Papà, l’ultimo dio

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Mario Pulimanti
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Papà, l’ultimo dio

Messaggio da Mario Pulimanti »

Papà, l’ultimo dio
(Antonio Valeriano Pulimanti, poeta di Collevecchio)

Mi trovo a Collevecchio.
Sto dicendo ad Alessandro che non ho i soldi per comprargli una macchina nuova.
Dovrà accontentarsi di un usato…garantito.
Mi guarda con l’affetto di un serial killer psicopatico.
Poi esce.
Rimasto solo, mi siedo davanti al camino.
Sfoglio un album di fotografie.
Sorrido vedendo le foto di papà.
Il mio ultimo dio.
Antonio Valeriano Pulimanti.
Da quanto è morto?
Da ventun anni.
Ne è passato di tempo, ormai, ma il ricordo è ancora vivo.
Bruciante.
Proprio come allora.
Da quando papà non c’è più, mi sento ancor più legato a lui.
Perché mi manca.
Mi manca il suo umorismo, la sua acuta osservazione degli altri.
Mi manca la sua educazione, la sua cultura che non esibiva mai.
Amava scrivere poesie.
Ricordo alcune strofe dedicate a Collevecchio: “….amato mio colle natio! Antico, non vecchio. Amore stilli, con la rugiada. Il tempo non può invecchiare ciò ch’eterno, e tu lo sei!”, e altre rime dedicate all’amore: “…Na lagrima pur’io l’ho fatta score. ‘Na lagrima d’amore. Quella e basta! ‘Na lagrima ch’è l’unica arimasta. ‘Na lagrima pe’ un sogno che nun mòre…”.
Mi mancano le sue parole, i suoi messaggi, le sue battute con i tempi comici perfetti.
Diceva che bisogna stare dietro i cannoni, davanti ai cavalli e lontano dai superiori
Mi manca la sua faccia tonda, aperta e fiduciosa.
Con un accenno di opulenza che lui per altro portava con molta leggerezza.
Mi manca la sua stuzzicante ingenuità sempre pronta a rilevarsi in un sorriso.
Ricordi...
Tornano sempre, anche quando non dovrebbero…
Brandelli di passato.
Stilettate di dolore, di angoscia.
Ha sempre amato la mamma con tutto se stesso, di quell’amore incrollabile, un amore d’altri tempi fatto di doveri, di stima, di rispetto, di una passione rassicurante che si consumava solo di notte, nel buio della loro camera da letto e della gioia di ritrovarsela accanto ogni mattina.
Ripenso agli ultimi giorni, agli sprazzi di lucidità sempre più rari, al suo sguardo offuscato dalle nebbie della morfina, all’ultima frase che mi ha sussurrato prima di entrare nel territorio inarrivabile del coma: “Chiamami papone, col vecchio vezzeggiativo, che ti è familiare. Parlami nello stesso modo che hai sempre usato. Non cambiare il tono di voce. Va tutto bene, Mariuccio. Non smettere mai di correre. Promettimelo”.
Al funerale sono crollato.
L’impalcatura di formalismo dietro cui mi ero corazzato si era sbriciolata all’improvviso, lasciandomi singhiozzante e smarrito come un bambino abbandonato.
Una figura penosa per me abituato fin da ragazzo a mantenere, sempre comunque, un contegno decoroso.
Papà muore il giorno di Pasquetta del 1992, per una brutta malattia della quale noi siamo venuti a conoscenza da soli tre mesi, ma che lui non sa di avere.
Forse lo sospetta!
E’ il 20 aprile.
Solo otto giorni prima ha compiuto 66 anni, il suo ultimo compleanno!
Nel 2004 Ernesta, rovistando tra gli oggetti del marito, troverà del tutto casualmente una poesia che Antonio Valeriano aveva probabilmente scritto negli ultimi mesi della sua vita e della quale non sospettavamo l’esistenza.
S’intitola: “Er sogno”.
Questa sua ultima poesia è ambientata nella casa del nonno materno, Primo Merlini.
Nonno Primo era allora proprietario dell’osteria locale, che in seguito sarà gestita dal figlio Duilio, fratello di mamma Leonella.
Del resto, come ha anche detto il Papa: “non si tagliano le radici dalle quali si è nati” ed Antonio Valeriano l’ha dimostrato perché, anche se abitava a Roma dall’età di dieci anni, non ha mai dimenticato, nemmeno negli ultimi attimi di vita, le sue “radici collevecchiane”.

ER SOGNO
L'antra notte, quanno dormivate,
c’era silenzio solo nella casa,
m’appare 'na faccia rossa de cerasa,
ch'arisvejava in me cose passate.

Vino sabino, Brighella colla fresa,
file de vite, amici e carognate,
lontano, fra li soni de la Chiesa,
arberi, frutta, sole, scampagnate.
'Na rondine fa er nido su li tetti,
ner cielo quarche nuvola ormai rada,
sur prato fra le gocce de ruggiada
'na gatta partorisce li micetti.

Io, regazzino, a Nonno stò vicino
de là ce stà puro zì Navina
seduto accanto un cane che stà chino
io scappo an tratto sporco de farina.

"Nonno!" Strillai arzannome de botto,
apersi l'occhi e nun vedetti gnente
quer viso co' la bocca soridente
nun c'era si guardavi sopra e sotto.

Un desiderio d'abbracciallo forte,
solo silenzio e buio nella mente,
l'odore de la notte e de la morte
e de quer sogno nun me rimaneva gnente!

Oggi vorrei tanto telefonargli per dirgli, sottovoce, che gli voglio sempre bene.
Che lo ricordo com’era veramente: un papà speciale.
Un papà intelligente.
Soprattutto un papà buono.
Quando mi addormento in poltrona, mentre nel camino il fuoco si spegne lentamente, sulle pagine lucide dell’album spiccano ancora le tracce delle mie lacrime.

Mario Pulimanti (Lido di Ostia –Roma)
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Massimo Baglione
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Re: Papà, l’ultimo dio

Messaggio da Massimo Baglione »

Bellissima poesia.
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Mario Pulimanti
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Re: Papà, l’ultimo dio

Messaggio da Mario Pulimanti »

Grazie, Massimo
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