Patto narrativo, Narratore

Discutiamo qui dell'Analisi della struttura di un testo.
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Gaetano Intile
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Patto narrativo, Narratore

Messaggio da Gaetano Intile »

Quando si ha a che fare con un testo narrativo occorre distinguere l'Autore dal Narratore.

L’Autore Reale è la persona storica, fisicamente esistita o ancora in vita, che ha scritto un’opera; in modo parallelo, il lettore reale è la persona storica, fisicamente esistita o ancora in vita, che la legge. Per esempio, l’autore reale de I promessi sposi (1840) è la figura storica di Alessandro Manzoni, nato a Milano il 7 marzo 1785 e morto a Milano il 22 maggio 1873. Chiunque legga I promessi sposi ne è invece il lettore reale.
L’autore implicito è l’immagine che un lettore reale si crea di un au-tore a partire non dalla sua autobiografia, ma dalle sue opere. Ovvia-mente, possono esistere tanti autori impliciti quanti lettori reali, perché ogni lettore ha la libertà di immaginare l’autore di un libro come meglio crede. Per esempio, leggendo Gli indifferenti (1929) di Alberto Moravia ci si potrebbe immaginare un autore cinico, disincantato, forse sadico; ma non è detto che nella vita Moravia fosse stato effettivamente così.
Dall’altra parte, anche l’autore reale quando compone le proprie opere si figura un lettore implicito al quale rivolgersi, e che non corri-sponde al lettore reale. Scrivendo Gli indifferenti, Moravia avrà avuto in mente come interlocutore un esponente della media borghesia italiana degli anni Trenta; ciò non significa, però, che il romanzo non possa essere letto anche in altre epoche, in altri ambiti sociali e da altri tipi di lettore, per esempio da uno scolaro o da uno studente universitario.

Novella Di Nunzio, Elementi di narratologia

— Il Narratore è invece la funzione narrativa a cui viene affidato dall’autore il compito di narrare la storia dal suo Punto di Vista che, non necessariamente, coincide con quello dell’autore.
Il narratore espone gli eventi in modo coerente e verosimile, stringendo con il lettore il cosiddetto Patto Narrativo.
Il Patto Narrativo è l’accordo implicito che il lettore firma con il narratore, con il quale si impegna a credere a tutte le vicende narrate. Il lettore da parte sua si impegna invece a sospendere l’incredulità per tutta la durata della storia. Vedrà di conseguenza ciò che il narratore gli mostrerà e si lascerà portare dove il narratore vorrà condurlo senza dubitare mai della veridicità degli eventi narrati.
Attenzione! Questo patto non è una cambiale in bianco, ma funziona solo qualora la storia narrata sia ben congegnata, pena la rottura del patto tra narratore e lettore con l'interruzione della lettura prima di arrivare alla fine.
Il narratore è la voce alla quale l’autore reale conferisce il compito di narrare gli eventi e portare avanti il discorso narrativo. Il narratore, detto anche voce narrante, è dunque una creazione dell’autore reale e, in quanto tale, non appartiene alla dimensione della realtà, ma a quella della fictio.
Nel costruire il narratore di una storia, l’autore reale può scegliere tra varie possibilità che definiscono la sua fisionomia in rapporto all’atto narrativo (o diegetico) e alla storia narrata.
Il narratore può essere infatti esterno o interno alla diegesi, onnisciente o parziale, personale o impersonale, presente o assente, attore o spettatore, protagonista o personaggio secondario, attendibile o inattendibile.
Una volta creato e definito nelle sue qualità, il narratore influisce in modo strutturale sulla narrazione, imprimendole determinate caratteristiche a seconda della natura che egli ha ricevuto dall’autore reale.
Considerare che tipo di narratore l’autore reale abbia scelto per una narrazione aiuta pertanto a comprendere meglio un’opera letteraria, e a contestualizzarla all’interno di un quadro critico di riferimento.
Per esempio, un narratore onnisciente e personale è tipico del Romanticismo; un narratore impersonale è invece tipico del Verismo; un narratore parziale o inattendibile è tipico del Modernismo, ecc. Per questo motivo, quando si esegue l’analisi di un testo letterario è importante chiedersi sempre, al di là dell’autore reale, chi è che parla e come parla, stabilendo i tratti della voce narrante e il tipo di narrazione che da essa scaturisce.
Il narratore, è superfluo dirlo, deve essere univoco. Ossia non deve variare nel corso di una diegesi, a meno di non introdurre diversi livelli narrativi, ognuno col suo narratore. Se in una narrazione, o in un livello narrativo, si sceglie un narratore esterno, non si possono cambiare le carte in tavola scegliendone uno interno, pena la rottura di quel Patto Narrativo che ha come pilastri l'omogeneità del discorso e la consequenzialità dei suoi elementi.
Come il narratore, anche il Narratario è una creazione dell’autore reale, e appartiene dunque al piano della fictio, non a quello della realtà.
Il Narratario rappresenta colui o coloro ai quali, nella finzione narrativa, il narratore si rivolge.
Spesso il narratario non compare, per cui resta un’entità sottintesa e teorica. Altre volte, invece, viene esplicitamente chiamato in causa dal narratore, apparendo nelle vesti di interlocutore generico ed esterno alla storia, come accade in Se una notte d’inverno un narratore (1979) di Italo Calvino; oppure in qualità di personaggio interno alla storia, come accade ne Il mar delle blatte e altre storie (1939) di Tommaso Landolfi, in cui il protagonista Roberto racconta a suo padre e alla sua fidanzata Lucrezia la favola alla quale si fa riferimento nel titolo.

— È stato Gerard Genette, nel suo ineguagliabile Figure, a fornire le riflessioni più stimolanti sulla voce narrativa (in altri autori istanza narrativa).
Egli supera anzitutto la tradizionale distinzione tra racconto in prima persona e racconto in terza persona e sostiene che queste espressioni «sono effettivamente inadeguate in quanto mettono l’accento della variazione sull’elemento in realtà invariante della situazione narrativa, cioè la presenza, implicita o esplicita, della persona del narratore, il quale, all’interno del suo racconto, può esistere solo (come qualunque soggetto dell’enunciazione in un enunciato) in “prima persona” […] La scelta del romanziere non si verifica tra due forme grammaticali, ma tra due atteggiamenti narrativi (le forme grammaticali ne sono quindi la meccanica conseguenza): far raccontare la storia da uno dei “personaggi” o da un narratore estraneo alla storia stessa».
Non si tratta quindi di distinguere tra narrazione in prima persona e narrazione in terza persona, ma di distinguere tra la decisione dello scrittore di far raccontare la storia da uno dei personaggi o da un narratore estraneo alla storia stessa.
All’interno di un racconto, dice Genette, esistono diversi livelli narrativi. La differenza di livello consiste nel fatto che «ogni avvenimento raccontato da un racconto si trova a un livello diegetico immediatamente superiore a quello dove si situa l’atto narrativo produttore di tale racconto».
In sostanza, dal momento che i fatti si svolgono sempre prima della loro narrazione, quando un narratore di I grado (diegetico) fa parlare un altro narratore, quest’ultimo diventa un narratore di II grado (metadiegetico).
Una narrazione che presenta più livelli diegetici presenta necessariamente più narratori, uno per ogni livello. In tal caso, è necessario distinguere tra narratore extradiegetico, o di primo livello, e narratore intradiegetico, o di secondo (terzo, quarto, ecc.) livello. Il narratore extradiegetico si chiama così perché la sua narrazione è esterna rispetto al livello diegetico inferiore che essa contiene. Il narratore intradiegetico si chiama così perché la sua narrazione è interna rispetto al livello diegetico superiore che la racchiude.
Un esempio classico di narrazione a più livelli è Decameron (1349-1351 ca.) di Giovanni Boccaccio. L’opera si costruisce attraverso le voci di un narratore extradiegetico di primo livello e dieci narratori intradiegetici di secondo livello. Il narratore extradiegetico racconta che nel 1348, con l’intento di sfuggire alla peste che imperversa a Firenze, dieci ragazzi, sette femmine e tre maschi, si ritirano in campagna per due settimane e qui, per passare il tempo, decidono tra le altre cose di raccontarsi ogni giorno (esclusi il venerdì e il sabato, dedicati l’uno alla preghiera e l’altro alla cura delle donne) una novella a turno su un tema stabilito dal re o dalla regina della giornata. Si hanno così dieci novelle al giorno per 10 giorni, come recita appunto il titolo dell’opera (gr. déka hēmeròn = di dieci giorni), per un totale di cento novelle. In qualità di novellatori, i dieci ragazzi svolgono dunque la funzione di narratori intradiegetici.
Ovviamente, nel caso di una narrazione a un solo livello diegetico, le nozioni di narratore extradiegetico e narratore intradiegetico non sono funzionali.
Ancora, il narratore può essere Assente, e dunque non comparire all’interno della storia che racconta, oppure Presente, comparendovi come personaggio. Il primo si definisce narratore eterodiegetico, perché appartiene a una dimensione diversa rispetto a quella del racconto; il secondo, invece, si definisce narratore omodiegetico, perché appartiene alla stessa dimensione del racconto.
Il narratore eterodiegetico può essere a sua volta Personale o Impersonale.
Nel primo caso interviene nella narrazione per commentare, giudicare ed esprimere la propria opinione. Può pronunciarsi in modo esplicito, magari rivolgendosi direttamente al narratario, come ne I promessi sposi di Manzoni; oppure far sentire la propria presenza in modo meno eclatante, attraverso l’utilizzo di segnali linguistici, espressioni, avverbi, aggettivi che rivelano la sua opinione, distinguendola da quella dei personaggi. Un esempio di questo tipo si può trovare nel romanzo Senilità (1898) di Italo Svevo.
Nel secondo caso (eterogiegetico impersonale) è un narratore silenzioso e assente, che si limita a narrare senza intervenire nella narrazione per commentare, esprimere giudizi o dialogare con i lettori, come nel romanzo I viceré (1894) di De Roberto.
Il narratore omodiegetico può essere a sua volta autodiegetico o allodiegetico.
Nel primo caso è anche il protagonista della storia, dunque parlerà principalmente di sé e farà uso della prima persona. Tra i tanti esempi possibili, si cita quello de La casa in collina (1948) di Cesare Pavese.
Nel secondo caso, è uno spettatore-testimone che racconta la storia di un altro, come avviene nella seconda delle cinque parti in cui è diviso il racconto I fatali [Racconti fantastici (1869)] di Iginio Ugo Tarchetti, nella quale il narratore introduce la figura di un giovane misterioso. O come nel classico Cuore di Tenebra di Conrad.

Per ricapitolare, viene definito:
extradiegetico, cioè esterno alla storia narrata (o diegesi), il narratore di I grado (per esempio, Omero nell’Odissea);
intradiegetico, cioè interno alla diegesi, un narratore di II grado che racconta i fatti all’interno di fatti narrati da un altro narratore (per esempio, Ulisse di fronte ai Feaci).
Per quanto concerne invece il rapporto tra il narratore e la storia, vi possono
essere due tipi di racconto:
- eterodiegetico, quando il narratore è assente dalla storia raccontata (per esempio Manzoni nei Promessi Sposi; oppure, la voce narrante “asettica” e “assente” di Passaggio in India di Forster);
- omodiegetico, quando il narratore è presente come un personaggio nella storia raccontata (per esempio, Ulisse che racconta la sua storia a Nausicaa nell’Odissea raccontata da Omero, oppure Marlowe che racconta la storia di
Kurz in Cuore di tenebra di J. Conrad e il suo racconto è raccontato da un narratore anonimo in terza persona).
Quest’ultimo può presentarsi come
- autodiegetico, quando il narratore è anche il protagonista della storia (per esempio, Mattia Pascal e Zeno Cosini),
- allodiegetico, quando il narratore si limita ad essere un testimone-osservatore (per esempio Ismael in Moby Dick).
In ogni racconto, quindi, il narratore viene definito dal suo livello narrativo (extra-diegetico o intra-diegetico) e dal suo rapporto con la storia (eterodiegetico o omo-diegetico).

— Seymour Chatman introduce la distinzione tra narratore nascosto e narratore palese.
Tipica del narratore nascosto è la narrazione mimetica o showing, una tecnica narrativa con la quale egli “mostra” i fatti lasciando parlare i personaggi e descrivendo le loro azioni, quasi che il lettore possa assistervi in presa diretta.
«Nella narrazione nascosta si sente una voce che parla di eventi, personaggi e ambienti, ma il narratore rimane nell’ombra. Diversamente dalla storia non narrata, la narrazione nascosta può esprimere i discorsi o i pensieri di un personaggio in forma indiretta […] Deve esserci un interprete che muta i pensieri dei personaggi in espressione indiretta, e non si può dire se dietro le parole non si nasconda a volte il suo punto di vista: “John disse che sarebbe venuto” può comunicare di più che “John disse ‘Verrò’”, dal momento che non si può garantire che John abbia usato queste esatte parole. E per questo se ne trae l’impressione di un narratore nascosto tra le quinte».
Seymour Chatman, Storia e discorso, la struttura narrativa nel romanzo e nel film, Mondadori, 1981.

Tipica del narratore palese è invece la tecnica del telling, con la quale il narratore espone i fatti senza lasciar parlare i personaggi e senza descrivere.
Come sottolinea Angelo Marchese, nel suo L’Officina del Racconto, il narratore scoperto o palese evidenzia la sua onniscienza in diversi modi:
1) spazia liberamente da un ambiente all’altro e da un tempo all’altro;
2) può descrivere extradiegeticamente oggetti, luoghi, personaggi, fornire informazioni al narratario (mentre il narratore nascosto preferisce giocare sulle presupposizioni, dando per scontato che il narratario conosca tutto ciò che è necessario per capire il racconto);
3) è in grado di riassumere segmenti più o meno lunghi della storia, ad esempio gli antefatti, il passato di un personaggio, le transizioni fra una scena e l’altra ecc.;
4) ha la facoltà di riferire il non detto o l’implicito, addirittura quanto non è stato nemmeno pensato da un personaggio […];
5) fa riferimento alla propria persona, attestando la credibilità di ciò che racconta («L’ho visto con i miei occhi, l’ho sentito direttamente, l’ho letto...»);
6) interviene commentando esplicitamente la diegesi, interpretando e giudicando fatti e personaggi; si può dare anche un commento implicito, di tipo ironico, che mette in risalto la distanza fra il narratore e il personaggio […];
7) può infine commentare non solo la diegesi che sta narrando ma il discorso stesso, intervenendo metanarrativamente sulla struttura del racconto e invitando il lettore a osservare le peculiarità del racconto
in quanto discorso narrativo.
Angelo Marchese, L’officina del racconto, semiotica della narratività, Mondadori, 1983.


— In base alle conoscenze che ha della vicenda, il narratore può essere onnisciente, quando conosce ogni fatto, ogni parola detta dai personaggi e ogni loro pensiero, anche quelli inespressi. Solo il narratore extradiegetico può essere realmente onnisciente,poiché un personaggio non potrebbe conoscere i pensieri degli altri. Il narratore onnisciente conosce e spiega tutto nei minimi dettagli: ogni aspetto della storia, così come le azioni, le parole e i pensieri, anche se inconsapevoli o inespressi, dei personaggi, rispetto ai quali egli si pone dunque su un piano superiore (sa più cose di loro). Grazie alla superiorità e alla perfezione della sua conoscenza, questo tipo di narratore si presenta come particolarmente attendibile: non c’è motivo, infatti, di dubitare della “verità” della sua narrazione. Oltre a quello classico de I promessi sposi, un altro possibile esempio è la voce narrante del romanzo Il piacere (1889) di Gabriele d’Annunzio.
Oppure può essere non onnisciente, quando conosce solo le cose che, nel mondo possibile del racconto, gli è dato di conoscere.
Il narratore non onnisciente (o parziale) non fornisce una visione completa della storia, ma racconta solo quello che sa, o comunque non spiega pienamente tutto. Egli si pone sullo stesso piano dei personaggi (ne sa tanto quanto loro), o su un piano addirittura inferiore (sa meno cose di loro), e il suo discorso narrativo risulta pertanto incompleto, caratterizzato da salti e vuoti, da domande lasciate senza risposta. Nel romanzo Una vita (1892) di Italo Svevo, per esempio, i dubbi e i difetti di conoscenza del protagonista Alfonso Nitti non vengono mai colmati dal narratore eterodiegetico.
O anche il narratore può essere insicuro, reticente (silenzioso), menzognero, dalla personalità nevrotica o paranoica, malato oppure visionario, può possedere una conoscenza insufficiente o alterata della storia e quindi non essere in grado di spiegarla, oppure non vuole spiegarla, tanto da dubitare o far dubitare fortemente dell’esattezza del proprio racconto e della storia stessa; omettere alcuni suoi passaggi, anche quelli più importanti e fondamentali per lo svolgimento della narrazione; mentire, modificare la “realtà” o perfino inventarsela del tutto, riempiendone i vuoti con congetture e costruzioni immaginarie (da qui l’attributo di “visionario”).
Questo tipo di narratore si pone su un piano inferiore rispetto ai personaggi (sa meno cose di loro), oppure arriva fino a mettersi contro di loro (ne deforma il carattere e la storia), raggiungendo un grado minimo, se non un grado zero di credibilità, e rivelandosi fortemente inattendibile: la sua narrazione, infatti, risulta dubbia, imprecisa e incompleta, fuorviante, menzognera o del tutto inventata. Un esempio classico da questo punto di vista è La coscienza di Zeno (1923) di Italo Svevo, il cui narratore autodiegetico Zeno Cosini è definito sin dall’inizio un bugiardo dalla voce extradiegetica del suo vecchio psicanalista, il dottor S., voce a sua volta da considerarsi inattendibile, in quanto dichiaratamente poco onesta e mossa da sentimenti di vendetta. Un simile impianto diegetico caratterizza l’intera narrazione come del tutto inattendibile, e richiede di conseguenza un “lettore sospettoso”.
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