Re: Chi scrive, perché lo fa?
Inviato: 19/06/2009, 13:35
Oggi scrivo, perché non sono più in grado di sopportare!
Scrivo perchè, l'intolleranza su cui si basa tutto il nostro principio vitale prende il sopravvento su tutto. Eppure, basterebbe voltare il capo all'indietro per veder come eravamo, mezzo secolo fa, basterebbe dare fiducia agli effetti che produce la memoria e come dice il verso di una canzone sempre attuale "lo sai che più si invecchia, più affiorano alla mente ricordi lontanissimi" e in virtù di questa brevissima distrazione provvidenziale, che mi viene in mente di quando mio padre, il giorno della vigilia di Natale 1978 mi mandò a chiamare il vecchio Manuè che abitava in fondo alla strada di casa mia in un sottano, o per meglio dire in un tugurio, dal quale proveniva un tanfo terribile, irrespirabile se solo ti soffermavi nelle vicinanze dell'uscio di casa sua. Gli abitanti del quartiere si guardavano bene dal considerarlo cm'era giusto che fosse trattato, come un uomo. Considerato come un animale sporco e rognoso da tenere sempre a distanza. Quella sera mio papà prima di sederci a tavola per la cena di Natale parlottò prima con mia mamma e poi decise che la sera di Natale quell'uomo non doveva essere solo, e così mi disse: "vai a casa di Manué e digli di venire a cena da noi." Nessuno, né i mei fratelli più grandi, né io stesso che fui incaricato di andare a recare l'invito al vecchio ebbe qualcosa da eccepire, era condivisibile il gesto, un gesto da buon cristiano per chi crede nei principi che evocano il significato della sera di Natale, semplicemente umani e caritatevoli per chi crede in questi valori in quanto tali.
Il vecchio, non crebbe ai suoi occhi, quando gli rivolsi l'invito; a dire il vero, io stesso credetti che avrebbe ringraziato e declinato, e invece i suoi occhi si illuminarono, povero Manué, come doveva sentirsi solo.. Mi riferì che aveva bisogno di un po’ di tempo per prepararsi, e mi disse di riferire, che, tempo mezz’ora sarebbe venuto a casa nostra. Portai la notizia a casa, e nel frattempo mio padre, ci disse come ci saremmo dovuti comportare con l’occasione, doveva essere trattato con normalità, come un qualsiasi ospite degno di rispetto.
Manué non tardò ad arrivare a casa, con sé porto un pacchettino che consegnò nelle mani di mia madre, che ovviamente ringraziò, e fece i convenevoli di turno, lo aprì, all’interno del quale vi era una scamorza, che ripose a tavola, in una piccolo vassoio, la scamorza, su di sé, recava l’impronta della sua mano sporca, tutti la notammo, nessuno avrebbe voluta mangiarla, ma mio padre, prese il vassoio, e l’avvicinò a se, tagliò un pezzo di scamorza e l’ho ripose nel suo piatto, tutti lo guardavamo atterriti, e fù in quell’istante che ci diede un esempio di umiltà che ancora oggi affonda nella mia carne, come fosse una lama tagliente, cominciò a mangiare quel formaggio fresco come se nulla fosse, mia mamma lo seguì a ruota, e così ad uno ad uno facemmo a turno, ignorando l’impronta di unto della mano di Manué.
Ecco perché oggi scrivo, perché ci sono giorni, che il significato di alcune parole, mi tormentano, e mi lasciano in silenzio e distaccato da tutto ciò che distaccato non dovrebbe essere.
Ci sono parole, significati, che arronzati nel mio teschio mi turbano, lasciandomi indifferente di fronte alla normalità.
Ronzano dentro la mia testa come zanzare in una notte afosa e insonne.
Non sopporto chi non sopporta, non sopporto ogni qualsivoglia forma di emarginazione e ghettizzazione, non sopporto io stesso che scrivo di non sopportare.
Quando questo male mi pervade, allora devo scrivere, devo emancipare la mia mente, ed abituarla al ritmo delle mani che batte forte contro i caratteri stampati sopra la tastiera, e non sopporto contemporaneamente che la musica accesa nel mio studio, inquini i miei pensieri avulsi.
Cosa deve fare un uomo schiavo della sua stessa scrittura che anela nella sua testa e lo rende schiavo tanto da costringerlo a rimandare tutto, fino all’ultimo istante, fino all’ultima sillaba impressa sul video carta virtuale che un attimo dopo, si perderà chi sa dove senza meta nell’etere, senza direzione.
Oggi scrivo, perché il ricordo di quella sera, mi tormentava e mi ha tormentato per anni, quella impronta, quelle mani, quel cappotto intriso di odori tumefatti di merda, mi hanno perseguitato all’inverso, perché non sono stato capace di vincere l’indifferenza facendomi corrompere l’anima dagli odori che emanano gli agi.
Vivo nel pieno rispetto che producono i silenzi, che arrecano le monotonie delle banalità del quotidiano.
Il mondo moderno è questo ti allontana, ti emargina, e non si chiede mai perché, nessuno si è chiesto mai perché Manué ha vissuto i suoi ultimi trent’anni di vita in quelle condizioni, ecco perché oggi scrivo.
Scrivo perchè, l'intolleranza su cui si basa tutto il nostro principio vitale prende il sopravvento su tutto. Eppure, basterebbe voltare il capo all'indietro per veder come eravamo, mezzo secolo fa, basterebbe dare fiducia agli effetti che produce la memoria e come dice il verso di una canzone sempre attuale "lo sai che più si invecchia, più affiorano alla mente ricordi lontanissimi" e in virtù di questa brevissima distrazione provvidenziale, che mi viene in mente di quando mio padre, il giorno della vigilia di Natale 1978 mi mandò a chiamare il vecchio Manuè che abitava in fondo alla strada di casa mia in un sottano, o per meglio dire in un tugurio, dal quale proveniva un tanfo terribile, irrespirabile se solo ti soffermavi nelle vicinanze dell'uscio di casa sua. Gli abitanti del quartiere si guardavano bene dal considerarlo cm'era giusto che fosse trattato, come un uomo. Considerato come un animale sporco e rognoso da tenere sempre a distanza. Quella sera mio papà prima di sederci a tavola per la cena di Natale parlottò prima con mia mamma e poi decise che la sera di Natale quell'uomo non doveva essere solo, e così mi disse: "vai a casa di Manué e digli di venire a cena da noi." Nessuno, né i mei fratelli più grandi, né io stesso che fui incaricato di andare a recare l'invito al vecchio ebbe qualcosa da eccepire, era condivisibile il gesto, un gesto da buon cristiano per chi crede nei principi che evocano il significato della sera di Natale, semplicemente umani e caritatevoli per chi crede in questi valori in quanto tali.
Il vecchio, non crebbe ai suoi occhi, quando gli rivolsi l'invito; a dire il vero, io stesso credetti che avrebbe ringraziato e declinato, e invece i suoi occhi si illuminarono, povero Manué, come doveva sentirsi solo.. Mi riferì che aveva bisogno di un po’ di tempo per prepararsi, e mi disse di riferire, che, tempo mezz’ora sarebbe venuto a casa nostra. Portai la notizia a casa, e nel frattempo mio padre, ci disse come ci saremmo dovuti comportare con l’occasione, doveva essere trattato con normalità, come un qualsiasi ospite degno di rispetto.
Manué non tardò ad arrivare a casa, con sé porto un pacchettino che consegnò nelle mani di mia madre, che ovviamente ringraziò, e fece i convenevoli di turno, lo aprì, all’interno del quale vi era una scamorza, che ripose a tavola, in una piccolo vassoio, la scamorza, su di sé, recava l’impronta della sua mano sporca, tutti la notammo, nessuno avrebbe voluta mangiarla, ma mio padre, prese il vassoio, e l’avvicinò a se, tagliò un pezzo di scamorza e l’ho ripose nel suo piatto, tutti lo guardavamo atterriti, e fù in quell’istante che ci diede un esempio di umiltà che ancora oggi affonda nella mia carne, come fosse una lama tagliente, cominciò a mangiare quel formaggio fresco come se nulla fosse, mia mamma lo seguì a ruota, e così ad uno ad uno facemmo a turno, ignorando l’impronta di unto della mano di Manué.
Ecco perché oggi scrivo, perché ci sono giorni, che il significato di alcune parole, mi tormentano, e mi lasciano in silenzio e distaccato da tutto ciò che distaccato non dovrebbe essere.
Ci sono parole, significati, che arronzati nel mio teschio mi turbano, lasciandomi indifferente di fronte alla normalità.
Ronzano dentro la mia testa come zanzare in una notte afosa e insonne.
Non sopporto chi non sopporta, non sopporto ogni qualsivoglia forma di emarginazione e ghettizzazione, non sopporto io stesso che scrivo di non sopportare.
Quando questo male mi pervade, allora devo scrivere, devo emancipare la mia mente, ed abituarla al ritmo delle mani che batte forte contro i caratteri stampati sopra la tastiera, e non sopporto contemporaneamente che la musica accesa nel mio studio, inquini i miei pensieri avulsi.
Cosa deve fare un uomo schiavo della sua stessa scrittura che anela nella sua testa e lo rende schiavo tanto da costringerlo a rimandare tutto, fino all’ultimo istante, fino all’ultima sillaba impressa sul video carta virtuale che un attimo dopo, si perderà chi sa dove senza meta nell’etere, senza direzione.
Oggi scrivo, perché il ricordo di quella sera, mi tormentava e mi ha tormentato per anni, quella impronta, quelle mani, quel cappotto intriso di odori tumefatti di merda, mi hanno perseguitato all’inverso, perché non sono stato capace di vincere l’indifferenza facendomi corrompere l’anima dagli odori che emanano gli agi.
Vivo nel pieno rispetto che producono i silenzi, che arrecano le monotonie delle banalità del quotidiano.
Il mondo moderno è questo ti allontana, ti emargina, e non si chiede mai perché, nessuno si è chiesto mai perché Manué ha vissuto i suoi ultimi trent’anni di vita in quelle condizioni, ecco perché oggi scrivo.