La voce

"Officina" come luogo, dove si può imparare a capire cos’è un racconto, dove poter apprendere le tecniche costruttive della narrazione, almeno le più elementari.
Si organizzeranno corsi strutturati in varie lezioni.

Moderatore: Gaetano Intile

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Gaetano Intile
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La voce

Messaggio da Gaetano Intile »

La voce, o narratore, è l’istanza produttrice del discorso narrativo.

Lo statuto del narratore è definito mediante il suo livello narrativo (la collocazione del narratore rispetto al discorso del racconto) e il suo rapporto con la storia.
I livelli narrativi si manifestano quando il narratore del racconto di primo grado (diegetico) cede la parola a un personaggio che diventa il narratore di secondo grado (metadiegetico).
Il narratore del primo racconto è detto extradiegetico, quello del secondo metadiegetico. Ne ho già scritto a proposito del Narratore e del Patto Narrativo.
Quanto invece al rapporto tra narratore e storia si distinguono due tipi di racconto: il primo eterodiegetico, con il narratore assente dalla storia raccontata, il secondo omodiegetico, con il narratore presente come personaggio nella storia raccontata.
Il narratore a sua volta può essere il protagonista (narratore autodiegetico) o un semplice testimone (narratore allodiegetico).
La classificazione è di Gerard Genette.
Nel racconto con protagonista narratore di solito l’io narrante e l’io narrato sono separati da una differenza di età e di esperienza. Si pensi, ad esempio, al Zeno Cosini de La Coscienza di Zeno di Italo Svevo, dove il narratore protagonista riferisce le cose dal punto di vista percettivo di quando era giovane. Il suo sistema di idee tende però ad essere quello di un’età più avanzata. Il narratore, seppure il punto di vista sia quello di Zeno giovane, è più vecchio e più saggio rispetto alle esperienze di Zeno giovane. Diversa la vicenda di Mattia Pascal, che narra invece una vicenda relativamente vicina. Al di là della struttura narrativa la differenza tra questi romanzi vanno ricercate nei codici assiologici. Per Pirandello c’è l’Italia umbertina con il suo vuoto morale, le contraddizioni laceranti tra la politica sociale repressiva e imperialistica di Crispi, la caduta dei valori risorgimentali, o la consapevolezza della loro vacuità, le lotte proletarie a cominciare dalle rivolte dei Fasci in Sicilia. E di conseguenza una élite economico e culturale costretta a gettare la maschera, a mostrare il volto borghese, truce, conservatore e oppressivo, nazionalista e autoritario, non democratico. Il Fu Mattia Pascal è un romanzo di formazione, ma straniato, che delude il pubblico delle belle anime romantiche e naturaliste. Il romanzo inizia a vicenda conclusa e il lettore non ha da attendersi nessuna catarsi. Il relativismo critico dell’ottica pirandelliana nega ogni certezza consolante e propone un protagonista squilibrato, che ha perduto il senso della vita. I primi due capitoli sono incentrati su un io che ha una coscienza negativa della sua vicenda e non può abbandonarsi a un flusso di memoria positivo, neanche nella sua illusorietà. È un io che vaga dal presente al passato, dall’attualità al ricordo, con una precisa consapevolezza di estraniazione che determina, all’interno della grande analessi, il sentimento del contrario, l’intrusione di una logica angosciante e problematica. Fatti, pensieri, propositi, vengono da Pirandello destrutturati, sottratti al tempo e allo spazio della diegesi e ancorati soltanto al limbo del tempo del narratore, che parla, recita, gestualizza, proietta, in forme visive e teatrali il magma che ribolle nella coscienza filtro della realtà.
Genette scrive che lo scrittore che costruisce un romanzo porta con naturalezza al dito l’anello di Gige, che rende invisibili.
Robennskii
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Re: La voce

Messaggio da Robennskii »

E come Gige l'autore, protetto dall'invisibilità, commetterà il crimine più grande: diventare sé stesso. Ma quante peripezie, che dichiarazioni e pensieri mettiamo sulle labbra dei nostri personaggi.

Già nei nostri piccoli racconti si rileva una strutturazione delle voci a più livelli. Credo sia inevitabile laddove si voglia dare una significativa profondità.
A volte si assiste a un 'contrappunto': non sempre le voci concordano e sembra quasi che vi sia un conflitto interiore. Altre volte, la differenza sta, come spiegavi bene, nell'esperienza: il narratore prende la parole per una visione d'insieme più distaccata.

Uno degli aspetti che mi appassiona di più ma che necessita di grande esperienza e maturità.
Gaetano Intile
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Re: La voce

Messaggio da Gaetano Intile »

Già, e qui si comincia a ragionare, Roberto. E comincia a essere tutto difficile. Tra voce, distanza, prospettiva, discorso, si gioca la nostra capacità o meno di raccontare storie. Qui si valuta se si è dei narratori o dei semplici scrivani. Ed è un insieme complesso. Già solo il comprendere l'esistenza della complessità è il primo passo per affrontarla. Non demordere.
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