Buffi pensieri: Nannarella, Kit Carson, Bob Dylan e nuova po

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Mario Pulimanti
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Buffi pensieri: Nannarella, Kit Carson, Bob Dylan e nuova po

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Buffi pensieri: Nannarella, Kit Carson, Bob Dylan e nuova povertà


Entro nel bar di Gioacchino.
Bar Magnanti, di Piazza Scipione Africano.
Mando giù una birra.
Un amico mi stringe la mano.
Dà un'occhiata al suo orologio digitale da quattro soldi: "Scusami tanto ma devo scappare. Mia moglie mi sta aspettando".
E sparisce.
Rimango seduto per un pò.
Un'altra birra.
Scura.
Santo Dio, chissà perché sto pensando ad un collega.
La prima volta che ho posato gli occhi su di lui, mi ha lanciato uno sguardo così
cattivo che mi sono fatto il segno della croce.
E da allora non é cambiato nulla: risposte monosillabiche, occhi che si evitano, quello strano sguardo cattivo.
Con lui non sono a mio agio.
Una persona negativa e noiosa.
Non c'è più niente da fare.
Rischia di trascinarti, psicologicamente, al suo stesso livello.
E' un buco nero di disperazione.
Scuoto la testa.
Sul bancone, una rivista.
Con Nannarella in copertina.
Quel giorno del 1973 è stato uno di una lunga serie di giorni tristi, segnati dal grigio dell'inverno, che ogni tanto viviamo.
Quel giorno é morta Anna Magnani.
Ah, dimenticavo: sono romano, abito ad Ostia e mi chiamo Mario.
Ho i capelli talmente bianchi, che a volte mi dicono che assomiglio a Kit Carson, il pard di Tex, che tra i pellerossa Navajo è proprio per questo motivo soprannominato Capelli d'Argento.
E considero Anna Magnani la massima rappresentante del teatro e del cinema neorealista italiano.
Ritengo che nel 2008 il centenario della sua nascita poteva anche essere celebrato meglio, come del resto è avvenuto per gli anniversari di Rossellini, Soldati e Visconti.
Forse la Magnani non gode di quella popolarità diffusa che ormai guida le strategie di marketing dell'industria e della cultura.
Cavolo, non é nemmeno disponibile in dvd la sua interpretazione più celebre, la Pina di "Roma città aperta!"
E dire che noi italiani, da più di cinquant’anni, abbiamo negli occhi e nel cuore quella corsa disperata dietro il camion tedesco che metteva la parola fine al suo più grande personaggio.
Dopo cento anni, il suo volto identifica ancora il cinema italiano nel mondo.
Nel 1955 ottenne l'Oscar come migliore attrice protagonista per "La Rosa Tatuata" di Daniel Mann.
La sua paura dell'aereo e la convinzione di non vincere non la fecero andare a Hollywood.
Difatti non presenziò alla cerimonia e non aspettò sveglia le notizie dagli Stati Uniti.
Il giornalista che con una telefonata la svegliò per darle la notizia ebbe difficoltà a convincerla che non si trattava di uno scherzo.
Due anni dopo ottenne un'altra candidatura per "Selvaggio è il vento" di George Cukor.
Tennessee Williams, che per lei ha scritto "La rosa tatuata" ha detto: ''Non ho mai incontrato una donna più bella. Non posso fare a meno di seguire il nome di Anna Magnani da un punto esclamativo''.
Ehm...lei, nata a Roma il 7 marzo del 1908, ha amato sempre la città eterna, dove ha abitato fino alla sua morte nel 1973.
Occhi di brace.
Capelli sempre arruffati.
E scuri.
Una proverbiale impulsività.
Mi sembra di sentire ancora la sua risata.
Irridente.
Canzonatoria.
Gioiosa: la risata di Nannarella.
Pino Daniele le ha inoltre dedicato "Anna verrà" .
Una bella canzone.
Barcollo.
Un tizio mi guarda "Stai in guardia, amico. Birra scura. Una fottuta dinamite, amico".
"Ehm...davvero?"
Annuisco, sorridendo, e mi guardo intorno, sperando che si sbagli.
Wow.
Adesso sono seriamente agitato.
Mi sento come se mi avessero dato un pugno nello stomaco e sono così frastornato che a malapena riesco a tenere la testa dritta.
Mi sgranchisco le gambe.
Una passeggiata sul lungomare mi farà bene.
Che birra.
Forte.
Mh-mh. Come la personalità di Nannarella.
La nostra magnifica "lupa romana".
Mentre passeggio accendo il mio MP3.
Perfetto: Bob Dylan.
Sono da sempre un grande fan di Bob Dylan ed ascolto i suoi dischi da quando avevo undici anni. Questo grande artista ha, a mio parere, influenzato assolutamente tutto il paesaggio musicale degli ultimi 40 anni.
Sono, difatti, sicuro che Dylan conosce pochissimi accordi eppure la sua esecuzione ha sempre qualcosa di speciale, di riconoscibile.
Ci sono degli errori che sono diventati parte del suo suono.
Del resto, per la prima volta introdusse l'elemento civile nelle canzoni.
È lui che ha creato la canzone civile, parlando anche della guerra nucleare.
Per me Dylan è la quintessenza del rock'n'roll.
Ho cominciato ad ascoltarlo a metà dei Sessanta, quindi non l'ho mai considerato un cantautore o un poeta folk; per me lui era rock, elettricità, movimento.
Quando, per esempio, canta "Hurricane", sembra il canto di un pugile, di un combattente e penso che si possa ben dire che, come Elvis ci ha liberato il corpo, Bob Dylan ci ha liberato la mente.
Poi, a proposito di un suo famoso brano "Highway 61 Revisited", mi piace ricordare che, la prima volta che l'ho ascoltato, sono rimasto affascinato dai suoni di tutti gli strumenti che ci sono in quel disco.
Veramente emozionante.
E’ senz'altro vero che è difficile dire su Dylan qualcosa che non sia già stato detto, e magari dirlo anche meglio.
Basterà forse ribadire che Bob Dylan è un pianeta ancora inesplorato.
Per un cantautore lui è indispensabile almeno quanto lo sono per un falegname chiodi, martello e sega e, come ha detto parlando di lui un altro grandissimo della musica internazionale, Tom Waits, che io condivido pienamente: "In Dylan sono importanti anche i fruscii dei suoi bootleg degli anni Sessanta e Settanta. Lui vive nell'essenza delle sue canzoni".
In questi giorni è uscito il capitolo n. 10 di The Bootleg Series la megaopera che ripubblica l’intera produzione di Bob Dylan.
Stavolta in due cd (4 in edizione deluxe) ci sono 35 rarità e incisioni inedite 1969-1971, compresa l’intera registrazione della performance al Festival dell’Isola di Wight, re-mixata dai nastri originali, una inedita Only A Hobo e When I Paint My Masterpiece in demo.
Grande, grandissimo Dylan.
Giù il cappello, anche da settantaduenne continui ancora a stupirmi!
A quando il Premio Nobel per la letteratura?
Arrivato al Pontile, mi appoggio al bordo con il vuoto sotto ai piedi..
Guardandomi male, mi passa accanto una signora con una bocca che sembra abbia appena morso un limone.
Guardo il mare contando il numero delle barche di passaggio o quello dei piloni delle reti che i pescatori hanno buttato al largo e che, a distanza, sembrano una colonia di gabbiani o le teste di migranti naufraghi.
Osservo anche l’ondulazione di pance e glutei dei bagnanti in transito con qualche, episodica, soddisfazione dei sensi.
E qui, davanti al mio mare, penso a tante cose.
Alla povertà, ad esempio.
Infatti, osservando per un attimo con un po’ più di attenzione quello che c’è intorno a me mi sono accorto improvvisamente di un fenomeno allarmante: l’uomo della porta accanto è povero.
Se prima tirare a campare era l’impresa di anziani e immigrati, ora sembra che la povertà non faccia più tante distinzioni.
Trasversale, strisciante, si è infiltrata in tutte le fasce sociali.
I nuovi indigenti sono intere famiglie, che improvvisamente si ritrovano senza reddito e devono combattere contro l’affitto mensile, le bollette, le spese per vivere.
I nuovi poveri sono clochard per forza e dalle facce molto giovani.
Basta guardare attentamente intorno a noi per notare che questo fenomeno è in aumento, così come quello dell’alcolismo giovanile.
E nel girone degli indigenti ci sono anche molte persone vittime degli usurai, magari perché dovevano pagare le medicine o ristrutturare la casa.
Simonetta ha sentito dire da alcune sue amiche che gli italiani che chiedono aiuto ai centri di assistenza di Ostia sono ultimamente aumentati rispetto agli immigrati.
Molti tornano dai parenti, al paese d’origine.
Altri stanno peggio, come due giovani ex tossicodipendenti che vivono in città dentro una macchina, vicino al Monte Testaccio, come mi ha detto mio fratello Stefano.
La povertà è cambiata.
Sembra un paradosso, ma ora può toccare tutti, compreso il dirigente d’azienda.
Sembra, difatti, che ci sia in giro una nuova povertà nascosta e vissuta con dignità.
Del resto povero è anche chi ha un lavoro sottopagato e se lo tiene stretto: la sopravvivenza è fatta di uno stipendio di mille euro al mese per due persone, secondo il cosiddetto indice di povertà relativa, come è lo stipendio medio, per esempio, di uno statale.
E sono sempre di più le persone che d’estate restano a casa perché non possono permettersi più la vacanza.
E’ proprio il caso di dire che a Roma ci sono poveri in una città sempre più cosmopolita.
Molte persone con pensioni di importo pari o inferiore al minimo, tanti anziani vivono soli.
La disoccupazione è l’anticamera della povertà.
Ma lo Stato e le varie autorità competenti non potrebbero cercare seriamente di porre un freno a questa triste situazione e, con un brusco testa-coda, provare, una volta per tutte, ad invertire il senso di marcia risolvendo questi scottanti problemi, riportando i cittadini a condizioni di vita più tranquille?
Purtroppo il mondo è fatto per i furbi.
Non per i venditori di sogni, come me.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
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