Esercizio numero sei

Sezione nella quale si svolgono gli esercizi previsti da questa iniziativa.
Gaetano Intile
Macchina da scrivere
Macchina da scrivere
Messaggi: 191
Iscritto il: 16/12/2022, 16:29

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Gaetano Intile »

Sei stato rapidissimo, Giovanni.
Un altro racconto che val la pena leggere.
Qui la trama cinica si delinea prepotente.
Il marchese di Serravalle progetta il suo piano speculativo sulle spalle dei suoi contadini per intascare un premio assicurativo e sbarazzarsi di loro con altri provenienti dal Sud a minor costo.
Il suo amministratore, Belotti, assiste in silenzio all'esposizione del progetto delittuoso del marchese e, benché il lettore intuisca la sua contrarietà, non dice una parola per dissuadere il suo datore di lavoro.
Nella sequenza di epilogo la voce narrante lo mostra intento a piangere pensando alle vite che andranno perdute, incapace di opporsi al suo signore.
Il trionfo del male nella persona del marchese, ma anche dell'ignavia, della paura, del Belotti.
Dato che il Punto di Vista è quello di Belotti potresti accentuare il suo disappunto, la voce narrante sembra onnisciente, ma focalizzata sul personaggio di Belotti, che tende ad assecondare.
Ottimo lavoro.
Giovanni p
Penna stilografica
Penna stilografica
Messaggi: 54
Iscritto il: 01/03/2023, 9:07

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Giovanni p »

Grazie mille, Gaetano.

Questi esercizi mi stanno aiutando a capire la struttura del racconto, duro meno fatica a buttare giù le mie idee.

Grazie ancora.
Giovanni p
Penna stilografica
Penna stilografica
Messaggi: 54
Iscritto il: 01/03/2023, 9:07

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Giovanni p »

Gaetano Intile ha scritto: 17/05/2023, 11:37 Un bel racconto, ti costringe a continuare la lettura fino all'epilogo. La struttura è lineare ma solida, un io narrante con focalizzazione interna e punto di vista del protagonista che non abbandoni fino alla fine. Una breve sequenza narrativa che fa da introduzione e poi sequenze dialogiche inframmezzate da scene narrative rendono il testo scorrevole, insomma non ci si annoia fino all'epilogo affidato al dialogo. Io nel finale in più ci avrei messo qualche pensiero dell'eroe.
Quanto alla trama degenerativa, l'eroe rinuncia ai propri ideali a causa dei suoi insuccessi? Non mi pare. Piuttosto, l'eroe protagonista pare di continuo messo alla prova. Messo alla prova al lavoro, messo alla prova dai nuovi amici, messo alla prova da Matilde, che lo apostrofa con quel Ruffiano di merda, messo alla prova finanche da se stesso durante il lungo incontro scontro con una ragazza che alla fine gli piace. Potrebbe benissimo essere una trama di prova, per intenderci affine, vicinissima, a quella degenerativa. Ma nella trama di prova l'autore concentra l'attenzione del lettore proprio sulle prove da superare. La lunga scena dialogata tra l'eroe e Matilde ribadisce i tentativi dell'eroe di sentirsi all'altezza.
Mentre, a mio avviso, per esserci degenerazione, il protagonista avrebbe dovuto comportarsi in modo diverso: ad esempio, lanciare una sfida a Matilde e farle del male, intenzionalmente, come ha fatto con Longo, quando capisce che lei lo respingerebbe, così, per pura cattiveria, perché ha deciso di non sopportare più, e magari pensare di far del male anche a Rossi, di vendicarsi. E nel farlo forse dovresti rimarcare, nella parte introduttiva, la sua non violenza, il suo essere un bravo ragazzo di montagna, in modo da sottolineare il contrasto tra l'eroe prima e l'eroe dopo. Insomma, il cambiamento si deve intuire come radicale, un mutamento di visione del mondo dell'eroe, che si scopre cattivo, non un'arrabbiatura passeggera e pure motivata dalla stronzaggine altrui.
E sì che Matilde lo sprona in questo senso, lo stuzzica, lo costringe a uscire all'aperto. Forse hai voluto troppo bene sia al tuo eroe che a Matilde. Si vede che anche tu sei un bravo ragazzo.
A prescindere dalla trama il racconto è avvincente, valido, solido, piacevole. Ho trovato qualche refuso da fretta, basta una rilettura.
Aspetto la trama cinica, per cui puoi anche utilizzare la traccia di questo stesso racconto, secondo me, con qualche modifica.


Grazie per avermi letto, purtroppo mi sono incartato sul finale, la storia doveva prendere una piega più cupa ma temevo di svilirla.
Ripeterò l'esercizio appena possibile.
Robennskii
Macchina da scrivere
Macchina da scrivere
Messaggi: 165
Iscritto il: 15/12/2022, 21:05

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Robennskii »

Trama con degenerazione dei "buoni".

N.d.A.: la storia che segue è frutto di pura fantasia. Ogni riferimento a persone o fatti reali deve intendersi del tutto involontario e puramente casuale.


Domani è oggi

######

Si erano amati come solo i bambini sanno fare. Un sentimento tanto puro da suscitare meraviglia.

Vicente aveva appena ricevuto il rapporto della scientifica: asfissia da annegamento. Il video di una telecamera mostrava il “Puente de los Amantes” deserto e il giovane in piedi sul parapetto. Non c’era molto da indagare, in quella tiepida serata di primavera.

Ma il ragazzo aveva vent’anni e il commissario, nonostante la lunga esperienza alla Omicidi, avvertiva un disagio dimenticato… quasi un presentimento.
O, forse, era solo l’ennesima notte da dimenticare.

L’indomani non furono che telefonate e giornalisti. E la mattina successiva non poté sfuggire alle scartoffie che, pazienti, lo avevano atteso sulla scrivania. Per fortuna, la tazza fumante sul dossier “Blazquez” prometteva qualche minuto di tregua.

“Commissario, c’è un tizio nell’atrio. Vuole parlare con lei”.

“Benitez che diamine, mi fai finire almeno il caffè?” ringhiò lui. Ma il ragazzo, jeans maglietta capelli arruffati, già indugiava sulla porta.

“Commissario Vicente?”

“Sono io. Prego, si accomodi” rispose lui, mentre fulminava Benitez con lo sguardo.

A Vicente bastarono pochi secondi per squadrare quel giovane: i suoi occhi scavati dall’angoscia gli confermarono, ancora una volta, come le notti insonni non appartengano solo ai funzionari di polizia.

“Mi chiamo Isandro Galvez. Sono… ero un amico di Diego”.

Vicente stette in ascolto per un seguito che non arrivò. Al suo posto, lacrime improvvise. Tirò allora fuori il “kit”, mentre Benitez si muoveva rapido. Dopo qualche istante, un’altra tazza fumante diffondeva l’aroma nell’angusto ufficio mentre, sul bordo della scrivania, fazzoletti di carta, sigarette e caramelle al limone avevano fatto la loro comparsa dal nulla.

Vicente attese che il giovane si calmasse. Poi iniziò a fare il commissario.

“Parla del Blazquez o sbaglio, Sig. Galvez?”.

No, non sbaglia. Diego, il mio miglior amico”.

“Ci dispiace per lui. Creda, l’accaduto ha toccato anche noi. Ma di fronte a un gesto del genere non c’è nulla da fare, se non rassegnarsi.

“Commissario, mi ascolti: sono qui per denunciarne l’omicidio!”

Vicente si lasciò andare sulla spalliera della sedia, colto di sorpresa come raramente gli capitava. Benitez fece finta di sbirciare alcuni documenti, poi uscì di propria iniziativa senza attendere il gesto che sarebbe arrivato da lì a poco.

“Isandro – posso chiamarla così? – per fortuna il collega era distratto e non ha ascoltato. Comprendo la sua disperazione, ma questo è un commissariato: prima di affermare certe cose bisogna fare attenzione. Il caso è destinato a essere archiviato, abbiamo il video del suicidio. Glielo risparmierei ma, se proprio non riesce ad accettare la realtà, farò un’eccezione.”

“Lei non capisce, commissario! Lo hanno costretto a togliersi la vita!”

“Ma di che parla?”

“Se aveste chiesto in giro, forse sapreste qualcosa in più”.

Vicente ebbe un gesto di stizza. Poi guardò il giovane negli occhi: quel ragazzo avrebbe potuto essere suo figlio.

“Ascolti Isandro, non sfidi la mia pazienza. Abbiamo acquisito delle informazioni sommarie e per un caso del genere sono più di quanto serve.”

“E Lory, cosa dite di Lory?”

“Che ci sono più cuori infranti nel mondo che stelle in cielo. Conosciamo la storia dei due, dell’allontanamento recente dopo che lei si è fatta assumere al Demon Cube.”

“Forse non vi hanno detto…”

“Per cortesia, Isandro. Questa città ha problemi enormi. Potrei disegnarle ora qui, in un istante, l’intera rete dei locali, di fiancheggiatori e prestanomi di Ilija. Ma non è un reato essere assunti nei suoi club. Sappiamo anche delle squillo, che ci creda o no.”

“E’ stato lui, Ilija. Ha costretto il mio amico a togliersi la vita. E non finirà qui, vedrà.”
Vicente ebbe un sussulto.
“Anche se fosse in grado di provarlo avremmo una istigazione al suicidio, ben poca cosa per il maggior trafficante di cocaina della regione.
Un momento: cosa ‘non finirà qui’?”

“Si è tolto la vita per salvare lei. Lory non reggerà al dolore.”

“La coca è un grande aiuto” rispose Vicente, mordendosi subito dopo le labbra. “Non possiamo fare nulla.”

Isandro tirò fuori una foto di qualche tempo prima, con Diego e Lory sorridenti sullo sfondo di una prato fiorito. Lei era di una bellezza straordinaria: il classico viso d’angelo sopra un corpo perfetto. E quelle labbra che sembravano disegnate da un artista… Vicente scrollò il capo poi, con voce ferma, chiamò dentro Benitez.

“Prosegua pure, il brigadiere è un mio fidato collaboratore. Quanto dirà qui resterà tra queste mura.”

Benitez annuì platealmente. Isandro continuò:

“La sera prima che accadesse tutto, Diego mi ha chiamato. Voleva parlarmi di persona, così ci siamo incontrati da lui. Aveva trovato un modo per salvare Lory, a suo dire. Un accordo raggiunto con Ilija, in base al quale lui sarebbe dovuto partire. Mi ha chiesto di prendermi cura di lei, una volta libera. Libera dalla coca, dalla gabbia della prostituzione.
Ho cercato di dissuaderlo, convinto che con criminali del genere non possa esistere alcuna possibilità di uscirne indenni.
A quel punto, Isandro si fermò e Vicente stette a osservarlo in silenzio. Se c’è un sentimento che un commissario impara presto a riconoscere è il dolore sincero. Trascorsero due minuti lunghi come l’eternità, poi il giovane riprese:
“Ieri, dopo aver sentito la notizia, ho capito e mi sono precipitato al Demon Cube. Ero sconvolto: gli scagnozzi alla porta mi hanno tirato dentro, dandomi il benvenuto a calci e pugni. Solo quando ho urlato che mi mandava Diego si sono fermati. Pochi istanti dopo ero seduto a un tavolo, controllato a vista nel locale deserto. Il boss è arrivato subito, con Lory accanto. O, meglio, ciò che resta di lei… nel suo sguardo spento non brilla più la scintilla di un tempo.
Ilija mi ha affrontato subito:

 Tu chi sei?

 Sono colui che deve riscuotere il riscatto. Diego ha fatto quanto hai chiesto.

 Hai fegato, ragazzo. Esiste ancora l’amicizia!

Una grassa risata ha riempito il locale, seguita da cui quella dei due scagnozzi. Ho dovuto reprimere un sussulto di rabbia.

 A cosa ti è servita la vita del mio amico? Perché questo?

A quel punto la risata di Ilija si è interrotta, annientata dal suo sguardo tagliente. Prese il telefono e, cercato un video, me lo mostrò: Lory, di spalle, poggiata sul davanzale di una finestra aperta. Aveva un vestito di strass, la schiena scoperta e i capelli biondi raccolti. Il movimento incessante dell’inquadratura non lasciava dubbi… qualcuno la stava possedendo, anche se lei sembrava una bambola inerte. Poi, una voce da dietro e le parole che non dimenticherò mai:
‘Vedi il ragazzo sul ponte? Certo, lo conosci. E sai, sta per gettarsi. L’illuso spera di poterti salvare…! ’
Lei ha tentato di reagire, ma una striscia di polvere bianca sul dorso della mano di lui, tenuta a portata del viso, l’ha inchiodata lì.
Stavo per perdere il controllo. Con gli occhi gonfi di lacrime ho fissato quel mostro di fronte a me, implorando un perché.

 Sai ragazzo, c’è chi paga bene per le emozioni forti.

Ilija si è voltato quindi verso Lory.
 Tu cosa vuoi fare? Puoi andare, se desideri.
Lei ha abbassato il capo, incapace di trovare uno scampolo di sé. Lui, forte di sé, mi ha detto di uscire, e quello non era solo un invito. Così mi sono alzato tra le risate di quei porci. Ma prima di varcare la soglia, Lory, divincolandosi dal boss, ha schivato le guardie e mi si è gettata addosso. Nell’orecchio, il suo fiato in affanno e un’ultima, disperata richiesta:
 Salvami Isandro, ti scongiuro! O domani mi uccido.
Commissario … domani è oggi.”

Vicente sentì un brivido lungo la schiena. Osservò Benitez, che teneva le labbra serrate. Nei loro occhi, la frustrazione di una lotta impari lunga una vita. E l’anima inquinata dalla sconfitta bruciante.
Isandro esitò, appeso a un esile filo, alternando lo sguardo dall’uno all’altro. Infine fissò Vicente che, allentato il nodo della cravatta, sembrava sprofondare sotto il suo stesso peso.
“Isandro, ha fatto bene a informarci, ci muoveremo subito. Non sono in grado di promettere nulla, ma faremo il possibile per la ragazza.”
Il giovane, rincuorato, uscì dall’ufficio.
I due poliziotti stettero in silenzio per un po’, ciascuno perso nei propri pensieri. Insieme avevano affrontato, sin dagli inizi, il crimine organizzato e le sue mille sfaccettature. Appostamenti, indagini e tanto fiuto: i primi successi giunsero rapidi. Ma con il passar del tempo si erano resi conto che, per ogni tentacolo mozzato, ne ricrescevano due. E che con gli anni svaniva, insieme alla giovinezza, la voglia di combattere. Il colpo di grazia fu quando, rispondendo a una chiamata urgente via radio, giunsero per primi davanti alla volante sventrata in cui giacevano i corpi martoriati di Rojas e del suo assistente. Quella sera, tornando a casa, non poterono fare a meno di provare sollievo nel ritrovare i banali, insulsi oggetti quotidiani. Le piccole cose che potevano permettersi con i miseri stipendi per cui rischiavano la vita ogni giorno.
“Benitez, sai come fare. Chiama Ilija e organizza un incontro.”
Il brigadiere fece per uscire ma si bloccò, chiamato di nuovo dal commissario:
“La ragazza è un problema e Isandro rischia grosso: digli che per noi, stavolta, c’è più di qualcosa da mettere a posto.”
Gaetano Intile
Macchina da scrivere
Macchina da scrivere
Messaggi: 191
Iscritto il: 16/12/2022, 16:29

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Gaetano Intile »

 Sai ragazzo, c’è chi paga bene per le emozioni forti.
Dopo sai va la virgola, è un vocativo.
Hai ripreso i refusi, il racconto è perfetto.
La trama degenerativa introdotta col periodo finale funziona. Ma potresti accentuarla, se volessi. Anche tu, come Giovanni, sei un bravo ragazzo e non ti piace far vincere troppo i cattivi. Ma se accenni a una lotta impari col crimine, all'attentato ai colleghi, e alla voglia di combattere scemata col tempo, puoi permetterti di andare oltre. I due poliziotti possono essere corrotti fin nel midollo, la loro degenerazione deve essere evidente.
“La ragazza è un problema e Isandro rischia grosso: digli che per noi, stavolta, c’è più di qualcosa da mettere a posto.”
E in questa sequenza di epilogo potrebbero essere i due poliziotti a dire a Ilja di sbarazzarsi di Lory, mentre a Isandro ci avrebbero pensato loro.
Comunque, un ottimo lavoro questa trasformazione.
La trasformazione delle trame mi lascia di stucco, mi ricorda di lavoro di Calvino a proposito. Bravo.
E pensa se introducessi un ulteriore personaggio di poliziotto buono, che indaga sui colleghi corrotti. Che trama sarebbe?
Gaetano Intile
Macchina da scrivere
Macchina da scrivere
Messaggi: 191
Iscritto il: 16/12/2022, 16:29

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Gaetano Intile »

Giovanni p ha scritto: 20/05/2023, 16:17
Gaetano Intile ha scritto: 17/05/2023, 11:37 Un bel racconto, ti costringe a continuare la lettura fino all'epilogo. La struttura è lineare ma solida, un io narrante con focalizzazione interna e punto di vista del protagonista che non abbandoni fino alla fine. Una breve sequenza narrativa che fa da introduzione e poi sequenze dialogiche inframmezzate da scene narrative rendono il testo scorrevole, insomma non ci si annoia fino all'epilogo affidato al dialogo. Io nel finale in più ci avrei messo qualche pensiero dell'eroe.
Quanto alla trama degenerativa, l'eroe rinuncia ai propri ideali a causa dei suoi insuccessi? Non mi pare. Piuttosto, l'eroe protagonista pare di continuo messo alla prova. Messo alla prova al lavoro, messo alla prova dai nuovi amici, messo alla prova da Matilde, che lo apostrofa con quel Ruffiano di merda, messo alla prova finanche da se stesso durante il lungo incontro scontro con una ragazza che alla fine gli piace. Potrebbe benissimo essere una trama di prova, per intenderci affine, vicinissima, a quella degenerativa. Ma nella trama di prova l'autore concentra l'attenzione del lettore proprio sulle prove da superare. La lunga scena dialogata tra l'eroe e Matilde ribadisce i tentativi dell'eroe di sentirsi all'altezza.
Mentre, a mio avviso, per esserci degenerazione, il protagonista avrebbe dovuto comportarsi in modo diverso: ad esempio, lanciare una sfida a Matilde e farle del male, intenzionalmente, come ha fatto con Longo, quando capisce che lei lo respingerebbe, così, per pura cattiveria, perché ha deciso di non sopportare più, e magari pensare di far del male anche a Rossi, di vendicarsi. E nel farlo forse dovresti rimarcare, nella parte introduttiva, la sua non violenza, il suo essere un bravo ragazzo di montagna, in modo da sottolineare il contrasto tra l'eroe prima e l'eroe dopo. Insomma, il cambiamento si deve intuire come radicale, un mutamento di visione del mondo dell'eroe, che si scopre cattivo, non un'arrabbiatura passeggera e pure motivata dalla stronzaggine altrui.
E sì che Matilde lo sprona in questo senso, lo stuzzica, lo costringe a uscire all'aperto. Forse hai voluto troppo bene sia al tuo eroe che a Matilde. Si vede che anche tu sei un bravo ragazzo.
A prescindere dalla trama il racconto è avvincente, valido, solido, piacevole. Ho trovato qualche refuso da fretta, basta una rilettura.
Aspetto la trama cinica, per cui puoi anche utilizzare la traccia di questo stesso racconto, secondo me, con qualche modifica.


Grazie per avermi letto, purtroppo mi sono incartato sul finale, la storia doveva prendere una piega più cupa ma temevo di svilirla.
Ripeterò l'esercizio appena possibile.
Ciao, Giovanni. Perché temevi di svilire il lavoro? Anzi, la consistenza del disagio del tuo protagonista è la molla per il suo cambiamento. E poi, quella antipatica è proprio Matilde, a prescindere da quanto tu riesca a rendere odioso il tuo eroe.
Robennskii
Macchina da scrivere
Macchina da scrivere
Messaggi: 165
Iscritto il: 15/12/2022, 21:05

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Robennskii »

Sì, un esercizio istruttivo. Anche nella brevità della trama, il cambio di direzione ha originato molte modifiche meno visibili. Per esempio, il "cuore grande" di Vicente era una sfumatura che avrebbe cozzato con il finale.

È vero, non ho voluto calcare la mano. La trama "torbida", che poi è quella che preferisco, concede molte opportunità e alla fine, forse, i cattivi non sono poi così cattivi. Lo diceva Loredana Bertè in una canzone, se non erro.
Ma un allargamento sarebbe stato inevitabile.

Vorrei qui lanciare sul tavolo una considerazione, che spero non sia frutto di un ricordo sbagliato. Da ragazzo, molto ragazzo, mi fecero leggere "I racconti romani" di Moravia. A scuola, ovviamente. Studiando poi il personaggio, saltò fuori una sua dichiarazione, il cui succo era, salvo mio svarione mnemonico, che uno scrittore non attende l'ispirazione, si mette al lavoro e scrive.

Allora restai interdetto. Mi sembrò quasi che si profanasse il tempio. Oggi ho cambiato di molto la mia veduta al riguardo. Ed ecco, questo esercizio mi ha riportato un po' a quel momento: l'ispirazione può essere autoindotta?
Credo proprio di sì.

Grazie, Namio
Gaetano Intile
Macchina da scrivere
Macchina da scrivere
Messaggi: 191
Iscritto il: 16/12/2022, 16:29

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Gaetano Intile »

Ciao, Roberto.
Mi hai ricordato la riscrittura dell'Odissero omerico fatta da Theodor Adorno in Dialettica dell'Illuminismo. Leggila, se la trovi.
Il punto non è utilizzare la tecnica per la propria arte. Lo faceva Michelangelo, Fidia, Caravaggio, Omero, Virgilio. Qui la tecnica serve l'arte e l'artista, o al limite l'artigiano, non il contrario, come avviene nella catena di montaggio dove l'uomo non è più artista o artigiano, ma deve arrendersi e uniformarsi ai tempi contingentati e alle azioni necessarie dettate dai mezzi della produzione capitalista. Ciò vale per impiegati e operai, ma anche per i professionisti quando inseriti in un determinato meccanismo produttivo. E l'irrefrenabile attività dell'artista, che magari non mangia e non dorme per creare, ossessionato dalla propria opera, non è paragonabile al lavoro dell'operaio o dell'impiegato, costretti al ruolo di manodopera per produrre una singola parte di un qualcosa, e non a creare un tutto. Il discorso sarebbe molto, ma molto lungo. Alla fine il lavoro dell'operaio o dell'impiegato, o del professionista, può condurre all'alienazione, all'estraniazione, ed alla base della nascita dell'industria del tempo libero. Libero perché non assoggettato (anche se con l'industria del tempo libero il lavoratore alienato viene di nuovo reso schiavo). Il lavoro dell'artista, che non si è fatto risucchiare dal metodo di produzione e lavoro capitalista, non solo non produce alienazione o straniamento, ma non l'artista non ha tempo libero, perché tutto il suo tempo è il tempo dell'artista.
Quindi non è la tecnica in sé a profanare il tempio, ma la tecnica che diventa essa stessa fine, come nel metodo di produzione capitalista.
Va beh, divago come al solito. Ma non ti preoccupare, fior di filosofi ne hanno scritto, non stiamo profanando il tempio.
Giovanni p
Penna stilografica
Penna stilografica
Messaggi: 54
Iscritto il: 01/03/2023, 9:07

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Giovanni p »

Buongiorno, Gaetano

perchè nel finale il protagonista avrebbe dovuto perdere la testa e fare del male a qualcuno, o almeno l'idea originale era quella, ma sembrava tutto forzato e poco credibile.
Ho preferito concluderla così, con meno effetto, ma più credibilità.

Grazie a presto.
Gaetano Intile
Macchina da scrivere
Macchina da scrivere
Messaggi: 191
Iscritto il: 16/12/2022, 16:29

Re: Esercizio numero sei

Messaggio da Gaetano Intile »

Giovanni p ha scritto: 24/05/2023, 8:19 Buongiorno, Gaetano

perchè nel finale il protagonista avrebbe dovuto perdere la testa e fare del male a qualcuno, o almeno l'idea originale era quella, ma sembrava tutto forzato e poco credibile.
Ho preferito concluderla così, con meno effetto, ma più credibilità.

Grazie a presto.
Non c'è problema, Giovanni, l'autore sei tu, io mi limito a leggere che, come ben saprai, è più facile che scrivere.
Rispondi