Una notte
Inviato: 01/03/2024, 8:19
Ho la sensazione di soffocare.
Un'umidità stantia mi penetra nelle ossa. La paura mi paralizza. Sono sfinita. Sento in sottofondo il
triste rimbombo di fievoli lamenti. Sembra giungere da molto lontano, come il verso di una bestia
ferita. Vorrei solo sparire nel sonno; allora mi metto a pregare cercando un modo per attenuare lo
sconforto e la paura. Non riesco nemmeno a capire perché mi trovo qui.
Sarà una notte lunga che, come tutte le lunghe notti, si va materializzando nel buio fino a prendere
le sembianze di un mostro che mi attanaglia in un gelido morso. Vorrei soltanto morire; subito.
Dopo quella che mi è sembrata un'eternità, riemergo sfatta dal mio torpore in cui mi ha gettato lo
smarrimento più completo. Sono rimasta senza punti cardinali e senza nessuna cognizione
temporale.
Percepisco a pelle malvagità e perfidia.
Ora qualcuno, in quel buio, mi si è avvicinato tanto che mi riesce di annusare la sua presenza come
qualcosa di riluttante.
La mia paura si gonfia come le nuvole quando fuori piove..
Sento il caldo del suo fiato farsi più vicino. Mi ha legato le mani, bendato gli occhi e imbavagliato
la bocca.
Mi pare di sentirlo ghignare; solo ora mi accorgo che in realtà sono più di uno.
Mani nodose come artigli mi stingono le magre braccia, trascinandomi lungo corridoi che,
attraverso il tonfo vuoto di quei passi, risuonano stretti e sgombri.
Sento aprirsi una porta, ho la sensazione di stare al centro di una stanza spoglia e maleodorante.
Ho addosso tutto il peso di occhi sconosciuti puntati addosso, indagatori e poco rassicuranti.
Mi assalgono incontrollati brividi; forse sto tremando.
Poi è un fiume travagliato di domande a cui sono costretta a rispondere con un cenno del capo: o sì
o no.
Il mio silenzio si impregna di lamenti . Il grido imponente di carne, la mia, straziata., è come se non
mi appartenesse.
Le membra spezzate e il dolore di quel martirio hanno un sapore freddo, acre, quasi pungente.
Infine parole dure, di marmo che non capisco:
” Eretismo e blasfemia, signori miei! Ha confessato!”
Da un punto indefinito della stanza ora mi giungono grida e risa esultanti che hanno il sapore e il
peso di una vittoria:
“Strega, troia del diavolo...al rogo!”
Adesso, solo adesso capisco che ho firmato, con i sì del mio capo, che erano come un balsamo per il
mio misero corpo, perché attenuavano il morso di quelle torture, la mia condanna a morte.
Tutto senza prove né verità.
Una confessione estorta con crudeltà che ha portato la menzogna a vincere e di fronte a questo
massacro, tu oh Dio, dove sei?
Ti ho pregato, implorato, mi è sembrato di aver gridato più volte il tuo nome; ma nulla è servito.
Solo la mia ammissione di colpa ha posto fine a quei tormenti, alla gogna della mia carne.
Ora, nonostante il corpo martoriato e le ore contate, provo uno strano sollievo, come se quella non
fossi più io.
Mi trascinano di nuovo nella stessa cella dove mi hanno tenuta rinchiusa per tutta la notte .
O forse per più notti, chissà, dato che dal momento che sono arrivata qui ho la percezione che il
tempo si sia allungato e che lo spazio si sia ridimensionato. Mi sembra di essere allucinata.
Qualcuno mi sputa addosso.
Avverto il caldo viscido di una saliva densa a sigillo di una macabra esultanza : quella dei vincitori
sleali e codardi.
Sono lasciata sola, chiusa dietro una porta che ha risuonato come fosse sprangata .
Prima che l'ultima forza mi abbandoni, mi muovo seguendo il primordiale istinto della memoria
per arrivare là dove avevo nascosto una boccetta di intruglio di erbe che porto sempre con me in un
finto orlo della gonna.
Barcollo, vado a tentoni, striscio con le mani lungo il perimetro di una cella angusta. Riesco a
trovare il mio tesoro.
Apro il tappo e mi tornano intensi i profumi conosciuti: quello della belladonna, mischiata ai petali
e ai pistilli della freddolina e, per ultimo, l'odore pungente della radice di mandragola ridotta in
polvere.
Porto alla bocca il mortale intruglio. Mi stordisce quell'amaro di bosco. Penetra nelle vene,
asciuga la saliva; sudano le membra lacerate e piano piano le pupille si dilatano e le palpebre si
fanno pesanti, il fiato lieve, il sussulto dello sterno, il formicolio diffuso fino alla completa paralisi e
infine eccolo arrivare, come un sollievo, l'ultimo mio esile spasmo di vita.
Il mio corpo finalmente mi abbandona e mi sento più leggera dell'aria.
L'indomani comunque la sentenza viene eseguita per dare pubblico esempio.
La folla è in delirio.
Trascinano il mio corpo inerme verso la catasta di legna. Lo gettano sopra come un peso di cui
liberarsi in fretta, ma nella loro coscienza rimarrà vivo e grave come un eterno peccato mortale che
non potranno più espiare. Sta per cadere su di loro la maledizione delle streghe: un incantesimo che
li legherà con invisibili catene al male che stanno compiendo.
Ma non lo sanno ancora. Ignari esultano e senza remora alcuna appiccano i roghi su cui giacciono i
corpi di donne torturate e legate, ma stavolta senza bavagli, perché lo strazio giunga come un
monito implacabile pieno di orrore alle orecchie dei presenti.
Si levano così dalle fiamme le urla di quelle povere anime di innocenti, mentre dal mio rogo si leva
soltanto il silenzio dei morti, a riprova della follia dell'uomo.
E mi sveglio madida di sudore e la bocca asciutta. A stento apro gli occhi.
Riconosco i mobili della mia stanza e dalla finestra iniziano a filtrare i primi raggi di sole.
Ho solo voglia di un caffè.
Un'umidità stantia mi penetra nelle ossa. La paura mi paralizza. Sono sfinita. Sento in sottofondo il
triste rimbombo di fievoli lamenti. Sembra giungere da molto lontano, come il verso di una bestia
ferita. Vorrei solo sparire nel sonno; allora mi metto a pregare cercando un modo per attenuare lo
sconforto e la paura. Non riesco nemmeno a capire perché mi trovo qui.
Sarà una notte lunga che, come tutte le lunghe notti, si va materializzando nel buio fino a prendere
le sembianze di un mostro che mi attanaglia in un gelido morso. Vorrei soltanto morire; subito.
Dopo quella che mi è sembrata un'eternità, riemergo sfatta dal mio torpore in cui mi ha gettato lo
smarrimento più completo. Sono rimasta senza punti cardinali e senza nessuna cognizione
temporale.
Percepisco a pelle malvagità e perfidia.
Ora qualcuno, in quel buio, mi si è avvicinato tanto che mi riesce di annusare la sua presenza come
qualcosa di riluttante.
La mia paura si gonfia come le nuvole quando fuori piove..
Sento il caldo del suo fiato farsi più vicino. Mi ha legato le mani, bendato gli occhi e imbavagliato
la bocca.
Mi pare di sentirlo ghignare; solo ora mi accorgo che in realtà sono più di uno.
Mani nodose come artigli mi stingono le magre braccia, trascinandomi lungo corridoi che,
attraverso il tonfo vuoto di quei passi, risuonano stretti e sgombri.
Sento aprirsi una porta, ho la sensazione di stare al centro di una stanza spoglia e maleodorante.
Ho addosso tutto il peso di occhi sconosciuti puntati addosso, indagatori e poco rassicuranti.
Mi assalgono incontrollati brividi; forse sto tremando.
Poi è un fiume travagliato di domande a cui sono costretta a rispondere con un cenno del capo: o sì
o no.
Il mio silenzio si impregna di lamenti . Il grido imponente di carne, la mia, straziata., è come se non
mi appartenesse.
Le membra spezzate e il dolore di quel martirio hanno un sapore freddo, acre, quasi pungente.
Infine parole dure, di marmo che non capisco:
” Eretismo e blasfemia, signori miei! Ha confessato!”
Da un punto indefinito della stanza ora mi giungono grida e risa esultanti che hanno il sapore e il
peso di una vittoria:
“Strega, troia del diavolo...al rogo!”
Adesso, solo adesso capisco che ho firmato, con i sì del mio capo, che erano come un balsamo per il
mio misero corpo, perché attenuavano il morso di quelle torture, la mia condanna a morte.
Tutto senza prove né verità.
Una confessione estorta con crudeltà che ha portato la menzogna a vincere e di fronte a questo
massacro, tu oh Dio, dove sei?
Ti ho pregato, implorato, mi è sembrato di aver gridato più volte il tuo nome; ma nulla è servito.
Solo la mia ammissione di colpa ha posto fine a quei tormenti, alla gogna della mia carne.
Ora, nonostante il corpo martoriato e le ore contate, provo uno strano sollievo, come se quella non
fossi più io.
Mi trascinano di nuovo nella stessa cella dove mi hanno tenuta rinchiusa per tutta la notte .
O forse per più notti, chissà, dato che dal momento che sono arrivata qui ho la percezione che il
tempo si sia allungato e che lo spazio si sia ridimensionato. Mi sembra di essere allucinata.
Qualcuno mi sputa addosso.
Avverto il caldo viscido di una saliva densa a sigillo di una macabra esultanza : quella dei vincitori
sleali e codardi.
Sono lasciata sola, chiusa dietro una porta che ha risuonato come fosse sprangata .
Prima che l'ultima forza mi abbandoni, mi muovo seguendo il primordiale istinto della memoria
per arrivare là dove avevo nascosto una boccetta di intruglio di erbe che porto sempre con me in un
finto orlo della gonna.
Barcollo, vado a tentoni, striscio con le mani lungo il perimetro di una cella angusta. Riesco a
trovare il mio tesoro.
Apro il tappo e mi tornano intensi i profumi conosciuti: quello della belladonna, mischiata ai petali
e ai pistilli della freddolina e, per ultimo, l'odore pungente della radice di mandragola ridotta in
polvere.
Porto alla bocca il mortale intruglio. Mi stordisce quell'amaro di bosco. Penetra nelle vene,
asciuga la saliva; sudano le membra lacerate e piano piano le pupille si dilatano e le palpebre si
fanno pesanti, il fiato lieve, il sussulto dello sterno, il formicolio diffuso fino alla completa paralisi e
infine eccolo arrivare, come un sollievo, l'ultimo mio esile spasmo di vita.
Il mio corpo finalmente mi abbandona e mi sento più leggera dell'aria.
L'indomani comunque la sentenza viene eseguita per dare pubblico esempio.
La folla è in delirio.
Trascinano il mio corpo inerme verso la catasta di legna. Lo gettano sopra come un peso di cui
liberarsi in fretta, ma nella loro coscienza rimarrà vivo e grave come un eterno peccato mortale che
non potranno più espiare. Sta per cadere su di loro la maledizione delle streghe: un incantesimo che
li legherà con invisibili catene al male che stanno compiendo.
Ma non lo sanno ancora. Ignari esultano e senza remora alcuna appiccano i roghi su cui giacciono i
corpi di donne torturate e legate, ma stavolta senza bavagli, perché lo strazio giunga come un
monito implacabile pieno di orrore alle orecchie dei presenti.
Si levano così dalle fiamme le urla di quelle povere anime di innocenti, mentre dal mio rogo si leva
soltanto il silenzio dei morti, a riprova della follia dell'uomo.
E mi sveglio madida di sudore e la bocca asciutta. A stento apro gli occhi.
Riconosco i mobili della mia stanza e dalla finestra iniziano a filtrare i primi raggi di sole.
Ho solo voglia di un caffè.