Recensione di Roberto Caracci sulla Raccolta poetica Situazione Temporanea

Le vostre pubblicazioni (libri, ebook, canzoni, pittura ecc...)
Rispondi
Avatar utente
msaya
Nuovo arrivato
Nuovo arrivato
Messaggi: 8
Iscritto il: 23/05/2005, 14:55
Contatta:

Recensione di Roberto Caracci sulla Raccolta poetica Situazione Temporanea

Messaggio da msaya »

SU “SITUAZIONE TEMPORANEA” DI MARCO SAYA, ediz. Puntoacapo 2008

http://www.youtube.com/watch?v=tb7Ilwad ... r_embedded

E’ un colloquio a tu per tu con se stesso e con l’altro, la poesia di Saya. Un colloquio di chi vaga per le strade di un città, con le scene di normale follia metropolitana negli occhi e il canto nel cuore. Saya è un poeta che canta, anzi arpeggia, come guidato dalla fantasia della sua chitarra. Il canto è frantumato, segmentato, sincopato, come la vita, come le mille tessere di quel mosaico sgangherato che è la vita quotidiana della metropoli e che il poeta rappresenta con una amorevole ferocia. Per chi ha la musica nel cuore, il panorama disfatto, fluido e rovinoso delle città appare una aritmia da rispettare e correggere al tempo stesso, da mimare e da affrontare: da riportare ad un qualsiasi ritmo jazz, talvolta anche alla dolcezza di un blues. L’importante è che nella matassa aggrovigliata del tam tam e tiramolla quotidiano si possa ritrovare un melodia, anzi un ritmo, una cadenza, una prosodia. Il poeta è qui come un passeggiatore solitario di periferie urbane che nel tumulto del  traffico diurno o nella pace della desolazione notturna, si canta una canzone lungo i marciapiedi, se la canta da solo, segnando il tempo –un ‘suo’ tempo  interiore che si sostituisce a quello frenetico che lo circonda. Il ritmo è proprio questo, il farmaco del caos, per sopravvivere insieme ‘nel’ caos, e ‘nonostante’  le stonature del caos. La mimesi della frantumazione dell’esperienza quotidiana è al tempo stesso il suo superamento- o almeno ne è la speranza. Lo spazio urbano è un disegno esploso o imploso, da ricostruire nella scommessa lirica di un ritmo interno, che combaci per quanto possibile con quello della mente.
L’atmosfera di questo libro, come già suggerisce il titolo, è quella dello spazio-tempo provvisorio, precario, contingente e puntiforme. In un quotidiano metropolitano che non si arresta, che ci vede attraversare il suo asfalto come caduche ombre e marionette del divenire (un caleidoscopio di maschere), è nelle momentanee soste- anche quelle a un semaforo- che ci è consentito di trasformare l’esperienza in significato, in metafora e simbolo. All’impermanenza della vita contemporanee si lega un assurdo che sfugge alla sua simbolizzazione e che si appella alle forze dell’uomo- o in tal caso del poeta- per germogliare un significato. L’istante contemplativo, nella puntiformità della situazione temporanea, è strappato alla deriva delle abitudini sulla base di momenti, soste per ripartire, istanti di gratuita tregua. Siamo imbrigliati nei fili della città, fili di tram e fili della comunicazione (quanti fili per la città) come presi in una ragnatela dalla quale oggi tanto ci affacciamo, ciascuno dal suo solitario ‘oblò’. Saya sottolinea con triste sarcasmo l’umbratile anonimato della comunicazione urbana, da quella dei passanti che si ignorano a quella dei condomini che invecchiano salutandosi dentro e fuori gli ascensori, senza mai conoscersi.
Ma l’ambiente urbano vive agli occhi del poeta una devastazione anche temporale.  Milano ha cambiato volto, come i suoi tram.  Gli antichi personaggi della giovinezza diventati maschere, i ruoli sempre più definiti, i volti stereotipati, fissati in espressioni d’occasione. La diffidenza per l’altro si raddoppia quando l’altro viene da lontano, che sia un albanese o una dona col burka. Anche le feste di moda talvolta rassomigliano a sfilate del nulla. Le scene metropolitane di Saya vanno dalla confusione insensata alla tranquillità un po’ depressiva: in mezzo stagna il grottesco e talvolta il patetico. Sembra talvolta di avere la sensazione di un immenso vuoto pneumatico da riempire comunque- per esempio di parole, di pettegolezzi, di guerre, o di egoismo e cinismo. L’ultimo poesia del volume si intitola ‘vuoto’ e letteralmente la pagina dice il vuoto: è una pagina bianca.
Ci sono poesie qui che sono esplicitamente ‘solfeggi’, dove il tempo batte con il verso: la parola si ritaglia nel  tempo esistenziale un suo tempo musicale, frastagliato e ritmico, incalzante e percussivo. Ma poi anche questa volta è proprio nelle pause, anche in quelle della musica, che la realtà accende attraverso il dettaglio più banale la sua suggestione simbolica, che l’occhio (e il cuore) del poeta intercetta.
All’interno si queste piccole epifanie metropolitane, il poeta parte da una relazione analogica tra oggetto e immagine per costruire eleganti trame simboliche: come il pensiero-barca da ormeggiare,  i pensieri-panni da far sgocciolare per bene, le parole corpi-nudi da rivestire, la cintura correlato oggettivo della sicurezza e del contenimento ecc.  Molte immagini poi hanno a che fare con la tematica spaziale del limite, del recinto, dell’orizzonte, di cui il poeta deve prendere coscienza, pur entro una scommessa di trascendimento. Anche se poi all’interno nelle necessità dell’esistere e dei suoi confini, la scrittura si muove con una casualità liberà e non, che è quella dell’ape spinta dal vento a posare su un determinato fiore.
La concezione del tempo di Saya è embrionale e utopica, nel senso che egli sembra pensare talvolta che il tempo del’esistenza abbia delle radici capaci finora solo di produrre arborescenze caduche, deludenti, e piegate come quelle di salici piangenti su stesse, anzi sulle stesse radici inespresse. “Mi piacerebbe tuffarmi nel mio inizio” scrive il poeta, raccontando con una similitudine legata al mondo materno della nascita come sarebbe bello ritornare talvolta sotto il pelo d’acqua di riemergere e straripare insieme alla “confusione/di identiche molecole”.
Ma che cos’è l'ex-sistere se non straripare, ancora e ancora, da un inizio mai concluso oltre un  limite mai veramente oltre-passato?

Roberto Caracci
                     

Roberto Caracci, narratore e saggista, ha pubblicato tra gli altri un volume di racconti con l’editore Rebellato, “L’ingorgo”, 1984, e testi narrativi su varie riviste.

Oltre che di narrativa, si occupa di poesia in quanto critico letterario.

E’ redattore delle riviste Il Monte Analogo  e Il Grillo
Dal 1990 dirige a Milano il Salotto del Martedì, un Cenacolo letterario da lui fondato, che ospita narratori, poeti e saggisti.

Si occupa inoltre di filosofia e psicanalisi. E’ recentemente uscito il suo ultimo volume di narrativa, ‘Le radici del silenzio’, Ati editore, 2007, con prefazione di Roberta De Monticelli.

                                           
Avatar utente
Massimo Baglione
Amministratore
Amministratore
Messaggi: 1802
Iscritto il: 12/09/2005, 22:26
Località: Belluno
Contatta:

Re: Recensione di Roberto Caracci sulla Raccolta poetica Situazione Temporanea

Messaggio da Massimo Baglione »

Ottima segnalazione, grazie!
Rispondi