Romanzo trasteverino

gli articoli di riflessione e attualità di M. Pulimanti
Rispondi
Avatar utente
Mario Pulimanti
Scrittore
Scrittore
Messaggi: 849
Iscritto il: 12/04/2006, 16:50
Località: Lido di Ostia -Roma

Romanzo trasteverino

Messaggio da Mario Pulimanti »

ROMANZO TRASTEVERINO


Mi chiamo Francesco, sono un trasteverino e faccio il parrucchiere.
Sono infatti proprietario di un salone di bellezza situato nel cuore di Trastevere.
Non mi vergogno a dirle che utilizzo esclusivamente prodotti di derivazione organica-naturale come olio di Jojoba, aloe vera, sciroppo d'acero e olio di barbassu per dare vita a colori organici e sfumature naturali.
Adoro il mio lavoro: il mondo dell'acconciatore è un mondo ricco di fascino e di opportunità.
La professione di acconciatore permette, a chi la intraprende, di esprimere creatività e capacità imprenditoriali.
Invece il numero venti da troppo tempo lo uso solo per l’ora e non per gli anni.
Comincio a analizzare ogni mio pensiero, cercando qualcosa di anormale o di alterato.
Mi costringo a star sveglio di notte perché ho paura dei miei sogni.
I sogni sembrano reali e non lo sono, e mi rendo conto che sono molto vicini alla pazzia.
Tento di aprire gli occhi aiutandomi con le dita, ma le palpebre sembrano incollate.
Raddoppio gli sforzi, ansimando, incapace di strapparmi dal sogno.
Poi, in un attimo, mi sveglio.
Questa mattina c’é una atmosfera alla Annibale il Cannibale.
I miei occhi sono spalancati, le mani tremanti appoggiate al bordo del letto.
Balzo in piedi, rendendomi conto che ho dormito o comunque ho indugiato sui confini del regno del sonno.
Ho la sensazione che le mie gambe siano rigide come pezzi di legno.
Barcollando, mi dirigo verso il bagno.
Accendo la luce.
Accecante.
Mi avvicino al lavandino.
Mi spruzzo in viso.
Avverto con piacere il contatto con l’acqua fresca.
A questo punto, ricomincio a sentirmi umano, per quanto debole.
Trastevere é un quartiere un pò rumoroso, ma a me piace così.
Le strade sono sempre piene di ragazzi che fanno il giro dei bar.
Passano le serate proprio sotto la mia finestra, comunicando a strilli.
In compenso, il costo degli appartamenti è troppo alto.
La stanchezza si abbatte su di me a ondate, come una marea, ma io e il sonno non siamo buoni amici.
Nelle notti migliori riesco ad avere due ore di sonno REM prima che lo stress mi svegli.
Sono stato da vari medici generici, ma non ho mai ceduto all’idea di andare da uno strizzacervelli.
D’altra parte l’insonnia mi da mordente: meno sonno equivale a più produttività.
E poi molte persone trovano sexy le borse sotto gli occhi.
Faccio la doccia, indosso una camicia celeste, una giacca blu con pantaloni in tinta, e esco.
Vicolo del Cinque collega piazza Trilussa a via della Scala.
E’ qui che io abito: al civico 32, ad angolo con via del Moro.
Il portone del palazzo é sovrastato da un balcone su mensole.
Quel balcone, decorato con ovoli e dentelli, è il mio.
Mi avvicino alla finestra; una vespa ci si scaglia contro, schizzando il veleno sul vetro nell’affannoso tentativo di uscire.
Sollevo il telaio, sventolo la mano per mandarla fuori e mi siedo sul davanzale a guardare in strada.
Un gruppo di rumeni sta attraversando il Vicolo.
Quelli dell’est Europa hanno invaso Trastevere.
Penso ai tizi con l’aria da zingari che trovi di notte a ciondolare intorno ai negozi di roba usata, che rovistano nei sacchi della spazzatura e rubano i vestiti.
Che grugno rabbioso ha questa gente.
Quando giri in macchina sono quelli che rompono di più, sempre a strombazzare il clacson e a guardarti incarogniti.
Ora sono seduto nella stanza da pranzo, affacciata sul cortile.
Roma, la capitale del mondo.
Roma sta crescendo ancora, anche se in teoria non può crescere di più, incastrata tra il Tevere, il mare, le montagne dei Castelli e le tette delle sue puttane storiche.
Tutte le piazze della città vecchia, dove ora cresce un albero e dove una commessa masturba un commesso, sono costruite su un immenso ossario sopra i resti di antichi cadaveri, ricchi o gladiatori, popolani o sacerdoti.
Il mese di maggio è unico a Roma.
Maggio è lo spartiacque definitivo tra la manica corta e la manica lunga.
Maggio scalda il cuore e riporta una speranza che non è ancora e che non sarà mai certezza.
Maggio è un mese adolescente: frutti ancora acerbi, seni non ancora sbocciati del tutto, trucco ancora poco vistoso.
Tutto è ancora.
Al meglio delle sue possibilità.
Maggio è l’inizio di tutto.
Maggio è il mese in cui ho conosciuto Gigliola.
La mia ex moglie.
Lo confesso: dal momento che l’ho conosciuta, i miei globuli rossi anziché ossigeno, hanno cominciato a portarmi nel cervello atomi di felicità pura.
Gigliola.
Quanti ricordi.
Parlavamo di tutto.
Teatro, cinema, sport, giardinaggio.
Sì, la botanica era una nostra grande passione: passavamo ore a discutere di gerani, portulache, surfinie, cespugli di bosso e di poligala, concime e terriccio, riproduzione delle piante, innesti e potature, arbusti, malattie e cura delle piante, piante ornamentali.
Ricordo con simpatia i corsi Pubblici di Giardinaggio che abbiamo seguito insieme presso il Centro di Formazione e Aggiornamento del comune di Roma.
E ora è tutto finito.
Te ne sei andata via.
Per sempre.
Addio giardinaggio, botanica, agronomia, giardini e bonsai.
Addio tappeti erbosi, potature, innesti e piante ornamentali.
Addio coltivazione delle rose e concimazioni varie.
Addio, Gigliola.
La sensazione delle tue unghie quando mi toccavi l’addome.
Il tuo corpo che si tendeva come un arco prima di venirti in bocca.
Forse è per questo che mi sento nervoso, adesso.
Mi manca la tua bocca.
Mi manca il tuo viso.
Mi manchi tu.
Mi sento un po’ come Napoleone a Waterloo, con una sensazione di disastro imminente e la certezza di non poter contare sui rinforzi.
Dove sono le notti passate con così tante stelle e così tanta luna accese contemporaneamente in un cielo senza luna e senza stelle?
Che ne è dei tuoi capelli?
E dei tuoi occhi e della tua bocca e che tu eri nella mia testa che ne è stato?
Dimmi dove e quando ho iniziato a perderti.
Dove e quando se non qui su questo letto di spine, in una casa che non so e non oso ascoltare mentre respira col mio respiro.
Dove e quando Gigliola potrò dormire di nuovo senza incontrarti ancora e ancora e ancora.
I sogni sono fatti d’aria e al pari dell’aria non costano nulla.
Ora capisco.
Sto per morire.
Davanti al giudice, i due pianisti trovarono un accordo amichevole.
E’ un modo di dire.
Non credo che abbia particolare importanza
Ma mi ha scombinato un po’ la vita.
Voglio riaprire la finestra dell’arcobaleno.
Datemi le chiavi.
Non mi fate perdere la pazienza!
Cavolo, un milione di cose mi impediscono di aprire quella finestra, un milione di cose su cui non si deve ragionare, né calcolare, né fermarsi a vedere.
Solo sentire.
Un milione di cose che non stanno da nessuna parte, ma che sono comunque nell’aria.
Ovunque, tranne che nei tuoi occhi.
Fino a tal punto arriva il tuo disprezzo?
Sì.
Non mi offendo.
Gigliola, mi manchi.
Mi manca il tuo profumo.
Mi mancano le lenzuola di sole.
Basta: esco.
Così cerco di pensare meno a Gigliola.
Ma non ci riuscirò: ne sono sicuro.
Comunque é una sensazione bella uscire di casa e scambiare cenni di saluto con le persone.
Gente che risponde agli sguardi e ai sorrisi.
Che si fanno vicendevolmente da parte sul marciapiede.
I ricchi dei Parioli possiedono Ferrari e Jaguar; noi di Trastevere possediamo il mondo.
Vagare senza meta a Trastevere, senza doveri né obblighi da assolvere, dà una piacevole sensazione di libertà.
La mia unica preoccupazione riguarda le persone che non desidero incontrare, anzitutto rigidi integralisti e falsi amici.
Sorpasso Vicolo del Bologna, Via della Pelliccia ed arrivo a Vicolo del Leopardo.
Entro in un bar, che era stato un centro di incontro per studenti disperati sempre al primo anno di corso, che scopavano senza togliersi i jeans.
Ora lo frequentano divorziate sul viale del tramonto, dame di compagnia che cercano di arrotondare all’ora del tè e vedove di bell’aspetto che, di tanto in tanto, mostrano astutamente un laccetto del reggicalze.
Prendo un caffè.
Guardo il vuoto attraverso la finestra del vecchio bar.
Quel vuoto è pieno di cose: una donna sugli ottant’anni chiede l’elemosina per mantenere i genitori, un vecchietto guarda il culo delle passanti, e, siccome non può alzare ormai più niente, alza un sopracciglio, una spazzina municipale insegue brandendo la scopa un cane cagone e pure di destra, un orientale appena arrivato rovista tra il sudiciume dei portoni e nel frattempo si offre come maggiordomo filippino.
Ma io vedo solo il vuoto, che è quello che resta nella vita dopo aver visto tutto.
Davanti a me si siede Giancarlo.
Fuma il sigaro, nonostante dietro a lui sia affisso un manifesto che vieta di fumare dentro il bar.
“Non ti offendi se ti dico che hai l’aria di un funzionario dei servizi cimiteriali. Di quelli che riscuotono i pagamenti per i loculi”.
“Non mi offendo mai quando mi dicono la verità” sospiro.
“Ieri sera sono andato a cena con Fiorella da Bucatino, quel ristorante testaccino che sta a via della Robbia e ho visto Gigliola, in compagnia di un uomo molto più giovane di lei” dice Ciro “Sai per caso chi é?”
“Si chiama Sergio. Una trentina d’anni. Un atleta dall’espressione dura, di quelli che fanno impazzire le donne. Le ha tutte ai suoi piedi, perché al giorno d’oggi le donne non hanno buon gusto. Oppure vanno in cerca di novità, perché sono diventate come gli uomini. Comunque ho la certezza che non si farà mai Gigliola”.
Giancarlo socchiude gli occhi.
Quegli occhi non sono più normali.
Sono piccoli, duri, sono gli occhi del vecchio serpente.
“Invece se l’è fatta” dice con un filo di voce.
“Stai zitto, Giancarlo, o ti spacco la faccia”.
“Non offenderti Francesco; in realtà sai anche tu che le cose stanno così”.
“Non è giusto”.
“Invece è così che va la vita. Ti lasciano e se ne vanno con un altro”.
“Davvero?” dico, guardandolo sorpreso.
“Davvero. Tu non conosci bene le donne”.
“Ma che sciocchezza! Gigliola é ancora innamorata di me. Questo è vero” urlo esasperato.
“Ok, ma a me che cazzo me ne può fregare, oltretutto!” risponde Giancarlo.
Poi si alza in piedi.
Sembra provato da questa conversazione, dalla vita.
E dal mattino che sta morendo.
Mi saluta e se ne va.
Esco anch’io dal bar.
Attraverso Vicolo dei Panieri e arrivo a Vicolo del Cedro.
Al civico 26 entro in una nota galleria d’arte fotografica specializzata nella riproduzione su tela di stampe fotografiche.
Mentre sto ammirando le opere esposte mi sento chiamare.
E’ Pietro, un mio vecchio amico.
Si sta recando in un laboratorio teatrale e mi chiede di accompagnarlo.
E così entriamo al civico 5.
Un vecchio portone di legno.
Per maniglie due fori dove ci si infilano le dita.
Forse una volta un magazzino.
Forse una stalla.
Oggi una serie di archi di pietra che incorniciano un piccolo palcoscenico.
Travi di legno al soffitto.
Scure.
Colori tenui attorno.
Rarefatta atmosfera che pare emanare una insolita energia da ogni parete.
E tutto intorno non smette di pulsare il cuore di Trastevere.
Vicino a noi professionisti, giovani attori e allievi condividono le proprie esperienze, confrontandosi.
Ottimo: bel modo di vivere il teatro.
Decidiamo di pranzare insieme.
Prima però una salutare passeggiata per le vie di Trastevere.
Attraversiamo Vicolo della Frusta, Via della Paglia e varie piazze: quella di Santa Maria in Trastevere, di Sant’Apollonia e quella di San Calisto.
E poi Piazza Giuditta Tavani Arquati, Piazza Sidney Sonnino, Piazza in Piscinula, Piazza Santa Cecilia e Piazza dei Mercanti.
Ed é qui che al civico 30 entriamo nel ristorante da Meo Patacca.
Per antipasto prendiamo carciofi alla romana e puntarelle alla salsa di alici, poi per me ordino pappardelle con il sugo di lepre e filetto al pepe verde.
Pietro si prende invece una porzione di rigatoni con la pajata di agnello e una di coda alla vaccinara.
Il tutto innaffiato da un paio di loitro di vino bianco dei castelli romani.
Finito il pranzo, ci gustiamo due bicchieri di Samaroli.
E, mentre sorseggiamo questo ottimo rum dal marcato retrogusto di vaniglia, saltando di palo in frasca gli dico: “Ehi, Pietro, avrò divorziato anch’io, pur se non per colpa mia, ma sono in buona compagnia: infatti la radio stamattina ha detto che stanno aumentando divorzi e separazioni in Italia, sembra che abbiano calcolato che, fra i matrimoni che durano da più di cinque anni, il dieci per cento va avanti grazie a interessi finanziari delle parti, il venti grazie al sesso che, da quanto si dice in giro, è diventato cosa rara e il settanta per cento va avanti grazie alla santa pazienza, che nel frattempo è diventata un’abitudine casalinga”.
“Vediamo, vediamo….” dice Pietro sollevando un po’ il braccio, come se dovessi cercare qualcosa nell’archivio della memoria. “Da quanto ne so, molte coppie non sono felici, ma lottano insieme nei momenti difficili”.
“Questo è vero, e riescono a superarli. Ma poi a volte non ci riescono” dico.
“Sì, Francesco. La mia esperienza mi ha insegnato infatti che è molto difficile che un matrimonio sopravviva a una crisi economica grave e all’angoscia che ne deriva, ma è pure molto difficile che sopravviva all’agiatezza e alla noia. Non solo, direi che le difficoltà economiche uniscono e, addirittura caricano un matrimonio di progetti, ma il denaro separa, e carica un matrimonio di problemi. Io credo che le difficoltà spesso inizino quando le coppie risolvono i loro problemi e gli rimane il tempo di veder morire la sera nei loro salottini, guardandosi in faccia. Quando hai problemi, non vedi la faccia; vedi il futuro. Quando non ti resta che la faccia, è un brutto affare”.
“Come mai, secondo te?” dico.
“Perché la noia tra i coniugi é uno dei grandi problemi che affliggono l’Italia. Anzi l’Europa. Anzi il mondo! Bisognerebbe inventare una legge per porvi rimedio”.
“Ne sei sicuro, Pietro?”.
“Certo, Francesco caro: credo proprio che le grandi crisi domestiche si origino così. Per una coppia di sposi è molto facile avere un progetto di vita comune: entrambi pensano allo stesso tempo ad andarsene di casa, trovare un appartamento, ammobiliarlo, sfogliare i dépliant delle agenzie di viaggio e pianificare una scopata. Questo gli fa pensare che la vita abbia un senso e che siano nati l’uno per l’altra. Ma gli anni di matrimonio a poco a poco modificano la situazione, con la persistenza di una goccia d’acqua: nulla garantisce che il progetto di vita che desidera il marito coincida con il progetto di vita che desidera la moglie; non solo, uno dei due finisce per intralciare l’altro. Dopo un po’ sono due perfetti sconosciuti che si incontrano, si guardano, si rifiutano e cercano rifugio altrove. Ma non temere Francesco, poiché la saggezza occidentale ha previsto tutto: ormai ci sono rifugi eccellenti, come il lavoro, i pettegolezzi con le amiche. Il cinema, il teatro e il campionato di calcio. Chi crede che in una casa ci sia un mondo, si sbaglia: ci sono due mondi. Nemmeno i figli rinnovano il primo progetto comune, perché per i figli ciascuno ha un progetto diverso”.
“Però non era il caso mio: io Gigliola l’amavo veramente. E l’amo ancora, nonostante tutto” dico io.
“E no, Francesco. Non ci siamo. Tu l’ami, lei no. Non vedi quindi che pure il tuo matrimonio era inevitabilmente destinato al fallimento, nonostante tu abbia fatto del tutto per evitarlo? Ma torniamo a noi: ci sono due sistemi perché una coppia consumata si prenda ancora per mano e rimanga unita. Uno è trovare un nuovo progetto di vita comune, come per esempio comprarsi un nuovo appartamento e altri mobili. Ma questo non è sempre possibile”.
“E l’altro sistema?” chiedo io.
“Non aver mai avuto un progetto di vita”, dice Pietro, annuendo lentamente.
“Ne sei sicuro?”, gli dico.
“Sicurissimo. Certo può sembrare terribile, Francesco, lasciarsi vivere e non essere nessuno. Ma lì potrebbe esserci una delle chiavi della felicità”.
“Pur di restare con Gigliola, avrei accettato anche questa seconda ipotesi”, rispondo.
Pietro fa un cenno affermativo, non privo di stizza.
Poi dice “Non sono d’accordo, Francesco. E’ triste vivere così. Puzza di merda. Tu sei troppo sensibile Francesco, guarda che ad essere così sensibili poi nella vita si soffre”.
“Lo so, Pietro, ma non ci posso far niente”.
Pietro non fa in tempo a rispondermi.
Gli squilla il cellulare: la moglie Antonella lo sta aspettando per andare all’Outlet Soratte, nelle vicinanze di Ponzano Romano.
Vabbè.
Vabbé si fa per dire…
Prima di tornare a casa mi fermo un attimo nell’enoteca di Via della Lungaretta.
Tanto a casa non ho più nessuno che mi aspetta.
Mi siedo nel grande spazio esterno posta a fianco del Wine Bar, sorseggiando una sambuca ghiacciata con la mosca.
Anzi le mosche, dato che sono tre i chicchi di caffè tostato immersi nel mio bicchiere.
Ed è proprio mentre sto masticando i chicchi di caffè che Remo, sedutosi al mio tavolo, comincia a parlarmi.
Remo: la sua giornata é generalmente spesa a ragionare, con gli amici, di argomenti vari, che spaziano dalla moralità dei politici italiani alla possibilità di unificare le religioni monoteiste, dal valore comparativo della presenza dell’imene nella donna e nell’elefantessa, agli errori tattici di Prandelli nella finale di Coppa Europea persa dall’Italia con la Spagna nella battaglia di Danzica.
Remo: non mi è particolarmente simpatico.
Anzi mi annoia sentirlo parlare, ma non so come fare per andarmene: restare seduto lì ad ascoltarlo provoca dentro di me un rancore, più fermentato di uno yogurt in un convento.
Bé, si infili il mignolino, dico il mignolino, nel culo, perché io non ho voglia di complicarmi la vita.
Altrimenti mi viene la nausea, la cagarella e mi si rattrappisce il prepuzio.
Suvvia!
Mi interessa solo finire di bere la mia sambuca ed andarmene.
Evasione riuscita: sono di nuovo fuori, a passeggiare sulle mie strade trasteverine.
Via del Mattonato: entro a casa di Roberto, mio amico dai tempi dell’infanzia.
Vedo le pareti, le piastrelle della vecchia cucina, gli avanzi del cibo in sala da pranzo.
Vedo i segni del letto in cui Roberto ne fa di tutti i colori.
Vedo gli ancoraggi delle scale dei condomini, i buchi delle finestre che danno sul cortile.
Vedo l’ombra di un mondo che è pieno di vita, di sacrificio, di peccato e di speranza.
La casa ha anche qualcos’altro.
Una lampada solidamente fissata a una trave, una lampada con lampadina da sessanta watt per illuminare scopate da anniversario e merende da funerale.
Mi passo il dorso della mano sulle labbra, e sento di averle secche.
Gran puttaniere, Roberto!
Nella stanza da letto intravede una scarpa con il tacco, alto, sottile, di buona qualità.
Di pelle, foderata, elegante.
Una di quelle scarpe con i tacchi alti, ideali per le avventure erotiche, da fare indossare alla signora grassottella perché scali il materasso, e poi si dondoli sulle punte e mostri le sue bellezze prima di cadere di culo sul prepuzio di un giovane amante.
Con delle scarpe simili, una donna fa meraviglie, mi dico.
Preso il caffè, saluto Roberto.
Ed è così che mi trovo ora davanti ad un’edicola di Via Garibaldi.
Getto sguardi curiosi sulle copertine di giornali e riviste mentre penso.
Penso che mi delude il sole, che è cambiato.
Ami il sole e la prima cosa che devi fare è metterti una crema per difenderti da lui.
Ami l’acqua e la prima cosa che devi fare è filtrarla per difenderti da lei.
Ami il mare dove nuotavi da bambino e te lo ritrovi pieno di lattine di birra e di assorbenti usati: la prima cosa che devi fare è prendere un aereo per cercare di trovare un mare pulito dove nessun bambino abbia mai nuotato, o meglio dove ai bambini sia vietato nuotare.
Nella nostra gloriosa epoca dell’aids, ami una donna e la prima cosa che devi fare è metterti un preservativo per difenderti da lei e per difendere lei da te.
Penso che è ormai vicino il giorno in cui ameremo attraverso uno schermo che conterrà le posizioni della donna e un tubo catodico che conterrà il nostro seme, lo disinfetterà, e lo venderà ai laboratori del Ministero della Sanità.
La gente non ci pensa, ma io sì; io ho avuto l’opportunità di vivere in un mondo diverso.
Del resto a un gentiluomo di buone maniere come me, tutto ciò cominci a causare un’infinita noia.
Prima, parlando con la dovuta decenza, si seguiva l’odore di fica.
Ma adesso quell’odore le donne non lo emanano più, al suo posto sanno di onestissimo odore di banca.
Il denaro ha una fragranza che attraversa paesi e continenti.
Immerso nei miei pensieri non mi accorgo di mio fratello Luca che mi sta chiamando dall’altra parte della strada.
Entro con lui in un Pub Caffè di Via della Scala.
E’ uno dei miei locali preferiti da diversi anni.
E lo è anche di Luca che ci va soprattutto per le splendide bariste che ci lavorano.
Le scale ci conducono nella labirintica e remota oscurità del piano interrato: qui, in un ambiente rilassato, ci sediamo sopra un comodo divano a gustarci un paio di cocktail, a base di champagne, rum, brandy, whisky e cognac, offertici da una splendida ragazza.
“Non ho gli occhi nel culo” dice la Barlady “Quindi è inutile che continui a guardare lì!”
Perdio!
Questa ragazza gli é entrata nel sangue al ritmo di galoppo.
Cavolo, Luca sta giurando su tutti i santi che d’ora in poi non perderà occasione per spiarla, cercando di attaccare bottone.
Difatti ha subito tentato di invitarla a cena.
Ne ha ricevuto occhiatacce e risposte abrasive.
Risultato, questo, che l’ha convinto di una cosa: per averla dovrà studiare manovre.
Sta già progettando piani, componendola, pezzo dopo pezzo, nella sua fantasia.
L’ha tutta ormai.
Quasi.
Occhi, naso, orecchie, fianchi, tette, culo.
Gambe!
Diobono, mi dice, quelle gambe!
E caviglie.
Caviglie da scatto, non tozze.
Ecco, ora si sta immaginando pure la patatina.
Il Creatore -sta dicendo Luca- non può aver fatto due gambe così perfette per rovinarle con una fragolina malformata sulle piccole labbra.
Diamine, quando finalmente cederà (perché lui è sicurissimo che cederà, l’illuso…) sa già da dove comincerà a baciare quella donna: dalla patatina.
Tutto sta nel convincerla a lasciarlo fare.
Dicono che l'amore a prima vista sia un sentimento di passione romantica che si sviluppa tra perfetti estranei al loro primo incontro.
Però in questo caso è amore al primo sguardo ….non corrisposto.
"Che peccato..!"
Finiti i cocktail usciamo, e mentre attraversiamo Piazza di San Giovanni della Malva incontriamo Ugo e Lucia.
Ugo: alto, secco, con un ghigno da faina e gli scrupoli morali di un colone delle delle SS.
Se io non lo faccio a te, prima o poi te me lo fai a me.
E’ questo il suo motto.
Uno così deve mettere su famiglia per forza.
E una bella famiglia.
E così si è sposato giovane con questa ragazza timida, Lucia.
Una di quelle bambine brave che quando sono piccole fanno quello che dice il papà, e quando crescono fanno quel che dice il marito.
Umile, discreta, al suo posto.
E brutta.
Brutta come una giornata senza pane.
Li salutiamo e continuiamo a passeggiare.
Siamo a Via di Ponte Sisto quando Luca mi saluta ed entra nell’Antica Hosteria.
Questo localino è gestito da una suo amico, compagno di fede calcistica.
Io invece riprendo a passeggiare.
La vita, si sa, è fatta di aspettative.
Si può essere felici nella vita?
A volte sì.
Stare in compagnia è meglio che stare da soli.
Grazie al cazzo, direte voi!
Ohi, ohi, immerso nei miei pensieri non mi accorgo di essere andato addosso a un ragazzotto.
Ci sono persone con cui si può essere scontrosi impunemente, e persone con cui bisogna avere delle cautele.
“Senta, signore, giochiamo a capirsi. ……faccia un po’ di attenzione…!”
Se, per esempio, siete un cinquantenne, fuori forma e con un ginocchio indolenzito, e la persona con cui dovete discutere è un ragazzotto cubiforme con il naso rotto, le orecchie a cavolfiore e un avambraccio tatuato con una svastica, un pochino di prudenza non fa male…
“Guardi, scusi, non l’avevo vista…”
E batto in ritirata.
A Via Benedetta incontro Claudio.
Un mio amico di Terni.
Si trova a Roma per andare a vedere il concerto che stasera Renato Zero terrà all’Auditorium.
Mi presenta Olga, una ragazza moldava.
Sottovoce mi informa che non si tratta di una fidanzata ma solo di un’oasi di affettuosità, tenerezze e sospiri.
Li saluto e continuo a passeggiare.
A Via del Moro mi fermo a parlare con Gianni, reatino, ex fidanzato di mia sorella Sara nonché incavolato nero.
Mentre ci fumiamo una sigaretta vengo infatti a sapere che ora anche a Poggio Mirteto ci sono coppie decisamente atipiche per i canoni correnti, ma non atipiche per la sabina, una zona nella quale i matrimoni tra anziani possidenti e belle e giovani ragazze recentemente arrivate dalla Russia, dall’Ucraina e dai paesi limitrofi sono abbastanza frequenti.
Queste ragazze arrivano in Italia con le idee un po’ confuse e la speranza di sistemarsi in qualche modo; per un po’ fanno le badanti di vecchi malati o strambi e non completamente a casa con la testa.
Il loro secondo lavoro é certamente più remunerativo, ma non meno pericoloso, diciamo che si occupano di uomini più giovani che vogliono che qualcuno badi a loro per una sola notte.
Ci sono stati anni nei quali sono state costrette a vendere il loro corpo, e piano piano le cose sono cambiate.
In quel modo Polina ha conosciuto il papà di Gianni...
I due si sono innamorati, forse lui un po’ più di lei.
Adesso che si sono sposati, alla faccia del parere dei fratelli e dei figli (che lui avesse 85 anni e lei 23 non doveva interessare a nessuno), i due sembrano vivere felici e contenti…mentre a Gianni è venuto l’esaurimento nervoso….
Ora che mi ricordo, anche mio fratello mi parla spesso di un caso analogo: questa volta si tratta di un uomo che vive nel suo condominio.
A Via delle Fratte di Trastevere.
Tirchio.
Tirchio, come se gli avessero tagliato tutte e due le mani e si lamenta sempre, mentre ha più soldi della Banca d’Italia, soldi comunque liquidi, infilati a casaccio nelle cassette di sicurezza di alcune banche, in un paio di casseforti, forse anche dentro un certo numero di materassi, ma mai trasformati in pezzi di carta perché lui è soprattutto un uomo che si fida poco.
Ora sta con un’ucraina.
Si sono innamorati e sembrano sul punto di sposarsi, malgrado la palese ostilità dei fratelli di lui e dei suoi due figli che vivono in Germania.
Questa persona, apparentemente destinato ad essere scapolo per tutta la vita, fino alla non più tenera età di 62 anni aveva sfogato la piena dei suoi sentimenti su amori mercenari, che sceglieva con cautela e che duravano il minor tempo possibile.
Poi aveva conosciuto Lyudmila, e per la prima volta aveva stabilito un rapporto che era durato più di 24 ore.
Al secondo appuntamento, lei si era portata una valigia; al terzo, era arrivata con il baule che conteneva tutte le sue cose, ormai era certo che non si sarebbero lasciati più.
Racconto questo episodio a Gianni e poi lo saluto.
Comunque anche nel mio palazzo c’è una storia come queste: lui vecchio.
Molto.
Ricco.
Molto.
E sposato con una rumena.
Giovanissima.
Lui ha 78 anni, lei 19.
Me l’immagino proprio quel rapporto: un vecchio ricco e la sua giovane moglie dalla personalità passivo-aggressiva.
Probabilmente lei gli spilla tutto quel che vuole; lo ripaga con la bellezze e con la fellatio.
Non c’è dubbio che la loro vita sessuale sia tutta lì; il cuore di lui non reggerebbe altro, e può darsi che lei sia frigida.
Le donne a cui piace essere scopate non sposano i vecchi.
Riprendo a camminare tra i vicoletti caratteristici della vecchia Roma quando, a pochi passi dalla famosa basilica di Santa Maria in Trastevere, in Via della Cisterna incontro Lorenzo.
Sta andando a trovare due sue amiche, graziose parrucchiere hennè nonché mie concorrenti…
Le conosco bene, sono brave e usano solo prodotti naturali.
Sospira pensando a Giulia, la sua ultima fiamma, una cretina senza pari, un vulcano di parole e risate.
Un vaso vuoto.
Fuori, però, perfetta.
Il suo sguardo, il candore della sua pelle, l’eleganza dei movimenti ne fanno un affresco da santuario.
Lo stesso sguardo, lo stesso candore, gli stessi movimenti cambiano di segno sotto le lenzuola.
Allora gli occhi sono spie di lussuria, i gesti quelli indolenti di una tigre prima dell’attacco.
Per questo Lorenzo ne è stregato.
Ho ancora nella mente i sospiri di Gianni mentre sfoglio biografie di registi minori, biografie di grandi attori, testi di saggistica varia, poster e flyer di eventi cinematografici appesi un po' dove capita nella libreria del cinema di Via dei Fienaroli.
E’ un bel posto frequentato da appassionati e professionisti.
Tra questi ci sono Piera e Gianluca.
Stanno parlando con uno dei più importanti autori del cinema italiano, che capita spesso in questo locale ed é molto disponibile ad una chiacchierata informale sul cinema e la società.
Sarà che sono un amante delle caffetterie-biblioteche, ma questa libreria mi piace parecchio.
L’idea di intraprendere questa attività è nata qualche anno fa a sedici soci, tra cui il regista Daniele Luchetti, il produttore Domenico Procacci, l'attrice Jasmine Trinca, il musicista Ludovico Einaudi ed altri talentuosi esponenti del mondo cinematografico.
Mentre bevo un bicchiere di vino nel piccolo spazio caffè penso che Piera si é presto rilevata una vera e propria ninfomane seriale che sottopone il suo Gianluca a massacranti maratone sessuali.
Le prove?
Sono lì, basta guardare Gianluca.
Magro, le occhiaie, nervoso e svanito.
Uno straccetto.
Però contento.
E tanto!
Vicino a me Irene sorseggia un aperitivo.
Frequenta spesso questa libreria: siamo diventati ottimi amici perché entrambi siamo appassionati del cinema francese.
E pure di Sergio Castellitto.
Stasera si trova in compagnia di un gruppo di amici.
Conosco solo Monica, una vedova di quasi sessant’anni decisamente in carne, per non dire che i vestiti neri d’ordinanza le esplodono in prossimità di ascelle, addome e fianchi.
Gli altri me li presenta lei.
Si tratta del capomastro di una piccola impresa edile, del titolare di un negozio di ferramenta e di un impresario di pompe funebri…a questo punto sono abile a chinarmi per palparmi rapidamente i testicoli simulando di controllarmi i lacci delle scarpe.
Uscito dalla libreria riprendo la mia passeggiata.
A Via di San Gallicano un bambino rosso di capelli mi finisce addosso, sfiorando una pericolosa collisione nelle parti basse e rovesciando il suo carico di patatine fritte.
Per un attimo accarezzo l’idea di proporgli un gioco innocente: “Vieni tesoro, ti faccio vedere quanto è divertente mettere i ditini in quei due buchetti nella parete là in basso…”.
Ma una matrona elegantissima strattona il piccolo per un braccio, spinge col tacco le patatine sotto un mobile e dice ringhiosamente: “Vieni, vieni con mamma, e siediti col tuo cuginetto…”.
Saluto e vado via.
Ha cominciato a piovere.
Intorno a me, passi stanchi di casalinghe affannate.
Impronte di scarpe da tennis di finti poveri.
Tracce di suole che hanno ballato poco e male in tutti i locali di Trastevere.
Sotto la pioggia siamo tutti uguali, puzziamo alla stessa maniera.
Ok, ora ha smesso di piovere.
In Via della Luce incontro un'amica.
Ha un cane al guinzaglio.
Pastore.
Puzza.
Appunto.
Del resto non si può impedire a un cane di puzzare di cane.
Rientro a casa.
Ceno.
Mi siedo sul divano.
Lo stereo mi sta facendo ascoltare “Over the Rainbow”.
Oltre l'arcobaleno.
La versione originale è cantata da Judy Garland per il film Il mago di Oz del 1939, ma quella che sto ora ascoltando è la famosa versione del cantante hawaiano Israel “IZ” Kamakawiwo'ole, soprannominato “Gigante buono”, morto nel 1997 all'età di 38 anni.
Nell'ultima parte della sua vita Iz divenne obeso e arrivò anche a pesare 340 Kg.
Versione stupenda.
Voce meravigliosa.
E' una delle poche canzoni che riesce a farti venire i brividi, una ballata dolcissima con la quale Iz ti culla delicatamente.
E l'ukulele come unico strumento, col suo suono particolarissimo, rende indimenticabile una canzone già unica.
Ascoltando la musica, penso.
Penso a quando andavo a trovare i miei parenti in campagna, cosa che mi aveva consentito di essere testimone di alcune delle cerimonie tradizionali, quelle alle quali a Calcata avevano sempre dato un valore particolare.
L’uccisione dei maiali era la prima di queste cerimonie e adesso, ricordandola dopo che tanti anni sono passati, non provo più il senso di smarrimento che mi aveva sopraffatto in quei tempi lontani.
Le povere bestie, animali di due quintali e oltre, attaccate per le zampe posteriori a una trave della stalla venivano sgozzate, e strillavano senza commuovere nessuno.
I nonni raccoglievano in grandi catini il sangue che zampillava dalle carotidi sezionate, cercando di non perderne nemmeno una goccia.
Questo sangue era destinato alla preparazione di un dolce, il sanguinaccio: per farlo si mescolava il sangue con cioccolata, canditi, zucchero e chissà cosa altro ancora e poi si metteva tutto a cuocere al forno in capaci teglie di rame.
La bollitura del grasso e la preparazione dei ciccioli riempivano l’aria di una specie di nebbia bisunta, una sorta di annuncio dei giorni dedicati a magiare tutto ciò che dell’animale non si poteva conservare, il fegato nella rete, pezzetti avvolti in piccoli brandelli di beverelli, cioè di intestino, le costole, le salsicce impastate con aglio e pepe.
Rifiutarsi di mangiare quel cibo era considerato dai miei nonni una vera e propria bestemmia, ed io non me la sentivo di offenderli: così avevo preso l’abitudine di mangiare tutto ciò che mi mettevano nel piatto.
Sapori antichi.
Mi addormento.
Dormo in modo irregolare.
E sogno Gigliola.
Svegliandomi, ho un’aria così felice che sembro prossimo a scoppiare in lacrime.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
:blob5:
Allegati
io gabry e alex.jpg
Rispondi