"Sapore di pane" cronaca di Mario Pulimanti

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Mario Pulimanti
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"Sapore di pane" cronaca di Mario Pulimanti

Messaggio da Mario Pulimanti »

:boxing: SAPORE DI PANE

Sabato mattina.
Il sole già splende, il cielo è azzurro e un vento fresco scuote rumorosamente le insegne degli stabilimenti.
Sto passeggiando verso il porto, dopo aver sorseggiato con calma una tazza di caffè sul balcone e dato una scorta ai quotidiani.
Mi sono svegliato presto.
Ieri sera, quasi all’una, dopo aver mangiato gli spaghetti cacio e pepe e aver bevuto un goccio di vino, sono andato a letto pieno di pensieri strani.
E allora non sono riuscito a dormire.
In parte era colpa del bruciore allo stomaco per aver mangiato a quell’ora tarda e in parte è stata colpa dei sogni inquietanti che ho fatto nei brevi istanti in cui mi sono appisolato.

Mi sono svegliato diverse volte di soprassalto, con il cuore che mi batteva all’impazzata e vaghe e brutte immagini che scivolavano lungo i viscidi pendii del mio subconscio.
Sono rimasto sdraiato a fare respiri lenti e profondi, finché non sono riuscito ad addormentarmi un’ora prima che mi svegliasse una telefonata.
Da favola: avevano sbagliato numero!
Annuso l’aria, umida ma abbastanza fresca per questo periodo dell’anno, e do un’occhiata all’orologio.
Le sei e mezzo.
Sembra che sarà un’altra bella giornata; e molto lunga, per giunta.
Non sono di quelli che raddrizzerebbero i quadri in una sconosciuta camera d’albergo.
Ricordo certe terribili foto di campi di concentramento, immagini dei sopravvissuti di Auschwitz e Bergen-Belsen e Buchenwald, denunce viventi contro l’intero genere umano, con le loro divise a strisce e quegli occhi così pieni di consapevolezza di come fossero diventati.
Mi chiedo: Mario, il mondo sta ora migliorando?
Spero di sì.
Ma, forse, la mia è solo l’illusione di uno sciocco.
Ricordi, sensazioni, cose così…
Non so perché.
Ripenso a quando, da bambino, giocavo a Collevecchio.
Un nostro vicino, amico di mio nonno, mi offriva sempre dei dolci appena sfornati dalla moglie.
Era un uomo alto e tarchiato, largo quasi quanto era alto, ma muscoloso e sano.
Indossava spesso uno stretto gilet sulla camicia e un paio di ampi pantaloni.
Forse allora non avrà avuto più di quaranta anni, ma il lavoro dei campi lo aveva invecchiato, come dimostravano le rughe profonde e la pella ruvida sul suo volto robusto.
Penso al lavoro.
Mi rammento che ho parlato ieri con un giovane collega.
Uno che viene preso sempre in giro senza alcuna pietà.
Hanno una vena maligna gli altri miei colleghi.
Sarà probabilmente per il suo look.
Ieri, per esempio, indossava una giacca di velluto a coste verde bottiglia, con le toppe di pelle sui gomiti e un paio di pantaloni marroni un tantino consumati, sempre di velluto, nonostante il caldo.
Aveva la cravatta annodata male e il colletto della camicia ripiegato all’insù dalla parte destra.
Dal taschino della giacca spuntava una sfilza di penne e matite.
Sul volto il colorito terreo proprio di chi non passa molto tempo all’aria aperta.
Mi siedo su una panchina.
Ho una vecchia Ford Fiesta.
E’ davvero ora di comprare un’auto nuova, lo so, ma ultimamente non ho avuto il tempo né i soldi per farlo.
Presto lo farò ma, per il momento, la Fiesta continua a portarmi dovunque voglia andare.
Oggi, vicino al porto, c’è una improvvisata vendita dell’usato, dove noto persone indecise se comprare o meno telefoni cellulari poco affidabili a pochi euro.
Anche cartucce d’inchiostro di dubbio funzionamento a cinquanta centesimi.
Si sono fatte le nove e mezzo.
Ritorno verso casa.
Arrivo al mercato dell’Appagliatore.
Offre verdure coltivate nelle zona di Maccarese, formaggi tipici della campagna romana come il pecorino, carni di vitello e di maiale biologici.
Ho sempre pensato che tutti i vitelli e i maiali fossero biologici -per non parlare del vino, della frutta e della verdura- prima che Simonetta mi spiegasse che in realtà si intendeva allevati biologicamente, ossia senza fare uso di pesticidi o prodotti chimici.
Mi chiedo: perché non dicono così, allora?
Devo pensare a cosa farò da grande: e dovrà essere qualcosa che ne valga la pena.
Beh, scrivere vale la pena, no?
Se lo si fa seriamente.
Anche perché in ufficio, negli ultimi tempi, ci sono state volte che riflettendo sulle cose che faccio mi si è quasi accapponata la pelle: ho provato un vero odio per me stesso.
Tu, che mi stai leggendo, devi sapere che lavorare in questo modo…non ti fa sentire esattamente a posto con te stesso, te l’assicuro.
A peggiorare le cose, il caffè bevuto a un bar vicino al porto ha cominciato ben presto a comprimermi la vescica.
Giungo a una decisione: bisogna ritornare a casa.
Intanto sudo.
Mi asciugo il viso con un fazzoletto.
Incontro mio figlio Gabriele. “Oh, grande, papà! Allora sei a spasso pure tu”.
“Sembrerebbe di sì” replico.
“Potevi dirmelo, saremmo usciti insieme”.
“Quando sono uscito, tu dormivi” rispondo.
“Ok, papà. Adesso però devo andare, ciao”.
E se ne va.
Entro in un panificio.
Compro il pane.
E’ vero, non di solo pane vive l’uomo, ma se trovassi in tavola solo grissini e crackers, potrei offrire l’anima al primo demone panettiere che mi apparisse.
Del resto Ostia è il Lido di Roma e Roma è la capitale mondiale della scarpetta, da fare rigorosamente con le mani.
Del resto si può rinunciare senza atroci sofferenze al raschiamento dei rimasugli di sugo dal piatto a mezzo pane?
Se uno proprio vuole si può, ma, cielo, che agonia.
Incontro un amico.
“Che ci fai qui?” dice.
“Passeggiavo. Tu?”
“Abito qui vicino. Da qualche mese”.
“Dai, vieni, ti prego. E’ sempre bello vederti” dice, invitandomi a salire a casa sua.
Insiste.
Ancora confuso, mi limito a dire di sì e rimango lì impalato, mentre lui mi fa strada.
Poi mi incammino anch’io verso di lui.
Arriviamo. Mi fa cenno di entrare in casa.
Entro.
“Posso offriti qualcosa?”.
Controllo l’orologio.
“Tra poco devo raggiungere Alessandro. Mi ha chiesto di accompagnarlo all’Autoscuola. Ma prima possiamo prenderci un caffè”.
“Bene. Il caffè è perfetto” replica.
“Vieni, andiamo in veranda”.
“In veranda? Perfetto” rispondo.
“Le verande sono luoghi rilassanti. Sono una sorta di rifugio in cui estraniarsi dal mondo reale” dice.
Dopo un po’ rientriamo.
“Hai una bella casa” dico, mentre mi siedo su una poltrona a fiori con il coprischienale di pizzo.
“Grazie” risponde con un sorriso.
Un orologio ticchetta sulla mensola del caminetto, accanto a una fotografia racchiusa in una cornice.
Le dieci e venticinque.
Nella foto, che sembra essere scattata in montagna, ci sono lui e sua moglie.
E’ un uomo duro, tutto d’un pezzo, uno della vecchia guardia, che si sta avvicinando in fretta al pensionamento.
Ha i capelli grigi, tagliati a spazzola in modo austero, i lineamenti marcati, squadrati e negli occhi socchiusi un luccichio che intimorisce.
La gente dice che non ha senso dell’umorismo, ma io, che lo conosce bene, sono certo che sia un bravo uomo.
Mi dice: “I vescovi italiani sono favorevoli ad una legge che tuteli la libertà religiosa, ma tale legge non può mettere sullo stesso piano della Chiesa cattolica sette o movimenti religiosi che suscitano allarme sociale; né il matrimonio cattolico può essere equiparato a quello di altre religioni, come l'islam, che prevedono anche la poligamia”.
“Certo” rispondo.
“Difatti -specifica- alla Chiesa cattolica non piace la proposta di legge che introduce il principio della laicità addirittura quale fondamento della legge sulla libertà religiosa, poiché è un'affermazione forzata, in quanto, secondo pronunciamenti della Corte Costituzionale, è la libertà religiosa a concorrere a strutturare il principio di laicità”.

“Giusto, faccio io, ma in cuor mio non capisco tutte queste assurdità religiose. Penso, infatti, che molti siano convinti di essere gli unici detentori della verità: un’illusione che condividono probabilmente con ogni culto religioso fondato fin da quando gli assiri avevano cominciato a seppellire vasellame insieme ai loro defunti, giusto per non sbagliarsi.
Poi, cambiando discorso, prendo il giornale che ho in tasca e gli faccio leggere un articolo che riporta che una banale distrazione è costata cara a un uomo che inavvertitamente ha lasciato il suo profilo facebook aperto.
La fidanzata ha così scoperto il tradimento e si è vendicata in un modo insolito e originale.
La ragazza ha prima nascosto la sua roba e poi gli ha scritto una lettera costringendolo a una inedita caccia al tesoro: "Se vuoi le tue cose, fai così!".
E su Internet l'operazione è diventata un successo: un milione e duecento visualizzazioni in 72 ore.
Ecco il testo integrale della lettera.
"Ciao Tesoro, indovina chi ha lasciato Facebook aperto sul proprio computer, e ha ricevuto un messaggio da Kelsi? Sì, proprio tu. Ma non ti preoccupare, non ho rotto niente. Anzi, sono stata così dolce da impacchettarti le tue cose! Ho anche inventato un gioco divertente, visto che da quando ti conosco so che ti piace cercare le cose, e le altre ragazze! Ecco dove troverai le tue. I tuoi vestiti sono dove ci siamo incontrati la prima volta. I tuoi videogiochi dove ci siamo dati il primo bacio. Il tuo laptop è dove abbiamo comprato il primo videogame insieme. La tua tv è dove l’abbiamo fatto la prima volta. Tutto il resto, comprese le foto degli ultimi 2 anni della nostra vita insieme sono a casa di Kelsi. Divertiti!! Ah, non ho rotto o danneggiato nulla ma non posso garantirti che tu possa ritrovare le tue cose! Buona ricerca!".
Lui scoppia a ridere.

“Pazzesco, Mario. Beviamo una vodka fredda. Spero che ti piaccia” dice.

“Certo. Mi piace parecchio” replico.

“Facebook, roba da sfigati….” ribatte.

“Da sfigati…nerd”, preciso.

“Mah, lasciamo perdere Facebook….Lo sai Mario a cosa mi viene da pensare ora? -mi dice- penso a quei giovani che occupano abusivamente edifici abbandonati. Alcuni sono impegnati politicamente e la cosa può sfociare nella violenza se si mettono insieme a tipi sbagliati e ora che i trafficanti privi di scrupolo si sono inseriti nello spaccio della droga c'è un pericolo in più. Molti di loro sono disorientati a come va il mondo e cercano delle risposte. Ma sono tutti di buona famiglia. Secondo te, Mario, perché diavolo vogliono scappare per andare a vivere in luride casa occupate e squallidi monolocali?”.

“Non ci arrivo proprio”, rispondo.

“Forse una via di fuga, magari. Qualcosa di nuovo. Qualcosa di diverso” aggiunge.

Lo guardo un attimo, poi preciso: “anche se, a ben vedere, i capannoni abbandonati possono essere una risorsa ma non c’è comunque bisogno di occuparli. Certo é vero che spesso associazioni, cooperative sociali e comunità religiose,non avendo spazi idonei di proprietà e per poter rispondere a progetti a valenza sociale o aggregativa, in un momento di estrema scarsità di risorse e di stallo dell’economia, ricorrono a vari tipi di occupazione abusiva. Ed è proprio per questo motivo che a mio parere, però bisognerebbe sperimentare nuove soluzioni in grado di rispondere ai bisogni della città attraverso una sussidiarietà condivisa. Forse i comuni dovrebbero provvedere alla predisposizione di bandi per reperire edifici industriali inutilizzati e funzionanti. E, una volta individuati gli spazi da dare in locazione, predisporre un’analoga gara informale per selezionare i progetti ad alta valenza sociale o aggregativa proposti da associazioni e soggetti del no profit che intendano avvalersi di quegli spazi”.

Interessante” commenta.

Mi alzo.

Lo saluto.

Che dite?
State cominciando a trovare il tutto un po’ campato in aria?

Tranquilli.

Ho quasi terminato.

Manca solo qualche frase.

Uscendo di nuovo nel vento caldo di Ostia penso che in parole povere non so dove stia andando.

Tutto ciò che so è che devo camminare.

Squilla il cellulare: Alessandro mi avvisa che un contrattempo gli impedisce di raggiungermi.

Ok.

A questo punto forse dovrei dare un’occhiata al supermercato per vedere se c’è Simonetta.

Squilla ancora il cellulare: Simonetta mi fa presente che sta andando a Collevecchio.

Ok.

Comincia a piovere.

Ma va!

In piena estate!

Allora mi volto dalla parte opposta.

Mi avvio verso casa sotto la pioggia.

Finalmente.

Salendo le scale, prendo un pezzo di pane e me lo metto in bocca.

Sapore di pane.

Ah, cosa c' è di meglio del pane appena sfornato, caldo e scrocchiarello?



Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
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