di periferia a pas?sare in anticipo la fine settimana.
Ma cosa fa... Dottore! gli aveva magari detto qual?che se?ra prima, la segreta?ria, quando in macchina, attratto dal suo odore o dalla nostalgia del con?tatto di un corpo femmi?nile, lui le aveva messo il braccio intorno al collo.
Lei lo sapeva bene che ci stava provando il suo ca?po. Era solo per di?re. Anche lei, come altre, era stata compe?tente a farsi ciucciare le tette. Prima di perdersi nella nostal?gica at?tesa del prossimo luned? quan?do avrebbero ripreso quella consuetu?dine.
Durante la fine settimana la segretaria avrebbe dormi?to, rimesso in sesto il suo corpo e i suoi capelli e aspettato il luned? per rientrare al lavo?ro.
Quei viaggiatori scendevano e si avviavano lungo i mar?ciapiedi con il fi?glio per mano e il braccio intorno alle spalle del?la donna.
Di solito durante il viaggio non scambiavo nemmeno una parola con i miei compagni di scompartimento ma quando scendevano sentivo nostalgia per le voci, i profumi e gli odori. Mi si riempiva il cuore di ma?linconia per esse?re rimasto da solo sul treno del venerd?. Ma non restava che aspetta?re la prossima fermata.
Fino alla successiva sosta ripensavo alle persone che era?no appena scese immaginando la loro vita. Sen?za che nemmeno si fossero ac?corti di me.
Perch? quando siamo in un posto vorremmo esserci completamen?te, e invece lo facciamo solo con una porzione, portan?doci dietro un ruo?lo e una funzione. Ora sei viaggia?tore mentre due ore prima eri direttore amministrati?vo. I com?portamenti devono essere adeguati al ruolo e alla fun?zione. Questo si pu? fare e questo non ancora. Al massimo ? consen?tito cambiare la maglietta e mettere i sandali, nel fine set?timana, per faci?litare il passaggio e confondere le carte.
Ma i direttori amministrativi li riconosco anche quando sono in borghese e hanno smesso la spezzato di ordinanza. Re?sta l?abbronzatura permanente che ormai si ? im?prigionata nel loro corpo.
Come le donne del venerd? sera, anche mia madre, quan?do lui tor?nava dal mare si abbracciavano e si diceva?no sempre qualcosa di nascosto e io lo capivo che do?veva essere una cosa da grandi che non dovevo intendere.
Ogni tanto, prima che lui tornasse dalla navigazione, le era arrivato anche qualche messaggio che un marinaio porta?va a casa.
Mio padre le spediva una lettera per dirle quando sarebbe tornato, e lei quel bi?glietto, lo teneva per qualche giorno tra le mani im?maginandosi quando sarebbe arrivato. Quando lo avrebbe vi?sto en?trare dalla porta, in carne ed ossa, con i suoi sacchi pie?ni della sua ro?ba sporca.
Lei lo aveva aspettato per quattro o cinque mesi. Con?tava i giorni che mancavano prima di averlo di nuo?vo ac?canto, il suo uo?mo.
Quando sarebbe arrivato, dopo essere stato all?osteria a bere con gli ami?ci che aveva ritrovato, sarebbe rientrato a ca?sa e insieme avrebbero festeggiato il ritorno facendo l?a?more per tut?ta la notte.
Dopo la scala mobile vado alla ricerca del mio binario con un po? d?anti?cipo per trovare un posto a sedere.
Salgo sul treno e dopo avere attraversato un paio di va?goni alla fine mi siedo in uno di quegli scompartimenti che un tempo sono stati di pri?ma classe, con i sedili di velluto rosso, so?lo recentemente declassati. ? come sedere su una poltrona calda e puzzolente, ma penso lo stesso che ? meglio occupare per tempo il posto.
Tra dieci minuti il treno sarebbe partito e si corre il ri?schio di viaggiare in piedi fino a Piacenza. ? meglio af?frettarsi per stare se?duti.
Poco alla volta sono arrivati altri viaggiatori che dopo aver appoggiato i ba?gagli sui sedili sono andati alla ricerca di un finestrino libero lungo il corridoio per prende?re fresco e per parlare con chi li ha ac?compagnati fin dentro la stazione.
Le voci delle persone si mescolano tra loro raccontan?do pezzi di storie.
Ritorno luned? con il treno delle sei e mezza. Dovrei es?sere a Mi?lano in?torno alle un?dici, se vieni a prendermi non perdo tutto quel tem?po per trovare un taxi. Dice la ragazza bionda al?l?amica rimasta sul marcia?piede. Deve aspet?tare an?cora qualche settimana prima di andare an?che lei al mare e un po? forse la invi?dia l?amica che anche so?lo per una fine set?timana po?tr? starsene al mare.
Luned? alle 11 sono in ufficio e gioved? possiamo an?dare a man?giare in un posticino che mi ha consigliato Marco. Al fidan?zato, che non ha nessuna inten?zione di cenare in quel posto.
Quando ascolto le voci delle persone che mi circonda?no, immagi?no sem?pre il tormento e la tortura di un dio, che pu? tendere l'orecchio a tutte le voci del mondo nello stesso tem?po. Afferrando bene il significato delle espressioni e la storia di ognuno, ma non potendo o volendo occu?parsene. Quella divini?t? vuole solo ascoltare. Vuole solo conoscere tutte le storie, i fra?cassi e i suoni del mondo. E anch?io a vol?te come quel dio, mi smarrisco nelle parole contempo?ranee, accaval?late, senza farmi pren?dere dal significato.
Entra nel mio scompartimento anche un?insegnante con l?abbiglia?mento dei grandi magazzini e una borsa carica di libri e di carta. Subito si siede su uno degli ultimi posti liberi asciugandosi il sudore e recuperando il fiato .
Poco prima che il treno si muova, entra anche un?an?ziana signora che aiuto a sistemare i bagagli.
La vecchia inforca gli occhiali che porta appesi al col?lo con un cordino di pelle, come una collana, mi guarda con curio?sit? con i suoi oc?chi chiari e mi ringrazia per la cor?tesia. Porta una camicetta viola e ha i capelli bianchi con leg?gere sfumature azzurre, come la Liliana che abita accanto a casa di mio padre. Come una fata dai capelli turchini in pensione.
Il treno ? partito proprio in quel momento. Quelli che erano restati nel corridoio rientrano e alcuni di loro tentano subito di aprire il finestrino per rinfrescare lo scomparti?mento. Non ci riescono e subito dopo quasi in coro chiedono informazio?ni al primo controllore che passa di l?, che infor?ma che su quella carrozza i finestrini sono purtroppo blocca?ti.
? Potete spostarvi nella carrozza pi? avanti, se volete. L? c?? anche l?aria condizionata e ancora diversi posti liberi ?
Mi rendo conto, dopo qualche minuto, di essere rima?sto solo con la vec?chia, un po? sudati ma con lo spazio ne?cessario per allun?gare final?mente le gambe. Ci guar?diamo sod?disfatti di quel po? di libert? che ci possiamo permet?tere e la vecchia, che non vede l?ora, inizia subito a parla?re.
? Anche lei va al mare? ? mi chiede appoggiando la sua ri?vista sulle ginoc?chia e lasciando cadere gli occhiali.
Da come ha abbandonato il suo giornale e mi guarda, si capisce che ha voglia di parlare con qualcuno.
? S?... s? anch?io vado al mare... ogni tanto torno a ve?derlo e a re?spirare un po? d?aria buona... ?
Torno dopo tre anni a trovare mio padre, avrei quasi vo?glia di dirle. Se fosse la fata dai capelli turchini forse, po?trebbe aiutarmi ma so che non ne vale la pena di stare a spie?gare certe cose e allora decido per qualcosa di pi? sempli?ce.
? S?! A Viareggio. Ormai ? un po? di tempo che non ci vado e sono pro?prio curioso di vedere com?? cambiato quel posto. E lei? Signora, an?che lei a giudicare dalla valigia e dalle cose che si porta dietro va in qual?che posto di ma?re. ?
? Anch?io vado al mare ma mi fermo prima di lei. Devo an?dare in Liguria e spero che mio marito abbia capito bene le indi?cazioni che gli ho dato al tele?fono e che mi venga a pren?dere. Non saprei, altrimenti, pro?prio come riuscire ad arri?vare a casa. Ha una certa et? e non ci sente nem?meno tanto bene. Speriamo che abbia capito e che venga a prender?mi in tempo. ?
Qualche anno fa sono stato in quei posti, dove sta an?dando la vec?chia, con Barbara, una compagna veneta che era venu?ta a Milano per cambiare aria e che per un certo periodo aveva operato con il gruppo dei milanesi.
Quando eravamo ritornati in citt? dopo la giornata di ma?re passata su una spiaggia delle Cinque Terre, avevamo fatto l?a?more proprio su un treno come questo che tornava a Mila?no e che era quasi completamente vuoto.
Nei miei viaggi in treno avevo sempre sperato che mi ca?pitasse una cosa del genere.
A volte quando restavo solo sul treno immaginavo una donna bionda che stava seduta di fronte a me. Dalla scollatura si poteva intuire tutto lo splendore del suo seno che avrebbe volu?to liberarsi e mostrarsi liberamente.
Quella donna mi guardava negli occhi e dopo un po? mi toccava le gam?be con il suo piede dal quale aveva tolto la scarpa.
Dopo qualche minuto di questo giochetto che aveva scan?dalizzato tutti gli altri viaggiatori, una specie d?intesa ci aveva fatto uscire per anda?re nel ba?gno che nella mia storia era ampio, pulito e pieno di comfort.
In quel posto avevamo fatto l?amore, cullati dal treno che correva attra?versando numerose gallerie.
Anche se mi supplica?va di continuare, il rumore della ferrovia co?priva le sue parole e nessuno di quelli che stavano nello scomparti?mento accanto avrebbe pote?va sentirla.
Dopo aver scopato pi? volte, il treno si era ferma?to. Avevo affoga?to la mia faccia nella sua scollatura, una torta con le ciliegine rosse, e la donna era scesa senza nemmeno salutar?mi.
Quella volta invece non era stato per niente di simile al mio sogno ferro?viario. Quando Barbara era rientrata dal ba?gno, dove era andata a si?stemarsi, c?eravamo guardati senza affetto o complicit?. Ad entrambi era rimasta la vo?glia di qualcosa di di?verso. Da fare con calma ,che non poteva essere solo una reazione al sole che aveva scaldato fino a qualche ora prima i nostri corpi sulla spiaggia.
Appena arrivati a Milano le avevo chiesto se avesse vo?glia di fer?marsi a dormire da me. Ma lei mi aveva risposto che la mattina successiva doveva sve?gliarsi presto e quindi non pote?va.
Sarebbe stato sempre pi? difficile trovare il tempo per fa?re quello che fanno tutte le persone, con gli amici e le va?canze e il mare. C?e?rano solo il lavo?ro e le atti?vit? po?litiche che mi occupavano sempre di pi?. Stava diven?tando una specie di lavoro anche quello, che mi riempiva tut?ta la vita sen?za lasciare spazi disponibili per le altre cose.
Le prime volte mi pareva normale che quelli come noi avessero una vita diversa dagli altri. Noi eravamo chiamati ad una missione specia?le.
Ora sono convinto che forse ? proprio perch? non riu?sciamo ad avere una vita normale, che facciamo quella vita. Siamo di?ventati solo un ruolo, una funzione che as?sorbe tutto e occupa tutti gli spazi possibili.
Ripetiamo il piano e gli orari. Deve andare tutto liscio co?me l?olio. Non voglio sorpre?se, dico ai giovani che parte?cipano per la prima volta a qualche azione. Devono capire che c?? una logica, che non sia?mo dei di?sperati che vivono alla giornata.
Con alcuni di loro mi comporto come un fratello mag?giore, con al?tri in?vece ? sempre pi? difficile parlare. Loro han?no gi? tutto chiaro nella testa e certe riunioni sembrano quindi inutili.
Quali sorprese? rispondono, come se non capissero quello che inten?do di?re.
Non dobbiamo lasciare morti. Non siamo come i fa?scisti, noi sia?mo di?versi, e se fino?ra ? andata com?? andata ? per?ch? abbiamo ancora un po? di so?stegno nelle fabbriche e nelle scuo?le? che ci coprono...
Tutte le volte che dovevo organizzare un?azione, non ve?devo l?ora che fosse finita. Stavo sempre sul chi va l?, con la paura che andasse stor?to qualco?sa, che ci fosse qualcuno che avesse parlato troppo e facendolo magari con la per?sona sbagliata.
Era sempre pi? difficile, capire con chi avevamo a che fa?re. Perch? a vol?te si presentavano certi compagni che ave?vano voglia di dare una mano facendo qualcosa di concreto, ma non sa?pevamo mai se erano invece degli infiltrati messi apposta dalla polizia per controllare dal di dentro il movi?mento.
Era molto pi? semplice quando eravamo in pochi. Ci conosceva?mo bene tutti e avevamo percorsi simili. Dal?la mi?litanza nei partiti o nei gruppi, eravamo passati ai servizi d?ordi?ne e da l? le storie e i percorsi spesso s?incrocia?vano.
Potevano cambiare le ragioni personali ma i percorsi era?no gli stes?si per tutti.
Con i nuovi invece, con i pi? giovani, non sappiamo mai come stanno davvero le cose. Non hanno fatto lavoro politico nei quartieri, non hanno una cultura politica e non riescono nemmeno a parlare con i compagni delle fabbri?che o delle scuo?le. Devono essere operativi e basta. Qualcosa capace di fare notizia per es?sere sui gior?nali del mattino, sui periodici e for?se sui libri storia quando il movi?mento sar? ricordato e fatto studiare ai ragaz?zini delle ele?mentari.
Sempre pi? spesso, quando pensavo a quei giovani che avevano scelto la lotta armata provenendo magari da fami?glie della buona borghe?sia, non mi tor?navano mai molte cose ma trovavo sempre il modo di non affrontare la que?stione.
Ritenevo che le mie ragioni fossero pi? nobili forse per?ch? avevo letto qualche libro in pi? rispetto a loro o an?che perch? io la conoscevo un po? me?glio di loro la classe operaia, perch? da l? provenivo. Ma erano spiegazioni che al?la fine producevano gli stessi risultati e in fondo ero an?ch?io come loro.
Ora invece ? diverso. Ora mi sembra che tutto sia cam?biato.
Da quando ho deciso di uscire dal gruppo per cercare di tornare a una vita normale, mi sembra di essere vissu?to in un sogno. Non ca?pisco tutte quelle riunioni di organiz?zazione che dovrebbero servire per coordinar?ci. Le idee, le mie, ma an?che quelle del gruppo, mi sembrano sempre pi? confuse.
Sempre pi? spesso mi capita, quando parlo con qual?cuno di quelli che sono arrivati da chiss? quale storia di non riuscire a farmi capire co?me se la mia lingua fosse diversa.
E tu se viene qualcuno da quella parte, devi dare l?al?larme e fare qualco?sa per riusci?re a farci scappare in tempo. Non vogliamo lo scontro armato?
Spiego loro che devono sparare solo se ? necessario e in ogni caso che non bisogna sparare per ammazzare non sia?mo degli assassini o dei rapinatori di ban?che. Stiamo fa?cendo rapi?ne per sostenere lo scontro di classe.
Ma compagni di quali casini parlate. La rivoluzione non ? una gita al mare, non ? una scampagnata. Se questi porci ci rompono i coglioni glielo fac?ciamo vedere noi come ci si com?porta. Se ci rompono i coglioni sono cazzi lo?ro.
E per cosa poi, per difendere i loro comodi. Vedrai co?me ne par?lano sui giornali il giorno dopo, diventer? sem?pre pi? dif?ficile per loro farla franca.
Non riesco ad aggiungere nulla ma mi chiedo che cosa ci faccio io in quella banda di disperati. Per loro ? come se fosse un lavoro qualsiasi. Se non avessero trovato una ragio?ne politi?ca per le loro azioni si sareb?bero comunque messi a rapinare delle banche per tirare avanti e cam?pare. Ho sempre cre?duto che per me fosse diverso rispetto a loro. Che le ragioni e gli obiettivi fos?sero pi? importanti dei mezzi che si usano.
La rivoluzione non ? una scampagnata. Non ? una gita al mare, aggiun?geva sempre qualcuno per terminare la riu?nione.
Che cazzo vuol dire: che bisogna lavorare duro, sacri?ficarsi e ma?gari ammazzare la gente? Fino a quando ci sono io a guidare il gruppo bisogna fare come dico. Intesi.
Nonostante cercassi di impormi con i gio?vani era una par?tita persa. Lo vedevo da come mi guarda?vano. Il problema non erano loro. Ero io che ero cambiato e che mi sen?tivo un estraneo.
La rivoluzione deve essere una festa continua, come una scampa?gnata senn? che diver?timento c??, mi diceva sem?pre Gianni, Polvere.
Aveva ragione anche se poi per lui ? finita male e non si ? divertito un granch? soprattutto negli ultimi tempi quan?do si era perso dietro all'eroina.
Nelle riunioni, specialmente gli ultimi mesi, non siamo mai d?ac?cordo su nulla, soprattutto quando si parla dell?uso del?la violenza.
In ogni caso decidiamo sempre qualcosa mettendo in can?tiere qualche azione, anche se a volte le situazioni mi sfuggono di ma?no e succedono cose imprevedibili.
La prima rapina ha reso duecento?cinquanta mi?lioni. ? servita per il fun?zionamento dell?orga?nizzazione e per i compa?gni che sono gi? in clandestinit? e devono aspettare che si calmino le ac?que prima di tornare in azione.
Loro non possono circolare liberamente perch? hanno parte?cipato ad altre operazioni e sono facilmente riconosci?bili. Passa?no le giornate a rac?contare quello che gli ? succes?so l?ultima vol?ta oppure stanno in silenzio a leggere e a man?giare.
Nell?ultima rapina, due mesi fa, sono riuscito a star fuori e a dare una ma?no solo nell?organizzazione generale del colpo. Sono quelli pi? giovani che intervengo?no ora. Loro sono pi? freddi e cattivi e non guardano in faccia a nessuno. Con loro ? pi? facile organizzare certi colpi nelle banche per?ch? non hanno tanti scrupoli e se l?obiettivo e autofinanziarsi vanno be?nissimo.
In quella rapina, a Magenta, c?? pure scappato il morto.
Quel povero diavolo era l? per caso e aveva voluto recitare la parte dell?e?roe, per una medaglia al valore che un giorno qualcuno avrebbe dato alla moglie o ai figli.
Era intervenuto cercando di convincerli che non dove?vano spara?re, che dovevano lasciare uscire le due donne che piange?vano spaventate.
Gli avevano sparato guardandolo in faccia solo una vol?ta per pren?dere la mira.
Non ho comprato i giornali per una settimana. Non vo?levo vedere la sua foto sui giornali e leggere il resoconto di quel colpo. Non volevo vedere la sua faccia e i suoi occhi. Gli altri in?vece, quelli che avevano par?tecipato direttamen?te, rac?contavano nei dettagli com?era andata la rapina.
Quel porco non ? voluto stare zitto e allora Guido non ? riuscito a trattenere il dito. Non ? riuscito a dargli solo una bot?ta in testa e gli ha sparato.
Dopo, tutti i clienti e i dipendenti della filiale si sono mes?si paura e sono stati buoni senza fiatare. Il direttore li ha pure aiutati a riempire il borsone dove mettere dentro i soldi che qualche ora dopo hanno vuotato sul tavolo della cu?cina per sapere quanto aveva fruttato il colpo.
Era stato un gioco da ragazzi allontanarsi in fretta come previsto.
Mentre stavano uscendo di corsa, sul marmo del pavi?mento il san?gue di quel vecchietto continuava a scorrere, a colo?rare di rosso le matto?nelle bianche intorno al suo corpo. Ancora respirava e teneva gli occhi aperti guardando i movi?menti di Guido, che non era riuscito a sentirsi i suoi occhi ad?dosso, che gli chiedevano perch? era capitata proprio a lui, perch? avevano sparato.
Guido non aveva sopportato la sua vista e aveva volu?to chiuderli per sempre quegli occhi chiari, che lo guardava?no e gli chiedevano inutili spiegazio?ni.
Gli aveva sparato per evitare di essere in?dividuato, aveva spiegato quando si erano messi seduti al ta?volo del?la cucina per mangiare un boccone come se tutto quello che era successo non avesse significato.
Il vecchietto, un pensionato iscritto al sin?dacato, era an?dato in quello sportello bancario per pagare la rata del mutuo.
Da quando era in pensione, con la liquidazione aveva comprato un appartamentino vicino allo stadio. Doveva an?cora pagare una decina di rate, e vivere con la moglie senza gli affan?ni di un affitto che altrimenti si sarebbe mangiato quasi tutta la sua pensione. Avrebbe passato il tempo che gli rimane?va prima di morire di un malaccio allo stomaco an?dando a prendere la nipo?tina a scuola. Con il giornale. A prende?re l?ultimo sole prima delle nebbie invernali.
Guido aveva fatto in modo che si potesse risparmiare quella lenta morte mentre aspettava la nipote. Ci aveva pensato lui ad accelerare il processo di de?grado del suo corpo.
In quei giorni in un?intervista alla radio la moglie aveva spiegato chi era il marito. Un uomo tranquillo che era stato par?tigiano e aveva la?vorato per anni all?ufficio postale di Cor?so Lodi a Milano. In quegli uffici c?ero stato diverse volte e mi ero con?vinto di averlo visto mentre consegnava pacchi postali ai clienti con le cartoline gialle.
Dopo una buona mezz?ora erano arrivati dove li stavo aspettando. Li avevo fatti salire su un?altra macchina per portarli nell?apparta?mento che mesi prima avevo controllato, quando, insieme con altri compagni, ero andato a ve?dere la casa per capire se prenderla in affitto e usarla come no?stra base per fu?turi colpi.
Avevamo chiuso la porta di quell?appartamento di Via To?bino alle cinque del pomeriggio ma sembrava quasi che fosse notte piena. Il tem?po prometteva un temporale e viag?giare trop?po a lungo veloci per le stra?de di Milano, sarebbe stato rischio?so. Avevamo sentito alla radio che co?minciavano a preparare i blocchi stradali e non si poteva continuare a viaggiare in quelle condi?zioni.
? Lei non ha avuto la fortuna di vederla a quel tempo, ma sapesse com?e?ra bella Viareggio tanti anni fa, quando la Passeg?giata era ancora di legno. Io ero una ragazzina, ma ri?cordo an?cora quando mio padre mi portava da quelle parti. Ora ? tutta cambiata e anche le persone sono diverse, trop?pe macchine e molta gente soprattutto d?estate ? mi dice la vecchia che non ha mai smesso di parlare durante tutto il tempo del viag?gio.
Ogni tanto la guardo e annuisco per non deluderla.
Avr? s? e no l?et? di mio padre. Anche lui le ha viste quelle cose che mi sta raccontando la vecchia. Ne parlava con noi a ta?vola, di come era?no belle le costruzioni di legno che assomiglia?vano a dei grandi basti?menti, perch? le ave?vano costruite i cala?fati che lavoravano in darsena e in tutto quello che faceva?no ci mettevano sempre un tocco di mare.
Dopo qualche anno, non c?erano pi?.
Il Potest? aveva ordinato di demolire tutto e fare puli?zia. Erano sparite quasi tutte per lasciare posto a costruzioni pi? stabili e sicure, az?zerando la me?moria e il lavoro di intere gene?razioni.
Qualcuno ci aveva pure rimesso la vita dopo aver visto co?m?era fi?nito il suo sogno, non sopportando la vista di que?gli spazi che presto si sarebbero riempiti di nuovo di ano?nimi edifi?ci.
Mio padre mi aveva descritto quando il proprietario del?l?Eolo, il Barsanti, non aveva sopportato quello scempio e una sera si era tolto la vita sparandosi in bocca.
? Sar? meglio che mi prepari perch? tra qualche minuto devo scen?dere. ? Mi ha detto la vecchia proprio quando mi sto facendo prende?re trop?po da quelle storie.
? Aspetti che l?aiuto a tirare gi? la sua valigia... ? le dico per genti?lezza e per uscire dal torpore.
? Passi un bel periodo al mare, signora... Arrivederci... ?
E aggiungo dopo avere appoggiato la sua borsa nel cor?ridoio ? Ve?dr? che suo marito sar? gi? sul marciapiede ad aspet?tarla. Stia bene. Arri?vederci... ?
? Arrivederci e grazie. ?
La vecchia si ? avviata con la sua valigia con le rotelle lun?go il cor?ridoio dello scompartimento svegliando gli altri viaggia?tori che sono ri?masti e prima che rientrassi al mio po?sto si ? voltata ancora una volta per salutarmi.
Il treno ? ripartito subito dopo.
L?ho intravista mentre arrivata vicino alle scale del sot?topassaggio si guar?dava intorno per vedere se il marito era arri?vato. Non c?era ancora nessu?no. E proprio mentre stava per guardare il finestrino, forse per dir?mi che aveva avuto ra?gione lei, un ometto magro era spuntato dalle scale e l?aveva chiama?ta. Nono?stante un certo ritardo il marito era riuscito ad ar?rivare in tempo per por?tarla al mare.
Quando sono rimasto solo ho potuto tirar fuori una delle foto che mi porto sempre dietro. In tante occasioni mi hanno fatto compagnia. Soprattutto quando per dei lunghi periodi dovevo stare in silenzio e aspettare che qualcu?no rientrasse in quella casa. Per non compromettere chi aveva preso in affitto l?ap?partamento dove mi ero nascosto.
Sono state queste le cose che mi hanno dato la forza per sopporta?re quella tortura.
quando ? il tempo delle collane di nocciole le donne parlano tra loro sul fosso
quando ? il tempo del bianco e nero senza effetti speciali sono le storie del cine?ma
quando il tempo ? un altro tempo le donne cantano canzoni ai bambini per farli dormire e salutano con la mano quando chiudono la porta della cameretta
Nella foto tutta spiegazzata e quasi indecifrabile ad oc?chi inesperti c?? an?che mia madre.
Ci sono tre venditrici di collane fatte con le nocciole. Le lunghe filze per i ragazzini che alcune donne preparavano la sera, davanti al fuoco. Con la spe?ranza che i soldi incassati possa?no servire per tirare avanti.
Passavano la sera a parlare e infilavano le collane da ven?dere ai bamboretti per le strade di Viareggio durante le fe?ste.
Il tempo passava in fretta la sera quando qualcuna del?le pi? esper?te si metteva a raccontare le cose che le erano capi?tate o che aveva ascoltato da altri familiari.
Magari non sapevano leggere n? scrivere, ma sapevano raccontare le sto?rie e quando qualcuno ascoltava poteva cre?dere di esserci davvero in quei posti e accanto a quelle perso?ne.
Dietro la donna che sarebbe diventata mia madre, altre due vicine stanno parlando e intorno ci sono i platani che un tempo ombreggiavano il canale Bur?lamacca. Due di queste hanno il grembiule chiaro e sembrano preoccupate, mentre die?tro di loro si vedono tre signore ben vestite con un uomo. In mezzo alle loro teste s?intravede un cappello da uomo con una fascia scura.
Quasi tutte le donne della fotografia portano ciabatte o zoccoli, nono?stante la stagione e stanno dritte come ormai le donne d?oggi non sanno pi? fa?re. Sar? perch? ogni tanto por?tavano sulla testa dei grossi ce?sti di panni per an?dare a la?varli sul fosso.
Una postura che oggi riescono ad avere solo le indos?satrici o le donne di colore che trovi in molte citt? del nord. Molte di loro sono arri?vate abusiva?mente in Italia per lavora?re nelle case, accudendo qualche an?ziano che altri?menti re?sterebbe solo tutto il giorno, ma hanno conservato lo stesso modo di stare in piedi.
Mia madre come quelle donne di colore portava dei grossi canestri sulla testa e poi si metteva a lavare sul bordo del canale. In compagnia delle amiche, raccontandosi le sto?rie che avevano vissuto magari solo il giorno prima.
Una volta finito appendevano i panni sul fosso e la brezza del ma?re, mentre parlavano, li avrebbe asciugati in fretta.
A sua insaputa qualcuno aveva scattato quella foto che poi era fini?ta su qualche giornale.
Era un ottobre di tanti anni fa e le piante di platano con le foglie ingialli?te che si vedevano intorno non ci sono pi?. Si sono seccate e lun?go il fosso ? rimasto il vuoto.
Ogni tanto ho bisogno di sapere se c?? ancora, stampa?ta o non ? invece scomparsa lasciando un buco. Se ? ancora co?me la ricordo. Che mi aspetta da scuola con la tavola gi? apparecchia?ta. Scompariva dietro il va?pore della mine?stra cal?da e dopo era ancora l? ad aspettare una risposta alle sue do?mande.
Non l?avevo mica capito perch? era morta, perch? mi ave?va lascia?to solo, ma l?avevo salutata lo stesso dandole un bacio sulla fronte ormai fredda.
Speravo che li riaprisse gli occhi come per magia: co?me nelle favole ma non era stato cos?. Avevo sperato che grazie al mio desiderio tornasse a vivere. Avevo quasi credu?to che, sor?prendendo tutti, si sarebbe risve?gliata.
Avevano chiuso la cassa di legno chiaro mentre mio pa?dre era fuori a fu?mare con qualcuno o forse per piangere di nasco?sto senza farsi vede?re. Come in altre occasioni anche quella vol?ta si era allontanato. L?avevo in?tuito che era stato cos? perch? quan?do lui era rientrato aveva gli occhiali scuri di mio zio. Li aveva messi per non fare capire che aveva pianto come un bambino.
Non avrebbe sopportato i rumori che provenivano da quella stan?za, per chiudere la cassa con tutti gli arnesi che gli addet?ti alle pompe funebri si erano portati dietro per eseguire un bel la?voro.
Allora era uscito a fumare mentre io ero rimasto l? di fron?te, con mia zia che mi parlava senza che riuscissi a capire qual?cosa.
Mio padre era rientrato quando tutto quel lavoro ru?moroso era fi?nito e mi aveva messo il suo braccio intorno al collo per cercare la forza che forse gli mancava.
Non l?avrei mai pi? rivista, con il suo vestito scuro e la tri?na bianca che la incorniciava da capo a piedi. Sembrava una bambina. Sembrava quasi che fosse una sorella che mi aveva la?sciato e non mi avrebbe pi? raccontato le sue storie.
Eravamo tornati a casa e lei non c?era pi? nella stanza ac?canto. Mio padre mi aveva dato la buonanotte e aveva spento la luce come tutte le altre sere, co?me se fosse una gior?nata qualsia?si.
Non avevo dormito quella notte. Solo quando iniziavo a vedere le primi luci da dietro le persiane verdi, mi ero addormentato, e mi ero svegliato che era gi? ora di uscire per andare da mia zia.
Mentre guardo la foto, penso a quante filze avr? infilato prima di incon?trarlo, a quante sere avr? passato con quel la?voro. Immaginando il giorno che si erano conosciuti.
Passeggiava con le sue amiche e quando lui aveva det?to qualcosa a quelle ragazze, si erano voltate tutte per capire chi aveva parlato.
Lui aveva fatto il gradasso mentre lei l?a?veva capito subito, da come l?ave?va guardata, che voleva at?taccare bottone.
Aveva fatto finta di nulla anche quando le aveva ac?compagnate in Passeg?giata e aveva cominciato a parlare dei suoi viag?gi, del mare, dei posti visti in giro per il mondo. For?se per fare colpo su di lei, che invece non si era mai mossa da Via?reggio e che i posti lontani li conosceva solo dai rac?conti fatti in famiglia.
Non per questo le mancava qualcosa. Erano gli uomini che dove?vano an?dare lontano a lavorare, mentre loro, le don?ne, rimanevano a casa ad aspettare il ritorno e a sfornare fi?gli, uno dietro l?altro.
Le donne di Viareggio che stavano lunghi periodi da so?le quando i loro uomini erano in mare, hanno tirato avanti le fa?miglie facendo piccoli lavori per cercare di essere autono?me e in?dipendenti.
Era una sera d?estate del trentacinque e sul mare si re?spirava gi? aria di guerra.
Non era il momento migliore quello, per innamorarsi di un uomo, che per di pi? si chiamava Libero e che avrebbe por?tato solo guai.
Mia madre non c?era stata a pensare due volte e aveva lo stesso de?ciso che quello sarebbe stato il suo uomo per tut?ta la vita.
Sapeva che non sarebbe stata una passeggiata. Con uno che si chia?mava Libero non c?era da aspettarsi qualcosa di buono. Aveva pensato che do?veva es?sere della razza di anar?chici e comunisti che aveva?no partecipato alle manifesta?zioni del primo maggio. Quando in tanti, in corteo sfilavano per le strade della citt? con la banda ed il fiocco nero. Fieri d?essere ancora in piazza, a testimo?niare la loro presenza an?che quando stava diventando di moda un al?tro nero che ave?va fosche pro?messe e peggiori illusioni.
Forse proprio per questo le era piaciuto subito.
Non aveva pi? potuto farne a meno di quell?uomo, del suo modo di essere un po? da guascone ma divertente, che co?nosceva tutti e quando era in citt? tut?ti quelli che lo incontra?vano lo sa?lutavano con lunghi ab?bracci da marinaio.
Aveva il vizio del bere ma si era innamorata di lui per?ch? sapeva che sa?rebbe stata un?avventura viverci insieme.
quando sente il rumore dell?acqua che esce dal rubinetto della casa di so?pra
e l?ascensore che sale nella notte o rivede le mani che si salutano alle stazioni?
ma ? ancora nel letto quando suona la sveglia
addormentato si alza e ricorda appena quello che ha sognato o sentito durante la notte
quando ? arrivato il giorno
rapito dai desideri ? partito per tornare daccapo
il corpo di fronte allo specchio e le mani che hanno accarezzato il corpo della sua donna sono pronti
Prima di rimettere la fotografia nel portafoglio, ho ri?pensato alla Passeg?giata fatta di legno come a Cinecitt?, dove forse sembrava che le cose non suc?cedessero per davvero.
Doveva essere come vivere in un film. Doveva essere pi? facile es?sere il protagonista a quei tempi.
Mi sono addormentato pensando alla Viareggio degli anni venti quando le cose erano molto diverse da oggi.
I viareggini a quel tempo erano tutti anarchici e ribelli e quando si muo?vevano facevano notizia in tutto il regno.
Come nei film visti al Pidocchino sgranocchiando le se?mi o i lupini che un?anziana signora, disposta nella prima fila, ven?deva ai ragazzi che passavano il pomeriggio nel buio della sa?la.
Mi alzavo per comprare qualcosa e la vecchia, con una tor?cia co?me quella della maschera, illuminava i sac?chetti che portava nel cesto appoggiato sulle co?sce. Ma la luce le serviva anche per controllare se le mone?te che le dava?mo era?no sufficienti. Io, dopo aver preso quello che volevo, tornavo al mio po?sto, e pi? di una volta ho pensato alla fortuna che aveva di poter vedere pi? volte tut?ti i film che voleva senza pagare il bi?glietto.