Esercizio numero cinque

Sezione nella quale si svolgono gli esercizi previsti da questa iniziativa.
Robennskii
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Robennskii »

Un estratto che lascia immaginare. Veramente uno spunto notevole, al di là di tutto.

Complimenti per il "colla". Inusuale e perfetto.

I due testi messi uno accanto all'altro rendono efficacemente la differenza che si vuole evidenziare. Dopo esserci cimentati in questo esercizio si possono già trarre, forse, due conclusioni:
-nella scrittura di ogni autore i due tempi, normalmente, non coincideranno se non per brevi momenti;
-la sincronia dei due tempi concede comunque un effetto, è vero, ma deve essere certo voluto, desiderato: comunque sempre propedeutico ad altro.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Gaetano Intile »

Giovanni p ha scritto: 27/04/2023, 18:10 Buonasera, Gaetano, questa è il primo esercizio, ovvero tempo della storia e della narrazione coincidono (o almeno credo).
Per domani spero di riuscire a fare l'altro.
Grazie mille.



Quanto odio i lampeggianti blu…e pensare che da giovane mi piacevano.
- Roncato, finalmente siete arrivato!
La faccia gialla del Busi è più gradevole se illuminata di blu, soprattutto in casi come questo che è notte e non c’è un lampione acceso neanche a pagarlo.
- Sono arrivato venti minuti fa, Busi.
Spero si beva la bugia, lo vedo con la cosa dell’occhio mentre mi scruta con la sua faccia da cretino domandandosi come sia possibile che non mi abbia visto.
- Ho fatto il giro dell’isolato – continuo io evitando il suo sguardo – questa storia non mi piace.
Busi non risponde mentre io gli do le spalle facendo finta di cercare qualcosa in auto, finalmente rompe il silenzio dicendo:
- Ha notato qualcosa?
Mi volto e dico ostentando sicurezza:
- No, non dovrebbero esserci cose che non vanno nello spazio attiguo alla casa.
Busi mi ascolta, poi distoglie lo sguardo, so che non gli piace essere guardato dritto negli occhi.
- Ma guarda chi abbiamo qua!
Cerco di mantenere la mia espressione invariata fissando il vuoto, ci mancava solo quel deficiente di Natta.
- Roncato, credo che dopo molti anni di onorato servizio abbia ormai imparato che quando c’è un urgenza bisogna precipitarsi sul luogo dell’emergenza.
Quanto gli piacerà dire la parola “emergenza”? Eccolo lì, Federico Natta, mentre fa lo slalom fra le volanti per venirmi a fare l’ennesima parte di merda. Io lo saluto facendo un cenno con la testa, che lui ovviamente non ricambia.
- Roncato, ne abbiamo già parlato, vero?
Dopo aver ignorato il mio saluto si è piantato a meno di mezzo metro da me, puntando la sua faccia da cazzo su tutta la mia figura, sapendo benissimo che mi da fastidio quando la gente mi si avvicina troppo.
- Tenete Natta, stavo giusto dicendo a Busi che ho approfittato della presenza di tre volanti per fare un veloce sopralluogo intorno alla casa.
Natta trasalisce e poi lascia che l’aria esca piano dalle sue maledette narici facendo rumore, nella speranza che io ne sia intimidito. Vorrei solo spaccargli la faccia.
- Roncato,- dice Natta incrociando le braccia- lei non deve fare sopralluoghi, né lenti e nemmeno veloci senza che io la sappia. Dentro quella casa la situazione è critica, siamo in emergenza, cosa sarebbe successo se uno degli occupanti le avesse sparato.
- Tenente Natta, io il sopralluogo l’ho fatto a piedi lasciando l’auto lontana da qua. È per questo che sono arrivato tardi.
Forse sono riuscito a fregare sia Busi che Natta, quest’ultimo stringe la mascella credendo di essere un pit-bull.
- Bene, ha notato qualcosa? mi chiede liberando la mascella dalla posa da falso duro.
- No, tenente Natta. Non ci sono persone qua intorno. È un deserto.
Le mie parole fanno ridere Natta, forse mi trova buffo il coglione.
- Roncato, lo so benissimo che questo è un deserto – esclama Natta con tono fastidiosamente sarcastico – è per questo che lei doveva presentarsi qua sul posto invece di farsi una romantica passeggiata notturna, ed è sempre per questo che lei deve arrivare entro quindici minuti dalla chiamata di emergenza e non quasi quaranta minuti dopo.
- Perché questo posto è un deserto?
- No Roncato, perché questi sono i miei cazzo di ordini, e lei deve ubbidire.
Natta ha l’ultima parola, come sempre, io annuisco e sotto il suo sguardo rabbioso raggiungo Busi che nel frattempo sta parlando al telefono col questore riparato dietro ad una volante. Arrivo da Busi incespicando fra le tre volanti, in un deserto sono riusciti a creare del traffico.
- Roncato….
- Mi dica Busi…
I suoi occhi sono puntati sul terra-tetto dipinto di quello che alla luce degli abbaglianti sembra un avorio. Decido di imitare Busi fno a che il cervello non gli riparte. La casa è bella, un gioiellino nel nulla circondato da una siepe in alloro. Le luci blu illuminano anche un piccolo barbeque in muratura, probabilmente abusivo.
- Roncato…
Vorrei bestemmiare, ma mi hanno già richiamato per questo.
- Busi mi dica quello che ha da dire senza chiamarmi per nome!
Lo senti deglutisce.
- Pare che in quella casa ci abiti un certo Covoni, un elemento instabile. Ci potrebbero essere dei problemi…
- Certo che ci potrebbero essere dei problemi, Busi! – urla Natta che nel frattempo si era avvicinato- cosa crede che ci abbiamo mandati qua a vedere quanto è bella questa casa del cazzo?
Natta è come un gatto, né io né Busi lo abbiamo sentito arrivare.
- E’ stata la convivente di questo Covoni a chiamarci, noi andremo a suonare il campanello e chiederemo di parlare con questo soggetto, se non avremo risposte irromperemo, è un emergenza!
Busi annuisce io faccio lo stesso, gli altri agenti, tutti in divisa a differenza nostra, non annuiscono, hanno la faccia troppo tesa.
- Roncato, vada a suonare a Covoni e rimanga lì fino a che non le dico io cosa fare. Tenga il telefono in viva-voce così che possa sentire tutto.
- Come vuole, tenente Natta.
- Naturalmente ho già disposto e ordinato ad un collega di avvicinare l’auto al muro del citofono, se dovessero esserci dei problemi si riparerà dietro l’auto.
Vorrei tanto sapere se quel coglione di Natta ha prima ordinato o magari solo disposto una cazzata del genere, ma sarebbe fiato sprecato.

Ciao, Giovanni, felice di rileggerti.
Dalle mie parti ci sono i palazzi di sette piani abusivi e pure su terreni espropriati, altro che barbecue.
La responsabilità è dei nostri comuni che non fanno i piani regolatori e quando li fanno sono farlocchi. A nord la parola d'ordine è allestire un PRG per consentire quanto più possibile, al Sud è di non consentire nulla per non fare niente, e quindi quando qualcuno fa fa abusivo e così può essere ricattato a vita.
A ogni modo, hai scelto una lunga e articolata sequenza dialogica, letta con piacere. E per forza di cose il tempo della storia e quello della narrazione coincidono. Un buon lavoro, dunque, hai inquadrato il punto. Ma il difficile viene adesso.
Voglio vedere come fai a smontare l'ordine del tempo che hai creato con questa sequenza dialogica.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Gaetano Intile »

Roberto ha scritto: 28/04/2023, 6:55 Un estratto che lascia immaginare. Veramente uno spunto notevole, al di là di tutto.

Complimenti per il "colla". Inusuale e perfetto.

I due testi messi uno accanto all'altro rendono efficacemente la differenza che si vuole evidenziare. Dopo esserci cimentati in questo esercizio si possono già trarre, forse, due conclusioni:
-nella scrittura di ogni autore i due tempi, normalmente, non coincideranno se non per brevi momenti;
-la sincronia dei due tempi concede comunque un effetto, è vero, ma deve essere certo voluto, desiderato: comunque sempre propedeutico ad altro.
Prova a leggere Senilità di Italo Svevo. Una miniera di termini inusuali e perfetti, un italiano splendido.
Nel romanzo moderno e contemporaneo, a partire dal primo Novecento, il tempo della narrazione è stato via via interiorizzato, e quindi si è letteralmente sciolto, fino a diventare oggi, pare a me, in molti casi un mero artificio tecnico, congegnato per confondere e stupire con effetti speciali, o un vero e proprio Deus ex Machina. E quindi sì, oggi i due tempi non coincidono quasi mai, a differenza del romanzo ottocentesco, piuttosto lineare e diacronico.
Se la sincronia deve essere voluta - nei dilettanti come noi è spesso subìta per mancanza della capacità tecnica necessaria a scomporre il tempo - ancor di più deve essere voluta la sua mancanza. Perché l'esperienza che abbiamo dello scorrere del tempo è universale e naturale. Per reinventarlo, bisogna anche reinventare il linguaggio. Il cinema con i flashback ha trovato un modo suo, un linguaggio suo, per esser comprensibile allo spettatore. Prendi Mulholland Drive di David Lynch, un vero attentato all'ordine narrativo. E proprio per questo è considerato un capolavoro.
Insomma, per dominare il tempo serve esercizio, ci si deve impadronire della tecnica.
Giovanni p
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Giovanni p »

Buongiorno, Gaetano

ho provato a ricomporre il racconto già proposto con dei flashback e seuqenze narrative che vadano indietro nel tempo.
Aspetto il tuo commento, è stato un esercizio complicato anche se leggendo di nuovo i tuoi appunti sulla scrittura ho fatto un po' di chiarezza.
Grazie mille


“Quanto odio i lampeggianti blu…e pensare che da giovane mi piacevano.”
Non potevo nemmeno fumare, già ero in ritardo, se mi fossi acceso una sigaretta sarebbe stata la fine.
- Roncato, finalmente siete arrivato!
La faccia gialla del Busi era più gradevole se illuminata di blu, soprattutto di notte.
- Sono arrivato venti minuti fa, Busi.
Sperai che si bevesse la bugia, ma non fu così, dovetti quindi arrampicarmi nel cercare altre scuse patetiche
- Ho fatto il giro dell’isolato – continuai io evitando il suo sguardo – questa storia non mi piace.
Busi non rispose, gli voltai le spalle facendo finta di cercare qualcosa in auto, poi, finalmente, ruppe il silenzio dicendo:
- Ha notato qualcosa?
Mi voltai e risposi ostentando sicurezza:
- No, non dovrebbero esserci cose che non vanno nello spazio attiguo alla casa.
Busi mi ascoltò ma distolse velocemente lo sguardo, sapevo bene che non sopportava di essere guardato dritto negli occhi. Me ne ero reso conto dal primo momento in cui l’ho visto, sei anni prima di arrivare a quella notte maledetta. Lo conobbi che passeggiava malinconico per i corridoi della caserma con un foglio fra le mani e le spalle incurvate, come se stesse reggendo un macigno. Si avvicinò con il suo foglio che sembrava fatta di vetro per chiedermi dove fosse il comandante e notai che per tutto il tempo che aveva parlato aveva guardato ovunque pur di non incrociare i miei occhi.

- Ma guarda chi abbiamo qua!
Cercai di mantenere la mia espressione invariata fissando il vuoto, ci mancava solo quel deficiente di Natta.
- Roncato, credo che dopo molti anni di onorato servizio abbia ormai imparato che quando c’è un urgenza bisogna precipitarsi sul luogo dell’emergenza.
Quanto gli piaceva dire la parola “emergenza”? Eccolo lì, Federico Natta, mentre si dilettava in uno slalom fra le volanti per venirmi a fare l’ennesima parte di merda. Lo salutai facendo un cenno con la testa, lui ovviamente non ricambiò.
- Roncato, ne abbiamo già parlato, vero?
Dopo aver ignorato il mio saluto si è piantò a meno di mezzo metro da me, puntando la sua faccia da cazzo su tutta la mia figura, sapendo benissimo quanto la cosa mi desse fastidio.
- Tenete Natta, stavo giusto dicendo a Busi che ho approfittato della presenza di tre volanti per fare un veloce sopralluogo intorno alla casa.
Natta trasalì per poi lasciare andarsi andare ad una sbuffata plateale, come nelle serie tv che gli piacevano tanto.
- Roncato,- disse Natta incrociando le braccia- lei non deve fare sopralluoghi, né lenti e nemmeno veloci senza che io la sappia. Dentro quella casa la situazione è critica, siamo in emergenza, cosa sarebbe successo se uno degli occupanti le avesse sparato.
- Tenente Natta, io il sopralluogo l’ho fatto a piedi lasciando l’auto lontana da qua. È per questo che sono arrivato tardi.
Natta strinse la mascella credendo di essere un pit-bull, se uno sguardo bruciasse non racconterei questa storia. Ce lo avevano mandato da Latina quel coglione di Natta, un ragazzo di vent’otto anni con due lauree e tanta voglia di rompere i coglioni a tutti. Ce lo presentarono, purtroppo come nostro superiore, d’inverno mentre la città era completamente imbiancata. Ricordo che ci riunimmo tutti nell’auditorium del comune e naturalmente quando arrivammo lui era già lì, con il suo sguardo arrogante e i suoi movimenti nervosi da isterico. Era vestito come se dovesse andare ad un matrimonio, unto e bisunto stretto in una camicia più piccola di una taglia per far sfoggio dei suoi muscoli tirati su a forza di plank. Non siamo andati mai d’accordo io e Natta, forse siamo troppo diversi.

- Bene, ha notato qualcosa? mi chiede liberando la mascella dalla posa da falso duro.
- No, tenente Natta. Non ci sono persone qua intorno. È un deserto.
Le mie parole lo fecero ridere.
- Roncato, lo so benissimo che questo è un deserto – esclamò Natta con tono fastidiosamente sarcastico – è per questo che lei doveva presentarsi qua sul posto invece di farsi una romantica passeggiata notturna, ed è sempre per questo che lei deve arrivare entro quindici minuti dalla chiamata di emergenza e non quasi quaranta minuti dopo.
- Perché questo posto è un deserto?
- No Roncato, perché questi sono i miei cazzo di ordini, e lei deve ubbidire.
Natta ebbe l’ultima parola, come sempre. Sotto il suo sguardo rabbioso arrivai da Busi che nel frattempo stava parlando al telefono col questore riparato dietro ad una volante. Arrivai da Busi incespicando fra le tre volanti, in un deserto sono riusciti a creare del traffico.
- Roncato….
- Mi dica Busi…
I suoi occhi erano puntati sul terra-tetto dipinto di quello che alla luce degli abbaglianti sembra un avorio. Decisi di imitare Busi pazientando fino a che il cervello non gli ripartisse. La casa era bella, un gioiellino nel nulla circondato da una siepe in alloro. Le luci blu illuminavano anche un piccolo barbeque in muratura, probabilmente abusivo.
- Roncato…
Volevo bestemmiare, ma mi avevano già richiamato per questo.
- Busi mi dica quello che ha da dire senza chiamarmi per nome!
Lo sentii deglutire.
- Pare che in quella casa ci abiti un certo Covoni, un elemento instabile. Ci potrebbero essere dei problemi…
- Certo che ci potrebbero essere dei problemi, Busi! – urla Natta che nel frattempo si era avvicinato- cosa crede che ci abbiamo mandati qua a vedere quanto è bella questa casa del cazzo?
Natta si era mosso svelto e furtivo come un gatto, né io né Busi lo avevamo sentito arrivare.
- E’ stata la convivente di questo Covoni a chiamarci, noi andremo a suonare il campanello e chiederemo di parlare con questo soggetto, se non avremo risposte irromperemo, è un emergenza!
Busi annuì e io feci lo stesso. Gli altri agenti, tutti in divisa a differenza nostra, non annuirono, guardavano a dritto con le facce tese al massimo.
- Roncato, vada a suonare a Covoni e rimanga lì fino a che non le dico io cosa fare. Tenga il telefono in viva-voce così che possa sentire tutto.
- Come vuole, tenente Natta.
- Naturalmente ho già disposto e ordinato ad un collega di avvicinare l’auto al muro del citofono, se dovessero esserci dei problemi si riparerà dietro l’auto.
Vorrei tanto sapere se quel coglione di Natta ha prima ordinato o magari solo disposto una cazzata del genere, ma sarebbe fiato sprecato, e purtroppo in quella notte maledetta è stato uno dei pochi a non aver perso nulla.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Gaetano Intile »

Ottimo, Giovanni.
Hai inserito queste due analessi in modo corretto.


Lo conobbi che passeggiava malinconico per i corridoi della caserma con un foglio fra le mani e le spalle incurvate, come se stesse reggendo un macigno. Si avvicinò con il suo foglio che sembrava fatta di vetro per chiedermi dove fosse il comandante e notai che per tutto il tempo che aveva parlato aveva guardato ovunque pur di non incrociare i miei occhi.

Ce lo avevano mandato da Latina quel coglione di Natta, un ragazzo di vent’otto anni con due lauree e tanta voglia di rompere i coglioni a tutti. Ce lo presentarono, purtroppo come nostro superiore, d’inverno mentre la città era completamente imbiancata. Ricordo che ci riunimmo tutti nell’auditorium del comune e naturalmente quando arrivammo lui era già lì, con il suo sguardo arrogante e i suoi movimenti nervosi da isterico. Era vestito come se dovesse andare ad un matrimonio, unto e bisunto stretto in una camicia più piccola di una taglia per far sfoggio dei suoi muscoli tirati su a forza di plank. Non siamo andati mai d’accordo io e Natta, forse siamo troppo diversi.

E le hai adoperate per approfondire e caratterizzare i personaggi, molto bene.
Rispetto alla prima versione sono bastate queste due analessi per conferire al racconto una profondità che prima non aveva. È l'effetto retrospettivo che induce il lettore a riflettere, anche a tornare su quanto già letto, sui dialoghi, ad esempio, e a considerarli in modo diverso.
Bravo.
Saper padroneggiare il tempo ti consentirà di scrivere racconti migliori. Pensa a un racconto dove le analessi si alternano al tempo presente e questo alle prolessi. Quanta ricchezza narrativa ne può venir fuori.
Giovanni p
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Giovanni p »

Buongiorno, Gaetano

sto progettando di ripetere questi esercizi una volta al mese perchè sono davvero utili, si passa dallo scrivere a "istinto" a scrivere sapendo cosa si vuole esprimere.
Grazie ancora
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Gaetano Intile »

L'idea iniziale dell'officina era proprio quella di portare a comprendere i meccanismi della scrittura. Sono contento.
Maria E.
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Maria E. »

ho avuto non poche difficoltà nella comprensione di questo esercizio, ma voglio provarci comunque. Mi metto al lavoro, sperando di aver capito.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Gaetano Intile »

Ciao, Maria.
Per aiutarti, se posso, ti consiglio di leggere, oltre al testo iniziale in cui analizzo le differenze tra Tempo della Storia e Tempo della Narrazione, tra analessi e prolessi, le considerazioni tra me e Roberto e poi Giovanni.
Troverai degli ulteriori motivi esplicativi.
Se trovi qualche passaggio oscuro, non esitare a farmelo sapere.
Maria E.
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Re: Esercizio numero cinque

Messaggio da Maria E. »

Ciao, Namio. Ho letto tutta la discussione e ho provato a seguire le indicazioni. Incollo qui i due racconti, vediamo se ho compreso.

Tempi che coincidono:
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Questa mattina si sente di buon umore, ha voglia di una bella colazione all’americana; uova, salsicce, un bel caffè lungo e il suo giornale da leggere comodo comodo sulla poltrona. Prepara tutto in fretta, canticchiando qualche vecchia canzone, di quelle che rimangono impresse per il motivetto accattivante. Ripassa velocemente l’inventario delle cose che deve portare sul vassoio: cibo, caffè, cucchiaino, tovagliolo, aranciata: Tac! Tutto pronto.
Si siede e sorseggia quel buonissimo caffè, appena fatto. Un odore meraviglioso si sprigiona per tutta la stanza.
La moglie, Bianca, è uscita di buonora questa mattina, convocata dal capo per una riunione straordinaria al Ministero. “Ah, che peccato che lei non c’è, ama le uova strapazzate con il parmigiano” – Borbotta a bassa voce.
Bussano alla porta con veemenza; “mannaggia, neanche la colazione in pace, chi sarà alle 6 del mattino che mi rompe i maroni?”
Apre e davanti a lui quattro carabinieri che lo invitano a recarsi presso la caserma di fronte il municipio. Sbalordito e incredulo, si appresta ad indossare qualcosa di presentabile, quelle mutande del secolo scorso e la vestaglia non gli appaiono consoni ad una simil convocazione. Mentre si veste pensa a cosa potrebbe mai essere successo, a quell’ora del mattino.
Arriva con passo veloce alla caserma e citofona, rispondendo all’appuntato con affanno:
-Mi hanno convocato questa mattina.
La porta si apre e dal gabbiotto si sente:
-Documento, prego.
Porge il documento e la guardia lo fa accomodare nell’ufficio del Maresciallo Chidera. Attende più di un’ora prima di essere ricevuto, e in lui aumenta quel senso di angoscia che lo fa sudare abbondantemente.
-Prego, si sieda.
-Grazie, maresciallo, ma cosa succede?
-L’abbiamo convocato oggi in quanto sua moglie è stata arrestata in flagranza di reato, volevamo capire se lei avesse avuto qualche sospetto.
-Cosa? Cosa ha fatto?
-Ha rubato, cose piccole, ma è sintomo di una cleptomania. Mi dica, sono accaduti altri episodi simili?
-Assolutamente no, o perlomeno non me ne sono mai accorto. Miseria, ma che ha nella testa? Non gli manca nulla a casa, ha uno stipendio, pensi, più alto del mio.
-Questa è una malattia, non un bisogno, un cleptomane non ruba per necessità, ma per una patologia.
-Posso parlargli?
-Certo, la faccio accompagnare alle celle.
Si allontana salutando, intento a capire le motivazioni della moglie. L’appuntato lo scorta al piano inferiore, dove le luci sono più flebili e fredde, ci mette un po’ ad abituarsi.
-Amore, ma cosa hai fatto? Mi hanno detto che ti hanno presa a rubare.
Quel bel viso inizia a diventare rosso e scoppia a piangere, senza dire nulla. Non riesce a parlare e si vergogna oltremisura, ha deluso il marito, non la guarderà più come prima, pensa.
-Amore mio, tranquilla, non sono qui per farti la paternale, voglio solo capire e risolvere insieme il problema. Riprenditi che io vado a parlare col maresciallo.
Risale su, nell’ufficio del maresciallo e, con fare sommesso, tenta di ammorbidire la situazione. Promette di risolvere questa faccenda e di fare tutto ciò che necessario affinché non accada più.
-Va bene, per questa volta prenda sua moglie e vada a casa, è il primo reato, ma se la signora viene ripresa mentre ruba non sarò così indulgente!
-Grazie, maresciallo! La saluto, e grazie ancora, pochi hanno la sua umanità, oggi.
Usciti dalla caserma, Bianca non riesce ancora a guardare il marito, è costernata dall’accaduto e cerca di comporre delle frasi che gli servono per prendere coraggio e confessare.
A casa, la colazione è rimasta lì, fredda, ma Aldo ha fame e inizia a mangiare.
-Vieni, amore, prendi e mangia qualcosa, se no ti rivengono quei cali di zucchero che ti fanno svenire. Voglio parlare con te, cercare di capire cosa è successo, io ti amo e non ho nessuna intenzione di vederti che stai male o, peggio, in galera.
-Lo sso, aamore! Mmi dispiace tanto. Non so veramente cosa mi è successo, in un colpo ho afferrato quella robaccia e sono scappata. Ti ti giuro, non capisco, è stato un impulso incontrollabile, mi tremavano le gambe.
-Piano, tranquilla, non siamo ad un interrogatorio, balbetti. Tranquilla. Dai, per ora lasciamo stare questa storia, andiamoci a fare una passeggiata così scarichiamo la tensione e ti calmi un po’, eh, che dici?
-Va bene, amore.
Escono di casa e vanno a passo lento nella pineta poco distante, passeggiano entrambi guardando per terra, senza parlare, hanno bisogno di digerire la cosa e trovare le giuste parole.


Tempi che non coincidono:
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Bianca oramai era tutta pelle e ossa, non viveva più; il volto diveniva sempre più cupo e grigio. Aldo la curava, le faceva trovare tutto pronto, le preparava la colazione e i vestiti da mettere ogni giorno. Da quell’episodio lei non fu più la stessa, quel maledetto giorno che bussarono alla porta, quell’attimo le segnò la vita.
Lui aveva memoria di quando andò dal maresciallo per cercare una soluzione, quella notizia lo sconvolse alquanto. Non quanto ne rimase sconvolta Bianca, quel giorno non riuscì nemmeno a parlare al marito, l’unico della sua vita con cui si era aperta fin dentro le viscere. Quella vergogna di aver rubato cancellò tutta la complicità acquisita in anni di matrimonio; si formò come un vetro antiproiettile tra i due, ancora innamorati sì, ma era tutto diverso per lei. Si sentiva in colpa per aver tradito la fiducia del marito e anche perché sapeva quanto Aldo amasse fare colazione. Certo, le due cose non erano di equipollente gravità, tuttavia, lei aveva a cuore tutto, un piccolo ago si trasformava in una lancia affilata che pungeva la sua psiche. Quel tormento fece di lei uno straccio, abbandonandosi al semplice sopravvivere. La lancia da lei stessa creata le infilzava il cuore ogni giorno, ferita dopo ferita collassò e non riuscì più ad essere lei, Bianca, un raggio di sole e una moglie invidiabile. Quei panni scomparvero nel momento in cui lei rubò quelle quattro sciocchezze, spogliata della sua dignità, nonostante il marito continuasse a rivestirla ogni giorno. La amava con ardore, quel fuoco in lui non si spense mai, anche quando, davanti alle persone, doveva giustificare l’assenza della moglie, accampando scuse sempre più inverosimili.

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Ammetto che sono dubbiosa sullo svolgimento, non essendo padrona del Tempo :)
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