Vida gitana y colchonera de Mario Pulimanti

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Mario Pulimanti
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Vida gitana y colchonera de Mario Pulimanti

Messaggio da Mario Pulimanti »

Vida gitana y colchonera de Mario Pulimanti :confused5:
Señores estimados tengo el gusto de presentarme así:
Nombre: Mario
1º Apellido: Pulimanti
2º Apellido: Aloisi.
Hijo de Antonio Valeriano Pulimanti Merlini y Ernesta Aloisi Talocci.
Sono nato a casa.
Al Testaccio, in via Bodoni 45.
Allora, si nasceva a casa.
E’ nata lì anche mia sorella, Antonella Maria.
Mio fratello Stefano è nato invece alla Garbatella.
Sempre a casa.
A Via Enrico Cravero 20
Ci eravamo trasferiti lì da poco.
Simonetta è nata invece a Collevecchio.
A via Cavone 1.
Come la sorella, Antonella.
Sì, avete capito bene: ho una sorella che si chiama Antonella e pure una cognata con lo stesso nome.
Viceversa, i mie due figli sono nati in ospedale.
Gabriele, il mio primogenito, è nato all’ospedale San Giacomo, alle 20 e 30 di sabato 18 ottobre 1986.
Mentre nasceva, la TV stava trasmettendo la sigla di apertura della trasmissione”Fantastico 7” con Pippo Baudo, Lorella Cuccarini, Alessandra Martines, il trio Lopez-Marchesini-Solenghi e Nino Frassica.
La sigla era “Tutto matto” cantata da Lorella Cuccarini.
Alessandro, il mio secondogenito, è nato all’ospedale Grassi di Ostia, alle 4 del mattino di mercoledì 9 novembre 1994.
Mentre nasceva, la radio stava trasmettendo lo splendido brano di Willie Nelson “Georgia in my mind”.
Mi alzo dal letto e mi muovo a passi incerti verso il bagno e la promessa di pulizia della doccia.
Fa caldo come in un carcere del Burkina Faso.
Sento il sudore scivolarmi come un dito freddo e sudicio per la schiena e, mentre regolo il miscelatore, prova nel mio intimo il desiderio di sciogliersi come una statua di sale sotto al forza del getto caldo e mescolarmi con l’acqua e con l’acqua scomparire per sempre, giù in fondo alla terra.
Non riesco ad agire perché per tutto il tempo, nonostante gli scoppi d’indignazione, penso di commettere un terribile errore, una sequela di terribili errori.
Sono un cacciatore di stelle cadenti.
Le cose non possono stare come io sono sempre più certo che stiano.
Al liceo, quando traducevo il latino, brillavo solo se il testo comportava grandi difficoltà.
Ristagnavo nella media se il professore assegnava un tranquillo Cicerone, ma trionfavo sulle trappole, e la mia versione risultava la migliore, se l’insegnante proponeva un Tito Livio come si deve o un canto dello spinoso Lucrezio.
Adoro Joaquín Sabina, poeta degli eccessi e delle battaglie perse nonché, come me, fervente tifoso dell’Atletico Madrid.
L'Atletico è il club della classe operaia di Madrid: lo stemma ne rappresenta l'essenza. Il bianco e il rosso a strisce sulla maglia derivano dal fatto che, tempo fa, le divise erano facilmente ricavabili dai fondi dei materassi (di quel colore).
“Atleti, Atleti, Atletico di Madrid Atleti, Atleti, Atletico di Madrid. Jugando, ganando, peleas como el mejor (giocando, vincendo, combatti come il migliore)”.
“Che cosa sto facendo?” mi chiedo sgomento mentre ritraggo il pugno che ha appena sfiorato la parete, contrito; mentre distruggo deliberatamente la mia carriera.
Ho sempre creduto di avere un romanzo in testa.
Pensavo che la svolta del mio destino, il mio colpo di fortuna, mi avrebbe consentito di scriverlo.
Ho scarabocchiato migliaia di frasi banali in questi mesi, e non riesco a trovarlo.
Non c’é.
Se c’è, é nascosto.
Nei confini di un giardino.
Dall’ottantaquattro mi trovo a Ostia, nel cuore dell’Italia.
Ho raccontato ad un mio amico che sono un maniaco omicida uscito da un manicomio criminale grazie a un cavillo giuridico.
Per questo, secondo me, mi abbraccia ogni volta che ci vediamo: vuole farmi vedere che mio è amico oppure vuole accertarsi che io non abbia addosso un’ arma.
Non sono sicuramente un lettore con la puzza sotto il naso perché, accanto a molti classici, gli scaffali della mia libreria sono pieni di romanzi di evasione.
Simonetta, lettrice dei fiori..
A volte si perde in una specie di mondo degli spiriti.
Colpa delle stelle.
Finché le stelle staranno in cielo.
Belle per sempre.
Spesso arriva in punta di piedi.
E’ una donna temprata da mille battaglie familiari, forse un po’ scettica e miscredente, caratteristica che cade a pennello quando si tratta di smorzare gli impeti di Gabriele e di Alessandro.
Tutto per amore.
Gabriele, grandi speranze.
Alessandro, una mano piena di nuvole.
I segni rossi del coraggio.
Con la passione della giovane età, in alcune occasioni si fanno trascinare dalle idee eccessive che nutrono.
Suona il campanello.
Apro la porta.
Alzo gli occhi e guardo mia sorella e mio fratello.
Che sorpresa!
Stefano, in piedi accanto alla porta, mi scruta perplesso.
Poi mi abbraccia.
“Sei il mio fratellone, no?”.
Con le mani appoggiate ai braccioli del divano, Antonella si rimbocca il vestito.
Antonella, di noi tre, è quella anomala.
Magra, con un’espressione costantemente tesa, animata, da sprazzi di vera energia.
Così era mamma.
Mamma Ernesta, più dolce delle lacrime.
Tenera come la notte.
Papà Valeriano, bello per sempre.
Non c’è ritorno.
Comunque, ora sono di buonumore.
Nel giro di pochi minuti uscirò con Stefano a godermi Ostia.
Incontriamo un tossico.
Un tossico vero.
Va fuori di testa.
Discorsi mistici.
Jonesco puro.
Ci guardiamo come due cammellieri dopo il passaggio di una tempesta di sabbia.
D’impulso rispondo: “Non importa che la tua fede discenda da Geremia e da Gesù, da Allah e da Maometto, o da Brama e Buddha, qualcuno ti dirà che sbagli e per questo ti combatterà”.
Fa un ampio sorriso.
E se ne va.
“Che vuoi dire?” fa Stefano.
“Cavolo ne so. Era lì che parlava e mi è venuta in mente questa risposta.”
Mento, consapevole che senza una buona dose di ipocrisia non c’è più vita sociale.
La stupidità è l’abito con cui i cinici vestono i puri.
Stefano apre un pacchetto di sigarette.
Ne accende una.
Fa una risata sonora, con il fumo che gli esce dalla bocca e dalle narici.
“Gli integralisti sono pazzi” dice.
“Meglio evitarli. Mi ci è voluto tanto per impararlo, ma ci sto arrivando” rispondo sorridendo.
“Bene. Spero che ce la farai”. E mi da un colpetto sulla spalla facendomi un cenno d’intesa.
Il tempo è stupendo.
Mi sento bene.
Sono circa le sei di pomeriggio quando ci fermiamo su una panchina di fronte al Pontile.
Ostia è bellissima a quest’ora del giorno.
Ci saluta un musulmano.
Si chiama ‘Abdu-l-‘Alîm (Abdulalim): servo dell'Onnisciente (عبد العليم).
Lavora sotto casa mia, a un autolavaggio dove spesso porto la mia macchina.
Dice: “gli ebrei sono gente del Corano. Come Gesù, che è riconosciuto come un profeta molto importante dall’Islam ma non è un dio. Esiste un solo Dio e soltanto Maometto ha comunicato al popolo la vera parola di Dio. Ma David e Ibrahim, che voi chiamate Abramo, sono importanti profeti per l’Islam e noi li rispettiamo per ciò che hanno fatto. Sono stati Ibrahim e suo figlio Ishmael a costruire la Kaeeba e a imporre la pratica dell’Haji, il pellegrinaggio alla Mecca.”
Comincio a spazientirmi.
“Grazie per la lezione di teologia, ma tutto questo cosa c’entra con il mio saluto?”
Poi, silenzio. Il silenzio religioso che c’è prima del rosario. Perché un minuto dopo, quando arriva il rosario di maledizioni e imprecazioni e contumelie e promesse di morte lenta e vendetta cattiva, il silenzio non c’è più.
E nella giaculatoria del porca puttana e del maledetto bastardo e del se gli metto le mani addosso, si proietta il film penoso e neorealista della povertà imminente, della mensa popolare, del cappello in mano.
A questo punto ‘Abdu-l-‘Alîm va via. Offeso.
Del resto prendi la storia di quel bravo ragazzo, scapolo, che abbandona il mestiere di falegname per mettersi a battere le strade dicendo alla gente che Dio li ama e che devono amarsi fra loro. Il giovanotto, in più, dà seguito alle sue parole: ti guarisce i lebbrosi, ti restituisce la vista ai ciechi, resuscita il suo amico Lazzaro, impedisce che una poveretta venga lapidata per essersi fatta scopare da un barbuto diverso dal marito eccetera, chi più ne ha più ne metta. Miracoli, massime, buone azioni a valanga, ecco il programma di Gesù. Ebbene, cosa ci ricava alla fine il ragazzo? A trentatré anni lo arrestano perché nessuno lo regge più, gli improvvisano un processo farsa e lo inchiodano su due tavole. Splendida ricompensa! E’ chiaro che da allora la vocazione alla gentilezza non va tanto per la maggiore. Bisogna essere un santo per fare il Gesù, dopo quello che è successo! Con queste parole voglio dimostrare che l’amore è dinamite. Che le persone che parlano d’amore passano per terroristi in una società retta dall’interesse e governata dalla paura. Non viviamo nel mondo delle fate!
Un’amica mi raggiunge e rimane in piedi accanto a me.
E’ struccata; il suo viso è luminoso e delicato.
Indossa jeans e una t-shirt.
Porta dei sandali aperti.
“Spero che tu non mi consideri troppo spregiudicata se ti invito a cena stasera”, dice scherzando.
“A cena?”
La guardo come se avessi scarsa familiarità con la lingua parlata dalla ragazza.
Mi dice: “Più siamo diversi e più siamo uguali”.
Sciocchezze buddiste.
Declino l’invito.
Tengo fermo il timone dell’Enterprises.
Stefano fa la faccia di quello che arriva alla maturità senza aver mai aperto un libro.
Rientriamo a casa.
La casa dei destini intrecciati.
Stefano si avvicina al carrello dei liquori e si prepara un bicchierone di whisky.
Con soda.
Per me vodka tonic.
“Sta andando tutto bene?” dice Simonetta con un sospiro, abbassando la testa.
Non so cosa fare.
Tento di abbracciarla.
Rimango seduto con il mio imbarazzo.
La guardo a bocca aperta.
“Non preoccuparti” dico.
Il suo sguardo si distende.
Sorride e mi stringe il braccio.
Risponde al cellulare.
Mmmh, quanto è buona questa vodka!
Stefano annuisce, guardandosi il drink.
Dalle finestre aperte davanti a me vedo il buio che scende su Ostia.
Entra un venticello caldo profumato di mare.
La gente di Ostia possiede il mondo.
Aupa Atleti! Vamos Colchoneros!
“Yo me voy al Manzanares, al estadio Vicente Calderon, donde acuden a millares, los que gustan del fútbol de emoción. Porque luchan como hermanos, defendiendo sus colores, en un juego noble y sano, derrochando coraje y corazón. Atleti, Atleti, Atletico di Madrid. Atleti, Atleti, Atletico di Madrid. (E vado al Manzanares,allo stadio Vicente Calderon,dove accorrono a migliaia quelli che amano il calcio emozionante perché lottano come fratelli difendendo i loro colori in un gioco nobile e sano dando senza risparmiarsi coraggio e cuore).
Accompagno Stefano alla macchina.
Poi faccio l’ultima passeggiata notturna sul lungomare.
“Atleti, Atleti, Atletico di Madrid Atleti, Atleti, Atletico di Madrid”.
Alzo il viso verso la luna e lascio che la pioggia si mischi alle mie lacrime.
Un grazie con l’inchino e il cappello piumato e svolazzante a tutti voi lettori che avete avuto il coraggio di leggermi fino alla fine.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
Allegati
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