"Il sibilo dei sommersi" di Maurizio Piccirillo

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Michele Nigro
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"Il sibilo dei sommersi" di Maurizio Piccirillo

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Il sibilo dei sommersi
di
Maurizio Piccirillo


- genere POESIA -

(recensione di Michele Nigro)

Con “Il sibilo dei sommersi” (Ed. Il Filo), Maurizio
Piccirillo regala ai propri lettori un chiaro esempio
di poetica visionaria ed evocativa costituita da immagini
forti e, a volte, dolorose ma mai eccessivamente
ed inutilmente eclatanti. Il poeta non vuole
stupire; si affida a certe vincenti associazioni tra termini
apparentemente improbabili ma capaci, in realtà,
di creare emozioni grazie a quella alchemica e
salvifica drammaticità che solo la parola ricercata e
cesellata può donare: “…colonne di fumi d’ossa…”;
“…un letto di fiori recisi…”; “…imprigionato nell’umidità…”;
“…il graffio del conflitto…”;
“…togliere le squame che la guerra mi ha appiccicato…”;
“…respirare…il legno…”; “…scorgere la
danza dei chiodi…”; “…rugginosa domenica d’autunno…”
Può esserci speranza per l’amore e la tenerezza in
uno scenario esistenzialista solitario e disperato?
Leggendo le poesie di Piccirillo sembrerebbe di sì:
non vi è una sola lirica, in questa raccolta, caratterizzata
da una totale assenza di speranza. Anche dagli
scenari più tristi sembra emergere un grido amaro
che riconduce i protagonisti e i lettori verso una risalita
speranzosa. Per niente affetto dalla “sindrome
della poesia lunga”, il nostro poeta si diletta nella
stesura, in rapide zaffate, di versi pittorici capaci di
descrivere scenari surreali (grazie all’alchimia a cui
accennavamo) ma sentimentalmente reali e vicini ad
ognuno di noi. Piccirillo compie, inoltre, esercizi di
autoconsapevolezza quando chiede a sé stesso e agli
altri: “Ma chi è il vero prigioniero?”; esplora le forme
ibride, ma non meno intense, della passione
quando esclama: “Che razza d’amore!”; s’imbatte
nei resoconti fallimentari di chi non ha saputo, potuto
o voluto raccogliere i frutti del cuore e nel corso
della propria esistenza ha soltanto “…baciato le ortiche”.
La poesia di Piccirillo è ricca di espressioni
uniche e sconvolgenti nella loro potenzialità visionaria:
solo chi non teme la sperimentazione e osa,
unendo termini apparentemente inconciliabili, può
offrire inquadrature poetiche di sicuro effetto, ibridazioni
istantanee che possono esistere solo sulla carta,
nel mondo fittizio del poetare, ma che si riferiscono
a eventi materiali e umani ben individuabili. L’anima
dell’autore è un’anima terrestre che ha visto e
vede le cose del mondo così come appaiono, e non
ha nessuna intenzione di immedesimarsi in un verso
trascendentale e fasullo: “Piove/ e mi si bagna l’anima”.
Un’anima che non ha paura di sperimentare gli
elementi della vita, perché è solo dal contatto dell’anima
con la vita vera che nasce il verso sobrio e capace
di testimoniare il dolore pubblico e privato, il
bisogno di una libertà che spesso siamo incapaci di
raccogliere pur essendo liberi fisicamente (“Da un
ramo/ penzola qualcosa./ E’ il mio sogno di uomo
libero”). Una poesia che registra eventi, a volte, non
storicamente rilevanti ma presenti nella nostra quotidianità
indifferente e veloce: un ragazzo che chiede
l’elemosina, il gesto grafico di un “writer”, il semplice
osservare la folla; e scendendo in un ambito
meno pubblico: il divano che diventa testimone di
un fallimento esistenziale e affettivo; il momento del
suicidio (la poesia intitolata “Premi pure il grilletto”
possiede alcune interessanti analogie con il brano
“Breve invito a rinviare il suicidio” di Franco Battiato,
presente nell’album “L’ombrello e la macchina
da cucire”); la libertà racchiusa nell’oggetto
“bicicletta” che nasconde, in realtà, un richiamo
agrodolce alla solitudine (“Io/ ho una bicicletta rossa,/
l’adoro,/ ma ci vado da solo.”); la consapevolezza
tragica di un’assenza (“E’ dura,/ fare colazione
senza le tue gambe,…”). E poi la presenza costante
ma discreta dell’alcol e dell’amore comprato
per strada come a voler ribadire ulteriormente che la
poesia deve innanzitutto preoccuparsi di esaltare gli
aspetti definiti decadenti e, per questo motivo, veri
dell’essere umano e non quelli pubblicamente virtuosi
e di conseguenza artefatti e falsi. Piccirillo si
affida alla devastante ma necessaria ispirazione del
“momento”: uno sguardo, un odore, un colore, un
gesto, un’istantanea colta per caso… Tutto può diventare
poesia nella brevità di uno scatto fotografico
che “impressiona” la pellicola poetica di un animo
sensibile e attento. Il poeta tenta invano, in alcuni
momenti, di liberarsi di questa dannazione scritta
(“Quanti libri ho nella stanza./ Vorrei bruciarli tutti,/
ma poi/ preferisco spezzarmi qualche costola.”),
si pone legittime domande sulla funzione di questa
dannazione (“A cosa serve,/ a cosa serve la poesia?”),
arriva addirittura a rinnegare la propria esistenza
sapendo di mentire a sé stesso (“Non vorrei
mai essere un poeta,/ dico davvero…”), per accorgersi
che si tratta di una vana ribellione e che la terapia
a questa malattia poetica può e deve essere solo
di tipo omeopatico: guarire il bruciore interiore causato
dalla poesia, poetando…

“…Ma il fatto,
il fatto è che non si può
sotterrare un’anima inquieta…”


(m.n.)
Maurizio Piccirillo è nato nel 1968 a Massa di
Somma (NA), ma vive e lavora in Toscana da molti
anni. Poeta, scrittore e musicista, partecipa a concorsi
letterari, reading di poesia radiofonica, performance
artistici di strada, corsi di scrittura creativa e
frequenta circoli culturali. Varie sue opere sono state
pubblicate da riviste specializzate, siti Web ed
antologie di premi. Ha pubblicato le raccolte di poesie
“Dietro le Nuvole” 1998 (Ed. Il Gabbiano), “Le
Lacrime degli Angeli” 2001 (Ed. I Miei Colori), “Il
Sentiero” 2002 (Ed. Il Foglio), “L’Albero di sale”
2004 (Proposte Editoriali), “Il Sibilo dei sommersi”
2005 (Ed. Il Filo), “L’Ultimo chiuda la porta” 2006
(Ed. Il Foglio) e “Poesie scelte 1998-2004” 2006
(Ed. Il Quadrifoglio). Inoltre, le opere di narrativa
“Binari di solitudine” 2002 (Prospektiva Editrice),
“Sussurri & Sospiri” 2003 (Ediclub), “Angeli, Barboni
& Cavalieri” 2004 (Ed. Il Foglio),
“Benzennerdezoster” 2005 (Ed. il Foglio), “Battiti
Anomali” 2007 (Editrice Zona).
"Tra i deboli di stomaco ci sono la gran parte degli abitanti delle città e quasi tutti quelli che amano le lettere." (Celso)

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