Chet Baker

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hombre sincero
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Chet Baker

Messaggio da hombre sincero »

Volto d'angelo cuor di demonio!, cos? il pm all'indomani dell'arresto di Chet Baker, in un autogrill della riviera toscana, defin? la pi? grande faccia da schiaffi che il jazz ha conosciuto.
Ma chi era Chet Baker? Il sonnolento belloccio che sbirciava dalla campana del suo strumento, incendiando l'ennesima sigaretta ad occhi bassi, cantando con voce d'efebo ed intonazione verginale o l'eroinomane cattivo e violento, il tritacuori e arraffagrana, il bugiardo patentato o la vittima di un sistema incapace di accettare il diverso, l'ambiguo, il fragile?
La droga per Chet Baker non ? stata la solita macchietta jazzistica, il tormentone che rimpinza le biografie di mille musicisti per cui prima o poi tutti si sono fatti. E' stato di pi?: un leit motiv funebre, una scommessa continua, una devastante coazione a ripetere, che non lasciava spazio a nessuno, forse solo alla musica, non tanto perch? ? catarsi e liberazione, ma perch? suonare ? sempre stata l'unica cosa che Baker abbia saputo fare bene, con grazia elementare, una superbia che solo l'autodidatta, il dotato, poteva avere.
Molti fra coloro che lo hanno conosciuto non riuscivano irresponsabile, privo di qualsiasi forma di metodo. Chet suonava e basta, e poteva far risuonare la sua voce esattamente con lo stesso timbro della sua tromba, quasi che fosse un imprinting naturale, una dote che poteva negromanticamente trasmettere a tutti gli oggetti; come il Dottor Dolittle o San Francesco, Chet Baker parlava, non tanto con gli animali (spacciatori a parte) ma con le sue note e con quelle comunicava, in uno stato di trance che non era frutto di mistiche vette d'ispirazione ma di speedball, palfium, mescalina e benzedrina: insomma di qualsiasi cosa ci si potesse iniettare in una vena.
Le mogli, i figli, i genitori, gli amici pi? stretti, i sentimenti pi? prossimi alla vita di ciascun essere umano semplicemente non riguardavano l'uomo Chet, non lo interessavano, o almeno mai quanto le belle macchioline e i piaceri notturni ed il jazz naturalmente, quello che port? a vette sublimi con il suo timbro di cotone fresco, con le sue collaborazioni storiche (quella con il baritonista Gerry Mulligan e del loro quartetto che fece la rivoluzione cool: jazz che chiamarono da camera, privo del sostegno del pianoforte) ma anche una musica sorda alle ispirazioni artistiche, wagneriane, musica invece trattata da mercenario. Chet era il lanzichenecco del pentagramma, il jazz lo usava negli ultimi anni per qualche spicciolo in pi?, per colmare immensi debiti e per non farsi tallonare dalla mala all'ennesimo debito promesso e mai rispettato, pochi sono i dischi italiani degli anni ottanta che non lo annoverino come ospite speciale, e a lui andava bene cos?, un paio di soffi e poi in albergo a bucarsi. E la presenza dei pusher nella vita di Chet Baker rappresenta la sintesi junghiana per eccellenza dell'ombra, di tutto ci? che ci insegue dall'inconscio e viene espettorato nella vita di tutti i giorni.
A Chet cost? caro non aver rispettato gli impegni con i propri creditori, cost? una svolta nella sua carriera, cost? una dentiera a quarant'anni perch? i denti erano rimasti sul pavimento di un lurido albergo diurno. Il suo suono non fu pi? lo stesso: ed uno dei dischi pi? maledetti e commoventi ? proprio l'album del ritorno She was good to me (C.T.I.), un disco manifesto di tutto ci? che era Baker, un uomo in dentiera che non ? pi? capace di suonare il suo strumento che usa la voce come mantra per scaldare le note, note che escono con difficolt?, biascicate da una bocca di ceramica.
Il soffio letale ed algido della tromba che lascia presagire un ritorno che sarebbe stato anche il culmine dell'aberrazione, quella che lo costringeva negli ultimi anni romani a girare insieme ai tossici di Monte Mario senza sapere pi? che vena usare: finite le scorte si passava direttamente al collo, veloce e potente. Potente come un assolo di Charlie Parker che una leggenda dello stesso Baker vuole l'avesse accreditato come unico trombettista in grado di poter suonare nella sua band.
Una fine da film noir.
Di bugie Baker ha sempre campato, anzi sopravvisuto, e le testimonianze di questo libro sono allucinanti per chiarezza ed evidenza. Per Diane (a cui Baker dedic? il bellissimo disco in duo con Bley), una delle sue ultime compagne, era ?il diavolo incarnato?, una figura mefistofelica che lasciava sul campo morte e disperazione, chi stava intorno prima o poi sarebbe incappato in un guaio: ed ? questa la cronaca pi? toccante del libro, quella delle mille anime che Chet si ? lasciato lungo la strada, dei mille grovigli di vita con cui si ? pian piano strozzato.
E la fine ? arrivata in modo assolutamente conforme a quello che sembra essere un libro noir, una rincorsa e poi il volo dalla finestra di un albergo vicino alla stazione di Amsterdam. La foto di quella notte ce lo mostra in posizione fetale, scarpe fradicie in primo piano ed un lenzuolo steso sopra: una sindone blasfema, con gli occhi appena socchiusi, ruffiano fino alla fine sembra stia dormendo. Chet quella sera di eroina non ne aveva un solo grammo in corpo, pulito come un pupo, e la ringhiera era davvero troppo alta perch? si trattasse di un incidente.
Ed allora cosa successe la notte del 13 maggio 1988? successe semplicemente quello che tutti si aspettavano: qualcuno ha voluto fargli passare la voglia di fare il guitto, qualcuno non ne poteva pi? di promesse rassicuranti, fatte con un fil di voce, con l'espressione bloccata in una specie di smorfia angelica. Quella notte qualcuno, inconsapevolmente, ha ucciso anche il jazz.
(L'UNITA' ? 09/01/2003)


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http://chetbakertribute.com/chet.htm

L'impressione e' che le note non siano soffiate ma riempite; sono concrete, piene, corpose.
Solo per incanto o per fortuna, riescono a eludere la legge di gravita' e sempre per incanto salgono verso i primo anelli dell'infinito...
Buon ascolto,
Ultima modifica di carlo il 11/09/2010, 16:17, modificato 1 volta in totale.
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R: Chet Baker

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che fico...
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