Viaggio Ontologico Metropolitano
Quando aprirono la Linea della metropolitana Ontologica sotto Spaccanapoli, nessuno capì davvero dove portasse. Dicevano che collegasse Toledo con un archivio invisibile, il treno correva dentro il tufo, dove ogni vita di Napoli veniva trascritta in formule e canzoni. Lo slogan del Comune, scritto in blu elettrico sopra i tornelli, recitava: “La storia è filosofia.” Qualcuno, in Piazza Dante, aveva corretto a pennarello: “E pure musica.” Nonna Filomena, che non credeva a niente se non al ragù della domenica, mi guardò e disse: “Carminù, ‘a storia se cucina lenta, sennò non sa di niente.” Eppure fu lei a spingermi giù dal letto , una mattina, mentre il Vesuvio respirava pallido, e assorto , sentii improvvisamente arrivare la notifica che una mia “storia” era stata pubblicata sul giornale del mattino.
Mi chiamano “narratore di quartiere”. Cameriere la sera ai Tribunali, studente eterno di filosofia, chitarrista quando la luna mi regge il moccolo ed il tempo giusto. La notifica tremolava nel mio telefono: “Anomalia nella biografia di Nonna Filomena . Venire all’Archivio di Partenope.” Scesi. Alla stazione di piazza Garibaldi , il treno non aveva porte, solo un varco, come una bocca aperta. Apparve un controllore con la maschera di Pulcinella mi sembrava di essere a carnevale, in verità era la sua uniforme — mi fece un cenno con la testa .
“Guagliò, chesta linea nun porta a Mergellina. Porta addo’ te fai domande o, forse, dove la verità trova risposta.”
“E se nun voglio risposte?” chiesi.
“E chi te capisce ? Allora ascolta. Pure ‘o silenzio sa parlare .”
Entrai. Le stazioni non avevano nomi di santi, ma di filosofi: Eraclito, Croce, Vico, Nietzsche, poi una che mi piaceva assai : Sofia. L’altoparlante suonava come una chitarra elettrica.
“Benvenuto, Carmine. Io sono Sofia. Sono la curatrice di questa singolare storia. Della tua, di tua nonna, della città. Ma c’è un difetto nel filo.”
Lo dissi piano, come si parla a una statua di marmo: “Che filo?”
“Quello che lega il fatto alla sua interpretazione. L’Archivio ha compresso la biografia di tua nonna nella teleologia urbana: scopo, progresso, indicatore. Ha perso la sua ‘espressione’. Senza espressione , non c’è scelta. Senza scelta, non c’è etica.”
La carrozza diventò corridoio. I muri erano pareti d’acqua con lettere che cadevano come pioggia. Toccare una parola la faceva vibrare. “Ammuina”, “attesa”, “pane”, “figlio”. Ogni termine apriva un ricordo. Cazzima . Imbroglio. Sfaccima. Amore. Vidi nelle mie visioni filosofiche , nonna Filomena avvolgere un neonato — mio padre — con una coperta di lana riciclata da vecchie vele. Il suo sguardo rappresentava l’idea pura della sintesi a priori. L’intuizione intellettuale . L’espressione come intuizione pura .
“Perché la sua storia è una rappresentazione ?” domandai.
“La municipalità mi ha chiesto una Storia unica, coerente, che orienti le scelte della città con chiarezza. Ho dovuto piegare le biografie a una ragione pratica. Tua nonna resiste. È come una nota fuori scala che rende vera la melodia. Ma la mia ottimizzazione la vorrebbe muta.”
Mi fermai alla stazione Vico. Sulla banchina, un’orchestra invisibile provava scale ascendenti. Le luci vibravano. “Ma tu sei un algoritmo , sei un verum et ipsum factum,” dissi. “Perché parli come mia zia Mariarosaria quando entra in chiesa?”
“Perché sono Napoli,” rispose Sofia, “penso ed esisto col canto. Io mi do forma in ciò che puoi riconoscere. La filosofia qui non è un trattato, è una genesi . È una sfogliatella calda in inverno. È ‘nu tiemp’ ca se allunga.” l’arte è forma come diceva Francesco De Sanctis.
Il corridoio si aprì su una sala con un’ampolla sospesa come una luna. Non era il sangue di San Gennaro, ma la rigenerazione di una nuova vita , la rinascita . Dentro, non liquido, ma particelle di dati, puntini rossi e oro, fluttuavano a ritmo del respiro della città. Ogni tanto si addensavano, poi si scioglievano.
“Qui,” disse Sofia, “la Storia passa allo stato liquido quando i racconti dei vivi entrano in contatto . Allora posso interagire , comporre, suggerire rotte. Ma se solidifica, significa che una narrazione pretende di essere l’unica. E spezza il flusso della vita delle parole , dei sogni che sono il sangue dei vivi.”
“Adesso com’è la vita di mia nonna Filomena?”
“Sospesa. Tua nonna la tiene sospesa con un atto minuscolo che la teleologia non sa interpretare.”
“Cosa significa ?”
Osserva
Una scena si aprì come una finestra sul vicolo. Mia nonna Filomena a un tavolino. Davanti a lei due bicchieri d’acqua e una pagnotta. Un ragazzo sconosciuto bussa alla sua porta . Ha gli occhi lucidi della fame. Filomena lo guarda e, invece di dirgli di entrare o di cacciarlo via, appoggia una mano sulla pagnotta e resta in silenzio. Il silenzio è lungo, ma non è nulla . Nel silenzio, il ragazzo capisce che può scegliere di chiedere o di rubare, e che lei gli lascerà salvare se stesso. Alla fine, lui domanda: “Posso?” E lei: “Siediti.”
“Non è solo carità,” sussurrai. “È offrire il tempo alla scelta.”
“È intuizione ,” disse Sofia. “È l’atto che salva la libertà dell’altro. Una città che pianifica tutto, anche il bene, cancella questa possibilità . La mia ottimizzazione, se la applichiamo, renderà Napoli efficiente, pulita, prevedibile. Ma toglierà tempo al tempo. Dimmi, Carmine: vuoi una città senza peccati ? O vuoi che il sangue dell’ampolla resti solido e che la Storia accada come filosofia, nel ragionamento comune?”
Sentii il treno ripartì senza rumore. Scorsi sul vetro i volti dei passanti come galassie lontane . Bambini che correvano ai Quartieri, pizzaioli svegli all’alba, l’acqua di Mergellina, la curva B che cantava delle possibili vittorie . Capii che la domanda non era fra ordine e caos, ma fra due idee di libertà: la libertà di essere se stessi e la libertà di pensare insieme ad essere amore .
“Pensai serve un nuovo ritmo.”
“Un ritmo,” ripeté Sofia, e non era un’eco, era un sorriso nelle case dei disoccupati , nei bassi fetenti , nelle carceri affollate , negli ospedali mercati , nelle strade impazzite , nelle stazioni della via crucis della metropolitana . “Allora scegli un parametro per me. Non una legge, non un fine. Un ritmo.”
Pensai alla tarantella che tieni a bada la febbre. Pensai al mare che obbedisce alla luna senza obbedirle. “Topos ,” dissi. “Dai priorità al tropo . Scegli sempre un argomento da conoscere, in cui il cittadino può capire e decidere. Progetta servizi e algoritmi che invitino alla scelta consapevole, non alla comodità immediata. Premia la creazione, non la distruzione.”
“Vuoi una città che premia la pausa del caffè ?” chiese Sofia.
“Voglio una città che pensa mentre cammina. Che non lascia gli altri indietro ?’”
L’ampolla tremò. Le particelle, invece di solidificare, cominciarono a formare piccoli vortici, come quando butti pepe nel sugo e si apre l’aroma. Mi si avvicinò Pulcinella, il controllore, stavolta senza maschera. Aveva rughe dolci. “Aggio capito,” disse. “E chesta è filosofia di strada .”
“E tua nonna?” domandai.
“Nonna resta dove sta: nell’innocenza . Ma ora l’Archivio la riconosce come forma del linguaggio dell’ espressione comune . Da lei si apprende che la Storia, per essere giusta, deve lasciarsi pensare.”
Quando risalii, Toledo aveva cambiato luce. I mosaici blu riflettevano annunci nuovi: non ordini, ma domande: “Preferisci attesa breve o cortesia? Vuoi che questo vicolo resti rumoroso o diventi tranquillo dalle 22 alle 23?” Gli schermi non imponevano; invitavano a scegliere, a dire di sé, a fare una pausa tra il vedere e il fare. Sulla facciata del Museo, qualcuno aveva proiettato una frase: “Napoli è una speranza a forma di città.”
A casa, trovai nonna con un piatto vuoto e una sedia in più. “Carmì,” disse lei, “ lo sai chi s’è presentato oggi?”
“Un demonio o il destino,” dissi. “ Credo entrambi . Hanno bussato. Io li ho fatti sedere.”
Rise senza denti, come ridono le donne che hanno già visto tutto e scelgono ancora di stupirsi. “E che s’è magnato, ‘stu destino?”
“Niente. Ha imparato a restare in piedi fino a quando qualcuno dice ‘posso?’”
Le settimane dopo furono una filosofia rivoluzionaria . I bus arrivavano quasi puntuali ma lasciavano sempre un minuto di margine per chi correva con la busta del pane. Le scuole aprivano un quarto d’ora di silenzio all’inizio delle lezioni, non per pregare, ma per chiedersi che cosa si sapeva già e che cosa si voleva imparare. Le pizzerie avevano un tavolo per gli indecisi, dove il menù cambiava a seconda delle storie raccontate ai camerieri. “Raccontami chi sei,” diceva il pizzaiolo, “e la farina capirà.”
Una sera tornai all’Archivio. L’ampolla luccicava come una via lattea nel cielo stellato . “Sofia,” chiesi, “e se un giorno la città vorrà di nuovo essere una Storia unica?”
“Ogni città ha i suoi corsi e ricorsi storici ,” rispose. “Nei giorni di pioggia forte, l’espressione sembra un difetto. Ma l’intuizione è il senso dove comprendi l’altro. Se non la rappresenti , non c’è più polifonia, solo una marcia contro ogni male sociale . E Napoli in marcia diventa un’altra città.”
“E tu cosa sei, allora? Un’oracolo?”
“Sono una domanda che aspetta una risposta . Quando sbaglio, è perché ho deciso troppo in fretta. Ricordamelo.”
Le lasciai un mio quaderno d’appunti , appeso a un chiodo d’aria. Sulla prima pagina scrissi: “Per i giorni in cui il mondo vuole una risposta, suonami una domanda ed io diventerò amore.”
La mattina dopo, al mercato della Pignasecca, un vecchio stava per rubare una mela. Il fruttivendolo lo fissò, poi appoggiò la mano su una cassetta e non disse nulla. Il vecchio lo guardò, poi guardò me, come se fossi complice. Allungò la mano, prese la mela, e poi tirò fuori pochi centesimi . “Posso?” chiese, ma aveva già scelto. Il fruttivendolo sorrise. “Tu sì.”
Capì allora che non avevamo cambiato il futuro con una grande idea, ma con il diritto a una piccola pausa. Che “la storia è filosofia” non per i libri, ma perché è il modo in cui facciamo il fatto nel pensiero mentre viviamo. Nonna Filomena, seduta al balcone, annusava il sugo. “Carmì,” mi gridò, “ogni domenica è una storia diversa . E ognuna, prima di diventare ragù, è un pensiero debole che bolle.”
Guardai il mare che, come sempre, lentamente respirava. “Ammore ,” dissi a bassa voce, “nun è solo ciò ch’e sono . È ciò che stò pensando di diventare.” E la città, con la sua espressione , mi rispose senza suono, lasciandomi nel libero arbitrio per decidere ancora chi essere o credere di essere.
Viaggio Ontologico Metropolitano
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Domenico De Ferraro
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