Enrico Pietrangeli intervistato da Lisa Massei

Le interviste di NA a cura di M. Di Biagio e L. Massei
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Enrico Pietrangeli intervistato da Lisa Massei

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INTERVISTA A ENRICO PIETRANGELI


D: Dopo alcuni anni che ti hanno visto più o meno costantemente presente in Rete nell’ambito poetico, hai pubblicato della narrativa con un tuo romanzo d’esordio: ‘In un tempo andato con biglietto di ritorno’ .  Quel che più mi ha colpito del tuo libro è lo spirito ironico con cui tratti argomenti difficili e duri… uno spirito che accompagna tutta la storia, anche nei momenti difficili dei tuoi personaggi…

R: Una specificità del tratto ironico era ricaduta sul mio stile, nel divertissement strutturale, ma non era stata osservata nello spirito dell’intera vicenda, quella umana, che pure ha consistenza nell’ happening narrativo - musicale (finestra di colore ed identità su di un’epoca) che contraddistingue il libro. Sì, c’è uno spirito che aleggia ovunque, nei momenti spensierati come in quelli più difficili: è tutta la spontaneità dell’adolescenza dei protagonisti, ricca di sincera e libera ricerca. Tutto questo permane, attraversa persino la tragedia e, sia pure tra qualche velata nostalgia, s’identifica negli stessi protagonisti non più adolescenti e nondimeno ancora prodighi di vitalità.

D: Lo spirito anni ’70 che si respira fra le pagine del tuo romanzo mi ha incuriosito… forse perché capita sempre più spesso di leggere libri di esordienti sempre più ‘al passo con i tempi’. Che significato hanno per te gli anni ’70?

R: Sono un po’ l’anima delle cose di un mondo rimasto senza. Restano i vinili, le mode, i miti, ma lo spirito è tutt’altro che quello. Sono contento che ti abbia incuriosito, vuol dire che ci sarà pure un modo per continuare a sognare, oltre una generazione, magari più consapevolmente e senza marcare troppe nostalgie.

D: La sensazione che ho avuto leggendo il tuo libro è che per quanto i personaggi soffrano e cerchino di cambiare, di lottare, alla fine non vivono con rassegnazione completa, non so come spiegarmi, sembra di respirare sempre una vena di positività anche nella peggiore delle situazioni, come se volessi dire che alla fine la vita è questo, ed è bella proprio perché non è semplicemente rose e fiori…

R: Scriverlo è stato per me non solo cercare di recuperare l’aspetto adolescenziale ma anche di raccontarlo per quel che era, tanto nella sua spontaneità di amore e condivisione quanto nel rischio di perdizione incombente. Il tutto in uno sfondo di sintesi sul periodo, riportato attraverso una trama che scorre velocemente nell’arco di una stagione… Personaggi costretti a crescere, ognuno nei piccoli o grandi eventi della rispettiva vita. Qualcuno muore, non ce la farà, altri sopravvivranno, anche alla rassegnazione, al frustrante senso di esserci per inerzia. Un romanzo in cui il protagonista Lorenzo, per quanto malandato, ne esce vivo. E’ emblematico, nel finale, come riesca a provare umana compassione anche per Pierre, il negativo di tutta la vicenda, moralmente corresponsabile nella morte di Lucia, il suo grande amore. C’è positività, a partire da Lorenzo, voglia di riscatto in un umano confronto, che non cede a dell’ottimismo gratuito. Si percepisce una spiritualità di fondo e dello ‘spirito ironico’, per dirla con le tue parole, che non può non giovarci di un qualche sollievo, anche nella peggiore delle ipotesi.


D: Molti sono i riferimenti alla religione, soprattutto orientali (più di un capitolo del tuo libro riporta agli Hare Krishna). Infine lo stesso protagonista, Lorenzo, sembrerebbe poi avere una qualche crisi religiosa che lo riporta all’infanzia, ad una presunta innocenza. E tu, credi in Dio?

R: Sì, asseconda la mia natura, mi sollecita ad una logica creativa e trascende attraverso il pathos del pensiero. Fare a meno di Dio per me sarebbe un po’ come fare a meno della poesia, andrei contro la mia natura. Quello di Lorenzo è un regredire nel dolore, che diviene straziante di fronte alla morte fino a farlo delirare per poi riscoprirsi nell’infanzia, cullato nel retaggio di un Gesù, come lui, bambino. Gli Hare Krishna ricorrono come tema introduttivo, punto d’incontro e confronto tra due epoche, luogo dove saldare le radici di lontane amicizie. Referenti, ma non i soli, di una dilagante spiritualità orientale che, negli anni Settanta, entrava nella quotidianità occidentale. Con loro si chiude il cerchio tra i dialoghi ed il narrato della vicenda.

D: Il tuo romanzo si sviluppa in un’ambientazione perlopiù urbana, Roma soprattutto, ma anche Firenze e Milano, cogliendo anche gli aspetti tipici della provincia dei tempi, quelli della campagna rurale di trent’anni fa… Dici molto dell’Italia dell’epoca… ma qual’ è la cosa che più ami e più odi del tuo paese?

R: Una domanda che preferirei, in parte, eludere. Di fondo mi sento italiano, con tutto l’ingombrante fardello che comporta esserlo. Amo poche cose, ma intensamente, di questo mio bel paese. Ne detesto molte. Resto fiducioso nelle sue grandi risorse. Quello che spero di aver reso nel mio romanzo è uno spaccato d’epoca, del neorealismo, a partire dai personaggi: gente comune. Si alternano e si confrontano, nel corso della narrazione, situazioni e culture non ancora del tutto omologate tra la metropoli ed i piccoli centri rurali, soprattutto meridionali, evidenziandone alcuni aspetti.

D: Bene, è giunta la fine… fatti tutta la pubblicità che vuoi…

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Intervista realizzata da:
Lisa Massei – Mielenero
09/09/06
Ultima modifica di carlo il 15/12/2008, 19:40, modificato 1 volta in totale.
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