Luigi Pirandello

Bibliografie e biografie commentate dei grandi scrittori
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Luigi Pirandello

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Luigi Pirandello

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La vita Le opere

1867

Il 28 giugno nasce da Don Stefano Pirandello e da Donna Caterina Ricci Gramitto.

Riceve in casa l'istruzione elementare. .

Frequenta a Girgenti, l'odierna Agrigento, i primi due anni della Regia Scuola Tecnica. Si iscrive poi al liceo ginnasio "Empedocle". A 12 anni scrive una tragedia in cinque atti (andata perduta) dal titolo Barbaro.
1882/85
Prosegue gli studi presso il Regio Liceo Vittorio Emanuele II di Palermo. Pubblica a 17 anni un componimento narrativo Capannetta.
1886
A 19 anni si iscrive a Palermo alle Facolt? di Letteratura e di Legge.
Contemporaneamente aiuta il padre, commerciante di zolfo. Scrive alcune opere teatrali, andate perdute:
Gli uccelli dell'alto, La moglie fedele e Provando la commedia.

1887
Lascia la Sicilia e prosegue gli studi universitari a Roma. .
1889
In seguito a un contrasto con il rettore dell'Universit? romana, si trasferisce a Bonn.
Qui vive in pensione presso la famiglia Schulz-Lander e si innamora della loro figlia Jenny. Stampa il libro di versi Mal giocondo.
Scrive le liriche raccolte poi con i titoli Pasqua di Gea e Elegie Renane.

1891
Si laurea si laurea in filologia romanza con una tesi di dialettologia sulla Parlata di Girgenti. .


1892/93

Dopo un breve periodo di lettorato nella citt? tedesca, si stabilisce a Roma.
Qui frequenta Luigi Capuana che lo introduce negli ambienti letterari e giornalistici. Inizia a scrivere il suo primo romanzo Marta Ajala, che pubblicher? nel 1901 con il titolo L'esclusa. Datato 1893 anche il Frammento d'Autobiografia, pubblicato nel 1933.
1894
Il 27 gennaio sposa Maria Antonietta Portolano, figlia del socio paterno, da cui avr? Stefano (1895), Rosalia (1897) e Fausto (1899) Pubblica le novelle Amori senza amore e il poemetto Pier Gudr?.

1895/99

Collabora con numerosi giornali, in particolare con la rivista settimanale "Ariel". Nel 1895 scrive Il turno, pubblica L'elegie romane, traduzione di venti liriche di Goethe, l'atto unico L'epilogo, poi ribattezzato La morsa e il saggio Un preteso poeta umorista del secolo XIII.
1897 Viene nominato supplente della cattedra di Stilistica presso l'Istituto Superiore di Magistero

1900/02

Nel 1901 pubblica le poesie Zampogna;
nel 1902 il romanzo Il turno, la raccolta di novelle Beffe della morte e della vita e Quand'ero matto.
1903/08
L'allagamento della miniera di Aragona, nella quale il padre Don Stefano ha impiegato non solo i propri capitali, ma anche la dote della nuora, provoca un pesante dissesto economico nella famiglia e scatena una forma di paranoia nella moglie di Pirandello, da cui non guarir?. Vani saranno i tentativi di Pirandello di dimostrare che la realt? non ? come pare alla moglie.
Per integrare lo stipendio di professore, impartisce lezioni d'italiano e di tedesco. Nel 1904 Escono le novelle Bianche e nere e a puntate sulla rivista "Nuova Antologia" il romanzo Il fu Mattia Pascal. Il successo ? tale che l'editore Emilio Treves di Milano decide di curare la pubblicazione delle sue opere.
Nel 1905 escono le prime liriche di Fuori di chiave e lo studio su Alberto Cantoni.
Nel 1908 vedono la luce i saggi Arte e scienza; L'umorismo, I sonetti di Cecco Angiolieri e qualche nota dantesca.


1909/13

Nel 1909 viene pubblicato il romanzo I vecchi e i giovani e la lirica Scamandro.
Nel 1910 va in scena Lumie di Sicilia e L'epilogo, La morsa e Se non cos? e viene edita la raccolta di novelle La vita nuda.
Nel 1911 scrive il romanzo Suo marito.
Nel 1912 pubblica le novelle Terzetti,
nel 1913 la commedia Cec?. Viene rappresentata a Roma la commedia Il dovere del medico.

1914/20


Con lo scoppio della Grande Guerra altri fatti dolorosi si abbattono su Pirandello: il figlio Stefano parte per il fronte ed ? fatto prigioniero, muore la madre e anche l'altro figlio, Fausto, viene chiamato alle armi.
Nel 1919 la moglie Antonietta ? internata in una casa di cura.
Nel 1915-'16 inizia la sua prodigiosa ed intensa attivit? teatrale, che dar? vita a dibattiti e discussioni in Italia e all'estero. Nel 1915 pubblica il romanzo Si gira..., le novelle Erba del nostro orto e La trappola,
Nel 1916 le commedie Liol?, Pensaci Giacomino! e Il berretto a sonagli;
nel 1917 Cos? ? (se vi pare), Il piacere dell'onesta, La giara e il dramma A vilanza, E domani, luned??,
nel 1918 Il giuoco delle parti e Ma non ? una cosa seria, Un cavallo nella luna;
nel 1919 le commedie La patente, L'innesto, Berecche e la guerra e Il carnevale dei morti. l'apologo L'uomo, la bestia e la virt? e U ciclopu;
del 1920 le commedie Tutto per bene, Come prima meglio di prima e La signora Morli, una e due.

1921La figlia Lietta si sposa e si trasferisce in Cile. Viene rappresentato Sei personaggi in cerca d'autore. Scrive Vestire gli Ignudi.


1922/28

Nel 1922 lascia l'insegnamento per dedicarsi totalmente al teatro. Abbandonata la vita sedentaria degli anni precedenti, Pirandello cura personalmente l'allestimento e la regia delle sue opere.
Il cinema trae diversi film dai suoi testi.
Nel 1924 si iscrive al partito fascista, da cui ottiene appoggi e finanziamenti.

Tra il '25 ed il '28 dirige la compagnia del Teatro d'Arte di Roma che opera inizialmente al Teatro Odescalchi, con la giovanissima Marta Abba prima attrice. Va in scena la tragedia Enrico IV.
Tra il 1922 e il 1923 scrive gli atti unici All'uscita, L'imbecille, L'uomo dal fiore in bocca, L'altro figlio, e la commedia La vita che ti diedi. Esce il saggio Teatro vecchio e teatro nuovo.

Nel 1924 scrive per il teatro Ciascuno a suo modo.
Nel 1925 va in scena l'atto unico Sagra del Signore della Nave.
Nel 1926 esce il romanzo Uno, nessuno e centomila e le commedie Diana e la Tuda e L'amica delle mogli.

Nel 1928 viene rappresentato La nuova colonia che inaugura l'ultima stagione di Pirandello che, fondata sui miti moderni, culmina ne' I giganti della montagna

1929/32

E' nominato Accademico d'Italia.
Con Marta Abba, cui ? sentimentalmente legato, soggiorna a Berlino per un breve periodo.

Nel 1932 si reca a Parigi.


1929 Pubblica il saggio su Giovanni Verga e mette in scena Lazzaro e O di uno o di nessuno.

Nel 1930 viene allestita a Berlino Questa sera si recita a soggetto.
In questo stesso anno segue le riprese ad Hollywood del film Come tu mi vuoi con Greta Garbo, tratto dall'omonima opera teatrale.

Nel 1932 scrive il dramma in tre atti Trovarsi.
1933Parte per Buenos Aires assieme a Massimo Bontempelli. A Buenos Aires va in scena Quando si ? qualcuno.

1934Gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura.
1934 Va in scena La favola del figlio cambiato.
Scrive i drammi Non si sa come e I giganti della montagna che resta incompiuto.
Cura i dialoghi del film di Pierre Chenal Il fu Mattia Pascal.

1936 Il 10 dicembre muore a Roma per una polmonite.

1936 Viene trasmessa alla radio Sogno (ma forse no).
Esce postuma l'edizione definitiva delle Novelle per un anno.




Un link davvero ottimo con l'autore, ricco di testi, e con un ottima biografia:
http://www.classicitaliani.it/index070.htm
Ultima modifica di carlo il 01/12/2004, 2:45, modificato 1 volta in totale.
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Una novella di Luigi Pirandello

La mosca

Trafelati, ansanti, per far pi? presto, quando furono sotto il borgo, - su, di qua, coraggio! - s'arrampicarono per la scabra ripa cretosa, ajutandosi anche con le mani - forza! forza! - poich? gli scarponi imbullettati - Dio sacrato! - scivolavano.
Appena s'affacciarono paonazzi sulla ripa, le donne, affollate e vocianti intorno alla fontanella all'uscita del paese, si voltarono tutte a guardare. O non erano i fratelli Tortorici, quei due l?? S?, Neli e Saro Tortorici. Oh poveretti! E perch? correvano cos??
Neli, il minore dei fratelli, non potendone pi?, si ferm? un momento per tirar fiato e rispondere a quelle donne; ma Saro se lo trascin? via, per un braccio.
- Giurlannu Zar?, nostro cugino! - disse allora Neli, voltandosi, e alz? una mano in atto di benedire.
Le donne proruppero in esclamazioni di compianto d'orrore: una domand?, forte:
- Chi ? stato?
- Nessuno: Dio! - grid? Neli da lontano.
Voltarono, corsero alla piazzetta, ov'era la casa del medico condotto.

Il signor dottore, Sidoro Lopiccolo, scamiciato, spettorato, con una barbaccia di almeno dieci giorni su le guance flosce, e gli occhi gonfi e cisposi, s'aggirava per le stanze, strascicando le ciabatte e reggendo su le braccia una povera malatuccia ingiallita, pelle e ossa, di circa nove anni.
La moglie, in un fondo di letto, da undici mesi; sei figliuoli per casa, oltre a quella che teneva in braccio, ch'era la maggiore, laceri, sudici, inselvaggiti; tutta la casa, sossopra, una rovina: cocci di piatti, bucce, l'immondizia a mucchi sui pavimenti; seggiole rotte, poltrone sfondate, letti non pi? rifatti chi sa da quanto tempo, con le coperte a brandelli, perch? i ragazzi si spassavano a far la guerra sui letti, a cuscinate; bellini!
Solo intatto, in una stanza ch'era stata salottino, un ritratto fotografico ingrandito, appeso alla parete; il ritratto di lui, del signor dottore Sidoro Lopiccolo, quand'era ancora giovincello, laureato di fresco: lindo, attillato e sorridente.
Davanti a questo ritratto egli si recava ora, ciabattando; gli mostrava i denti in un ghigno aggraziato, s'inchinava e gli presentava la figliuola malata, allungando le braccia.
- Sisin?, eccoti qua!
Perch? cos?, Sisin?, lo chiamava per vezzeggiarlo sua madre, allora; sua madre che si riprometteva grandi cose da lui ch'era il beniamino, la colonna, lo stendardo della casa.
- Sisin?!
Accolse quei due contadini come un cane idrofobo.
- Che volete?
Parl? Saro Tortorici, ancora affannato, con la berretta in mano:
- Signor dottore, c'? un poverello, nostro cugino, che sta morendo...
- Beato lui! Sonate a festa le campane! - grid? il dottore.
- Ah nossignore! Sta morendo, tutt'a un tratto, non si sa di che. Nelle terre di Montelusa, in una stalla.
Il dottore si tir? un passo indietro e proruppe, inferocito:
- A Montelusa?
C'erano, dal paese, sette miglia buone di strada. E che strada!
- Presto presto, per carit? - preg? il Tortorici. - ? tutto nero, come un pezzo di fegato! gonfio, che fa paura. Per carit?!
- Ma come, a piedi? - url? il dottore. - Dieci miglia a piedi? Voi siete pazzi! La mula! Voglio la mula. L'avete portata?
- Corro subito a prenderla, - s'affrett? a rispondere il Tortorici. - Me la faccio prestare.
- Ed io allora, - disse Neli, il minore, - nel frattempo, scappo a farmi la barba.
Il dottore si volt? a guardarlo, come se lo volesse mangiar con gli occhi.
- ? domenica, signorino, - si scus? Neli, sorridendo, smarrito. - Sono fidanzato.
- Ah, fidanzato sei? - sghign? allora il medico, fuori di s?. - E pigliati questa, allora!
Gli mise, cos? dicendo, sulle braccia la figlia malata; poi prese a uno a uno gli altri piccini che gli s'erano affollati attorno e glieli spinse di furia fra le gambe:
- E quest'altro! e quest'altro! e quest'altro! e quest'altro! Bestia! bestia! bestia!
Gli volt? le spalle, fece per andarsene, ma torn? indietro, si riprese la malatuccia e grid? ai due:
- Andate via! La mula! Vengo subito.
Neli Tortorici torn? a sorridere, scendendo la scala, dietro al fratello Aveva vent'anni, lui; la fidanzata, Luzza, sedici: una rosa! Sette figliuoli? Ma pochi! Dodici, ne voleva. E a mantenerli, si sarebbe ajutato con quel pajo di braccia sole, ma buone, che Dio gli aveva dato. Allegramente, sempre. Lavorare e cantare, tutto a regola d'arte Non per nulla lo chiamavano Liol?, il poeta. E sentendosi amato da tutti per la sua bont? servizievole e il buon umore costante, sorrideva finanche all'aria che respirava. Il sole non era ancora riuscito a cuocergli la pelle, a inaridirgli il bel biondo dorato dei capelli riccioluti che tante donne gli avrebbero invidiato; tante donne che arrossivano, turbate, se egli le guardava in un certo modo, con quegli occhi chiari, vivi vivi.
Pi? che del caso del cugino Zar?, quel giorno, egli era afflitto in fondo del broncio che gli avrebbe tenuto la sua Luzza, che da sei giorni sospirava quella domenica per stare un po' con lui. Ma poteva, in coscienza, esimersi da quella carit? di cristiano? Povero Giurlannu! Era fidanzato anche lui. Che guajo, cos? all'improvviso! Abbacchiava le mandorle, laggi?, nella tenuta del Lopes, a Montelusa. La mattina avanti, sabato, il tempo s'era messo all'acqua; ma non pareva ci fosse pericolo di pioggia imminente. Verso mezzogiorno, per?, il Lopes dice: - In un'ora Dio lavora; non vorrei, figliuoli, che le mandorle mi rimanessero per terra, sotto la pioggia. - E aveva comandato alle donne che stavano a raccogliere, di andar su, nel magazzino, a smallare. - Voi, - dice, rivolto agli uomini che abbacchiavano (e c'erano anche loro, Neli e Saro Tortorici) - voi, se volete, andate anche su, con le donne a smallare. - Giurlannu Zar?: - Pronto, - dice, - - ma la giornata mi corre col mio salario, di venticinque soldi? - No, mezza giornata, - dice il Lopes, - te la conto col tuo salario; il resto, a mezza lira, come le donne. - Soperchieria! Perch?, mancava forse per gli uomini di lavorare e di guadagnarsi la giornata intera? Non pioveva n? piovve difatti per tutta la giornata, n? la notte. - Mezza lira, come le donne - dice Giurlannu Zar? - Io porto calzoni. Mi paghi la mezza giornata in ragione di venticinque soldi, o vado via.
Non se n and?: rimase ad aspettare fino a sera i cugini che s'erano contentati di smallare, a mezza lira, con le donne. A un certo punto, per? stanco di stare in ozio a guardare, s'era recato in una stalla l? vicino per buttarsi a dormire, raccomandando alla ciurma di svegliarlo quando sarebbe venuta l'ora d'andar via.
S'abbacchiava da un giorno e mezzo, e le mandorle raccolte erano poche. Le donne proposero di smallarle tutte quella sera stessa, lavorando fino a tardi e rimanendo a dormire l? il resto della notte, per risalire al paese la mattina dopo, levandosi al bujo. Cos? fecero. Il Lopes port? fave cotte e due fiaschi di vino. A mezzanotte, finito di smallare, si buttarono tutti, uomini e donne, a dormire al sereno su l'aja, dove la paglia rimasta era bagnata dall'umido, come se veramente fosse piovuto.
- Liol?, canta!
E lui, Neli, s'era messo a cantare all'improvviso. La luna entrava e usciva di tra un fitto intrico di nuvolette bianche e nere; e la luna era la faccia tonda della sua Luzza che sorrideva e s'oscurava alle vicende ora tristi e ora liete dell'amore.
Giurlannu Zar? era rimasto nella stalla. Prima dell'alba, Saro si era recato a svegliarlo e lo aveva trovato l?, gonfio e nero, con un febbrone da cavallo.
Questo raccont? Neli Tortorici, l? dal barbiere, il quale, a un certo punto distraendosi, lo incicci? col rasojo. Una feritina, presso il mento, che non pareva nemmeno, via! Neli non ebbe neanche il tempo di risentirsene, perch? alla porta del barbiere s'era affacciata Luzza con la madre e Mita Lumia, la povera fidanzata di Giurlannu Zar?, che gridava e piangeva, disperata.
Ci volle del bello e del buono per fare intendere a quella poveretta che non poteva andare fino a Montelusa, a vedere il fidanzato: lo avrebbe veduto prima di sera, appena lo avrebbero portato su, alla meglio. Sopravvenne Saro, sbraitando che il medico era gi? a cavallo e non voleva pi? aspettare. Neli si tir? Luzza in disparte e la preg? che avesse pazienza: sarebbe ritornato prima di sera e le avrebbe raccontato tante belle cose.
Belle cose, difatti, sono anche queste, per due fidanzati che se le dicono stringendosi le mani e guardandosi negli occhi.

Stradaccia scellerata! Certi precipizi, che al dottor Lopiccolo facevano vedere la morte con gli occhi, non ostante che Saro di qua, Neli di l? reggessero la mula per la capezza.
Dall'alto si scorgeva tutta la vasta campagna, a pianure e convalli; coltivata a biade, a oliveti, a mandorleti; gialla ora di stoppie e qua e l? chiazzata di nero dai fuochi della debbiatura; in fondo, si scorgeva il mare, d'un aspro azzurro. Gelsi, carrubi, cipressi, olivi serbavano il loro vario verde, perenne; le corone dei mandorli s'erano gi? diradate.
Tutt'intorno, nell'ampio giro dell'orizzonte, c'era come un velo di vento. Ma la calura era estenuante; il sole spaccava le pietre. Arrivava or s? or no, di l? dalle siepi polverose di fichidindia, qualche strillo di calandra o la risata d'una gazza, che faceva drizzar le orecchie alla mula del dottore
- Mula mala! mula mala! - si lamentava questi allora.
Per non perdere di vista quelle orecchie, non avvertiva neppure al sole che aveva davanti agli occhi, e lasciava l'ombrellaccio aperto foderato di verde, appoggiato su l'omero.
- Vossignoria non abbia paura, ci siamo qua noi, - lo esortavano i fratelli Tortorici.
Paura, veramente, il dottore non avrebbe dovuto averne. Ma diceva per i figliuoli. Se la doveva guardare per quei sette disgraziati, la pelle.
Per distrarlo, i Tortorici si misero a parlargli della mal'annata: scarso il frumento, scarso l'orzo, scarse le fave; per i mandorli, si sapeva: non raffermano sempre: carichi un anno e l'altro no; e delle ulive non parlavano: la nebbia le aveva imbozzacchite sul crescere; n? c'era da rifarsi con la vendemmia, ch? tutti i vigneti della contrada erano presi dal male.
- Bella consolazione! - andava dicendo ogni tanto il dottore, dimenando la testa.
In capo a due ore di cammino, tutti i discorsi furono esauriti. Lo stradone correva diritto per un lungo tratto, e su lo strato alto di polvere bianchiccia si misero a conversare adesso i quattro zoccoli della mula e gli scarponi imbullettati dei due contadini. Liol?, a un certo punto, si diede a canticchiare, svogliato, a mezza voce; smise presto. Non s'incontrava anima viva, poich? tutti i contadini, di domenica, erano su al paese, chi per la messa, chi per le spese, chi per sollievo. Forse laggi?, a Montelusa, non era rimasto nessuno accanto a Giurlannu Zar?, che moriva solo, seppure era vivo ancora.
Solo, difatti, lo trovarono, nella stallaccia intanfata, steso sul morello, come Saro e Neli Tortorici lo avevano lasciato: livido, enorme, irriconoscibile.
Rantolava.
Dalla finestra ferrata, presso la mangiatoja, entrava il sole a percuotergli la faccia che non pareva pi? umana: il naso, nel gonfiore, sparito; le labbra, nere e orribilmente tumefatte. E il rantolo usciva da quelle labbra, esasperato, come un ringhio. Tra i capelli ricci da moro una festuca di paglia splendeva nel sole.
I tre si fermarono un tratto a guardarlo, sgomenti, e come trattenuti dall'orrore di quella vista. La mula scalpit?, sbruffando, su l'acciottolato della stalla. Allora Saro Tortorici s'accost? al moribondo e lo chiam? amorosamente:
- Giurl?, Giurl?, c'? il dottore.
Neli and? a legar la mula alla mangiatoja, presso alla quale, sul muro, era come l'ombra di un'altra bestia, l'orma dell'asino che abitava in quella stalla e vi s'era stampato a forza di stropicciarsi.
Giurlannu Zar?, a un nuovo richiamo, smise di rantolare; Si prov? ad aprir gli occhi insanguati, anneriti, pieni di paura; apr? la bocca orrenda e gemette, come arso dentro:
- Muojo!
- No, no, - s'affrett? a dirgli Saro, angosciato. - C'? qua il medico. L'abbiamo condotto noi; lo vedi?
- Portatemi al paese! - preg? il Zar?, e con affanno, senza potere accostar le labbra: - Oh mamma mia!
- S?, ecco, c'? qua la mula! - rispose subito Saro.
- Ma anche in braccio, Giurl?, ti ci porto io! - disse Neli, accorrendo e chinandosi su lui. - Non t'avvilire!
Giurlannu Zar? si volt? alla voce di Neli, lo guat? con quegli occhi insanguati come se in prima non lo riconoscesse, poi mosse un braccio e lo prese per la cintola.
- Tu, bello? Tu?
- Io, s?, coraggio! Piangi? Non piangere, Giurl?, non piangere. ? nulla!
E gli pos? una mano sul petto che sussultava dai singhiozzi che non potevano rompergli dalla gola. Soffocato, a un certo punto il Zar? scosse il capo rabbiosamente, poi alz? una mano, prese Neli per la nuca e l'attiro a s?:
- Insieme, noi, dovevamo sposare...
- E insieme sposeremo, non dubitare! - disse Neli, levandogli la mano che gli s'era avvinghiata alla nuca.
Intanto il medico osservava il moribondo. Era chiaro: un caso di carbonchio.
- Dite un po', non ricordate di qualche insetto che v'abbia pinzato?
- No, - fece col capo il Zar?.
- Insetto? - domand? Saro.
Il medico spieg?, come poteva a quei due ignoranti, il male. Qualche bestia doveva esser morta in quei dintorni, di carbonchio. Su la carogna, buttata in fondo a qualche burrone, chi sa quanti insetti s'erano posati; qualcuno poi, volando, aveva potuto inoculare il male al Zar?, in quella stalla.
Mentre il medico parlava cos?, il Zar? aveva voltato la faccia verso il muro
Nessuno lo sapeva, e la morte intanto era l?, ancora; cos? piccola, che si sarebbe appena potuta scorgere, se qualcuno ci avesse fatto caso.
C'era una mosca, l? sul muro, che pareva immobile; ma, a guardarla bene, ora cacciava fuori la piccola proboscide e pompava, ora si nettava celermente le due esili zampine anteriori, stropicciandole fra loro, come soddisfatta.
Il Zar? la scorse e la fiss? con gli occhi.
Una mosca.
Poteva essere stata quella o un'altra. Chi sa? Perch?, ora, sentendo parlare il medico, gli pareva di ricordarsi. S?, il giorno avanti, quando s'era buttato l? a dormire, aspettando che i cugini finissero di smallare le mandorle del Lopes, una mosca gli aveva dato fastidio. Poteva esser questa?
La vide a un tratto spiccare il volo e si volt? a seguirla con gli occhi.
Ecco era andata a posarsi sulla guancia di Neli. Dalla guancia, lieve lieve, essa ora scorreva in due tratti, sul mento, fino alla scalfittura del rasojo, e s'attaccava l?, vorace.
Giurlannu Zar? stette a mirarla un pezzo, intento, assorto. Poi, tra l'affanno catarroso, domand? con una voce da caverna:
- Una mosca, pu? essere?
- Una mosca? E perch? no? - rispose il medico.
Giurlannu Zar? non disse altro: si rimise a mirare quella mosca che Neli, quasi imbalordito dalle parole del medico non cacciava via. Egli, il Zar?, non badava pi? al discorso del medico, ma godeva che questi, parlando, assorbisse cos? l'attenzione del cugino da farlo stare immobile come una statua, da non fargli avvertire il fastidio di quella mosca l? sulla guancia. Oh fosse la stessa! Allora s?, davvero, avrebbero sposato insieme! Una cupa invidia, una sorda gelosia feroce lo avevano preso di quel giovane cugino cos? bello e florido, per cui piena di promesse rimaneva la vita che a lui, ecco, veniva irnprovvisamente a mancare.
A un tratto Neli, come se finalmente si sentisse pinzato, alz? una mano, cacci? via la mosca e con le dita cominci? a premersi il mento, sul taglietto. Si volt? a Zar? che lo guardava e rest? un po' sconcertato vedendo che questi aveva aperto le labbra orrende, a un sorriso mostruoso. Si guardarono un po' cos?. Poi il Zar? disse, quasi senza volerlo:
- La mosca.
Neli non comprese e chin? l'orecchio:
- Che dici?
- La mosca, - ripet? quello.
- Che mosca? Dove? - chiese Neli, costernato, guardando il medico.
- L?, dove ti gratti. Lo so sicuro! - disse il Zar?.
Neli mostr? al dottore la feritina sul mento:
- Che ci ho? Mi prude.
Il medico lo guard?, accigliato; poi, come se volesse osservarlo meglio, lo condusse fuori della stalla. Saro li segu?.
Che avvenne poi? Giurlannu Zar? attese, attese a lungo, con un'ansia che gl'irritava dentro tutte le viscere. Udiva parlare, l? fuori, confusamente. A un tratto, Saro rientr? di furia nella stalla, prese la mula e, senza neanche voltarsi a guardarlo, usc?, gemendo:
- Ah, Neluccio mio! ah, Neluccio mio!
Dunque, era vero? Ed ecco, lo abbandonavano l?, come un cane. Prov? a rizzarsi su un gomito, chiam? due volte:
- Saro! Saro!
Silenzio. Nessuno. Non si resse pi? sul gomito, ricadde a giacere e si mise per un pezzo come a grufare, per non sentire il silenzio della campagna, che lo atterriva. A un tratto gli nacque il dubbio che avesse sognato, che avesse fatto quel sogno cattivo, nella febbre; ma, nel rivoltarsi verso il muro, rivide la mosca, l? di nuovo.
Eccola.
Ora cacciava fuori la piccola proboscide e pompava, ora si nettava celermente le due esili zampine anteriori, stropicciandole fra loro, come soddisfatta.
kurtz
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R: Luigi Pirandello

Messaggio da kurtz »

tra gli italiani storici ? sicuramwnte il mio preferito!
amo tantissimo UNO NESSUNO E CENTOMILA e ENRICO IV.... libri di una complessit? rara e illuminanti
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carlo
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R: Luigi Pirandello

Messaggio da carlo »

uno nessuno centomila

http://www.classicitaliani.it/index111.htm

e l'enrico IV

http://www.classicitaliani.it/index026.htm

geniali...

Non ? facile trovare un autore di novelle e di testi teatrali che eccella in entrambi i campi, spesso chi fa ottimo teatro non ? detto che sia un ottimo "autore"... in questo caso la qualit? spicca da ogni pagina, che sia una poesia, un racconto, una commedia.
Ottima penna, comandata da un ottimo cervello.
Monia Di Biagio
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Luigi Pirandello

Messaggio da Monia Di Biagio »

:D Oh, finalmente!!!!

Ero indecisa se inserirlo io oppure no....IL MIO VATE, io lo adoro non a caso il mio primo libro ? dedicato a lui e gi? dal titolo :wink: .....
aramente,
Monia Di Biagio.

Sito http://digilander.libero.it/moniadibiagiodgl/
Forum http://moniadibiagio.mastertopforum.com

"Amor vincit omnia, Mors omnia solvit"
Monia Di Biagio
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R: Luigi Pirandello

Messaggio da Monia Di Biagio »

:D Ecco il capitolo del mio libro dedicato al mio Vate: Pirandello.

:wink: In realt? sin dal titolo si capisce che si tratta di una dedica a lui, difatti: "La Dama Bianca: un fantasma in cerca d'autore" non pu? far pensare ad altro:

Capitolo II

Il mio progetto


Dopo quella notte, quasi insonne, il mio progetto era ormai chiaro e ben delineato: la famigerata Dama Bianca era ormai, certamente, per me, un ?Fantasma in cerca di Autore? ed io sarei volentieri divenuta la sua autrice! Forse alcuni di voi collegheranno questo titolo ai: ?Sei personaggi in cerca d?autore? di Pirandello?..

In effetti ? proprio cos? in onor dell?Autore che pi? amo, che ho letto e riletto, e del quale ho visto tutte le opere rappresentate a Teatro! Infatti, nel 1910 Pirandello si decise ad affrontare anche le scene, pur avendo scritto fin dall'adolescenza testi teatrali. Dopo aver ottenuto un buon successo con ?Pensaci, Giacomino!? e ?Liol?? (entrambi del 1916), egli precis? i nuclei fondamentali della propria ispirazione con ?Cos? ? (se vi pare)? (1917) e Il giuoco delle parti (1918). L'anno decisivo per la notoriet? pirandelliana fu il 1921, quando, per la sua audacia sperimentale, il dramma ?Sei personaggi in cerca d'autore? prima venne fischiato a Roma e poco dopo ottenne a Milano un clamoroso successo, che prosegu? subito dopo in America e che continua tuttora.
E se conosco bene Pirandello, per il quale provo una sincera devozione, sono certa che se lui avesse avuto la Dama Bianca tra le mani, di certo non se la sarebbe fatta scappare, ed oggi anch?essa farebbe parte di soavi pagine della Letteratura Italiana!
Luigi Pirandello ? considerato, infatti, il pi? innovativo narratore e drammaturgo del primo Novecento. Con Sei personaggi in cerca d'autore (1922) inaugur? una trilogia dedicata al ?Teatro nel Teatro?. Analoghi temi vennero trattati nelle opere narrative di Pirandello, da ?Il fu Mattia Pascal? (1904) ad ?Uno nessuno e centomila? (1926). Lo scrittore ebbe il premio Nobel per la letteratura nel 1934. Nel 1901 Pirandello pubblic? il suo primo romanzo, che segna il passaggio dal modello narrativo verista, allo stile ?umoristico?, cio? a una caratteristica mescolanza di tragico e comico, che da quel momento avrebbe caratterizzato tutta la produzione pirandelliana.

Luigi, non guardarmi cos?! Tu in fin dei conti hai esordito con ?L?esclusa?, lascia a me l?onore ed il piacere di esordire con ?La Dama Bianca??.Cos? ?, se vi pare!
Fatta questa dovuta digressione, che personalmente mi ? servita a far pace con la mia coscienza, perch? non si tratta di scopiazzare un titolo, ma di esaltare un?opera ispirandomi ai buonissimi insegnamenti che giungono dal passato?.Riprendiamo il discorso da dove lo avevamo lasciato!
Cos?, dopo quella tormentata notte, caratterizzata da vigili pensieri che pericolosamente si inerpicavano sul viottolo, dei desideri difficili da realizzare, la prima cosa che feci di buon mattino, invece di rilassarmi, e prendermi una giornata di acclamata pausa e relax, perch? avevo appena terminato un libro, fu di riaccendere il computer, di riconnettermi ad internet, andare su ?preferiti? per cercare di ricollegarmi a quel sito, per saperne qualcosa di pi? sulla Dama Bianca, prima di iniziare le mie personali indagini?.ma niente?.il nome di quel sito che io ero certa di aver accuratamente salvato?.su preferiti non c?era pi??scomparso !
> Non ricordavo neanche pi?, se la notizia l?avevo letta veramente o se era stato tutto un sogno?tanto ero stanca, per le ?ore piccole? fatte la sera prima!
Comunque, come nella storia di Pollicino, avevo ancora alcune briciole a disposizione, in mente quell?evanescente articolo, che mi indicava la via da percorrere e tra le mani una pagina bianca e tanta voglia di cominciare a scriverci sopra!
Cos? indossai il cappotto, ombrello alla mano perch? pioveva a dirotto, e mi recai al Bar pi? vicino a casa mia. Perch? proprio un Bar? Perch? a mio avviso ? il luogo in cui, comunemente si possono scoprire numerose cose, perch? l? la gente ? pi? disposta a parlare, a conversare ed a confrontarsi.
Questa era la mia brillante idea?in realt? l? sul posto, sorseggiando un buon caff?, prima presentandomi, poi chiedendo il permesso di fare alcune domande, poi ponendo i miei interrogativi sulla Dama Bianca, al contrario di ogni mia pi? ottimistica previsione, nessuno dei presenti, volle raccontarmi niente!
Il barista mi disse soltanto che era tutta una storia inventata, e portata avanti da pi? persone per, come si suol dire, ?tirare l?acqua al proprio mulino? e che il momento dell?apparizione, su Viale Roma, fosse stato sceneggiato da alcuni ragazzi, per prendersi gioco dei pi? creduloni, ma che il loro ridicolo piano and? a farsi benedire quando l?avvistamento lo ebbe una volante della Polizia!
E sui poveri ragazzi, imbacuccati da fantasmi, cal? il sipario di una bella denuncia, per disturbo della quiete pubblica!
Questa, non gradita notizia, non mi fece retrocedere neanche di un passo, dalla mia precedente decisione. E se poi dei ragazzi si erano mascherati anzitempo da fantasmi, perch? non si era nel periodo carnevalizio, ma in estate, che cosa c?era di male? Anzi, al posto di denunciarli, si sarebbe potuto stimare la loro fantasia giocosa, perch? per una volta tanto, invece di rinchiudersi in una assordante discoteca, avevano deciso di trascorrere una serata diversa dal solito! E diversa dal solito, di farla trascorrere anche agli altri !
Questa fantasia giovanile era da premiare, almeno dal mio punto di vista, e non mi scoraggiai per nulla, ma decisi, alla fine di quel caff?, in onor di quella stessa ?fantasia? che non era del tutto scomparsa dalla nostra ?elettrica? societ?, di andare avanti con le mie indagini!
Fortunatamente quel barista, oltre a negare tutto, mi disse che comunque per maggiori informazioni, avrei potuto telefonare alla redazione de ?la Nazione? di Massa e chiedere di un suo amico giornalista che si era, nottetempo, occupato del caso!
Telefonai subito!
In realt? ad occuparsi del caso ?Dama Bianca? era stata una gentile, affabile, paziente, disponibile, giornalista de ?La Nazione?, che mi diede subito appuntamento per il mattino seguente, addirittura anticip? l?orario di lavoro di 1 h. e mezza, per aiutarmi a rintracciare nell?archivio di tutti gli articoli usciti su ?La Nazione? nella cronaca di Massa-Carrara tra giugno e settembre 2000, quelli che appunto riguardavano La Dama Bianca! In seguito, ha anche acconsentito a redigere la prefazione del mio libro.
Grazie S.T.!
Nel capitolo che seguir?: la cronaca di tutti gli avvistamenti della Dama Bianca, quelli noti e portati a conoscenza dell?opinione pubblica, ovvero solo quelli di coloro che in qualche modo hanno avuto il ?coraggio? di ricordare lo spiacevole incontro e di raccontarlo a tutti senza temere di essere additati come pazzi visionari dal resto della Cittadina massese, perch? si sa ?quando il paese ? piccolo, poi la gente mormora?! Difatti io credo che siano state molte di pi? le persone che l?hanno incontrata, durante le calde passeggiate serali estive?.Ma solo in pochi non si sono vergognati di dire ?l?ho vista anche io!?
Ecco, di quelle quasi tre ore di lavoro, trascorse nell?archivio della redazione, a ?spulciare? tra vecchi e mastodontici fascicoli, cosa abbiamo tirato fuori: tutti gli articoli, datati, che riguardano la Dama Bianca di Massa, le descrizioni e le spaventose sensazioni di chi ha avuto la disgraziata coincidenza di incontrarla!
aramente,
Monia Di Biagio.

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R: Luigi Pirandello

Messaggio da carlo »

interessante Monia, ti parler? presto di un idea che ho da tempo....


testi di pirandello in rete:

L'esclusa:

http://www.crs4.it/Letteratura/Esclusa/Esclusa.html

il fu mattia pascal:

http://www.crs4.it/Letteratura/FuMattia/FuMattia.html

il turno:

http://www.crs4.it/Letteratura/IlTurno/IlTurno.html


una giornata:

http://www.crs4.it/Letteratura/Giornata/Giornata.html


due racconti tratti da "una giornata"

Una sfida

Forse Jacob Shwarb non pensava nulla di male. Solo, forse, di far saltare tutto il mondo con la dinamite. Ma sarebbe stato male, certo, far saltare uno solo. Tutto il mondo, con la dinamite, non voleva dire proprio nulla. A ogni buon fine, credeva gli convenisse tener la fronte nascosta sotto un gran ciuffo arruffato di capelli rossastri.
Gran ciuffo. Mani affondate nelle tasche dei calzoni. Operajo disoccupato.

Si ribell? quando, ammesso all'ISRAEL ZION HOSPITAL di Brooklyn per una grave malattia di fegato, fu tosato. Senza pi? i capelli, ebbe la sensazione che gli fosse quasi svanita la testa. Se la cerc? con le mani. Non gli parve pi? la sua e s'infuri?.

Voleva sapere se, con questa soperchieria che gli avevano fatta, lo volevano considerare pi? come ergastolano che come ammalato.

Motivo d'igiene?

Se n'infischiava lui dell'igiene.

Oh guarda un po'!

Meno male che, in mancanza di capelli, gli restavano ancora le grosse sopracciglia spioventi, sempre aggrottate, per covare negli occhi torbidi il rancore contro tutti e contro la vita stessa.


Per tutto il tempo che rimase all'ospedale, Jacob Shwarb non pot? dire di che colore propriamente fosse, se pi? giallo o pi? verde, a causa di quella malattia di fegato che gli diede tormenti senza fine e un umore che si pu? bene immaginare.

Coliche terribili.

D'estate, due mesi, in una corsia dove di giorno e di notte tutti gli ammalati si lamentavano e chi non si lamentava pi? segno ch'era morto; smanie, sbuffi; coperte che facevano il pallone ora su un letto ora su un altro o, in un moto d'esasperazione, erano buttate all'aria, e subito allora un accorrere precipitoso d'infermieri o di sorveglianti notturni.

Jacob Shwarb li conosceva tutti a uno a uno quei sorveglianti notturni e per ciascuno aveva un'antipatia particolare. Particolarissima, quella per un certo Jo Kurtz che talvolta, per la stizza che gli suscitava, lo faceva perfino ridere; s'intende di quel riso che fanno i cani quando vogliono mordere.

Infatti questo Jo Kurtz aveva un modo tutto suo speciale d'esser dispettoso. Non parlava mai, se non proprio forzato; non faceva nulla; sorrideva soltanto d'un frigido sorriso che, non contento di stirargli la bocca dalle labbra bianche e sottili, gli s'appuntiva anche negli occhi pallidi bigi; e sempre teneva la testa piegata su una spalla, una testa d'avorio senza un pelo; e sempre come appese al petto, sul lungo c?mice bianco, le grosse mani slavate.

Forse non capiva quale e quanta incompatibilit? ci fosse tra questo suo perpetuo sorriso e i lamenti continui dei poveri ammalati, perch? veramente non si poteva ammettere che, capendolo, potesse seguitare a sorridere cos?. Tranne che, all'insaputa degli ammalati, tutti quei loro lamenti non avessero ai suoi orecchi un che di comico e piacevole, fatti com'erano in vari toni, con diversa intensit?, alcuni per abitudine, altri per un modo di darsi sfogo o conforto, e tutti insomma tali da comporre per lui una curiosa e divertente sinfonia.

Costretto a vegliar tutta la notte, ognuno s'ajuta contro il sonno come pu?.

Ma poi anche Jo Kutz aveva forse da sorridere cos? ai suoi pensieri. Poteva anche essere innamorato, sebbene in tarda et?. E forse da tutti quei lamenti s'astraeva in un beato silenzio ch'era soltanto della sua anima bennata.


Ora, una notte che la corsia era insolitamente calma e lui solo, Jacob Shwarb, soffriva di non trovar pi? requie un momento in quel letto che da due mesi sapeva tutti i suoi tormenti, era appunto di guardia questo sorvegliante Jo Kurtz.

Spente tutte le lampade, tranne quella per il sorvegliante, riparata da una v?ntola di mantino verde sul tavolino della parete di fondo, un gran chiaro di luna entra da tutti i finestroni della corsia e segnatamente da quello pi? grande, aperto, nel mezzo della parete dirimpetto.

Comprimendo quanto pi? pu? gli spasimi Jacob Shwarb osserva dal suo letto Jo Kurtz seduto davanti al tavolino con la faccia d'avorio illuminata dalla lampada e, per quanto abbia in odio l'umanit?, si domanda come si possa sorridere a quel modo, come si possa restare cos? indifferente, stando di guardia ad una corsia d'ospedale dove un ammalato si dibatta come si dibatte lui; in un orgasmo crescente di punto in punto fin quasi a farlo diventar pazzo, pazzo, pazzo. All'improvviso, chi sa come, gli salta in mente un'idea: quella di vedere se Jo Kurtz rimarr? cos?, se ora lui lascia il letto e va a buttarsi da quel finestrone aperto in fondo alla corsia.

Non vede ancor chiaro da che sorga propriamente in lui cos? d'improvviso questa idea: se pi? dall'esasperazione ormai incontenibile della sua sofferenza, che gli appare ferocemente ingiusta in quella notte di calma di tutta la corsia, o pi? dal dispetto che gli fa Jo Kurtz.

Fino al momento di lasciare il letto non sa ancor bene se la sua vera intenzione sia quella d'andarsi a buttare dalla finestra o non piuttosto di mettere a prova quella indifferenza di Jo Kurtz, di sfidare quella sorridente placidit? per il disperato bisogno d'offrirsi uno sfogo con lui: con lui che certamente ha l'obbligo d'accorrere a trattenerlo, vedendogli lasciare il letto senza prima averne ottenuto il permesso.

Il fatto ? che Jacob Shwarb butta all'aria le coperte e springa ritto in piedi, proprio in atto di sfida, sotto gli occhi di Jo Kurtz. Ma Jo Kurtz non solo non si muove dal tavolino, ma non si scompone nemmeno.

D'agosto, fa un gran caldo. Pu? credere che l'ammalato voglia andare a prendere un po' d'aria alla finestra.

Tutti sanno che lui, Jo Kurtz, ? di manica larga e indulgente verso gli ammalati che trasgrediscono a certe inutili prescrizioni dei medici.

Forse, a osservar bene addentro, si potrebbe scoprire in quel suo sorriso che lui chiuderebbe un occhio, anche se indovinasse che l'intenzione dell'ammalato ? proprio quella d'andarsi a buttare dalla finestra.

Ha forse il diritto d'impedirglielo, lui Jo Kurtz, se poverino quell'ammalato soffre da non poterne pi?? Lui ne ha, se mai, solo il dovere, perch? quell'ammalato ? sotto la sua sorveglianza. Ma potendo seguitare a supporre che l'ammalato abbia lasciato il letto solo per un momentaneo refrigerio, ecco che la sua coscienza ? a posto, pu? render ragione di non essersi mosso; e l'ammalato poi faccia quello che vuole: se vuol togliersi la vita, se la tolga pure; ? affare suo.

Intanto Jacob Shwarb s'aspetta d'esser trattenuto, prima d'arrivare al finestrone in fondo alla corsia; ? gi? quasi per arrivarci, e si volta fremente di rabbia a guardare Jo Kurtz: lo vede ancor l?, seduto impassibile al suo tavolino, e tutt'a un tratto si sente come disarmato: non sa pi? n? andare avanti n? tornare indietro.

Jo Kurtz seguita a sorridergli, non per fargli dispetto, ma per fargli comprendere che capisce benissimo che un ammalato pu? aver tante necessit? di lasciare momentaneamente il letto: basta che ne domandi, anche con un piccolo segno, il permesso. Ora pu? senz'altro interpretare che con quel suo fermarsi a guardarlo l'ammalato gliel'abbia chiesto; china pi? volte la testa per dirgli che sta bene e gli fa cenno con la mano che vada pure, vada pure.

E' per Jacob Shwarb, il colmo del dileggio, la risposta pi? insolente alla sua sfida. Ruggendo, leva i pugni, digrigna i denti, corre verso il finestrone e si precipita gi?.

Non muore. Si spezza le gambe; si spezza un braccio e due costole; si ferisce anche gravemente alla testa. Ma, raccolto e curato, guarisce di tutte le sue ferite non solo, ma per uno di quei miracoli che sogliono operare certi violenti insulti nervosi guarisce anche della malattia di fegato. Dovrebbe ringraziare Iddio, se anche a costo di tutte quelle ferite ? scampato, fuggendo cos? precipitosamente per la finestra, alla morte che gli era forse riserbata, se fosse rimasto ad aspettarla fra i tormenti all'ospedale. Nossignori. Appena guarito, consulta un avvocato e cita l'ISRAEL ZION HOSPITAL a pagargli venti mila dollari di danni per le ferite riportate nella caduta. Non ha altro mezzo di vendicarsi di Jo Kurtz. L'avvocato gli assicura che l'ospedale pagher? e che Jo Kurtz sar? certamente licenziato. Difatti, se gli ? avvenuto di buttarsi dalla finestra, la colpa ? della negligenza e della mancata sorveglianza dell'ospedale.

Il giudice gli domanda: - Ma t'ha forse preso qualcuno e costretto a buttarti dalla finestra? Il tuo atto fu volontario. - Jacob Shwarb guarda l'avvocato, e poi risponde al giudice:

- Nossignore. Io ero sicuro che me l'avrebbero impedito.

- Il sorvegliante?

- Sissignore. Era suo obbligo. Invece, non si mosse. Aspettai che si movesse. Gli diedi tutto il tempo; tant'? vero che, prima di buttarmi, mi voltai a guardarlo.

- E lui che fece?

- Lui? Niente. Come fa sempre, mi sorrise e, con la mano, mi fece: "vai pure, vai pure".

Difatti Jo Kurtz, anche l? davanti al giudice, sorride. Il giudice se n'indigna e gli domanda se ? vero ci? che dice Jacob Shwarb.

- S?, Vostro Onore, - gli rispose Jo Kurtz, - ma perch? credetti che volesse prendere un po' d'aria.

Il giudice batte un pugno sulla tavola.

- Ah, voi credete questo?

E condanna l'ISRAEL ZION HOSPITAL a pagare a Jacob Shwarb venti mila dollari di danni.







Il buon cuore

Uh poi, vendere i figliuoli: come le piglia lei le cose! Non s'? voluto far danno a nessuno; anzi, il bene di tutti; e se la cosa poi ? andata a finir cos? male, creda che la colpa ? soltanto del buon cuore.
Del resto, i figliuoli, c'? anche il modo di comperarli legalmente. Quando non si possono avere, s'ad?ttano. Ma questo non era un modo per il marito e la moglie di cui vi parlo. L'adottare un figliuolo, a loro, non sarebbe servito a niente. Il figliuolo lo dovevano fare, fare carnalmente, per via d'una grossa eredit? lasciata a questa condizione da una zia bisbetica: che se l'erede non fosse venuto entro i dieci anni, l'eredit? sarebbe andata ai trovatelli d'un istituto detto degli Oblati. C'? di queste zie bisbetiche, agre zitellone, che si sentono venir male al pensiero di beneficare i parenti che conoscono; e assaporano in segreto il dispetto che faranno, mettendo nei loro testamenti le vendette distillate o le minacce e i batticuori di certe arzigogolate disposizioni.

Il nipote s'era accortamente premunito, scegliendosi una bella moglie prosperosa, che gli desse garanzia di molti figliuoli. Come, la garanzia? Eh, come! Ho capito che lei mi vorrebbe tirare a parlar sboccato. A occhio, s'intende; stimando quanto la sposa prometteva dal seno, dai fianchi, dai bei colori della salute e della giovent?.

Ma neanche a farlo apposta, quando si dice la disgrazia!

Il primo anno, ancora risero; il secondo meno; poi al terzo cominciarono a impensierirsi; e pi? al quarto, con sorde bili e segreti rancori; finch? non proruppero, al quinto, nella sguajataggine di certi raffacci: ti vorrei far vedere per chi manca; ringrazia Dio che sono una donna onesta e certe prove non me le sogno nemmeno di fartele.

La donna, si sa, ? sempre quella che parla di pi?. Cimentosa: tocca a te e non a me.

Tocca? che tocca?

Per quel che toccava a lui, sfidava a trovare una donna che avesse il coraggio di lamentarsi.

Lei non si lamentava.

E allora? Che altro voleva da lui? Per quel che lui ci doveva mettere, in cinque anni, non uno, ma un reggimento di figli avrebbe potuto fargli.

Figurarsi dunque la gioja, che dico la gioja, il tripudio quando la moglie, ammansita, una mattina, gli fece intendere che le pareva di aver motivo di credersi incinta. Chi sa perch?, questa confidenza le donne la fanno sempre tenendo gli occhi bassi. Lui parve impazzito; corse a gridarlo in casa di tutti i parenti e amici e conoscenti; per miracolo non lo grid? per le strade e non mise le bandiere a tutte le finestre: il figlio! il figlio!

Se non che, tutt'a un tratto, quando la gravidanza gi? pareva perfino esagerata, non giunta ancora neanche al quinto mese, avvenne una cosa che potrei lasciare intendere, ma dire precisamente, no. Una di quelle disgrazie, o, a dir dei medici, fenomeni che, rari, ma pare sogliano avvenire. Avete insomma veduto quei bei palloni colorati che si comprano per i bambini nelle fiere, che a soffiar nel cannellino si gonfiano e poi, a levare il dito, si sgonfiano sonando? Cos?, ma senza suono. Insomma, il figlio, fatto d'aria, sfum?.

Immaginatevi quel poveretto dopo tanta allegrezza, la mortificazione di doverlo annunziare, la prima volta. La seconda almeno se la risparmi?, perch? ebbe la prudenza di non far sapere a nessuno che la moglie credeva d'essere di nuovo incinta. La terza... Ecco, fu per pura combinazione, per uno di quei casi non cercati che vengono a proposito e si dicono mandati da Dio, bench? a una che faccia professione di portare al mondo dei figliuoli accadano di frequente.

- Io? Osi venir da me, ragazza mia, per queste cose? E non sai che c'? la galera? Nascondi quanto vuoi, poi si viene a sapere, e chi ci andrebbe di mezzo, sarei io. No, no. E poi, peccato mortale. Non te lo credevi, eh, lo so; dite tutte cos?; ma ? pure da aspettarselo, quando si fanno certe cose.

E ora vieni da me, perch? io abbia piet??

Era per?, veramente, una di cui non si sarebbe detto che l'avesse fatto per vizio, e nemmeno sapendo il male che si faceva; una ragazzona di diciassett'anni, pastosa e vermiglia come una pesca, con certi occhi abbambolati, che ci s'era trovata senza sapere come, presa alla sprovvista mentre, s?, un po' per ridere, faceva all'amore, alla guerriera, e non capiva bene dove alla fine, nel calore dello scherzo, abbandonandosi, si pu? arrivare.

Ora, ecco, senza far male a nessuno, anzi, com'ho detto, facendo il bene di tutti, si combin? cos?: che lei, la ragazza, non doveva far saper niente a nessuno, nemmeno alla sua mamma; si sarebbe messa a servizio di una certa signora, la quale al contrario avrebbe fatto sapere a tutti che aspettava per la terza volta un bambino, e che questa volta sperava di portarlo a compimento, andando per consiglio del medico a maturarlo in campagna, all'aria sana; l? nessuno le avrebbe vedute, ma con discrezione e senz'esagerare; anzi la signora, che pareva veramente incinta, si sarebbe, occorrendo, mostrata: in modo che la cosa venisse naturale. S?, sono incinta, ma che c'entra? se c'? bisogno, eccomi qua; e anche lei, la servetta, fino a tanto che la grossezza non avesse dato nell'occhio, per quanto in campagna a queste cose non ci si bada; alla fine, al momento del parto, i gridi dell'una sarebbero parsi quelli dell'altra, e il bambino da un letto, appena nato, sarebbe passato all'altro, senza che lei nemmeno lo vedesse. Tanto, non lo voleva. L'avrebbe avuto l'altra che lo desiderava invece cos? ardentemente; e sarebbe stato ricco e felice, mentre con lei, se pure fosse arrivato a nascere, chiss? che disgraziato sarebbe stato, senza padre, senza nome, senza stato, in un ospizio di trovatelli. E poter dare per giunta, una volta tanto, a questa professione di portare al mondo i figliuoli in certe tane di miseria, dove patiranno tutti gli stenti e anche la fame, la soddisfazione di far cangiare almeno a uno lo stato: invece di portarlo in un covo di spine, portarlo in un letto di rose.

Ma era andata anche meglio di cos?, perch? il signore, non contento d'aver salvato dal disonore e fors'anche dal delitto la ragazza, le volle assegnare anche una dote di venticinque mila lire, che poi i maligni, quando si riseppe ogni cosa, dissero il prezzo del bambino, brutto spilorcio, usurajo profittatore; venticinque mila lire per un bambino che avrebbe invece salvato a lui una cos? grossa eredit?; senza voler pensare che per quella ragazza, che non voleva esser madre, quel bambino non aveva altro prezzo che quello del peccato e del disonore; e che quella dote era pur bastata a richiamare il giovine che aveva rovinata la ragazza e a fargliela sposare. Giovani, e con la prova gi? fatta, se avessero voluti altri figliuoli, avrebbero potuto farne a piacer loro, senza tener pi? conto di quel primo, che davvero non era poi da compiangere, ricco e beato in una casa di signori.

Tutto, cos?, era andato liscio in porto: il matrimonio dei giovani, col pagamento della dote gi? fissato in un assegno da riscuotere subito dopo il parto; la gravidanza della signora che sembr? vera a tutti, e quella della ragazza di cui non riusc? ad accorgersi n? a sospettar nessuno; ma che paura nera, specie negli ultimi mesi, a sentirsi, sotto certi occhi che le guardavano, come inghiottite dalla finzione che facevano, l'una d'essere incinta, e l'altra di non esserlo; lui, il signore, si faceva rivedere in citt? di tanto in tanto; riportava ai parenti e agli amici i progressi del nascituro, attecchito per davvero questa volta. Ma s?! figurarsi che gi? si moveva; gliel'aveva fatto tastar con la mano la moglie (ed era lei, invece, la moglie, che l'aveva tastato con la mano sul ventre della ragazza, esclamando con un tremore di gioja e di ribrezzo insieme: - Uh, s?, davvero, gi? tira i calcetti! tira i calcetti!), e poi la felice nascita del bambino, denunciata e iscritta sotto il nome dei finti genitori: e assicurata cos? in tempo la grossa eredit?.

Fu il buon cuore. La colpa fu proprio soltanto del buon cuore, all'ultimo momento, allorch? la signora, con tutto quel suo bel seno di cera, da tenere esposto tra i merletti in vetrina, si trov? senza una goccia di latte da dare al bambino affamato, mentre di l? la ragazza spasimava col petto gonfio, da cui il latte sprizzava come da due fontanelle. Si perdettero proprio per questo: per quel latte che sprizzava e per quella boccuccia di bimbo che voleva succhiare.

Tant'? vero che avviene sempre cos?, che pi? d'ogni ingegno vale la forza della natura. Dovevano aver pronta una b?lia in citt?, e subito partire col bambino, senza nemmeno lasciarlo vedere alla ragazza; invece la signora si impietos?, pens? che nessun'altra, meglio della madre vera, avrebbe potuto allattare il bambino, e corse lei stessa ad attaccarglielo al petto. Tutto il male venne di qui. Combinarono che, ritornati in citt?, la ragazza avrebbe figurato da b?lia; tanto il marito gi? l'aveva con s?. Ma appunto, gi? col marito accanto, ch'era il padre vero del bambino, la madre, che per nove mesi l'aveva portato in s? e poi con tanto dolore partorito, ora che se lo serrava tra le braccia, attaccato al petto suo, carne sua, sangue suo, poteva pi? darlo a un'altra?

S?, c'erano i patti, c'erano tutte le ragioni in contrario, tutti falsi che ora si sarebbero scoperti, l'eredit? perduta, e la prigione, la prigione per tutti. Ebbene, la prigione, ma il figlio no; il figlio quella madre non lo poteva pi? dare a nessuno ora che se l'era attaccato al seno: era suo e non lo poteva pi? dare a nessuno.

Cos? furono tutti imprigionati, il signore, la signora, la levatrice, il giovine, la ragazza e per forza anche il bambino con lei. Tutti, sotto una diversa imputazione; e sotto pi? imputazioni, una pi? grave dell'altra, ciascuno; e alla fine, imprigionati per nulla, perch? per le furie con cui la ragazza aveva difeso il bambino contro tutti e contro il suo stesso marito, il latte le si guast? e in carcere il bambino mor?, e tutti rimasero come statue di sale in attesa della condanna, a mani vuote.
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Messaggio da Monia Di Biagio »

:wink: Sar? certamente di parte, molto di parte, ma ? dimostrato anche con le due novelle da te appena pubblicate, che la narrativit? di Pirandello non ha eguali, ? un genio della parola, del raccontare: cos? scorrevole, bello ed intrigante nella sua professionale semplicit?. D'altronde quando si sceglie un mentore, bisogna sceglierselo bene, no? Tra l'altro conservo ancora con orgoglio quell'abbonamento alla stagione teatrale Pirandelliana, del Quirino, che tanto tempo fa, appena scoperto il buon Luigi, era praticamente divenuto la mia seconda casa...

E la tua idea :idea:?
aramente,
Monia Di Biagio.

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Messaggio da carlo »

la mia idea? Un grande... :D
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Messaggio da carlo »

"Rifiutare di avere opinioni ? un modo per non averle. Non ? vero?"


"Confidarsi con qualcuno, questo si ? veramente da pazzo."


"Basta che lei si metta a gridare in faccia a tutti la verit?. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza."
Rispondi