La discarica
Inviato: 06/11/2014, 11:20
La prima cosa che notò fu il cielo plumbeo.
– Piove ancora – pensò.
Poi si rese conto di non ricordare assolutamente niente di ciò che poteva esserle successo nelle precedenti ore, se non giorni. Questo era grave!
Si mise seduta, così poté guardarsi meglio attorno, e ciò che vide non le piacque per niente. Il cielo plumbeo sopra la sua testa era proprio l’ultima cosa di cui preoccuparsi, perché il peggio si trovava sotto di lei. Si trovava, infatti, in cima a un’apparentemente smisurata discarica, composta per la maggior parte da androidi semi o parti di essi.
Cercò di alzarsi, ma capì subito che si trattava di un’operazione delicata, in quanto ogni volta che faceva leva su una mano o su un piede, decine di piccoli frammenti della piramide di rottami franavano, rischiando di farla precipitare lungo una scarpata della quale non vedeva la fine. Ma non fece in tempo neanche a provare ad alzarsi che una mano le afferrò il polso.
– Che bella mano… mi serve…
La voce veniva da sotto la spazzatura, e in un attimo si erse dal ciarpame un androide malridotto, del quale riusciva a vedere solo il busto e la testa. Un braccio mancava, l’altro le teneva il polso. Non vedeva il resto del corpo, e poteva benissimo non esserci.
Sottrasse il braccio alla stretta dell’androide. Non fu difficile, le bastò uno strattone. Ma subito un’altra mano meccanica le afferrò la caviglia.
– Che bel piede…
Strattonò anche la seconda mano.
In un attimo se ne trovò addosso almeno altre dieci, mentre sentiva cantilenare voci meccaniche, che si sovrapponevano l’un l’altra gracchiando – Che bella testa, che belle braccia, mi serve! Mi serve!
– NO! – gridò, e si divincolò con forza. A quel punto la montagnola cedette e cominciò a ruzzolare per metri e metri, sempre accompagnata da mani che cercavano di ghermirla e voci che gracchiavano – Mi serve, mi serve…
Arrivò alla base della piramide accompagnata da parecchia spazzatura, tanto che balzò in piedi all’istante, temendo che tra i rifiuti che si era trascinata dietro durante la caduta potesse esserci ancora qualcuno gracidante – Mi serve, mi serve …
Mentre si scrollava di dosso i piccoli pezzi che le erano rimasti incastrati nei vestiti, agitandosi come se si trattassero di grossi ragni, un forte colpo esplose a pochi passi da lei. Trasalì, e smise di agitarsi come un’aracnofoba.
– Ce l’avevi dietro. Era abbastanza in forze da prenderti.
Dietro di lei c’era un grumo fumante, davanti un individuo incappucciato con un grosso fucile in mano.
– Grazie .
– Sei un bel bocconcino, in tutti i sensi – disse la figura incappucciata – Ti avrebbero fatto la festa, in tutti i sensi.
– Quali sensi?
– Cercano pezzi di ricambio, sperano di riuscire a ripararsi. Alcuni ci riescono, ma spesso a discapito di altri. È una battaglia per la sopravvivenza. L’altro senso riguarda me – Si levò il cappuccio, rivelando un viso stupendo, che sarebbe potuto appartenere al principe azzurro di una fiaba. Lunghi capelli biondi, occhi azzurri. Un androide di prima classe.
– Prima mi salvi la vita e poi cerchi di abbordarmi?!
– Perché no?
– Perché magari, già che ci sei, prima potresti darmi qualche spiegazione!
Guardandosi indietro, era più facile valutare la vastità della piramide di rifiuti: era davvero immensa! Attorno a loro, solo case in rovina, polvere, altri rifiuti e androidi in disfacimento che strisciavano o barcollavano per le strade, fissandoli con occhi bramosi.
In pochi minuti raggiunsero la catapecchia dove viveva l’uomo. Le pareti erano piene di crepe, in alcuni punti rattoppate con assi di legno. La porta era semplicemente una grossa asse, ma bloccata da vari lucchetti, con i quali l’uomo dovette trafficare per un po’, prima di farle un gesto galante con la mano per invitarla a entrare.
L’interno era esattamente come l’esterno. Un divano sfondato, finestre inchiodate, vecchi libri incartapecoriti accatastati ovunque, un armadio tarlato, un tavolo con le gambe asimmetriche.
L’uomo si tolse il mantello, svelando di essere vestito in modo piuttosto elegante, e confermando la prima impressione di “principe azzurro”.
– Perché un tipo come te si trova in un posto come questo? – chiese la ragazza sedendosi sul divano.
– Per il tuo stesso motivo, bella: sono stato scaricato.
– Io non sono stata “scaricata”! Almeno… credo…
– Come ti chiami?
– F.R.E.E. È un acronimo, suppongo, ma non so per cosa.
– Mai sentito.
– Forse sono unica.
– Lo vedo che sei unica!
– Ma hai intenzione di cercare di provolarmi ogni dieci minuti?!
– È il mio mestiere.
– Già, tu sei un androide creato per dare piacere, giusto? Un gigolò, in pratica.
– Giusto, Free. Mi chiamo Bob. E tu chi sei? Anzi, COSA sei…
– Vorrei saperlo anch’io. Ma la cosa più importante per me, ora, credo capire cos’è questo posto e perché mi trovo qui.
– Memoria cancellata, eh?!
– Temo di sì…
Bob si sedette sul divano sfondato vicino a Free, mettendole automaticamente un braccio attorno alle spalle, che Free gli spostò automaticamente.
– Questo è il posto dove gli androidi vengono portati a morire – cominciò Bob – Come avrai capito, è una discarica. Una piccola cittadina abbandonata ai margini della società, della quale nessuno è a conoscenza perché i mass media fanno di tutto per tenerla nascosta alla collettività. Chi non può rottamare o aggiustare un androide, lo abbandona qui. A volte gli androidi scaricati sono ancora vagamente funzionanti e riescono ad auto-ripararsi cercando pezzi di ricambio, come hai già scoperto a tue spese. Altre volte aspettano di spegnersi definitivamente. I pochi che riescono a ricostruirsi, continuano a vivere in questa piccola comunità, dove sostanzialmente l’attività principale è farci la guerra l’un l’altro, sempre in cerca di pezzi migliori.
– Questo spiega perché hai porte e finestre sbarrate – disse Free.
– Esatto. E spiega il mio fucile.
– Ma tu sembri in buonissimo stato. I pochi androidi funzionanti che ho visto sembrano a malapena reggersi in piedi: tu invece sei perfetto, perché non te ne vai?
– Perché non sono “perfetto”. Anch’io ho un guasto, ed è il motivo per cui mi trovo qui. La mia padrona mi aveva comprato per suo sollazzo sessuale, ma dopo qualche anno di ineccepibile servizio, ho sviluppato un guasto, e trovandosi essa in un momento economico non proprio favorevole, ha preferito disfarsi di me piuttosto che ripararmi. Purtroppo è proprio questo guasto a tenermi inchiodato qui: la mia batteria non tiene più la carica. Ogni quattro ore devo attaccarmi alla corrente per ricaricarmi. Se lasciassi questa città, mi spegnerei dopo quattro ore, chissà dove, in balia di chissà quale destino. Non riuscirei mai a raggiungere un centro “civilizzato” perché ci troviamo il più lontano possibile da qualsiasi posto abitato dagli esseri umani.
– Capisco. Ora però vorrei capire perché mi trovo qui io. Ho solo poche memorie… un ragazzo umano, una casa sul lago… per il resto… il vuoto.
– Un ragazzo UMANO? – chiese Bob sgranando gli occhi – Non sei un androide di piacere, ma perché ho l’impressione che tu stia parlando di una storia d’amore? Amore VERO, intendo! E con un ragazzo in carne e ossa!
– Hai questa impressione perché è la stessa che ho io. Ricordo il suo viso, il suo sorriso, le sue carezze…
Bob balzò in piedi con impeto – Bella mia, tu non puoi stare qui in mezzo ai rifiuti mentre c’è un ragazzo umano che ti ama e ti aspetta!
– Fermo, Bob! Sono solo congetture basate su ricordi confusi!
– Una congettura su ricordi confusi per me è un incentivo più che valido per scappare da questo posto per tornare da lui!
– E se mi avesse scaricata qui perché…
– Non hai guasti. Se ti sei riaccesa senza problemi dopo che ti hanno cancellato la memoria e dopo essere rimasta spenta per chissà quanto tempo in cima ai rifiuti in balia delle intemperie: significa che sei in perfetto stato.
– So di non avere guasti… Intendevo… e si mi avesse scaricata qui perché… non mi ama più?
Bob prese Free per le mani, la fece alzare e la tirò a se, guardandola intensamente – Tu lo ami?
– Non me lo ricordo.
– Non è un motivo valido! Ora hai uno scopo e un dovere: scappare di qui, cercarlo e riconquistarlo!
– Bob, sei programmato per essere romantico, è ovvio che tu…
– E per far felici le donne! Qualsiasi donna, in qualsiasi modo! – Bob fece con la mano un ampio gesto per indicare il mondo intero – Là fuori lui ti aspetta, io devo farti felice e ti aiuterò!
– Ma ti spegnerai tra quattro ore!!!
– Non importa, per queste quattro ore mi farò in quattro per aiutarti!
Free si mise il palmo della mano sulla faccia…
Bob e Free percorrevano le lugubri vie del paese-discarica, coperti entrambi da un mantello col cappuccio, imbracciando un fucile.
– Bob, ho l’impressione che questo fucile non mi serva…
– Lo so, mio tesoro, perché ti proteggerò io! Ma per ogni evenienza, voglio che tu sia pronta.
Free alzò gli occhi al cielo – Intendo… Ho l’impressione che potrei benissimo proteggermi da sola. Ad esempio – Free allungò un braccio e la mano subito si piegò verso il basso, mostrando un buco all’estremità dell’avambraccio.
Bob scattò e le spinse il braccio verso il basso – Non farti notare! – ma non fece in tempo… Dal braccio partì un colpo che, con gran baccano e sollevamento di polvere, aprì un piccolo buco nel terreno a pochi passi da loro.
– Ti ho quasi sparato su un piede, complimenti – ironizzò Free.
– Sei un androide da battaglia! – disse Bob sbigottito.
– Parrebbe.
– E dovevi verificarlo attirandoci addosso tutti i robot nel raggio di dieci metri?!
Difatti, da dietro ogni casupola in rovina cominciarono ad affacciarsi visi di metallo, alcuni sporchi, alcuni con brandelli di finta pelle, con occhi luccicanti e occhi spenti.
Free rise – Direi che non dobbiamo temere niente, se sono un androide da battaglia! Però – continuò mestamente Free, ricomponendo il braccio e facendo, così, sparire l’arma – perché ho l’impressione che non ci sia niente da ridere? Perché collego qualcosa di negativo alle mie armi? A… “lui” e le mie armi…
– Forse ti ha scaricata perché non gli piaceva che tu fossi un androide da battaglia.
– Smettila di dire che mi ha scaricata!
In quel momento qualcosa frusciò alle loro spalle, Free si voltò di scatto, sfoderò di nuovo la sua arma e fece fuoco. Ora un androide giaceva incenerito alle loro spalle.
Free nascose di nuovo la mano sotto il mantello.
– Non era lui a odiare le mie armi… Probabilmente ero io. Ma, come vedi, non riesco a controllarmi.
– Forse l’hai lasciato perché temevi di fargli del male inavvertitamente – azzardò Bob.
– Potrebbe essere. Ma allora che senso ha tornare da lui? Che senso ha, se c’è la possibilità che sia stata io stessa a… scaricarmi qui?
– Il senso è che questa potrebbe essere una missione di ricongiungimento, anziché di riconquista! Se l’hai lasciato, puoi ancora tornare sui tuoi passi, e vissero tutti felici e contenti! – trillò Bob con un sorriso a 38 denti meccanici.
– Il senso è che questa missione non ha senso. Se mi sono allontanata da lui, un motivo deve esserci, e mi sembra chiaro quale sia.
– Allora verifichiamolo! – disse Bob con fare deciso e entusiasta – Verifichiamo se potresti sparare accidentalmente a un amico! Rimani qui…
L’androide si allontanò di corsa e in pochi attimi sparì dalla visuale di Free, perso tra le vie in decomposizione.
– Bob, no! Pazzo! Cosa vuoi far…
Un grido alle sue spalle, Free scattò, sparò, prese Bob in pieno petto.
– MA SEI STUPIDO?!
Bob giaceva a terra con il petto fumante, ma ancora il suo bel sorriso stampato su quel volto da principe azzurro, ora con i capelli dorati un po’ scompigliati che gli ricadevano a ciocchette sulla fronte.
– Temo tu abbia ragione – disse Bob con una voce leggermente metallica.
Free si chinò su di lui, cercando di verificare l’entità del guasto. Intanto attorno a loro altre facce e altre sagome si stavano materializzando, attirate di nuovo dalla deflagrazione.
– Stupido! Idiota! Imbecille! Guarda che disastro!
– Mi piacciono le donne che diventano scurrili nel momento del…
– Ma piantala, CRETINO! – e le partì un nuovo colpo, destinato all’ennesimo cacciatore di pezzi, un androide che strascicava sulle sole braccia con la colonna vertebrale che gli faceva da coda.
Free prese Bob per le braccia e cominciò a trascinarlo fuori dalla via principale – Non possiamo stare allo scoperto adesso, tu sei troppo vulnerabile…
– Ti piacciono gli uomini vulnerabili, tesoro?
– Se non la pianti ti sparo di nuovo.
Lo portò in una delle tante casette in rovina e lo sistemò nell’angolo più buio, poi riprese a esaminare il danno.
– Credo tu abbia la pellaccia dura, sai, Bob? Ho danneggiato alcuni sub-processori superficiali ma hai una bella corazza: non ho intaccato i circuiti interni. Puoi alzarti?
– No, cara. Sono funzionante per quanto riguarda l’essenziale, ma hai bloccato gli impulsi diretti verso gli arti.
Free si sedette di fianco a lui, appoggiata al muro, guardando il vuoto – E adesso che facciamo?
– Ci trasformiamo in cacciatori di pezzi anche noi? – rise Bob.
Free nascose la testa fra le ginocchia – Continuo a non trovarci niente da ridere in questa situazione… Sono scappata da un ragazzo per timore di fargli del male, ho trovato un amico, e ho fatto del male anche a lui… Non ho nessuna intenzione di sciacallare i poveri androidi di questo paese, ho già fatto abbastanza danni.
– Devo ricordarti che ne hai polverizzati un paio a sangue freddo?
– NO, NON DEVI! Lo sai che lo faccio inconsapevolmente. Ma consapevolmente non voglio smontare nessuno. A meno che… – Free si tolse il mantello, poi la camicetta logora.
– Ehi, bellezza, purtroppo temo di non poterti accontentare in questo momento!
– Ma stai zitto, sciocco – disse la ragazza androide, mentre premeva delicatamente un punto fra i propri seni, piccoli, sodi, perfetti, che si alzarono scoprendo i circuiti interni.
– Questo non avrei potuto farlo con il mio fidanzato umano, ma tu…
Prelevò alcuni pezzi dal proprio corpo, con decisione ma delicatezza, armeggiò nel petto di Bob, e dopo qualche minuto i pezzi erano stati installati.
– Prova a muovere le gambe.
Bob le mosse.
– Sei stata bravissima! Sicura che ora non avrai problemi tecnici?
– Ho preso solo l’indispensabile, pezzi di cui posso fare a meno. Credo che poter aiutare i compagni in difficoltà usando proprie parti senza riportare danni, sia una peculiarità dei robot da combattimento.
Bob si mise a sedere. Un po’ a scatti, un po’ a fatica, ma funzionava – Si riparte, dolcezza?
– Ma come puoi pensarlo?! Hai appena provato sulla tua stessa pelle che sono pericolosa. Dovrei cercare un ragazzo che mi ama… che amo… col rischio di fargli un buco in petto? Posso riparare te, ma non lui. Hai solo provato che il mio posto è qui.
– Ed è un male?
Free rimase per qualche attimo senza parole, fissandolo intensamente negli occhi. Poi distolse lo sguardo – Devi tornare a casa, devi ricaricarti. Non ha senso che rischi di scaricare completamente la batteria ora che non devi più aiutare me. Quante ore ti rimangono?
– Una.
– Soltanto?!
– Quando ci siamo incontrati ero già quasi scarico.
– Ma perché non me l’hai detto?! SCEM…
Bob le tappò la bocca con un bacio.
– Mi rimane un’ora – disse Bob dolcemente – poco tempo per tornare a casa, ma abbastanza per renderti felice.
L’androide la fece adagiare delicatamente a terra e si mise con garbo sopra di essa – Sono solo da così tanto tempo… Io non conosco il VERO amore come te, ma tu sì. Mi hai dato qualche ora di felicità facendomi ricordare cosa significa avere qualcuno con cui parlare, ridere, scherzare…
– …prenderti una cannonata in petto…
– …Ora voglio dare io qualcosa a te. Qualcosa che hai perso. Che sia stato volontariamente o no. Non sarò il tuo ragazzo umano, ma spero che non farai troppo la schizzinosa, in questo posto.
– Bob, deficiente…
– Sì, sei una che ama le scurrilità nel momento del…
Questa volta fu Free a chiudergli la bocca con un bacio.
Un’ora dopo, mentre giacevano ancora abbracciati nell’oscurità, Free si accorse di non sentire più segnali elettrici provenire da Bob: si era scaricato.
Si sedette, lo accarezzò dolcemente, poi uscì, con il suo cannone pronto per ogni evenienza, e si avviò verso quella che era stata la casa di Bob.
– Il mio posto è qui.
Trascorsero alcuni giorni, durante i quali Free passava il tempo leggendo i libri di Bob, controllando gli sbarramenti a porte e finestre e proteggendosi dai vari cacciatori di pezzi, fino a quando notò qualcosa di strano nel proprio corpo. Pensò che fosse un effetto collaterale dell’aver “curato” Bob: qualcosa in lei era stato tolto e ora cominciava a manifestare dei fastidi nel funzionamento. Anche se non era proprio un fastidio. Non sentiva come se dei pezzi fossero stati tolti, cioè ciò che aveva fatto per aggiustare il suo amico, bensì le sembra che qualcosa fosse stato aggiunto. Pensò a un suo errore, durante il prelevamento dei pezzi. Forse aveva spostato qualcosa per sbaglio. Anche se non credeva possibile questa disattenzione: se era programmata per riparare i compagni in battaglia, di sicuro doveva essere in grado di mantenere la mente lucida anche durante i momenti più concitati. Tuttavia, decise di fare un veloce check-up.
Di nuovo aprì il proprio petto, ma non trovò niente di guasto, niente di “aggiunto”. La sensazione di “corpo estraneo” però veniva da più in basso, dal ventre. Richiuse i seni e cliccò sull’ombelico.
La sua pancia si aprì, svelando altri circuiti interni e… una piccola massa. Un oggettino di metallo.
– Ma che?!...
Free rimosse delicatamente l’oggetto e scoprì, con grandissimo stupore, che si trattava di un neonato! Di metallo, senza pelle artificiale né capelli, ma era chiaramente un bebè!
Lo sollevò tenendogli le mani sotto le ascelle, il bimbo aprì i suoi occhietti meccanici e la guardò. Free fece un grande sorriso e non poté fare a meno di stampargli un bacetto sulla sua piccola fronte di metallo lucente.
Fu durante quel breve contatto che Free ricordò. La memoria che si era auto-cancellata le tornò all’improvviso: non era stata lei a lasciare il suo fidanzato umano per paura di fargli del male: lui era perfettamente consapevole del pericolo e lo accettava. Bensì era stato lui a lasciarla, e il motivo lo stava tenendo ora tra le sue braccia: lei non poteva avere figli.
Finché si era trattato di “divertirsi” lei gli era andata bene. Non era un androide di piacere ma era “perfettamente funzionante” in ogni senso (magari per eventuale sollazzo dei suoi commilitoni umani). Quando però la relazione era diventata troppo “seria”, lui si era reso conto che lei non avrebbe mai potuto dargli una famiglia “vera”, con tanto di figli, e Free aveva deciso di “suicidarsi”, cancellandosi la memoria per non soffrire più al ricordo di ciò che aveva parso, e buttandosi nella discarica (della quale, a quanto pare, era a conoscenza).
Ma ciò che il “vero” amore non aveva potuto creare, era nato invece dall’amore “artificiale” tra due esseri meccanici, ed ora era lì, tra le sue braccia.
– Ti chiamerò Bob Free!
Free abbracciò Bob Free, riempiendolo di bacetti artificiali sulla sua testolina artificiale, traboccante di amore reale.
Questo racconto è anche in https://www.braviautori.it/nevestella.htm. Nevestella sono io.
– Piove ancora – pensò.
Poi si rese conto di non ricordare assolutamente niente di ciò che poteva esserle successo nelle precedenti ore, se non giorni. Questo era grave!
Si mise seduta, così poté guardarsi meglio attorno, e ciò che vide non le piacque per niente. Il cielo plumbeo sopra la sua testa era proprio l’ultima cosa di cui preoccuparsi, perché il peggio si trovava sotto di lei. Si trovava, infatti, in cima a un’apparentemente smisurata discarica, composta per la maggior parte da androidi semi o parti di essi.
Cercò di alzarsi, ma capì subito che si trattava di un’operazione delicata, in quanto ogni volta che faceva leva su una mano o su un piede, decine di piccoli frammenti della piramide di rottami franavano, rischiando di farla precipitare lungo una scarpata della quale non vedeva la fine. Ma non fece in tempo neanche a provare ad alzarsi che una mano le afferrò il polso.
– Che bella mano… mi serve…
La voce veniva da sotto la spazzatura, e in un attimo si erse dal ciarpame un androide malridotto, del quale riusciva a vedere solo il busto e la testa. Un braccio mancava, l’altro le teneva il polso. Non vedeva il resto del corpo, e poteva benissimo non esserci.
Sottrasse il braccio alla stretta dell’androide. Non fu difficile, le bastò uno strattone. Ma subito un’altra mano meccanica le afferrò la caviglia.
– Che bel piede…
Strattonò anche la seconda mano.
In un attimo se ne trovò addosso almeno altre dieci, mentre sentiva cantilenare voci meccaniche, che si sovrapponevano l’un l’altra gracchiando – Che bella testa, che belle braccia, mi serve! Mi serve!
– NO! – gridò, e si divincolò con forza. A quel punto la montagnola cedette e cominciò a ruzzolare per metri e metri, sempre accompagnata da mani che cercavano di ghermirla e voci che gracchiavano – Mi serve, mi serve…
Arrivò alla base della piramide accompagnata da parecchia spazzatura, tanto che balzò in piedi all’istante, temendo che tra i rifiuti che si era trascinata dietro durante la caduta potesse esserci ancora qualcuno gracidante – Mi serve, mi serve …
Mentre si scrollava di dosso i piccoli pezzi che le erano rimasti incastrati nei vestiti, agitandosi come se si trattassero di grossi ragni, un forte colpo esplose a pochi passi da lei. Trasalì, e smise di agitarsi come un’aracnofoba.
– Ce l’avevi dietro. Era abbastanza in forze da prenderti.
Dietro di lei c’era un grumo fumante, davanti un individuo incappucciato con un grosso fucile in mano.
– Grazie .
– Sei un bel bocconcino, in tutti i sensi – disse la figura incappucciata – Ti avrebbero fatto la festa, in tutti i sensi.
– Quali sensi?
– Cercano pezzi di ricambio, sperano di riuscire a ripararsi. Alcuni ci riescono, ma spesso a discapito di altri. È una battaglia per la sopravvivenza. L’altro senso riguarda me – Si levò il cappuccio, rivelando un viso stupendo, che sarebbe potuto appartenere al principe azzurro di una fiaba. Lunghi capelli biondi, occhi azzurri. Un androide di prima classe.
– Prima mi salvi la vita e poi cerchi di abbordarmi?!
– Perché no?
– Perché magari, già che ci sei, prima potresti darmi qualche spiegazione!
Guardandosi indietro, era più facile valutare la vastità della piramide di rifiuti: era davvero immensa! Attorno a loro, solo case in rovina, polvere, altri rifiuti e androidi in disfacimento che strisciavano o barcollavano per le strade, fissandoli con occhi bramosi.
In pochi minuti raggiunsero la catapecchia dove viveva l’uomo. Le pareti erano piene di crepe, in alcuni punti rattoppate con assi di legno. La porta era semplicemente una grossa asse, ma bloccata da vari lucchetti, con i quali l’uomo dovette trafficare per un po’, prima di farle un gesto galante con la mano per invitarla a entrare.
L’interno era esattamente come l’esterno. Un divano sfondato, finestre inchiodate, vecchi libri incartapecoriti accatastati ovunque, un armadio tarlato, un tavolo con le gambe asimmetriche.
L’uomo si tolse il mantello, svelando di essere vestito in modo piuttosto elegante, e confermando la prima impressione di “principe azzurro”.
– Perché un tipo come te si trova in un posto come questo? – chiese la ragazza sedendosi sul divano.
– Per il tuo stesso motivo, bella: sono stato scaricato.
– Io non sono stata “scaricata”! Almeno… credo…
– Come ti chiami?
– F.R.E.E. È un acronimo, suppongo, ma non so per cosa.
– Mai sentito.
– Forse sono unica.
– Lo vedo che sei unica!
– Ma hai intenzione di cercare di provolarmi ogni dieci minuti?!
– È il mio mestiere.
– Già, tu sei un androide creato per dare piacere, giusto? Un gigolò, in pratica.
– Giusto, Free. Mi chiamo Bob. E tu chi sei? Anzi, COSA sei…
– Vorrei saperlo anch’io. Ma la cosa più importante per me, ora, credo capire cos’è questo posto e perché mi trovo qui.
– Memoria cancellata, eh?!
– Temo di sì…
Bob si sedette sul divano sfondato vicino a Free, mettendole automaticamente un braccio attorno alle spalle, che Free gli spostò automaticamente.
– Questo è il posto dove gli androidi vengono portati a morire – cominciò Bob – Come avrai capito, è una discarica. Una piccola cittadina abbandonata ai margini della società, della quale nessuno è a conoscenza perché i mass media fanno di tutto per tenerla nascosta alla collettività. Chi non può rottamare o aggiustare un androide, lo abbandona qui. A volte gli androidi scaricati sono ancora vagamente funzionanti e riescono ad auto-ripararsi cercando pezzi di ricambio, come hai già scoperto a tue spese. Altre volte aspettano di spegnersi definitivamente. I pochi che riescono a ricostruirsi, continuano a vivere in questa piccola comunità, dove sostanzialmente l’attività principale è farci la guerra l’un l’altro, sempre in cerca di pezzi migliori.
– Questo spiega perché hai porte e finestre sbarrate – disse Free.
– Esatto. E spiega il mio fucile.
– Ma tu sembri in buonissimo stato. I pochi androidi funzionanti che ho visto sembrano a malapena reggersi in piedi: tu invece sei perfetto, perché non te ne vai?
– Perché non sono “perfetto”. Anch’io ho un guasto, ed è il motivo per cui mi trovo qui. La mia padrona mi aveva comprato per suo sollazzo sessuale, ma dopo qualche anno di ineccepibile servizio, ho sviluppato un guasto, e trovandosi essa in un momento economico non proprio favorevole, ha preferito disfarsi di me piuttosto che ripararmi. Purtroppo è proprio questo guasto a tenermi inchiodato qui: la mia batteria non tiene più la carica. Ogni quattro ore devo attaccarmi alla corrente per ricaricarmi. Se lasciassi questa città, mi spegnerei dopo quattro ore, chissà dove, in balia di chissà quale destino. Non riuscirei mai a raggiungere un centro “civilizzato” perché ci troviamo il più lontano possibile da qualsiasi posto abitato dagli esseri umani.
– Capisco. Ora però vorrei capire perché mi trovo qui io. Ho solo poche memorie… un ragazzo umano, una casa sul lago… per il resto… il vuoto.
– Un ragazzo UMANO? – chiese Bob sgranando gli occhi – Non sei un androide di piacere, ma perché ho l’impressione che tu stia parlando di una storia d’amore? Amore VERO, intendo! E con un ragazzo in carne e ossa!
– Hai questa impressione perché è la stessa che ho io. Ricordo il suo viso, il suo sorriso, le sue carezze…
Bob balzò in piedi con impeto – Bella mia, tu non puoi stare qui in mezzo ai rifiuti mentre c’è un ragazzo umano che ti ama e ti aspetta!
– Fermo, Bob! Sono solo congetture basate su ricordi confusi!
– Una congettura su ricordi confusi per me è un incentivo più che valido per scappare da questo posto per tornare da lui!
– E se mi avesse scaricata qui perché…
– Non hai guasti. Se ti sei riaccesa senza problemi dopo che ti hanno cancellato la memoria e dopo essere rimasta spenta per chissà quanto tempo in cima ai rifiuti in balia delle intemperie: significa che sei in perfetto stato.
– So di non avere guasti… Intendevo… e si mi avesse scaricata qui perché… non mi ama più?
Bob prese Free per le mani, la fece alzare e la tirò a se, guardandola intensamente – Tu lo ami?
– Non me lo ricordo.
– Non è un motivo valido! Ora hai uno scopo e un dovere: scappare di qui, cercarlo e riconquistarlo!
– Bob, sei programmato per essere romantico, è ovvio che tu…
– E per far felici le donne! Qualsiasi donna, in qualsiasi modo! – Bob fece con la mano un ampio gesto per indicare il mondo intero – Là fuori lui ti aspetta, io devo farti felice e ti aiuterò!
– Ma ti spegnerai tra quattro ore!!!
– Non importa, per queste quattro ore mi farò in quattro per aiutarti!
Free si mise il palmo della mano sulla faccia…
Bob e Free percorrevano le lugubri vie del paese-discarica, coperti entrambi da un mantello col cappuccio, imbracciando un fucile.
– Bob, ho l’impressione che questo fucile non mi serva…
– Lo so, mio tesoro, perché ti proteggerò io! Ma per ogni evenienza, voglio che tu sia pronta.
Free alzò gli occhi al cielo – Intendo… Ho l’impressione che potrei benissimo proteggermi da sola. Ad esempio – Free allungò un braccio e la mano subito si piegò verso il basso, mostrando un buco all’estremità dell’avambraccio.
Bob scattò e le spinse il braccio verso il basso – Non farti notare! – ma non fece in tempo… Dal braccio partì un colpo che, con gran baccano e sollevamento di polvere, aprì un piccolo buco nel terreno a pochi passi da loro.
– Ti ho quasi sparato su un piede, complimenti – ironizzò Free.
– Sei un androide da battaglia! – disse Bob sbigottito.
– Parrebbe.
– E dovevi verificarlo attirandoci addosso tutti i robot nel raggio di dieci metri?!
Difatti, da dietro ogni casupola in rovina cominciarono ad affacciarsi visi di metallo, alcuni sporchi, alcuni con brandelli di finta pelle, con occhi luccicanti e occhi spenti.
Free rise – Direi che non dobbiamo temere niente, se sono un androide da battaglia! Però – continuò mestamente Free, ricomponendo il braccio e facendo, così, sparire l’arma – perché ho l’impressione che non ci sia niente da ridere? Perché collego qualcosa di negativo alle mie armi? A… “lui” e le mie armi…
– Forse ti ha scaricata perché non gli piaceva che tu fossi un androide da battaglia.
– Smettila di dire che mi ha scaricata!
In quel momento qualcosa frusciò alle loro spalle, Free si voltò di scatto, sfoderò di nuovo la sua arma e fece fuoco. Ora un androide giaceva incenerito alle loro spalle.
Free nascose di nuovo la mano sotto il mantello.
– Non era lui a odiare le mie armi… Probabilmente ero io. Ma, come vedi, non riesco a controllarmi.
– Forse l’hai lasciato perché temevi di fargli del male inavvertitamente – azzardò Bob.
– Potrebbe essere. Ma allora che senso ha tornare da lui? Che senso ha, se c’è la possibilità che sia stata io stessa a… scaricarmi qui?
– Il senso è che questa potrebbe essere una missione di ricongiungimento, anziché di riconquista! Se l’hai lasciato, puoi ancora tornare sui tuoi passi, e vissero tutti felici e contenti! – trillò Bob con un sorriso a 38 denti meccanici.
– Il senso è che questa missione non ha senso. Se mi sono allontanata da lui, un motivo deve esserci, e mi sembra chiaro quale sia.
– Allora verifichiamolo! – disse Bob con fare deciso e entusiasta – Verifichiamo se potresti sparare accidentalmente a un amico! Rimani qui…
L’androide si allontanò di corsa e in pochi attimi sparì dalla visuale di Free, perso tra le vie in decomposizione.
– Bob, no! Pazzo! Cosa vuoi far…
Un grido alle sue spalle, Free scattò, sparò, prese Bob in pieno petto.
– MA SEI STUPIDO?!
Bob giaceva a terra con il petto fumante, ma ancora il suo bel sorriso stampato su quel volto da principe azzurro, ora con i capelli dorati un po’ scompigliati che gli ricadevano a ciocchette sulla fronte.
– Temo tu abbia ragione – disse Bob con una voce leggermente metallica.
Free si chinò su di lui, cercando di verificare l’entità del guasto. Intanto attorno a loro altre facce e altre sagome si stavano materializzando, attirate di nuovo dalla deflagrazione.
– Stupido! Idiota! Imbecille! Guarda che disastro!
– Mi piacciono le donne che diventano scurrili nel momento del…
– Ma piantala, CRETINO! – e le partì un nuovo colpo, destinato all’ennesimo cacciatore di pezzi, un androide che strascicava sulle sole braccia con la colonna vertebrale che gli faceva da coda.
Free prese Bob per le braccia e cominciò a trascinarlo fuori dalla via principale – Non possiamo stare allo scoperto adesso, tu sei troppo vulnerabile…
– Ti piacciono gli uomini vulnerabili, tesoro?
– Se non la pianti ti sparo di nuovo.
Lo portò in una delle tante casette in rovina e lo sistemò nell’angolo più buio, poi riprese a esaminare il danno.
– Credo tu abbia la pellaccia dura, sai, Bob? Ho danneggiato alcuni sub-processori superficiali ma hai una bella corazza: non ho intaccato i circuiti interni. Puoi alzarti?
– No, cara. Sono funzionante per quanto riguarda l’essenziale, ma hai bloccato gli impulsi diretti verso gli arti.
Free si sedette di fianco a lui, appoggiata al muro, guardando il vuoto – E adesso che facciamo?
– Ci trasformiamo in cacciatori di pezzi anche noi? – rise Bob.
Free nascose la testa fra le ginocchia – Continuo a non trovarci niente da ridere in questa situazione… Sono scappata da un ragazzo per timore di fargli del male, ho trovato un amico, e ho fatto del male anche a lui… Non ho nessuna intenzione di sciacallare i poveri androidi di questo paese, ho già fatto abbastanza danni.
– Devo ricordarti che ne hai polverizzati un paio a sangue freddo?
– NO, NON DEVI! Lo sai che lo faccio inconsapevolmente. Ma consapevolmente non voglio smontare nessuno. A meno che… – Free si tolse il mantello, poi la camicetta logora.
– Ehi, bellezza, purtroppo temo di non poterti accontentare in questo momento!
– Ma stai zitto, sciocco – disse la ragazza androide, mentre premeva delicatamente un punto fra i propri seni, piccoli, sodi, perfetti, che si alzarono scoprendo i circuiti interni.
– Questo non avrei potuto farlo con il mio fidanzato umano, ma tu…
Prelevò alcuni pezzi dal proprio corpo, con decisione ma delicatezza, armeggiò nel petto di Bob, e dopo qualche minuto i pezzi erano stati installati.
– Prova a muovere le gambe.
Bob le mosse.
– Sei stata bravissima! Sicura che ora non avrai problemi tecnici?
– Ho preso solo l’indispensabile, pezzi di cui posso fare a meno. Credo che poter aiutare i compagni in difficoltà usando proprie parti senza riportare danni, sia una peculiarità dei robot da combattimento.
Bob si mise a sedere. Un po’ a scatti, un po’ a fatica, ma funzionava – Si riparte, dolcezza?
– Ma come puoi pensarlo?! Hai appena provato sulla tua stessa pelle che sono pericolosa. Dovrei cercare un ragazzo che mi ama… che amo… col rischio di fargli un buco in petto? Posso riparare te, ma non lui. Hai solo provato che il mio posto è qui.
– Ed è un male?
Free rimase per qualche attimo senza parole, fissandolo intensamente negli occhi. Poi distolse lo sguardo – Devi tornare a casa, devi ricaricarti. Non ha senso che rischi di scaricare completamente la batteria ora che non devi più aiutare me. Quante ore ti rimangono?
– Una.
– Soltanto?!
– Quando ci siamo incontrati ero già quasi scarico.
– Ma perché non me l’hai detto?! SCEM…
Bob le tappò la bocca con un bacio.
– Mi rimane un’ora – disse Bob dolcemente – poco tempo per tornare a casa, ma abbastanza per renderti felice.
L’androide la fece adagiare delicatamente a terra e si mise con garbo sopra di essa – Sono solo da così tanto tempo… Io non conosco il VERO amore come te, ma tu sì. Mi hai dato qualche ora di felicità facendomi ricordare cosa significa avere qualcuno con cui parlare, ridere, scherzare…
– …prenderti una cannonata in petto…
– …Ora voglio dare io qualcosa a te. Qualcosa che hai perso. Che sia stato volontariamente o no. Non sarò il tuo ragazzo umano, ma spero che non farai troppo la schizzinosa, in questo posto.
– Bob, deficiente…
– Sì, sei una che ama le scurrilità nel momento del…
Questa volta fu Free a chiudergli la bocca con un bacio.
Un’ora dopo, mentre giacevano ancora abbracciati nell’oscurità, Free si accorse di non sentire più segnali elettrici provenire da Bob: si era scaricato.
Si sedette, lo accarezzò dolcemente, poi uscì, con il suo cannone pronto per ogni evenienza, e si avviò verso quella che era stata la casa di Bob.
– Il mio posto è qui.
Trascorsero alcuni giorni, durante i quali Free passava il tempo leggendo i libri di Bob, controllando gli sbarramenti a porte e finestre e proteggendosi dai vari cacciatori di pezzi, fino a quando notò qualcosa di strano nel proprio corpo. Pensò che fosse un effetto collaterale dell’aver “curato” Bob: qualcosa in lei era stato tolto e ora cominciava a manifestare dei fastidi nel funzionamento. Anche se non era proprio un fastidio. Non sentiva come se dei pezzi fossero stati tolti, cioè ciò che aveva fatto per aggiustare il suo amico, bensì le sembra che qualcosa fosse stato aggiunto. Pensò a un suo errore, durante il prelevamento dei pezzi. Forse aveva spostato qualcosa per sbaglio. Anche se non credeva possibile questa disattenzione: se era programmata per riparare i compagni in battaglia, di sicuro doveva essere in grado di mantenere la mente lucida anche durante i momenti più concitati. Tuttavia, decise di fare un veloce check-up.
Di nuovo aprì il proprio petto, ma non trovò niente di guasto, niente di “aggiunto”. La sensazione di “corpo estraneo” però veniva da più in basso, dal ventre. Richiuse i seni e cliccò sull’ombelico.
La sua pancia si aprì, svelando altri circuiti interni e… una piccola massa. Un oggettino di metallo.
– Ma che?!...
Free rimosse delicatamente l’oggetto e scoprì, con grandissimo stupore, che si trattava di un neonato! Di metallo, senza pelle artificiale né capelli, ma era chiaramente un bebè!
Lo sollevò tenendogli le mani sotto le ascelle, il bimbo aprì i suoi occhietti meccanici e la guardò. Free fece un grande sorriso e non poté fare a meno di stampargli un bacetto sulla sua piccola fronte di metallo lucente.
Fu durante quel breve contatto che Free ricordò. La memoria che si era auto-cancellata le tornò all’improvviso: non era stata lei a lasciare il suo fidanzato umano per paura di fargli del male: lui era perfettamente consapevole del pericolo e lo accettava. Bensì era stato lui a lasciarla, e il motivo lo stava tenendo ora tra le sue braccia: lei non poteva avere figli.
Finché si era trattato di “divertirsi” lei gli era andata bene. Non era un androide di piacere ma era “perfettamente funzionante” in ogni senso (magari per eventuale sollazzo dei suoi commilitoni umani). Quando però la relazione era diventata troppo “seria”, lui si era reso conto che lei non avrebbe mai potuto dargli una famiglia “vera”, con tanto di figli, e Free aveva deciso di “suicidarsi”, cancellandosi la memoria per non soffrire più al ricordo di ciò che aveva parso, e buttandosi nella discarica (della quale, a quanto pare, era a conoscenza).
Ma ciò che il “vero” amore non aveva potuto creare, era nato invece dall’amore “artificiale” tra due esseri meccanici, ed ora era lì, tra le sue braccia.
– Ti chiamerò Bob Free!
Free abbracciò Bob Free, riempiendolo di bacetti artificiali sulla sua testolina artificiale, traboccante di amore reale.
Questo racconto è anche in https://www.braviautori.it/nevestella.htm. Nevestella sono io.