Esercizio numero quattro

Sezione nella quale si svolgono gli esercizi previsti da questa iniziativa.
Giovanni p
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Giovanni p »

ESERCIZIO 4



Mara mi passa il caffè, locale è vuoto come sempre a quest’ora.
- Sono tre giorni che nevica, ho le braccia distrutte. Perché il comune non manda la gente a spalare?
Osservo la sua andatura zoppa, effettivamente ha le mani gonfie. Per una donna di un metro e sessanta che non arriverà a pesare cinquanta chili non deve essere il massimo spalare da sola la nevicata di una notte interna che fa muro davanti al suo bar.
- Quelli del comune li mandano tutti in centro e sulla tangenziale. Gli rispondo.
Lei mi guarda torva e risponde:
- Le tasse le pago io su questo cucuzzolo come le pagano gli altri, anche di più se vuoi. Hai un idea di quanto mi costi di Tari questo buco?
Sorrido e annuisco, lei scuote la testa.
- Se vuoi ti posso dare un passaggio a casa.
Ha iniziato a pulire la macchinetta del caffè, non mi guarda nemmeno dice solo:
- Io sul tuo carro armato non ci salgo – poi mi guarda e aggiunge – e poi non devi lavorare?
Butto giù il caffè e lascio i soldi sul bancone, la saluto e me ne vado, lei non mi considera.
Fuori dal bar la tormenta mi aggredisce, la neve sembra sparata da dei cannoni. Mi volto verso il mio Iveco e lascio che la neve mi si attacchi alla barba, la tormenta lo ha quasi sepolto. Sul vetro sono appoggiati circa dieci centimetri di neve candida, la tolgo spingendola via con le mani senza mettermi i guanti. Mentre il vetro riemerge perso a quanto mi sia sempre piaciuto il freddo e questa montagna. Accendo il mio “mostro”, il contachilometri segna trecentomila, mi sento fiero. Pochi giorni fa in centro ho visto dei ragazzi bestemmiare sulle loro Mercedes nuove di zecca, la batteria di quegli aggeggi non ha retto il freddo e non sono ripartite lasciando loro e le loro belle in minigonna a battere i denti davanti ai ristoranti dove per qualche centinaio di euro hanno assaggiato qualcosa. Il mio Iveco gli è passato davanti fiero, sbuffandogli fumo nero con ironica arroganza. Questa notte, come quella e tutte le altre, il mio mostro si arrampicherà per strade che nessun altro può percorrere. Il motore ruggisce cupo mentre la salita inizia, per fortuna nella cabina fa caldo, anche se devo tenere il finestrino aperto a causa dei fumi che arrivano dalle bocchette. L’odore del diesel non sarebbe nemmeno male, ma quando l’abitacolo diventa saturo la testa inizia a girarmi. Devo starci un'altra ora sul mio Iveco, il tempo della consegna e poi si torna a casa. Il magazzino è dopo la collina e il mio mostro se la mangia un pazzo alla volta. I fari riescono ad illuminare la strada a distanza di trenta metri e il rombo spaventa tutti i lupi, gli orsi e i cinghiali con potenziali tendenze suicide. I tornanti spariscono uno dietro altro dai miei specchietti laterali, che tanto “etti” non sono. Adesso il motore fa tremare tutto, inizia la salita più ripida, l’ultima della notte. Il cruscotto vibra e soffre mentre il motore fa a botte con la strada, come sempre devo scalare e cambiare per fiato e toglierlo al mostro che gorgoglia. Quel pezzo di strada era il mio terrore nelle mie prima notti da principiante. Se il motore mi avesse abbandonato sarebbero stati guai, ci ho messo molto tempo a fidarmi, a non sudare freddo cercando di stare tranquillo. Mentre la pendenza aumenta penso a Mara, alle sue spalle minute, alla sua coda che dondola mentre spazza per il bar. Sarebbe bello se mi considerasse, se accettasse di salirci sul mio camion puzzolente di diesel. L’ho sognata spesso ultimamente, a volte nuda a volte vestita con l’uniforme del bar che mi sorride.
Il volto Mara sparisce mentre la strada diventa buia, il mio mostro ha tossito con una violenza mai sentita prima, ora sento solo il silenzio. Rimango fermo per qualche secondo poi strangolo il freno a mano. Il mio Iveco si è spento ed è tutta colpa mia. Mi sono distratto e ho lasciato andare troppo la frizione, adesso sono fermo al buio con la salita ancora da fare. Riaccendo subito il quadro che per fortuna mi restituisce un po’ di luce, accendo ma il mostro ora dorme stremato. Iniziò a sudare freddo, ripeto l'operazione tre volte ma niente. Mi prenderei a schiaffi da solo, che cazzo ho combinato...
La pendenza è quasi del quindici per cento e il vano è pieno, oltretutto fa un freddo micidiale. Per fortuna il freno a mano tiene, scendo e controllo che le ruote non arretrino. La neve e il vento mi vengono addosso come una folla, ma per fortuna vedo che le ruote rimaste dove si sono fermate. Il vento mi brucia la faccia, risalgo velocemente ma so benissimo che anche dentro l'abitacolo fra poco farà un freddo cane, ma non ho il tempo di pensarci. Apro il cruscotto e tiro fuori il triangolo e il giubbotto catarifrangente, se mi faccio beccare senza addio patente. Mi sento un idiota mentre posiziono il triangolo, o almeno ci provo, dato che il vento lo tira giù anche se lo blocco con le basi. Riesco a sistemarlo, ma è inutile ai fini della sicurezza, la neve fra poco lo avrà sepolto. Inizia a farmi freddo ma non voglio pensarci, anche perché mi basta vedere il mio camion inclinato su questa maledetta salita per scordarmi di tutto il resto. Risalgo e sento che l’aria nell’abitacolo è pulita, ma purtroppo anche gelida. La tormenta non si calma il parabrezza si sta riempendo di neve e sento che la testa di gira. Provo a telefonare al magazzino, mi stanno aspettando, ma tanto so già che non c’è segnale e infatti il cellulare mi dà ragione. Il freddo inizia a farsi sentire, senza neanche accorgermene sto tremando. Tutto intorno c’è solo il bosco ma poi un botto interrompe sia i pensieri che il tremore. Qualcosa di grosso ha colpito il tetto del camion, esco di nuovo ma non vedo nulla, la neve mi entra negli occhi. Passo dal lato sinistro a quello destro del mio mostro e vedo che il ramo di un albero si è rotto ed è finito sopra il tetto. Il ramo è grosso, probabilmente il botto è stato attutito dalla neve che sta creando una montagna bianca sul mio Iveco. Con tutte le mie forze cerco di trascinare via il ramo che sarà lungo almeno un paio di metri, ma in questa situazione è un lavoraccio. Il ramo sembra incastrato, quando improvvisamente vedo il camion pattinare all’indietro. Il ramo scende da solo e nel farlo mi fa cadere, per poco non mi rompo il braccio sinistro, per fortuna il camion scende per poco più di un metro. Il tremito mi aggredisce, ma non solo per il freddo, se il mio mostro decidesse di scivolare troverebbe presto un tornante e finirebbe fra gli abeti. Il mio mostro è la mia unica fonte di sostentamento, non so fare altro che guidarlo nella vita. Mi scappa pure da pisciare e sto tremando come una foglia sia per il freddo che la paura. Guardo il mio Iveco messo di sbieco in strada, sembra un cadavere coperto di neve. Il triangolo è finito sotto le ruote, non perdo neppure tempo a cercarlo anche perché devo pisciare e trovare una soluzione. Le scarpe si stanno bagnando, il freddo non mi arriva più solo sulla faccia e le mani, ma adesso sale anche dai piedi. Dondolando mi avvicino al margine del bosco, qui c’è meno vento posso pisciare in pace. Il buio è totale, sento solo le gocce di urina precipitare sulla neve. I miei occhi si perdono nel buio del bosco, la testa mi gira sempre di più e le gambe tremano. Finisco ed esco per tornare sulla strada, ma inciampo. Affondo nel candore gelido, riesco persino a sudare freddo. Il respiro si fa pesante, il panico mi sta per prendere. Addento un boccone di neve e per fortuna è una buona idea, un dolore acuto parte dai miei denti trapanati di fresco, il dolore mi sveglia. Mi tiro su ed in ginocchio raccimulo altra neve da inghiottire, mi alzo in piedi e arranco verso il camion. Arrivato mi stampo sullo sportello che riesco a malapena ad aprire, salgo sul sedile e lascio il freno a mano. Sento il camion indietreggiare, le mie braccia devono domane quella bestia senza servosterzo, ma il piano funziona prima che me ne accorga. Ho spostato il mostro nel senso contrario di marcia, adesso torno indietro. I freni non funzionano, ma c’è talmente tanta neve che riesco a viaggiare a passo d’uomo. Sono sfinito, ma la testa funziona bene. Dopo poca strada caccio un urlo di gioia, le luci del bar di Mara sono accese. Lascio che il mostro entri nel piazzale, poi finalmente tiro il freno a mano e lo lascio slittare dove non dia noia. La porta si apre dopo molte manate date con cautela, ho le mani gelate e un urto troppo violento aprirebbe ferite bastarde. Mara mi vede corre verso la porta e dopo avermi tirato dentro dice:

- Solo un coglione come te lavorerebbe in una notte come questa!
Io annuisco, lei si avvia verso il bancone.
- Hanno chiuso pure il magazzino, scommetto che hai ancora quella patacca di telefono e te ne sei accorto quando sei arrivato lì. Il magazziniere ha chiamato qua per avvisarti, me te avevi il cellulare staccato. Mi dice lei mentre sculetta verso la macchina del caffè.
- Comunque sei una fava, io non sarei mai partita con una bufera del genere, anzi come vedi sono rimasta qua, non ho voglia di rimanere bloccata con questo tempo.
Mi siedo cercando di non tremare, ma sono sfinito e la testa ha ripreso a girarmi anche se adesso sento caldo. Mara continua a parlare, ma io non la sento, la vedo mentre prepara un caffè, doppio in tazza grande come piace a me. Il caffè mi rianima, ma vedo Mara che mi fissa preoccupata e dice:
- Ma sei completamente zuppo!
Io annuisco con la tazzina incollata alla bocca.
- Pezzo di coglione! – sbraita dando un pugno sul bancone – Non mi dirai che ti è partita una catena?
Annuisco di nuovo.
- Te e quel cazzo di ferro vecchio! Con quello che lavori e guadagni almeno le catene ricomprale!
Poi si avvicina e mi toglie il giubbotto.
- Spogliati e vedi di non fare il timido, in queste condizioni non puoi stare. Ti asciughi e la notte la passi qua con me, contento?
Fisso i suoi occhi arcigni, ma bellissimi, annuisco di nuovo.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Gaetano Intile »

Bellissimo, Giovanni. Si fa divorare. Non ho ben capito come ha fatto a tornare indietro il tuo protagonista (mi riferisco all'IVECO), ma va beh, sono contento lo stesso. Anche il finale mi soddisfa, con quella specie di ritorno a casa dell'altro protagonista, quello che lo guida.
Il volto di Mara, hai dimenticato un di. E Iveco va tutto maiuscolo perché è un acronimo (Industrial Vehicles Corporation). Per il resto è un ottimo racconto, ben ingegnato.
Quanta differenza tra questo e i tuoi primi su BA.
Ti riesce di inserire le partizioni dello schema narrativo? Vediamo come te la cavi a sezionare la tua creatura.
Se non ci riesci ci provo io.
Grazie per la lettura.
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Gaetano Intile »

A proposito. Come titolo propongo, semplicemente, IVECO.
Robennskii
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Robennskii »

Il racconto è semplicemente meraviglioso. Coinvolgente, ironico nella sua drammaticità.
Il finale più bello che si potesse mai immaginare.

Per il mio modesto parere, questo testo va pubblicato: rende onore all'Officina.
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Giovanni p »

Gaetano Intile ha scritto: 16/04/2023, 9:31 Bellissimo, Giovanni. Si fa divorare. Non ho ben capito come ha fatto a tornare indietro il tuo protagonista (mi riferisco all'IVECO), ma va beh, sono contento lo stesso. Anche il finale mi soddisfa, con quella specie di ritorno a casa dell'altro protagonista, quello che lo guida.
Il volto di Mara, hai dimenticato un di. E Iveco va tutto maiuscolo perché è un acronimo (Industrial Vehicles Corporation). Per il resto è un ottimo racconto, ben ingegnato.
Quanta differenza tra questo e i tuoi primi su BA.
Ti riesce di inserire le partizioni dello schema narrativo? Vediamo come te la cavi a sezionare la tua creatura.
Se non ci riesci ci provo io.
Grazie per la lettura.


Buongiorno, Gaetano

ti ringrazio tanto per il commento e per i suggerimenti!

Il protagonista riesce a tornare indietro facendo slittare il camion fino a fare un inversione a U.

Volentieri!
Giovanni p
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Giovanni p »

Roberto ha scritto: 16/04/2023, 10:24 Il racconto è semplicemente meraviglioso. Coinvolgente, ironico nella sua drammaticità.
Il finale più bello che si potesse mai immaginare.

Per il mio modesto parere, questo testo va pubblicato: rende onore all'Officina.
Grazie mille davvero!
Gaetano Intile
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Gaetano Intile »

Giovanni p ha scritto: 14/04/2023, 17:59 ESERCIZIO 4



Mara mi passa il caffè, locale è vuoto come sempre a quest’ora.
- Sono tre giorni che nevica, ho le braccia distrutte. Perché il comune non manda la gente a spalare?
Osservo la sua andatura zoppa, effettivamente ha le mani gonfie. Per una donna di un metro e sessanta che non arriverà a pesare cinquanta chili non deve essere il massimo spalare da sola la nevicata di una notte interna che fa muro davanti al suo bar.
- Quelli del comune li mandano tutti in centro e sulla tangenziale. Gli rispondo.
Lei mi guarda torva e risponde:
- Le tasse le pago io su questo cucuzzolo come le pagano gli altri, anche di più se vuoi. Hai un idea di quanto mi costi di Tari questo buco?
Sorrido e annuisco, lei scuote la testa.
- Se vuoi ti posso dare un passaggio a casa.
Ha iniziato a pulire la macchinetta del caffè, non mi guarda nemmeno dice solo:
- Io sul tuo carro armato non ci salgo – poi mi guarda e aggiunge – e poi non devi lavorare?
Butto giù il caffè e lascio i soldi sul bancone, la saluto e me ne vado, lei non mi considera.
(Situazione Iniziale / Equilibrio)

Fuori dal bar la tormenta mi aggredisce, la neve sembra sparata da dei cannoni. Mi volto verso il mio Iveco e lascio che la neve mi si attacchi alla barba, la tormenta lo ha quasi sepolto. Sul vetro sono appoggiati circa dieci centimetri di neve candida, la tolgo spingendola via con le mani senza mettermi i guanti. Mentre il vetro riemerge perso a quanto mi sia sempre piaciuto il freddo e questa montagna. Accendo il mio “mostro”, il contachilometri segna trecentomila, mi sento fiero. Pochi giorni fa in centro ho visto dei ragazzi bestemmiare sulle loro Mercedes nuove di zecca, la batteria di quegli aggeggi non ha retto il freddo e non sono ripartite lasciando loro e le loro belle in minigonna a battere i denti davanti ai ristoranti dove per qualche centinaio di euro hanno assaggiato qualcosa. Il mio Iveco gli è passato davanti fiero, sbuffandogli fumo nero con ironica arroganza. Questa notte, come quella e tutte le altre, il mio mostro si arrampicherà per strade che nessun altro può percorrere. Il motore ruggisce cupo mentre la salita inizia, per fortuna nella cabina fa caldo, anche se devo tenere il finestrino aperto a causa dei fumi che arrivano dalle bocchette. L’odore del diesel non sarebbe nemmeno male, ma quando l’abitacolo diventa saturo la testa inizia a girarmi. Devo starci un'altra ora sul mio Iveco, il tempo della consegna e poi si torna a casa. Il magazzino è dopo la collina e il mio mostro se la mangia un pazzo alla volta. I fari riescono ad illuminare la strada a distanza di trenta metri e il rombo spaventa tutti i lupi, gli orsi e i cinghiali con potenziali tendenze suicide. I tornanti spariscono uno dietro altro dai miei specchietti laterali, che tanto “etti” non sono. Adesso il motore fa tremare tutto, inizia la salita più ripida, l’ultima della notte. Il cruscotto vibra e soffre mentre il motore fa a botte con la strada, come sempre devo scalare e cambiare per fiato e toglierlo al mostro che gorgoglia. Quel pezzo di strada era il mio terrore nelle mie prima notti da principiante. Se il motore mi avesse abbandonato sarebbero stati guai, ci ho messo molto tempo a fidarmi, a non sudare freddo cercando di stare tranquillo. Mentre la pendenza aumenta penso a Mara, alle sue spalle minute, alla sua coda che dondola mentre spazza per il bar. Sarebbe bello se mi considerasse, se accettasse di salirci sul mio camion puzzolente di diesel. L’ho sognata spesso ultimamente, a volte nuda a volte vestita con l’uniforme del bar che mi sorride.
(Rottura dell'Equilibrio)

Il volto Mara sparisce mentre la strada diventa buia, il mio mostro ha tossito con una violenza mai sentita prima, ora sento solo il silenzio. Rimango fermo per qualche secondo poi strangolo il freno a mano. Il mio Iveco si è spento ed è tutta colpa mia. Mi sono distratto e ho lasciato andare troppo la frizione, adesso sono fermo al buio con la salita ancora da fare. Riaccendo subito il quadro che per fortuna mi restituisce un po’ di luce, accendo ma il mostro ora dorme stremato. Iniziò a sudare freddo, ripeto l'operazione tre volte ma niente. Mi prenderei a schiaffi da solo, che cazzo ho combinato...
La pendenza è quasi del quindici per cento e il vano è pieno, oltretutto fa un freddo micidiale. Per fortuna il freno a mano tiene, scendo e controllo che le ruote non arretrino. La neve e il vento mi vengono addosso come una folla, ma per fortuna vedo che le ruote rimaste dove si sono fermate. Il vento mi brucia la faccia, risalgo velocemente ma so benissimo che anche dentro l'abitacolo fra poco farà un freddo cane, ma non ho il tempo di pensarci. Apro il cruscotto e tiro fuori il triangolo e il giubbotto catarifrangente, se mi faccio beccare senza addio patente. Mi sento un idiota mentre posiziono il triangolo, o almeno ci provo, dato che il vento lo tira giù anche se lo blocco con le basi. Riesco a sistemarlo, ma è inutile ai fini della sicurezza, la neve fra poco lo avrà sepolto. Inizia a farmi freddo ma non voglio pensarci, anche perché mi basta vedere il mio camion inclinato su questa maledetta salita per scordarmi di tutto il resto. Risalgo e sento che l’aria nell’abitacolo è pulita, ma purtroppo anche gelida. La tormenta non si calma il parabrezza si sta riempendo di neve e sento che la testa di gira. Provo a telefonare al magazzino, mi stanno aspettando, ma tanto so già che non c’è segnale e infatti il cellulare mi dà ragione. Il freddo inizia a farsi sentire, senza neanche accorgermene sto tremando. Tutto intorno c’è solo il bosco ma poi un botto interrompe sia i pensieri che il tremore. Qualcosa di grosso ha colpito il tetto del camion, esco di nuovo ma non vedo nulla, la neve mi entra negli occhi. Passo dal lato sinistro a quello destro del mio mostro e vedo che il ramo di un albero si è rotto ed è finito sopra il tetto. Il ramo è grosso, probabilmente il botto è stato attutito dalla neve che sta creando una montagna bianca sul mio Iveco. Con tutte le mie forze cerco di trascinare via il ramo che sarà lungo almeno un paio di metri, ma in questa situazione è un lavoraccio. Il ramo sembra incastrato, quando improvvisamente vedo il camion pattinare all’indietro. Il ramo scende da solo e nel farlo mi fa cadere, per poco non mi rompo il braccio sinistro, per fortuna il camion scende per poco più di un metro. Il tremito mi aggredisce, ma non solo per il freddo, se il mio mostro decidesse di scivolare troverebbe presto un tornante e finirebbe fra gli abeti. Il mio mostro è la mia unica fonte di sostentamento, non so fare altro che guidarlo nella vita. Mi scappa pure da pisciare e sto tremando come una foglia sia per il freddo che la paura. Guardo il mio Iveco messo di sbieco in strada, sembra un cadavere coperto di neve. Il triangolo è finito sotto le ruote, non perdo neppure tempo a cercarlo anche perché devo pisciare e trovare una soluzione. Le scarpe si stanno bagnando, il freddo non mi arriva più solo sulla faccia e le mani, ma adesso sale anche dai piedi. Dondolando mi avvicino al margine del bosco, qui c’è meno vento posso pisciare in pace. Il buio è totale, sento solo le gocce di urina precipitare sulla neve. I miei occhi si perdono nel buio del bosco, la testa mi gira sempre di più e le gambe tremano. Finisco ed esco per tornare sulla strada, ma inciampo. Affondo nel candore gelido, riesco persino a sudare freddo. Il respiro si fa pesante, il panico mi sta per prendere. Addento un boccone di neve e per fortuna è una buona idea, un dolore acuto parte dai miei denti trapanati di fresco, il dolore mi sveglia. Mi tiro su ed in ginocchio raccimulo altra neve da inghiottire, mi alzo in piedi e arranco verso il camion. Arrivato mi stampo sullo sportello che riesco a malapena ad aprire, salgo sul sedile e lascio il freno a mano. Sento il camion indietreggiare, le mie braccia devono domane quella bestia senza servosterzo, ma il piano funziona prima che me ne accorga. Ho spostato il mostro nel senso contrario di marcia, adesso torno indietro. I freni non funzionano, ma c’è talmente tanta neve che riesco a viaggiare a passo d’uomo.
(Peripezie)

Sono sfinito, ma la testa funziona bene. Dopo poca strada caccio un urlo di gioia, le luci del bar di Mara sono accese. Lascio che il mostro entri nel piazzale, poi finalmente tiro il freno a mano e lo lascio slittare dove non dia noia. La porta si apre dopo molte manate date con cautela, ho le mani gelate e un urto troppo violento aprirebbe ferite bastarde. Mara mi vede corre verso la porta e dopo avermi tirato dentro dice:

- Solo un coglione come te lavorerebbe in una notte come questa!
Io annuisco, lei si avvia verso il bancone.
- Hanno chiuso pure il magazzino, scommetto che hai ancora quella patacca di telefono e te ne sei accorto quando sei arrivato lì. Il magazziniere ha chiamato qua per avvisarti, me te avevi il cellulare staccato. Mi dice lei mentre sculetta verso la macchina del caffè.
- Comunque sei una fava, io non sarei mai partita con una bufera del genere, anzi come vedi sono rimasta qua, non ho voglia di rimanere bloccata con questo tempo.
Mi siedo cercando di non tremare, ma sono sfinito e la testa ha ripreso a girarmi anche se adesso sento caldo. Mara continua a parlare, ma io non la sento, la vedo mentre prepara un caffè, doppio in tazza grande come piace a me. Il caffè mi rianima, ma vedo Mara che mi fissa preoccupata e dice:
- Ma sei completamente zuppo!
Io annuisco con la tazzina incollata alla bocca.
- Pezzo di coglione! – sbraita dando un pugno sul bancone – Non mi dirai che ti è partita una catena?
Annuisco di nuovo.
- Te e quel cazzo di ferro vecchio! Con quello che lavori e guadagni almeno le catene ricomprale!
(Climax)

Poi si avvicina e mi toglie il giubbotto.
- Spogliati e vedi di non fare il timido, in queste condizioni non puoi stare. Ti asciughi e la notte la passi qua con me, contento?
Fisso i suoi occhi arcigni, ma bellissimi, annuisco di nuovo.
(Scioglimento/ Nuovo Equilibrio)
A mio avviso lo schema è questo.
Giovanni p
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Re: Esercizio numero quattro

Messaggio da Giovanni p »

E' la divisione che avrei fatto io, grazie mille. Questa officina è veramente utile ed è bello confrontarsi con voi.
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