IL MIO FANTASTATICO VIAGGIO IN TOSCANA

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Domenico De Ferraro
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IL MIO FANTASTATICO VIAGGIO IN TOSCANA

Messaggio da Domenico De Ferraro »

IL MIO FANTASTATICO VIAGGIO IN TOSCANA


Era un giorno di dura pioggia di meteorite a largo della galassia del cigno , quando attraversai di colpo il varco spazio temporale di Andromeda , il cielo mi sembrò grigio come una ragnatela di ragno Io viaggiavo alla velocità della luce , verso la terra . Atterrai con un colpo di reni con la mia vecchia navetta spaziale nella valle del Chianti, in Toscana tra vigneti che respiravano un’aria antica . Vidi , come fosse un illusione ottica , tutto ad un tratto vari robot-contadini , potavano, le magiche viti della terra degli avi , con mani di metallo e cervello elettronico. L’odore dell’uva fermentata galleggiava nell’aria come un ricordo d’infanzia, e nel cielo di ottobre brillavano la luna , gonfia come una botte pronta a traboccare il canto della terra . Il mio animo era felice, ero finalmente giunto sulla terra , la terra degli avi , di coloro che furono i primi esploratori dell’universo conosciuto , naviganti coraggiosi , giunti oltre ogni ambizione nella galassia in cui provengo . Nell’atterrare tra i campi verdi della toscana il mio animo era felice , potevo toccare con mano l’erba soffice , accarezzare le mitiche vite , le quali filavano , verso il vuoto della mia memoria. Giorno di raccolto antico , giorni pigri , in cui la mia ragione , andava incontro ad una nuova visione , contro ogni distruzione , contro ogni malvagità , contro la guerra che ci distrugge sempre , in ogni angolo dell’universo. E perso in questo mio verso , filante lento, saltellante tra i filari dei vitigni toscani . Sgambettava il mio pensiero come un acrobata sulla punta dei piedi , appariva stanco , mentre cantavo la mia agonia di astronauta .
«Benvenuto, viaggiatore interstellare» mi disse un robot contadino dal volto di rame nel vedermi scendere dall’astronave . Portava un cappello di paglia e una bottiglia di vetro intrecciato che gli scendeva lateralmente dalla spalla verso terra. Quel fiasco di vino raccontava la verità di un luogo , raccontava la vita e la morte dei coloni rimasti sulla terra a difenderla dagli invasori , provenienti da lontane galassie.

«Da dove vieni?»
«Da un pianeta dove il vino non esiste più» risposi.
«Lì il sole è un pallida stella e i sogni annegano in bicchieri
di plastica.»
Il contadino robot rise, con un suono che somigliava a una chitarra scordata.
«Allora siediti, straniero.
Qui il vino è ancora canto e il canto è ancora vino.»
Io sorrisi e tolsi il mio casco . il mio volto, credo impressionò assai il contadino e la luce della mia fisionomia , illuminò la sua sensibilità e la sua ragione , abituata ad esaminare il senso vero delle cose.
Le vite nei campi , cantavano la loro gioia di essere , le note degli acini , tintinnavano nel vuoto del tempo . E nella prossima vendemmia non avrei voluto vedere, la vendetta degli uomini , abbattersi su i prossimi invasori che sarebbe giunti a chiedere parte dei raccolti .
Intorno al fuoco, scese la sera, i robot contadini intonarono un blues metallico. Li seguii battendo il piede, la mia voce roca come una valigia dimenticata nel vento. Seguii la loro voce .
“Oh Chianti rosso, ascolto il tuo canto
nella lunga notte , la mia anima è stanca
di cantare la morte di pianeti lontani.
Di dover assistere alla distruzioni di civiltà ,
Osservare le lune del mio pianeta, esplodere tutto ad un tratto .
Nel nulla che congiunge il mio amore ed il mio viaggio
in questa storia e in questa realtà .
Non sono , Non sono , Non sono
Umano troppo Umano per essere Umano
Sotto la luna ubriaca del futuro,
cerco un sogno rimasto ad aspettare
su di un muro di menzogne e vecchie vergogne.”
Aspetto di capire chi sono.
Perché potessi divenire un giorno leggenda.

Le voci si mescolavano al rumore dei droni , i quali sorvolavano i campi, raccogliendo dati sulla fermentazione dell’uva . Ma il canto , lento e pieno di malinconia, dei robot contadini faceva da ponte tra varie epoche passate .
«Voi cantate come uomini,» dissi a uno dei robot.
«Abbiamo imparato dai vostri padri ,» rispose.
«Ogni strofa è un errore ben programmato.»
Non posso credere sia tutto vero , la vita segue sempre un errore preciso , si moltiplica si fermenta come l’uva , ogni cosa vive nel dolore della fermentazione , come il dono della parola , vive nel canto degli uomini e nel canto dei robot.
Rimasi sbalordito dalla risposta , rimasi a sorreggere una dimensione , non aveva più regole ed il mio animo sembrava bagnato da un blues di tristezze infinite .
Cercai inutilmente di superare il male da cui provenivo.
Il giorno seguente visitai una cantina scavata sotto una collina. Le botti non erano di legno, ma di cristallo sonoro: ogni vino aveva la sua frequenza. Bastava toccarle perché una melodia si diffondesse nell’aria . Ne sfiorai una etichettata Chianti 2275. La nota che uscì era un blues profondo, come un treno, di corsa , scomparso all’alba. «È il suono della fermentazione cosmica,» spiegò la cantiniera androide, con occhi color rubino.
«E cosa succede quando il vino è pronto?» chiesi.
«Diventa musica bevibile.»
Diventa un elisir di piaceri infiniti.
La bevvi. Il mondo intorno oscillò, e mi ritrovai a fluttuare sopra le colline e le nuvole , vedi tutto ad un tratto una mappa stellare nascosta tra le viti. Ogni galassia era un grappolo. Ogni stella, un chicco d’uva che attendeva d’essere spremuto.
Scesi lentamente, verso il basso , mentre il robot-contadino suonava il suo ultimo blues col vento tra le foglie:
“Tutto il mondo è una vite, fratello, e noi siamo tanti grappoli appesi al suo tempo. Quando verrà la vendemmia finale, canta forte — il mosto sarà la tua voce.” Mi disse.
Poiché siamo fratelli nella vendemmia delle nostre idee, nella ragione utopica , ci perseguita, nell’amore , ci costringe a reagire al male dei secoli passati . Noi siamo parte di una dimensione distopica , nell’essere oggetti e soggetti di un essere versatile e fuorviante , cadiamo senza volerlo in un buco nero che inghiotte ogni male, ed agire appartenuto a chiunque prova a reagire al potere divinatorio dell’uva .
Rimasi assai scosso di quella risposta, anche se il profumo dell’uva in fermento mi fece oscillare e ubriacare di vari ricordi . Il mio animo navigava in un mare d’ amore , navigava già verso il ritorno della mia natia terra . Ed il pensiero del passato ed il mio essere cosi banale e miscredente nel credere in una visione risolutiva , un essere un immagine virtuale della verità effettuale mi rendeva incredulo di ogni misfatto . Un velo di tristezze profonde, copriva la realtà degli uomini e dei robot , i quali continuavano ad abitare ancora la terra.
Mi allontanai con queste nefaste riflessioni , simili a fasulli versi , i quali mi conducevano verso la fine di un viaggio galattico . Cosi risalendo sulla mia navetta, mi fermai ad osservare per un ultima volta le colline del Chianti le quali si rimpicciolivano sotto di me, mentre m’allontanavo alla velocità della luce con la mia astronave , Diretto verso un passaggio spazio temporale a me più vicino , portavo con me diverse casse di vino novello e una dolce melodia : il suono del blues toscano, a metà tra vino e universo. Ed il mio sorriso spense ogni mia paura di ritornare ad essere un esploratore perso nella sua espressione. Nella sua atavica volontà di volersi ricongiungere ad ogni costo ,virtualmente al passato di una vendemmia che aveva avuto per molto tempo sulla terra , nome, vendetta.
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