"Plaisir: il pianeta dimenticato”
Racconto fantascientifico in versi-acronimi
di
Maria Rosaria D’Alfonso
(recensione di Michele Nigro)
Chi ha avuto ed ha l’occasione di curiosare tra le pagine delle innumerevoli riviste fantascientifiche in circolazione, può sicuramente notare la presenza di una o più domande frequenti - almeno nelle fanzine serie ed analitiche - rivolte dagli operatori del fandom a se stessi e ai lettori: “quale è lo stato della science fiction in Italia e nel mondo?” Una domanda a cui è difficile rispondere in quanto bisognerebbe prima di tutto definire, una volta per tutte, se vi siano dei limiti tra fantascienza e mainstream… Ovvero se la fantascienza rappresenti un fenomeno letterario bisognoso di mantenere una certa autonomia (senza, per questo, parlare di “genere”) o sia letteratura e basta, quindi suscettibile di “diluizione” in opere non riconoscibili come science fiction (basti pensare al nostro Primo Levi, al riscoperto Philip Dick o ad Aldous Huxley il quale non considerava fantascientifici i propri romanzi). Le scuole di pensiero che si schierano sui due lati del fronte non mancano…
La seconda domanda è se stiamo attraversando, nonostante la “feroce” diatriba a cui si accennava, una nuova “Régression” come Jacques Sadoul definì il decennio 1973/1984 nella sua “Histoire de la science fiction moderne” in riferimento, appunto, alla produzione fantascientifica… Una involuzione causata, oggi, dalla banalizzazione del messaggio umano contenuto nelle opere fantascientifiche a vantaggio di una esasperante messa in opera di effetti speciali cinematografici che distraggono lo spettatore dai contenuti…
Maria Rosaria D’Alfonso, con il racconto fantascientifico in versi acronimi “Plaisir: il pianeta dimenticato” sembrerebbe spiazzare entrambe le domande, passando inesorabilmente in quella privilegiata “dimensione sperimentale” tipica delle avanguardie e di chi non ha paura di lanciare idee innovative in un settore, quale è quello fantascientifico, per sua natura adatto allo sperimentalismo…
Il “gioco” dei versi acronimi (se uniamo la prima lettera di ogni verso si forma come per incanto il titolo della poesia…!) non solo rappresenta una novità, credo, in ambito poetico, ma si adatta perfettamente alle esigenze di quel teatro sperimentale in cui l’essenzialità dei messaggi verbali si allea con il movimento, sul palcoscenico, di forme umane semplici impegnate in monologhi e mai bisognose del supporto di costose scenografie con cui stupire. Di un teatro, insomma, che si nutre di quel continuo contatto tra l’attore ed un pubblico assetato di una necessaria catarsi indotta che solo la recitazione pienamente vissuta, da ambo i lati, può dare… I riferimenti alla mitologia e all’antico teatro greco risultano, pertanto, inevitabili…Come pure non mancano i rimandi all’amore tormentato e contrastato di scespiriana memoria di Prospero e Proline (dei futuribili “Romeo e Giulietta” in una Verona lontanissima?)
La “trama” sembra scontata - l’eterna lotta tra il Bene (ancora intatto sul pianeta Plaisir e difeso dal probo Savio…) e l’immancabile Male (rappresentato dal pianeta Omicron e dalla figura bieca di Toxicus che commercia in embrioni…) - ma i contenuti attualissimi non lasciano spazio alla retorica: gli abusi (o i traguardi) dell’ingegneria genetica (vedi i quesiti del referendum sulla fecondazione assistita che ci ha visti protagonisti in qualità di impreparati votanti); i “villani” che ci governano o quelli che ci vorrebbero governare (la differenza tra Destra e Sinistra è un’ “invenzione” della Rivoluzione francese); il bisogno di riscoprire le origini cristiane della propria cultura per non “perdersi” nel marasma relativistico (il recuperato umanesimo cristiano di Huxley sembra fare l’occhiolino al pensiero di Papa Benedetto XVI); l’alienazione causata dalla tecnologia e dall’ebbrezza del “si può fare: facciamolo!”; gli errori e gli orrori storici che ritornano tra di noi sotto mentite spoglie; i padroni del “digitale terrestre” e della “telefonia mobile”; il lavoro flessibile e i suoi inganni statistici usati a fini elettorali; i fondamentalismi religiosi (con o senza crocifisso); il tormentone del “Grande Fratello” (non quello di Orwell, ma il fenomeno mediatico messo su da “quattro fessi chiusi in una casa”, come pure gli altri reality show ad esso affini osannati dal pubblico e dai dirigenti televisivi); le psicologie da ipermercato che ti inducono a comprare anche se non hai bisogno di nulla; il divertimento spontaneo che scompare in quanto anch’esso divenuto ingranaggio complicato di una società caratterizzata da percorsi obbligati (l’inevitabile sequenza “…Panettone-Sanremo-Carnevale-MissItalia-DomenicaIn-Campionatodi Calcio-VestitiGriffati-ColombaPasquale…” sembra non lasciare vie d’uscita al cittadino poco o per niente schierato. La diversità è anche questa!)
L’Autrice, già nella premessa, non dimentica di citare i pilastri della letteratura fantascientifica del XIX e XX secolo e omaggia i “migliori” con continui e piacevoli riferimenti alle loro opere: i mondi di Asimov; la scienza ingenua e positivista di Wells (e prima ancora di Verne); il disincanto socio-politico di Orwell; i “megaschermi” con cui è costretto a competere il rinsavito pompiere Montag in “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury; il “crimine pensato” (Thoughtcrime) che ci riporta alla PreCrime descritta in “Minority Report” di Philip Dick … Ma l’autore da cui la D’Alfonso sembra attingere a piene mani è sicuramente Aldous Huxley: il palese riferimento al suo capolavoro - “Il mondo nuovo” - è piacevole quanto la trasformazione in versi di quel messaggio d’allarme lanciato nel 1932. I cittadini della futura ed inquietante società huxleyana sono concepiti e prodotti industrialmente in provetta e durante l’infanzia condizionati con espedienti tecnologici e con le droghe. Da adulti occupano ruoli sociali prestabiliti secondo un livello di nascita stabilito a tavolino: alfa, beta, gamma, delta… sono le caste sociali. Aveva ragione Huxley (le sue profetiche paure furono confermate ed analizzate nella postuma raccolta di saggi “Ritorno al mondo nuovo” del 1958) e continua, purtroppo, ad avere ragione la D’Alfonso… Con una sola differenza: la speranza presente in “Plaisir” ci induce a combattere per un mondo migliore in compagnia degli Einsteiniani (gli scienziati puri esiliati dal mondo degli affari). “Plaisir” non va collocato, pur possedendone tutte le caratteristiche di base (annientamento dell’individualità, predominio della pseudo-scienza, fredda programmazione sociale, libertà negate, scuola di regime, omologazione del gusto…) nell’ampia pagina dell’opera antiutopica della moderna fantascienza (le antiutopie, alla fine, lasciano sempre un sapore amaro nella bocca del lettore! Con “Plaisir” ciò non accade…) ma è un racconto poetico, ovvero una “favola fantascientifica” con un lieto fine: i cattivi vengono sconfitti, il mondo di Plaisir riacquista gli antichi equilibri e i dimenticati splendori etici, gli embrioni non più sfruttati riprendono il loro naturale posto nell’universo biologico e i Derma, gli esseri dalla pelle nuova, indicano la via per la necessaria metamorfosi positiva dell’umanità…
E’ interessante ricordare che Franco Battiato, nel 1971, intitolò il suo primo album “Fetus” (nell’omonimo primo brano Battiato canta: “…non ero ancora nato e già sentivo…che la mia vita nasceva senza amore…” o come scrive con delicatezza la D’Alfonso: “Vige ad Omicron il divieto dell’io nell’altro”) che aveva come sottotitolo: “Ritorno al mondo nuovo - interamente dedicato alla persona e all’opera di Aldous Huxley” - ; e l’anno seguente con “il gesto sonoro in sette atti” intitolato “Pollution”, Battiato riprese le tematiche umanistiche ed esistenzialiste contenute in “Fetus”… Nel quarto brano di “Pollution” - intitolato “Beta” - la voce cantante afferma: “…son felice… di essere un Beta…!” (frase che ritroviamo ne “Il mondo nuovo”). I Beta sono quelli che non occupano una posizione “bassa” nell’ordine precostituito (una sorta di piccola borghesia senza cervello deputata al consumo); sono quelli che hanno imparato a considerarsi necessari; sono quelli che illudendosi di essere “…superiori ai Gamma e ai Delta…” non si accorgono della loro schiavitù nei confronti degli Alfa; sono quelli, insomma, che posseggono una felicità senza domande, senza dubbi…! Sono…Siamo noi… (?)
Ed è proprio questo il messaggio contenuto in “Plaisir”: non possiamo cominciare una rivoluzione, se prima non diventiamo consapevoli della nostra condizione; se continuiamo ad accontentarci di essere dei Beta, ad essere felici della posizione assegnataci da chi decide per noi, senza sentire minimamente l’esigenza di “cambiare pelle”.
PREAMBOLO A - TO - Z
Per anni luce visse Plaisir
Rimesso a Toxicus e seguaci
E Savio ignaro della sua accidia
Amò il Genio pur tradito.
Mostri d’Ambizione
Bollenti spiriti di
Omicron sognaron Galassie
potenti.
Lucro negli embryos sperimentali
Ogni villano pensò.
Amore chiamava Guerra.
Toxicus circospetto.
Ovunque ei tradì per il bottin
Zelanti einsteiniani suoi nemici.