8 marzo 2014: colpa delle stelle

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Mario Pulimanti
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8 marzo 2014: colpa delle stelle

Messaggio da Mario Pulimanti »

:blob5: 8 marzo 2014: colpa delle stelle


Ostia.

8 marzo 2014.

Lei odorava di sole, glielo portava il vento quell’odore ardente e lieve.

E’ una cosa terribile la vecchiaia.

La vecchiaia è la vendetta dei brutti.

Perché è quella passata di vernice che ammazza tutta la bellezza e che riduce a zero le differenze.

Le donne non dovrebbero invecchiare mai.

Esco sul balcone.

Verso il mare vedo cornacchie magre che volano in circolo sopra la spiaggia in cerca di cibo.

Odio questi uccelli.

Sono sporchi, e per loro anche la spazzatura è cibo.

Hanno preso il sopravvento sugli altri volatili.

Sbranano le uova di passeri, pettirossi, rondini, fringuelli, piccioni e tortore.

Sono sempre più numerosi.

Stanno diventando i padroni dei cieli italiani.

Ieri ho letto sul giornale una notizia inquietante.

In altre parole, la brutta fine toccata alle colombe della pace liberate da Papa Francesco e attaccate subito dopo da un corvo e da un gabbiano.

Di certo né il pontefice né i bambini che erano affacciati con lui a San Pietro potevano sapere che lasciando volare via le due bianche colombe le avrebbero consegnate a una morte tanto rapida quanto cruenta, che si è consumata davanti agli occhi attoniti della folla in Vaticano.

Ad Ostia ormai gli unici a tenergli testa sono i gabbiani.

Siedo sul divano senza la forza di andare a prendere il bicchiere di rum Angostura che ho lasciato sul tavolo e neanche il telecomando.

Mi sento sprofondare in un letto di sabbia.

Mi abbandono.

E penso.

Forse morire è così.

Chiudere gli occhi e lasciare andare via tutto, per sempre, calare in una massa nera e senza luce dolce e calda come la pancia di una madre., rimettersi in posizione fetale, chiudere gli occhi e tornare a quello che si era prima di nascere.

Poi mi faccio coraggio e mi alzo a prendere bicchiere e telecomando.
Mi risiedo sul divano, sorseggiando il mio rum.
Accendo la tivvù.
Socchiudo gli occhi mentre la voce di un conduttore stanco esce dall'altoparlante con le ultime notizie.
Disordini in Israele, interventi politici assurdi sulla questione degli immigrati, una rapina a un ufficio postale.
Riapro gli occhi mentre lo speaker è rimpiazzato da un altro che comincia a cantilenare sciocchezze, cosa che mi induce a cambiare canale.
Ehilà, stanno parlando della festa delle donne.
Vengo così informato che le origini della festa dell'8 marzo risalgono al 1908, quando a New York, 129 operaie dell'industria tessile Cotton scioperarono per protestare contro le brutte condizioni in cui erano costrette a lavorare.
Lo sciopero durò alcuni giorni, finché l'8 marzo il proprietario bloccò le porte della fabbrica per impedire alle operaie di uscire.
Nello stabilimento scoppiò un incendio, forse doloso, e le operaie morirono.
Questo fatto diede il via, negli anni immediatamente successivi, ad una serie di celebrazioni che, nei primi tempi, erano circoscritte agli Stati Uniti.
Successivamente questa data venne proposta come giornata di lotta internazionale, a favore delle donne, proprio in ricordo della tragedia della fabbrica americana.
Comunque esistono altre versioni della storia dell'8 marzo, ma il significato della celebrazione non cambia.
La scelta della mimosa come simbolo dell'8 marzo è stata fatta in Italia, esattamente nel 1946, dalle donne dell'UDI (Unione Donne Italiane) che stavano preparando il primo "8 marzo" del Dopoguerra.
Alle donne romane piacquero quei fiori gialli dal profumo particolare, che avevano anche il vantaggio di fiorire proprio nel periodo giusto e non costavano tantissimo.
E così la mimosa divenne da allora il fiore simbolo delle donne e dell'8 marzo.
Tuttavia nel corso degli anni il vero significato di questa ricorrenza è un po' sfumato, lasciando il posto ad una ricorrenza caratterizzata anche da connotati di carattere commerciale e politico.
A mio suocero non piacevano le mimose.
A sei anni era stato costretto a vedere la bara del padre cosparsa di petali gialli.
Cavolo, ma cosa mi sta succedendo?
Panico.
Ad un certo momento, tutte queste immagini, e altre centinaia che si succedono troppo rapidamente per poter essere colte, mi bombardano nel tempo che impiego a sgranare gli occhi.
Mi alzo di scatto, ansante.
Mi alzo dal divano.
Malfermo sulle gambe, avanzo barcollando fino a toccare lo schienale della poltrona.
Sento una forte nausea e vado in iperventilazione, tanto da avvertire un formicolio ai polpastrelli.
Sopraffatto dal capogiro cado in ginocchio e mi piego in avanti ritrovandomi carponi, con lo sguardo puntato sul pavimento.
Dopo un paio di muniti di affanno durante i quali non oso abbassare le palpebre, mi tiro su lentamente.
Ho il viso madido di sudore e mi asciugo con il dorso della mano prima di alzarmi del tutto, cauto.
Le gambe mi tremano appena mentre muovo i primi passi verso il tavolino.
Da lì mi dirigo a fatica verso la porta, aggrappandomi saldamente.
Il piccolo corridoio che porta alla mia camera da letto mi sembra molto più lungo di quanto sia in realtà: ho l'impressione di camminare per un'eternità prima di toccare la porta della camera.
A fatica, l'apro.
Mi avvicino alla finestra della camera da letto: sto per abbassare la tapparella, quando vedo due stelle che attira la mia attenzione.
Il cielo non é stellato, ha solo queste due stelle, grandi, bianche e luminose.

Resto un po' stupito, mi sistemo meglio gli occhiali e cerco di guardarle meglio.

Sono lì, brillanti, uniche nel cielo.
Lascio la tapparella alzata.
Mi trascino un passo alla volta fino al letto, dove mi sdraio.
Il letto risponde scricchiolando minaccioso sotto il mio peso.
Penso a quando ho chiesto il motorino a papà.
Allora avevo appena compiuto quattordici anni ed ero sicuramente un adolescente rompicoglioni.
Credo di aver detto parecchie sciocchezze e gli vomitai addosso una marea di accuse, ma lui non perse la calma e mi lasciò sfogare, prima di giocare il suo asso nella manica: un Benelli "Gentleman" rosso.
Penso a mamma, che soffrendo mi ha fatto nascere.
Che mi ha parlato nel cuore della notte.
Quando tutto il mondo era addormentato.
E nessuno, tranne me, udiva le sue parole.
E, tenendomi fra le braccia, mi avvolgeva di un amore che aveva una forza inaudita
All'improvviso, uno strano profumo di mimosa.
Chiudo gli occhi.
Poi svengo.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia-Roma)
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