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gli articoli di riflessione e attualità di M. Pulimanti
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Mario Pulimanti
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Messaggio da Mario Pulimanti »

Ritratti in miniatura (Studenti Biblici, Kit Carson, romani sinceri, Pulimanti’s family, Diabolik, Oz, razzismo, Teodoro Buontempo, Nunzia De Girolamo, filastrocca dei raccomandati)

Ho sempre creduto di avere un romanzo in testa.
Pensavo che la svolta del mio destino, il mio colpo di fortuna, mi avrebbe consentito di scriverlo.
Ho scarabocchiato migliaia di frasi banali in questi mesi, e non riesco a trovarlo.
Non c’é.
Se c’è, é nascosto.
Non sono tipo da vantarmi delle mie doti ben sapendo che la superbia può trasformarle in debolezze.

Ok, smetto di perdermi in questa specie di mondo degli spiriti.
Non mi devo preoccupare più di tanto.
Vabbé. mi converrà buttare giù i miei ricordi.
La mia confessione.
Eccola.
Porcaccia la miseria: cosa pensereste di una signora che si presentasse al vostro citofono la Domenica mattina presto, cercando di rifilarvi una rivista dal titolo “Svegliatevi” ?

E’ quello che è successo a me domenica.

Ho aperto, tutto assonnato, e mi sono trovato di fronte alle sette di mattina una Testimone di Geova che avrebbe potuto avere quarantacinque anni come settantacinque.

Era una di quelle donne che, dopo aver dimostrato quarantacinque anni per tutta la gioventù, venivano ricompensate perché continuavano a sembrare delle quarantacinquenni anche quando di anni ne avevano settantacinque.

E voi non definireste invadente una persona che suona il vostro campanello di casa la domenica mattina per parlarvi della fine del mondo?
Testimoni di Geova, alias Studenti Biblici: vedendoli, non posso fare a meno di pensare a una creatura di Dosytoevskij, uno di quegli emarginati che passano la vita a rimuginare, a partecipare a riunioni settarie e ad accarezzare giornali pieni di immagini subliminali.
Comunque, al di là delle amenità, mi presento subito.
Vivo ad Ostia, mi chiamo Mario e sono un cinquantasettenne con i capelli talmente bianchi, che a volte mi dicono che assomiglio a Kit Carson, il pard di Tex, che tra i pellerossa Navajo è proprio per questo motivo soprannominato Capelli d'Argento.
Inoltre, sono un amante dei tempi andati.
Per tagliare la legna per il camino preferisco l’ascia alla motosega.
A questo punto mi sembra già di sentirvi dire: “E a noi cosa ci importa di sapere queste cose?”
Ho spento già da un po’ la musica dolce che di solito ascolto per attenuare rumori immaginari che da qualche tempo tormentano la mia testa.
Io, nativo dello storico rione del Testaccio con discendenze trasteverine, cresciuto nel quartiere “giardino” della Garbatella e, dopo essermi sposato da 29 anni, residente ad Ostia “il mare di Roma” -e, quindi, profondamente romano e ben lieto di esserlo- posso, a ragione, affermare che noi romani, da più di duemila anni, a torto o a ragione, ci sentiamo superiori a tutti.
E’ un atteggiamento che fa parte della nostra storia, del nostro carattere e del nostro modo fanfarone, ma sincero, di affrontare la vita.
Ce lo vedete un romano fare la fila alla posta di Testaccio come Mr. Jones al post office di Kensington?
Ce lo vedete un romano parcheggiare la sua automobile come un danese a Copenaghen?
O ridere delle insipide barzellette fiamminghe?
E quando va in spiaggia vestirsi come quei tedeschi con sandali e calzini che incontri non solo sul lungomare di Ostia, ma anche, con lo stesso look, nel centro di Roma?
Ieri sera Gabriele, ventiseienne, goliardico nonché aspirante notaio mi ha chiesto se sapevo chi fossero gli Eunuchi e, vedendomi perplesso, sogghignando maliziosamente mi ha detto che gli eunuchi sono quelli che hanno costituito un sindacato: gli Evirati Arabi Uniti!
Barcollando, mi sono allora diretto sul divano dove Alessandro, diciottenne, perspicace nonché aspirante traduttore, era intento a leggere un libro sul Natale.
Vedendomi arrivare, a bruciapelo mi ha domandato: “Papà lo sai a quale velocità va il cammello dei re magi? A tutta mirra!”
Stamattina mio fratello Stefano, per telefono, mi ha così informato: “Mario, sai cosa cantano le ragazze? si-la-do”.
Perfetto, del resto ridere fa bene alla salute.

Comunque non sono tipo da restare a lungo di cattivo umore.

Non mi lamenterò.

I giorni delle lamentele sono finiti, ormai.

“Se Dio è buono, perché ha permesso che mio padre morisse?”

E’ la versione personale di una domanda classica, formulatami a bruciapelo da Simonetta: come possono accadere le cose brutte?
Anche io me la sono posta spesso, rifletto.

Le sorriso con aria imbarazzata, poi le do una risposta vaga accennando alle vie misteriose del Signore.

Simonetta chiaramente non è soddisfatta, ma lascia stare i suoi dubbi e rimane in silenzio.

Quella domanda me la ripresenterà.

Ne sono sicuro.

Sono più agitato di un budino: ripenso a papà Valeriano e a nonno Angelino.
Fa parte della vita sentire la mancanza dei morti.
Come papà, tendo a perdermi se sono concentrato su di un lavoro e a dimenticarmi di qualsiasi cosa o persona mi stia attorno.
Avevo una memoria fotografica: quello che vedevo o leggevo, lo ricordavo.
Adesso sta progressivamente diminuendo.
Quando la perderò del tutto?
Ci vorrà tempo.
Ho 57 anni e scuoto tristemente il capo accorgendomi di dimostrare tutti i miei anni.
E ciò mi sorprende.
Sono così testardo che, se ho già preso la mia decisione, non si riesce mai a farmi cambiare idea.
Anche se provengo da circoli cattolici, il mio non vuole essere un atteggiamento da boy-scout.
Mentre cammino in varie occasioni noto intorno a me stranezze da rimanere annichilito.
Come nei fumetti di Diabolik.
Basterebbe infatti che Ginko alzasse in volo gli elicotteri per dargli la caccia e catturalo tranquillamente.
Ma Ginko non ha mai elicotteri a disposizione, strano!
Papà Valeriano… aveva gli occhi di un verde difficilmente reperibile in natura.
Era un colore luminoso che suggeriva una purezza asettica.
Il suo sguardo era sereno.
Mi abbracciava spesso.
Le sue braccia erano un elemento architettonico di prima qualità, un riparo robusto e resistente che mi proteggeva da piogge, temporali, cicloni e ogni genere di furia scatenata.
Tempi universitari: sorrido a quel ricordo lontano.
Ero una specie di ribelle in quel periodo.
Portavo i capelli lunghi fino al bavero della giacca.
A nonno Angelino non piacevano per niente.
Un bravo nonno, però.
Ho imparato parecchio da lui.
Gliene do atto.
Alcuni amici avevano tentato di iniziarmi a quello strano miscuglio di esistenzialismo, comunismo, edonismo e narcisismo che era diventato il modo di pensare di molti ragazzi alla fine degli anni Settanta.
Non riuscendovi.
Militavo, infatti, nelle file di Gioventù Studentesca, madre dell’attuale CL.
E ascoltavo tanta musica.
Pink Floyd, Bob Dylan, Bruce Springsteen, Jimi Hendrix, Janis Joplin.
Leonard Cohen, Johnny Cash, Willie Nelson.
Doors, Queen, Deep Purple, Tom Waits.
Il Jazz: Billie Holiday, Louis Armstrong, Diana Krall, Sydney Bechet, Lester Young, Django Reinhardt, Ottmar Liebert, Biréli Lagrène, Charlie Parker, Miles Davis..
La Bossa Nova: Maria Bethania, Antonio Carlos Jobim, Vinicius de Moraes, Chico Buarque de Hollanda, Stan Getz, Charlie Byrd, Tito Puente, Astrud Gilberto.
E poi Franco Califano e Claudio Baglioni.
E Lucio Battisti.
Basta con le cazzate!
In questo momento sono fuori da un bar e c’è un forte odore di caffè e vedo una macchina attraverso una vetrina.
Entro.
Qualche cliente fa tranquillamente uno spuntino di metà mattina: dirigenti in pausa, signore eleganti con le borse dello shopping…
Ordino un caffè.
Cerco di concentrarmi nella lettura di un giornale senza riuscirci per un solo istante
Esco dal bar.
Cammino e imbocco la porta del teatro Manfredi.

Ritiro una copia del calendario dei programmi.

Entro in una banca dall’altra parte della strada.
Prelevo duecento euro.

Esco, saluto la guardia di sicurezza che sorride e fa un cenno con la testa

Dio quanto amo il sorriso di una guardia di sicurezza.

E’ come l’acqua per un uomo che sta affogando.

Attraverso Corso Duca di Genova.

La giornata si sta facendo sempre più grigia, cade una pioggerella leggera e un vento irregolare mi soffia frammenti di foglie morte sul naso.

Taglio per Via Grenet su fino a Piazza Rendina.

Arrivo sul lungomare.

Rifletto.

Pensieri mistici.

Dostoevskij diceva che per rendere la realtà plausibile è assolutamente necessario mischiarci un pizzico d’invenzione.

Con questo non voglio dire che vedo il diavolo, la bocca dell’inferno o i quattro cavalieri dell’Apocalisse e tutti gli orrori dell’aldilà.

Né che sto attraversando un periodo in cui sono in una fase molto spirituale, nella quale mi dedico alla yoga e alla meditazione o al buddismo tibetano.

Né faccio uso di droghe.

No, sono solo arrivato a questa conclusione: per me è arrivato il momento della fine dei sogni.

Dei veri sogni.

Ho cercato invano un posto migliore.

Dov’è quel posto?

Nella Terra-che-non-c’è?

A Oz?

Temo che arrivino i pensieri più oscuri, che mi potrebbero sommergere come una marea crescente.

Arrivo al porto.

Mi siedo su una panchina.

Sfoglio il giornale.
In prima pagina si parla del razzismo.

Razzismo: si deve cercarlo in circoli intellettual-snob, imbucati in ristretti circoli salottielitari, dove ci sono le signore della gauche-caviar (sinistra al caviale) e poi mi saprete dire.

Ci sono, inoltre, molte persone del ceto medio italiano che non hanno nessuna simpatia per gli ebrei, i neri, i gay ed i musulmani -non hanno simpatia per nessuno che sia diverso da loro- ma è gente che se la passa bene e ha il controllo della propria vita, quindi non ha bisogno di fare qualcosa al riguardo.

Cavolo: questo è razzismo.

In seconda pagina leggo della morte di Teodoro Buontempo, 67 anni detto “er Pecora”, storico esponente dell'Msi, poi di An (che lasciò in polemica con Fini) e poi presidente de La Destra.

Girava spesso in bicicletta , un modello con i freni a bacchetta e il portapacchi sopra la ruota posteriore.

Poi tornava, al volante della sua Multipla, per le strade di ostia, quelle del XIII Municipio, il suo collegio.

Non ero iscritto al suo partito, però quando muore una persona, specialmente se avversario politico, non mi sembra giusto ne democratico gioire come se fosse morto un nemico.

Buontempo era solo una persona con idee diverse dalle mie che onestamente riteneva di battersi per il bene comune.

In terza pagina una foto di Nunzia De Girolamo, nuovo Ministro dell’Agricoltura del governo di Enrico Letta.

La notizia mi interessa: ci lavoro pure io in quel Ministero!

Vengo così a sapere che le neo ministra è nata a Benevento nel 1975 (ha quindi 37 anni) è un esponente del PDL ed é una fedelissima di Berlusconi.

È stata spesso presente in trasmissioni televisive ed è sposata con Francesco Boccia del Partito Democratico, considerato uomo molto vicino a Enrico Letta.

Assistente universitaria e anche avvocato: si è occupata spesso di diritto civile, commerciale, bancario e del lavoro.

Nel 2008 è stata eletta per la prima volta alla Camera, dove è stata nuovamente eletta nel 2013.

Dal marzo 2009 al novembre 2011 è stata infatti membro della commissione agricoltura.

Il tema più delicato che si troverà a dover affrontare è la ridefinizione della politica agricola comunitaria 2014-2020.

Andrà inoltre chiarita la questione inerente dei tempi di pagamento delle forniture agroalimentari pattuiti dal decreto Cresci-Italia varato dal Governo Monti.

Il settore agricolo preme per agevolazioni dopo gli aggravi fiscali rappresentati dall’Imu sui fabbricati naturali ed il giro sul gasolio.

Sono chiesti altresì interventi per favorire l’accesso al credito per gli agricoltori.

Il papà, Nicola De Girolamo, è il direttore del Consorzio Agrario ed è proprietario della Cantina del Taburno, conosciuta per la Falanghina e per l’Aglianico.

Leggo che i un trasmissione televisiva ha detto: “vengo da una terra contadina in assoluto. La mia famiglia è una famiglia che ha origini contadine e ne vado fiera".

Sì, sì: si presenta bene

Mi ha fatto una buona impressione: sono soddisfatto.

Tornando a casa, ripasso mentalmente la filastrocca dei raccomandati, un pezzo autobiografico che avevo scritto sdraiato su un lettino dello stabilimento “Venezia” qualche estate fa, ai tempi in cui ancora lavoravo all’Ufficio Legislativo del Ministero (ora sono due anni che sono riprecipitato “forzatamente” nella mia antica Direzione, quella del personale).

Ed ecco “la filastrocca dei raccomandati”, di Mario Pulimanti (…che sono io…):

“Quatto, da non sembrare un gatto, sbirciavo da dietro la credenza per cogliere cocci della mia esistenza.
Credevo di poter trovare la strada che rimettesse insieme la storia che pensavo infinita, invece era finita da quasi una vita.
In silenzio aprii lo sportello in cerca di un angolino nella vetrina.
Cercavo un posto che mi facesse osservare il mondo dall'alto.
Lo volevo cambiare ma mi mancavano le forze per accorciare le distanze.
Mostrai le mie maniche che avevo lavato, ma nella fretta mi ero dimenticato di usare il detergente quello profumato che piace alla gente.
Mi avrebbe permesso di non pagare le conseguenze.
Le bastonate sulla testa non sono bastate a farmi capire che i banchi davanti sono da sempre riservati ai raccomandati.”
Entro a casa.
Dalle finestre aperte davanti a me vedo il buio che scende su Ostia.
Entra un venticello caldo profumato di mare.
Ormai l’estate è quasi arrivata.
La vita è bella.
Nonostante tutto.
Proprio così.


Mario Pulimanti (Lido di Ostia -Roma)
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