Gabriele ed Alessandro, in bocca al lupo!

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Mario Pulimanti
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Gabriele ed Alessandro, in bocca al lupo!

Messaggio da Mario Pulimanti »

Mio figlio Gabriele sta studiando epr diventare Notaio. certo che in una nazione diversa dalla nostra non avrebbe problemi. In una nazione, cioè, dove primeggia la meritocrazia e non la raccomandazione. Stesso discorso vale per l'altro mio figlio Alessandro, grande letterato, che probabilemnte dovrà emigrare all'estero per trovare lavoro. Qui In itralia non cìè posto per chi merita, ma solo per chi è raccomandato. Basta vedere quello che è successo a me nell'ambito del mio lavoro. Fortunatamente tra poco andrò in pensione e non vedrò più le ingiustizuie colossali che orbitano davanti ai miei occhi in ufficio.
Del resto l'Italia, senza più scuola, con moda, design e persino lo sport in declino, con una classe politica sempre più imbelle, è tornata ad essere, come diceva il Principe di Metternich, espressione geografica. La sua industria è stata svenduta dal neo-capitalismo, alleato a politici senza scrupoli. Offesa anche nell'Ambiente, dell'Italia forte e prospera di mezzo secolo fa non resta più nulla.
Il 2 agosto 1847 il principe di Metternich, ministro degli Esteri dell’imperatore d’Austria, scrisse al conte Dietrichstein: «La parola Italia è una espressione geografica, una qualificazione che riguarda la lingua, ma non ha il valore politico che gli sforzi degli ideologi rivoluzionari tendono a imprimerle». Sono passati 171 anni ma penso che sì, sia proprio così, oggi il Principe di Metternich avrebbe sacrosanta ragione: l’Italia è un’espressione geografica. Da una classe politica imbelle, ma abilissima a curare i propri interessi materiali, e da un neo-capitalismo ingombrante, arido, legato in modo perverso al potere politico, l’Italia è stata in questi ultimi anni svenduta, sfruttata, offesa, sfigurata. Svenduta a Cina, Francia, Germania; sfruttata appunto da politici senza scrupoli, offesa e sfigurata da neo-palazzinari senza un grammo di gusto, senza un briciolo di senso estetico. L’Ambiente stesso ha ricevuto colpi durissimi, basti pensare al progetto ferroviario Torino-Lione, il famigerato TAV, sprovvisto di ogni carattere di ordine pratico, caldeggiato, imposto da conventicole di affaristi legati (ci risiamo) a una classe politica che per il proprio indecente protagonismo, la propria rumorosa invadenza, i propri, osceni appetiti monetari; dovrebbe soltanto vergognarsi di se stessa – se solo avesse una coscienza. Se fosse sensibile al sacro principio del ravvedimento…
L’Italia di cinquanta o sessant’anni fa rappresentava un Paese all’avanguardia in vari settori. All’avanguardia nella petrolchimica, nella lavorazione della gomma, nell’industria automobilistica, nel Design (non ancora chiamato così), nelle comunicazioni sia stradali che telefoniche, all’avanguardia nell’urbanistica, nel sistema scolastico influenzato da provvidenziali aspetti sociali quali la refezione ogni mattina fra le 10 e le 11: latte, pane, burro e biscotti per gli scolari italiani, ricchi o poveri che fossero, dal Trentino alla Sicilia. L’Italia di allora che, pur uscita dalla catastrofe della Seconda Guerra Mondiale, bene o male sapeva accudire i propri figli, ed era, ed è, terra priva di materie prime.
Che cosa resta di quell’Italia? Nulla. La Nazione se la sono mangiata, a quattro palmenti, non tanto i democristiani, i socialisti, i repubblicani del periodo 1946-1992, quanto i millantatori che sull’onda di Mani Pulite (1992-1993) pretesero di farci credere d’essere “portatori” di “giustizia”, “onestà”, “meritocrazia”: tutto il contrario, come s’è visto. Con Mani Pulite venne sancito, venne avallato, il saccheggio dell’Italia. Si spalancarono le porte a un’iniziativa privata gaglioffa, volgare, perfino becera. Si fecero ponti d’oro a cinesi e indiani i cui “negozi” sfigurano il centro di Roma; sfigurano, con le loro orrende chincaglierie, Corso Vittorio Emanuele, Via Ostiense, Via Marmorata, Via del Corso, e chi più ne ha, più ne metta. Ma s’intende: dobbiamo gelosamente conservarcela la patente di Paese “civile”, “democratico”: quindi, porte aperte a chiunque, ci mancherebbe altro. Questa è la via che porta alla rovina; la via che porta alla sparizione dell’Italia costruita, bene o male, negli ultimi cent’anni.
Il timbro italiano è anch’esso sparito. Sparito nella Moda, sparito nell’edilizia e nell’urbanistica; sparito anche nel Cinema. La nostra edilizia attuale è una paccottiglia di cattivo gusto, di orrenda pretenziosità. La nostra urbanistica, inaugurata negli anni Settanta, è un insulto alle esigenze, alle necessità dell’essere umano.
Nel panorama cinematografico non c’è un Visconti, non c’è un Pietrangeli, un Germi, un Emmer, un Bolognini.
Nella Moda è scomparsa la grisaglia, fresca, assai fresca. Scomparsi il Tweed e il Cachemire. La Gabardina e la Flanella… Non restano che “tessuti” di natura sintetica… L’insulto al Bello.
Certo che oggi l’Italia è un’”espressione geografica”. Il suo Governo nulla conta nel quadro internazionale: non conta nemmeno come “l’asso di picche”. Il suo Sport, nemmeno a parlarne: un disastro la mancata partecipazioneai mondiali di calcio, per non parlare dell’Atletica un tempo dominata da Mennea, Tilli, Pavoni; dalla Simeoni, dalla Dorio.
L’Italia è perciò tornata una espressione geografica! Del resdto l'Italia è un paese nato dalle corporazioni (termine in realtà moderno per indicare le arti). E' infatti un dato acquisito che non può essere rilevata una chiara e diretta continuità con le istituzioni del mondo classico. La diffusa comparsa delle arti – prevalentemente nelle città dell’Italia centro-settentrionale e con tratti distintivi abbastanza generalizzati – è infatti da collocare nella piena età comunale. Le forme di associazionismo artigiano attestate prima del secolo XII erano organismi controllati dall’autorità pubblica, circoscritti ai pochi ambiti lavorativi ritenuti fondamentali per la sussistenza della società cittadina, e risultano limitati a un numero ristretto di centri urbani. Solamente dal terzo decennio del secolo XII, con tempi e sviluppi che variano da contesto a contesto, cominciarono a comparire associazioni artigiane su base volontaria. Collegate in taluni casi con i sodalizi confraternali, queste associazioni erano svincolate dall’autorità pubblica: una novità che testimonia la capacità degli appartenenti ai mestieri di organizzarsi in forme istituzionali proprie e di codificare in piena autonomia norme comportamentali, rese esplicite dalla redazione di statuti. Proprio questi statuti lasciano trasparire come le corporazioni esercitassero un’autorità su di un largo spettro di ambiti e prerogative, a partire dalle relazioni fra i singoli, grazie all’elaborazione di codici etici, fino al disciplinamento del quadro sia della produzione di beni e sia dell’approvvigionamento di materie prime. Non solo, le arti si ponevano come organismi preposti al regolamento delle strutture lavorative, soprattutto nella salvaguardia e nella trasmissione del sapere tecnico attraverso la regolamentazione dell’apprendistato. A questa autorità decisionale va aggiunto l’aspetto religioso, solidale e assistenziale, espletato attraverso il già citato collegamento con le confraternite religiose. L’autorità assunta dalle arti e in particolare la loro funzione di coordinamento e di sostegno delle singole botteghe sollecitavano un’adesione pressoché generalizzata, nonostante in questa prima fase l’iscrizione all’arte non fosse obbligatoria al fine di esercitare un mestiere.
Già a partire dal pieno secolo XII, dunque, le corporazioni assommarono un potere sia economico – attraverso la gestione del settore produttivo, spazio vitale per l’economia cittadina – sia giurisdizionale. L’assunzione di tale connotato quasi pubblico da parte delle corporazioni rese necessario l’instaurarsi di un rapporto dialettico con le istituzioni di governo. Le arti cominciarono così ad acquisire una valenza politica – espressa con modalità ed esiti diversi da città in città – che si avverte già verso la metà del secolo XII.
Comunque il potere economico assunto dalle arti non necessariamente implica uno sviluppo sul piano politico. Se vi furono realtà come Firenze dove le arti guadagnarono l’accesso al potere e mantennero la responsabilità assistenziale attraverso la gestione degli ospedali della città, dal lato opposto dello spettro, in una città pur economicamente importante come Milano, i paratici non riuscirono a trovare un sbocco politico, mentre in altre realtà, come Venezia, nonostante la forte e pervasiva presenza delle associazioni di mestiere che si intersecavano alle confraternite religiose la precoce affermazione del ceto mercantile e la subordinazione delle arti alla magistratura della Giustizia Vecchia mantenne saldamente in equilibrio i poteri, frenando qualsiasi pretesa da parte delle arti.
Va comunque detto che la storiografia ha sottolineato come le corporazioni uscissero trasformate da questa continua dialettica con le istituzioni cittadine: già a partire dagli ultimi decenni del secolo XIII le arti cominciarono a essere ordinate a seconda del peso politico esercitato da ciascuna. Contestualmente cominciarono a perdere il connotato solidaristico delle origini e si trasformarono in organismi con un assetto interno nettamente verticistico. A questa progressiva gerarchizzazione interna contribuirono anche le particolari congiunture economiche di metà secolo XIV che resero necessaria una più accentuata difesa degli spazi d’azione di quanti già appartenevano alle arti. La chiusura è ravvisabile nella tendenza a porre severe limitazioni all’accesso alle corporazioni – e di conseguenza all’esercizio dei mestieri e alla mobilità sociale – a quanti non facevano parte dei nuclei familiari degli iscritti all'arte. Le corporazioni si trasformarono così in gruppi privilegiati; una posizione che tuttavia sarà frenata con l’ascesa delle signorie cittadine e la successiva transizione verso gli stati territoriali. Le istituzioni corporative, ormai considerate come un freno all’autorità pubblica o come un valido strumento per attuare una strategia di controllo sul territorio, cominciarono a subire una politica volta a limitarne l’autonomia.
E' così, difatti. l'Italia L'Italia è sempre stato un Paese "incompiuto": il Risorgimento incompleto, la Vittoria mutilata, la Costituzione inattuata, la democrazia incompiuta.
Inftti l’Italia è il porto franco di un paese franco. Un’espressione geografica in cui si possono scaricare migranti presi direttamente dagli scafisti, senza alcuna autorizzazione e senza alcun controllo. La missione delle Ong è racchiusa in un motto elegante: «Fuck Italia» (Fanculo Italia). Non un soccorso, doveroso sempre e comunque. Una consegna.
Come fosse un carico di sigarette o di stupefacenti. In questo modo quei bravi giovani delle Ong non salvano migranti in pericolo: portano clandestini nell’«espressione geografica» d’Europa alimentando le cospicue risorse economiche degli scafisti, che rappresentano ormai – grazie al laissez faire, al laissez passer troppo a lungo consentito dall’Italia – una formidabile lobby finanziaria e politica.
Finora soltanto un paio di Ong hanno firmato il nostro protocollo. Le altre dicono: mai persone armate a bordo. Si dà il caso che le persone armate siano della polizia di uno Stato che ha il pieno diritto di conoscere chi gli viene in casa e con quali modalità arriva. Su questo il governo deve essere fermissimo. Nessuna nave che non rispetta queste regole deve poter attraccare nei nostri porti.
Dobbiamo insomma diventare più protagonisti a difesa dei nostri interessi nazionali per ridurre il numero di quelli che ci considerano una pur importante «espressione geografica».
Per poter ridare una speranza concreta anche ai nostri giovani che cercano lavoro.
Gabriele e Alessandro, in bocca al lupo!
Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
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