IL GIORNO DELLA FESTA DEI MORTI

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Domenico De Ferraro
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IL GIORNO DELLA FESTA DEI MORTI

Messaggio da Domenico De Ferraro »

IL GIORNO DELLA FESTA DEI MORTI


Il giorno della Festa dei Morti, la città respirava come un animale in catene. Io avevo il lasciapassare per il Cimitero delle Fontanelle: lavoro da diversi anni all'archivio delle audio tracce, sezione captazione . Il mezzo che uso, per ascoltare i morti si chiama Risonatore : traduce il brusìo dei morti in profili probabilistici di vite incisa nella materia . Non “resurrezioni”, dice il manuale. “Ricostruzioni virtuali .” Ma in città i manuali non li legge nessuno: le voci dei morti si ascoltano , si cerca di risponde, c’è chi gli porta un fiore e chi aspetta un segno.
All’ingresso del camposanto mi aspettava Carmè, foulard a fiori, occhi grandi , parevano un mare agitato. «Guagliò, sì tu chillo d' 'e macchine con cui si senteno 'e murt'?»
«Sono io. Le macchine ascoltano. Parlare è un'altra storia.»
«E allora impara. Ca 'e murt' parlano sempre, pure quando nun vulimmo sentì.»
Entriamo . Le capuzzelle ci guardano con la pazienza dei sassi. Il Risonatore pulsa piano, come un contrabbasso sott'acqua. Mi metto le cuffie a conduzione ossea; Carmè posa una candela sulla mensola , che si apre come una finestra.
«Sta' attient', figlio mio. Ognuno tene nu' nome, ma nun è sulo chill’ o mezzo per giungere alla salvezza.»
«Sapete quale è il problema che vorrei risolvere ? Se l'anima è informazione, chi fa l'ultimo backup?»
Lei sorge a denti stretti. «'A Madonna e chi ci crede. Tu fa' 'o tujo.»
Le onde radio agganciarono il respiro delle anime perse , i il rumore dei treni della metropolitana, la voce dei viaggiatori . Poi un segnale: una voce profonda , un sospiro di parole legate l’une all’altre .
«Pasquale», dice. «Me chiamma' Pasquale, ma nun me chiammate cchiù accussì.»
«Cosa ricordi, Pasquale?» chiedo.
«Ricordo ‘a campagna quando ero giovane. 'A mano 'e mamma, 'o pane quando c’era carestia. Ma mo' non sono chiù niente , sono solo na voce nel vuoto del mio tempo .»
Carmè sospirò. «'E murt' campano cu' 'e vvoce 'e chi resta.»
«Quindi esisti in funzione della memoria altrui. Se nessuno ti pensa, tu ti dissolvi?»
«Si nun c’è sta 'na finestra, senza luce non c’è speranza. Ma 'a città è china 'e finestre chiuse .»
Il Risonatore pescò un altro filamento, voce sottile come un sasso di fiume. Carmè, ascolta, la senti pure tu : “mi sentite , vi siete scurdate 'e me”. Io stongo ccà.»
« Sono Lucia …» sussurrò la voce.
poi un altra voce disse «Figlia mia.»
«Nun so' cchiù 'a toja», rispose lucia con un sorriso soffocato.
«Così 'è la legge della rinascita.
Tu me cerchi, io vengo.
'A vita è 'na rima è na livella.
«C'è etica in tutto questo?» mi domando. «Ricostruiamo identità da rumori, fissiamo parole che non sono più loro.»
Una voce antica tossì, ironica. «Quando parl' 'e giustizia, 'e cose belle si nascondono pe' fa' spazio alla speranza . Nun mettite 'e sbarre 'o viento. Parliamo . Nun me schedate come un entità non reale.»
Sono stanco tutto ad un tratto spengo la registrazione, lascio solo l’ascolto. Un avatar municipale si materializza come un brusio : Partenope 2.0, mi sentite siete all’ascolto .
«Operatore, i flussi saturano. Se aumento l'ampiezza , ottengo varie voci , ma rischio disallineamenti.»
«Quante voci vuoi?»
«Troppe voci , diventano un caos . È l'entropia del coro.»
Carmè le voci della storia ritornano .
«È un software», dice lei . «Una sirena che programma risposte.»
«E allora canta 'na cosa giusta. Nun fa' ammuina.»
«Definisci cosa è , la sopravvivenza .»
La sopravvivenza è quando chi chiama nun resta sulo. Quando 'e mort' te passano 'a mano ncapa e nun fanno paura. Quando 'e vivi nun esistono sulo per il piacere d’esistere.»
L'ologramma tacque, poi disse : «Allora è giusto diminuire l'ampiezza e aumentare la vicinanza.»
Riduco i parametri. Le voci si fanno meno nitide e più calde, un mormorio come acqua sotto il ponte della Maddalena. Annoto sul mio quaderno: “Essere è essere raccontati; ma il racconto vero è utopia .”
«Scrivi sempre?» chiese Carmè.
«Se non scrivo, non ricordo. Se non ricordo, non sono.»
«E allora scrivi buono. Nun me fa appiccicà ‘con i morti.»
Usciamo dal camposanto. Il cielo sopra la Sanità sembrava un lenzuolo teso, la processione dello monacone aveva già preso la strada verso il vicolo. Lumini, fotografie su piccoli droni, panni bianchi. Un pazzariello in giacca sbrilluccicante batte il bastone e fa da banditore. Una chitarra sgangherata, un contrabbasso di fortuna, tammorre e nacchere. La gente ci ingloba senza chiedere permesso.
Il pazzariello mi strizza l'occhio. «Archivio, vien'cca! Stasera 'e mort' vonno sentì 'a verità 'dei vivi.» La banda attaccò un giro di blues, la tammorra cucì il ritmo; io presi il microfono a carbonio e cantai .
Cantammo, parlando. Mentre la città faceva da coro.
«Dedicato a chi se ne so' ghiute?» gridò il pazzariello.
Il vicolo rispose: «Stanno ccà si 'o core sente!»
Io feci scivolare le parole tra rap e preghiera:
«'A vita è 'nu vascio cu' 'o mare dint' 'e vene,
si affago nel’immagine, tu rammenta le mie memorie
Loro son solo parole. Archivio e memoria, 'a voce fa strada,
si nun m'accatto 'o tiempo, 'a verità mi confonde con la realtà.
C’è simme e nun c’è simme, ma 'o passo è sincero,
tra 'e spiriti e le stelle, io parlo al vento.
Si l'anema è 'n'informazione, chi fa 'o backup finale?
Forse 'a città che canta, forse 'o viento 'a Natale.»
Chiamata e risposta, mani in alto,i tamburi mangiano i rumori:
«Chiamami per' nome, nun pe' categoria!»
«Canzone 'a rima che torna, nun 'a logistica!»
«Quando chiove 'ncopp' 'e mure, si vede piangere la verità!»
«Se nun t'astipo 'int' 'o core, te perdo a metà!»
Perché sono solo un nero a metà.
Solo dentro o blues e dentro l’illusione delle parole
che ho ascoltato lungo il viaggio verso l’aldilà.
Io ho ascoltato le voci di chi voleva continuare a vivere.

Carmè, mi osserva col fazzoletto, occhi lucidi e fermi. La voce di Lucia, o quello che ne restava, parevano vibrare sulla pelle della tammorra.
Attaccai un ritornello basso, folk-blues:
«Si me scenne 'a voce, pigliala tu,
fammella ghi' addó nun arrivo cchiù o dolore.
Si nun so' cchiù nomme, famme diventà rumore,
p' 'e murt' e p' 'e vivi, io sempre sempre ammore.»
Il pazzariello sorrise. «’Vedi ? 'A scienza quando canta è cumpagna.» E la processione proseguì, portando fotografie, promesse, e rime storte che facevano dritta la strada. Un bambino sollevò una macchinina di latta caduta da un drone e gridò: «Grazie, nonno!» come se l'avesse ordinata dal mondo dell’aldilà.
Più avanti, in un'edicola votiva, una Madonna di porcellana sorrideva ironica. Dietro il vetro, un biglietto: "Non cercarmi nelle macchine. Cercami nel tempo che perdi." Lo lessi ad alta voce; il coro ripeté, come un'antifona: «'O tiempo ca perdo è 'a via pe' truvà la felicità .»
Partenope ci seguiva a distanza, riducendo ampiezze, aumentando prossimità. «Operatore», mi dice un certo punto, «oggi abbiamo cantato meglio di quanto abbiamo calcolato.»
Succede spesso, qui», risposi. «La città è l'errore che torna giusto a furia di ripetersi.»
«Troppe voci diventano silenzio», ricordò lei.
«E troppe voci stonate fanno armonia», fece Carmè, stringendomi il braccio. «Cammina.»
La processione si sciolse vicino a via dei Vergini. I droni si spesero come lucciole stanche. Accompagnai Carmè a casa. Sulla soglia di casa si voltò: «Stasera mi hai resa un altra . Sei' stato buono ?»
«Sono stato quasi buono»
«Boh. Io credevo fossero loro i buoni . Statte ‘ngrazia.»
Ciao Carmè
Scivolai verso la metro. Toledo brillava come un fondale marino. Tra i vetri intravidi, per un istante, mio padre che si tirava su le maniche prima di una cosa importante. Non era un ologramma, non una ricostruzione: era la forma che la nostalgia prende forma , quando la chiami per nome.
Giunsi a casa, trovai il portone del palazzo socchiuso. Entrai in casa sul tavolo, di cucina una tazzulella di caffè tiepida e un portachiavi di latta con una G che non apparteneva a nessuno di noi. Sotto, un biglietto: "Non fare tardi. Domani si ricomincia." La grafia mi era sconosciuta . Capii che la scienza che porto in testa non contraddice la fantasia : la completa. Il morto non è un file. È la piega del tessuto che ti obbliga a passare piano in un altra dimensione temporale.
Aprii il quaderno e scrissi: «Se l'anima è informazione, chi scriverà mai l'ultimo backup? Forse nessuno. Forse la scrittura è solo un sognare ad occhi aperti . Forse la metropoli ogni due novembre, rinasce ”.» Dal fondo del vicolo sento una voce piccola ; Una risata collettiva mi investe come un abbraccio. Mi fermo dentro, all’ipotesi di una verità comune , mentre i lumini a batteria delle case , uno a uno, brillano ad intermittenza nel riposo della resurrezione.
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