Disfatta esistenziale / Rimpianto

Esecuzione proposta da singoli, affinamento con l’intervento del gruppo.

Moderatori: Gaetano Intile, Robennskii

Robennskii
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da Robennskii »

Buonasera Namio. Innanzitutto ti faccio i miei complimenti, ho letto due volte questo testo ed è stato bello in entrambe i casi. Ci sono picchi notevoli, devo dire.

Sì, il tema è rispettato, ma non la lunghezza...perdonami. Se però il concetto è di utilizzarlo così, intendo indipendentemente dalle battute, secondo me va benissimo.

Il titolo innanzitutto, voglio pensare che tu non l'abbia ancora scelto. Nel primo ottavo del testo (dico così perchè, caricato su Word, mi risulta di otto pagine) ma, per capirci meglio, fino alla parola "NONCURANZA" , ecco dovresti ridurre l'uso delle virgole, peraltro molte accompagnate da una "e" successiva che a mio modo di vedere risulta davvero poco elegante. Per spiegarmi meglio, esempio, il paragrafo che parte "Con un tono" e finisce "intuito" è troppo spezzettato. Invece per il precedente ti faccio i miei complimenti più sinceri, sei riuscito secondo me a nobilitare l'utilizzo della virgola dimostrandone tutta la potenza.
Consigli sparsi: " Non ebbi tempo di pensare ad altro (poichè) alle mie / ... il Flying Duchtman (che) si palesò / Si allontanò e andò a sedersi sulla sabbia, la schiena contro una palma, nel suo sorriso... / Mi avvicinai a lui (senza 'e') "

Poi parti con il discorso diretto dove nessuno, credo, ti può insegnare nulla. Hai ripetuto due volte nello stesso paragrafo la parola "delfini", metterei nel secondo "cetacei" o qualcosa così.

Come sai sono un sognatore, quindi mi ci è voluto un attimo per anagrammare Eloic in Cielo, invece neanche per sogno, è un nome celtico. Bravo, l'eletto. Se ci metti la dieresi è una bella chicca secondo me. Pensa che mi sono spinto ad anagrammare anche Gaetano e mi è saltato fuori un Etna Geo che potrebbe anche trovare una qualche collocazione nella tua bella terra.

Il resto va giù che è una meraviglia. Davvero. Si vede che ci stavi dentro tutto, con una ispirazione di quelle rare. L'assurdità della folla, le inutili distrazioni. L'amore perduto, e l'immagine di Eloic-Dio che fa quasi paura, tanto somiglia all'Uomo in sè. La tomba che in fondo ci ha sempre atteso là, dal primo giorno.

Superbo nel significato, perfetto in una disfatta che hai reso invincibile. E solo tu ci potevi riuscire.

E poi la birra fredda dopo il mare, i marinai e le donne.

Ma che bello.
Gaetano Intile
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da Gaetano Intile »

Ciao, Rob. Il titolo in realtà è La passe, l'avevo omesso perché sono maldestro.
Ho dato una sistemata seguendo le tue indicazioni, ho cercato di razionalizzare, e diminuire, l'uso delle virgole. La congiunzione e preceduta dalla virgola, però, non è casuale. È un tentativo di fermare il flusso del racconto con una pausa più lunga della virgola o della congiunzione senza ricorrere a segni grafici più importanti come i due punti o il punto e virgola. Facci caso se ti capita la rilettura, perché non li ho cambiati. Ok per i delfini. E ho apportato qualche altra correzione al monologo finale per sottolinearne il senso.
Mi fai sapere se va meglio, al netto del ,e. In caso provo a cambiare anche quelli.
Grazie.
Robennskii
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da Robennskii »

Ciao Namio, ho riletto e le virgole vanno molto meglio, a mio parere. Per le "e" qualcuna funziona, altre non saprei ma se è una scelta non discuto perché ciascuno ha il suo ritmo.

Il testo è davvero bellissimo, non c'è che dire: prende ma proprio tanto. Ricco in tutti i sensi.

Invece, il mio consiglio finale è di pensare a un titolo all'altezza, giudicando quello attuale molto al di sotto delle (mie) aspettative. Non sarà facile, ma se ne trovi uno giusto questa, per me, è una storia da concorso. Il fatto che poi, come Eloic, non cerchi (e non cerco) gloria non ci esime dall'importanza e bellezza di regalare qualcosa di bello al prossimo. Mi pare che nel racconto ci sia una frase che va in questa direzione.

A presto..
digitoergosum
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da digitoergosum »

Provo, con il seguente racconto, scritto ai miei esordi di autore, ad affrontare l'argomento della disfatta esistenziale. Credo inoltre che, sebbene a suo tempo non conoscessi il significato del tema portante, l'avessi comunque centrato. Grazie.

EUTANASIA

Sì, lo so. Non ho titolo per ragionare di fino, sono quello con la vanga in famiglia, ma con te che sei morto posso anche permettermelo. Sto morendo, disteso nel giaciglio, preda di tumori grossi come patate che sporgono sotto pelle, vecchio e sotto l’effetto di quei funghi che già ti ho fatto conoscere. Non sono un grande pensatore, ma quell’ignorante del nostro genitore, che biascicava frottole alla volta della silente roccia, che ci costringeva a spellarci le ginocchia cinque volte al giorno, era forse un sacerdote? Sentenziava mentre ci batteva col bastone perché rispettassimo l’Altissimo così assente, perché ne seguissimo i precetti. Già prima di ucciderti, poco prima, ho cominciato a pormi domande sulla Sua religione violenta. L’offerta del prodotto dei campi costata sudore e vesciche non aveva alcun valore, meglio un sacrificio con budella sanguinolente quanto prima dimora d’insetti e cibo per animali saprofagi. Mi hai spiegato il rito, fratello, ho ben chiare le tue parole:
- Prima di abbattere un capo lo accarezzo e lo abbraccio, gli spiego che deve nutrirci e lo benedico per il suo sacrificio. Prego Dio affinché renda la lama pietosa e la pietra decisa. Le viscere dell’animale poi le affido ai piedi della sacra rupe, offerte al Signore.
Che rito assurdo, senza alcuna parvenza d’orgoglio di razza, mettere ai piedi dell’altare viscere sanguinose e inutili di un’inerme pecora, lì a inginocchiarsi. Dio si onora in piedi, decisi nella voce, fieri a mostrargli il petto forte! A Dio si offre carne strappata in combattimento, scalpo e genitali del guerriero sconfitto!
Sei sempre stato così diverso da me. Ti ricordo e so che la tenerezza può appartenere all’uomo, forse anche a me che sono il maledetto nella storia dell’uomo, non certo a Dio. L’amore ti è proprio, sei riuscito a rendere poetico e necessario il dolore e l’abbandono di una vita animale per una divinità non diversa dalle altre nel chiedere sacrifici di sangue. Anche gli incivili che vivono la sponda opposta dell’Eufrate sacrificano vite ai loro troppi Dei, come se un Dio non fosse già tanto, troppo. Il nostro Dio, fratello, è andato oltre il sacrificio di uomini e bestie innocenti, ha alzato l’asticella col fardello del libero arbitrio e la crudele proibizione ai frutti della conoscenza del bene e del male. Ci ha costretto a essere ignoranti e liberi di dannarci, altrimenti egoisti e liberi di salvarci ignorando l’altrui dolore
Ti penso ogni giorno, ogni ora, ogni minuto fratello: mentre vango, mentre mangio, mentre mi curo la ferita al volto che non si è mai rimarginata. Quel giorno ha anche nevicato, come faccio a scordarlo? Non avevo mai visto la neve, mai più l’ho vista e mai vedrò il mare, lo so perché sto morendo, perché sto per raggiungerti.
Cos’altro potevo fare? Il morso di quella belva ti aveva imputridito la carne, soffrivi in maniera indicibile da giorni. I funghi che ti facevo masticare ti davano sollievo solamente per una o due ore, poi tornavi a urlare, stremato ad urlare anche solo con sguardi.
Il vecchio piangeva, mamma piangeva, nessuno faceva nulla. E io vivevo la condanna dell’assenza di Dio e del libero arbitrio. Ero libero di farti smettere di soffrire, mi condannavo a essere il peggiore degli uomini, a Lui sarebbe bastato un battito di ciglia per guarirti. Mi hai supplicato:
- Fai qualcosa, fallo!
Sapevi di cosa ero capace, che avrei fatto qualcosa che ha a che fare col mio modo di amare, che riguarda il mio concetto di pietà, ci contavi. Volevi smettere di soffrire, poco importava delle conseguenze che avrei dovuto patire.
Non ti ho mai amato così tanto come quando ti ho fatto masticare una manciata dei miei funghi, mentre ti ho accarezzato e ho scorto nel tuo sguardo ancora intelligente che mi ringraziavi. Ricordo che ti ho baciato sulla bocca, che ho agito con lama pietosa e pietra decisa.
Ho pensato alla possibilità di sacrificare un agnello perché ti potesse fare compagnia sull’altare del sacrificio. Non lo feci. Mi ersi con fierezza, guardando oltre l’altare, nell’atto che significava tanto assunzione di responsabilità quanto sfida al Divino, e mi scavai il naso con la lama non più pietosa. Sanguinante raccolsi il fardello che conteneva anche i dolori della carne e dello spirito, me ne andai per sempre col volto sfigurato, col segno di Caino.
Robennskii
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da Robennskii »

Che dire: breve, intenso. Anche di più: sentito.

Tu parli di "disfatta", Marcello e non saprei darti torto anche se, apparentemente, non si palesa in modo evidente. Invece, è presente in ogni riga insieme a un senso di colpa invincibile.

Menzione di merito, per quanto mi riguarda, al tuo blitz nel campo religioso. Parli di assenza e libero arbitrio... una vera condanna. Mi piace questo Caino sfigurato e dominato da un'ira che, in qualche modo, tu sembri giustificare quale unica via d'uscita dal vuoto in cui il Creatore ci avrebbe lasciato.

Colpisce poi l'amore per il fratello, Abele, con un sentimento portato alle estreme conseguenze e che proprio per questa sua peculiarità riesce a chiudere un cerchio, a congiungere le due metà. Forse, la cosa che più mi sorprende del tutto.

Il titolo è l'unica cosa che, per il mio modestissimo parere, non va: proverei con "Il segno". Poi cambierei "Sto morendo" con "Sto lasciando questa vita" per evitare di ripetere il verbo, e metterei "vittima" e non "preda" dei tumori. Dopo "Sentenziava" e "sanguinolente" con due virgole daremmo una bella pausa ritmica.

L'impressione è che tu non ci creda in queste righe, per quanto il livello sia ottimo... secondo me qualche chicca di classe la potresti inserire ma mi raccomando, senza allungare per preservare l'intensità. Poi partecipa a un concorso e vediamo se sbaglio.

Mi è piaciuto proprio tanto, Marcello.
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da digitoergosum »

Ciao Gaetano. Ricordo questo tuo bel racconto su BA. Copio - incollo ciò che a suo tempo ho dedotto. Un abbraccio.

Marcello Rizza ha scritto: ↑È sempre urgente, quando vedo che Namio Intile scrive, andare a godermi un suo racconto. Anche in questo non manca quella cifra, la sua, di “mestiere” elegante. Ogni parola è studiata e voluta, sempre perfetta a volte a scapito della scorrevolezza quando si è poco predisposti a una lettura attenta. Le sue figure sono sempre dettagliate, stimolano immagini precise e se vuole l’autore sono anche chiarificatrici. Le sue citazioni sono colte, alcune che riconosco e altre che mi invitano a fare ricerche sul santo net. Altri prima di me sono stati abili a trovare incertezze sulla punteggiatura o su altri aspetti della scrittura, o pronti a consigliare come avrebbero scritto le sue frasi. Non sono così bravo, o forse sono poco attirato dalla ricerca così tecnica. Preferisco godermi certi passaggi, come l’intuito che sussurra, gli sfiati dei delfini che imitano una benedizione, l’atollo come impronta della fantasia di Dio nella Creazione, solo per citare i primi. Questo racconto parla di malinconia per una vita che potrebbe essere e che non è stata, o quantomeno non è stata respirata: “ In Bretagna sono tutti marinai… Io sono un medico, ero un medico come tutti quelli della mia famiglia (…) ho assecondato il demone del mare (…) Poi, trascinato dal rimorso (…) trovai lavoro a Parigi…” per poi raccontare di una vita a rotoli e di una decisione coraggiosa che l’ha portato a ritrovare il mare. Eppure, anche questa nuova vita è intrisa di rimpianti, di dubbi, di disfacimento e di tombe in prospettiva. Sembrerebbe che Gaetano e Eloic siano la stessa persona, il primo che rappresenta la parte razionale alla ricerca della spiritualità “animale”, il secondo che racconta che non può esistere un ideale di vita, qualsiasi cosa si faccia prima o poi chiederà il conto: quello di far morire ogni sogno, in attesa della morte.
Grazie Gaetano – Eloic per raccontarci un poco di te.
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da digitoergosum »

E ho letto, Gaetano, anche la tua risposta. 🙂
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da digitoergosum »

Ciao Roberto. Sto già lavorando sui tuoi "stimoli". Sarò sincero: temevo da "morire" il tuo giudizio soprattutto per quanto riguarda l'aspetto religioso. So che sei attento alla "sensibilità" religiosa. Io sono uno scrittore alla Bukowski. Sono un cattolico "freddino", che trova sfogo nei suoi dubbi scrivendo. Non voglio mancare di rispetto alla religione ma quando scrivo esco da me e divento "fantasia", anche fastidiosa. E non voglio uscirne, è il mio sfogo a rischio di non piacere. Anzi...voglio, nello scritto, infastidire, provocare. Il titolo, che giustamente tu hai criticato, l'ho messo perché gli altri lettori non avevano capito il mio messaggio. E ne resto sempre perplesso quando non giungo. Prendo a pretesto un fatto biblico conosciuto e parlo di un problema che è anche un mio problema, combattuto sulla mia fede e sull'eutanasia. Non riesco a uscirne dal dilemma. L'eutanasia è giusta o no? Affido quindi a un personaggio conosciuto il suo pensiero, da me filtrato, ma non mi espongo come autore perché, nel senso, sono confuso e combattuto. Ma sono autore, e quando scrivo non guardo a fede, credo, dogmi. Vivo la fantasia.
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da Robennskii »

Assolutamente, il tema dell'eutanasia è evidente.

Per quanto riguarda la religione confermo, l'attenzione resta doverosa e rimango coerente alla mia linea. Tu sei stato tutto tranne che offensivo o blasfemo, il tuo personaggio è perfetto e aderente a quello biblico. Così come il creatore che nell'Antico Testamento sapeva incutere timore.
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Re: Disfatta esistenziale / Rimpianto

Messaggio da Gaetano Intile »

digitoergosum ha scritto: 07/03/2024, 8:54 Provo, con il seguente racconto, scritto ai miei esordi di autore, ad affrontare l'argomento della disfatta esistenziale. Credo inoltre che, sebbene a suo tempo non conoscessi il significato del tema portante, l'avessi comunque centrato. Grazie.

EUTANASIA

Sì, lo so. Non ho titolo per ragionare di fino, sono quello con la vanga in famiglia, ma con te che sei morto posso anche permettermelo. Sto morendo, disteso nel giaciglio, preda di tumori grossi come patate che sporgono sotto pelle, vecchio e sotto l’effetto di quei funghi che già ti ho fatto conoscere. Non sono un grande pensatore, ma quell’ignorante del nostro genitore, che biascicava frottole alla volta della silente roccia, che ci costringeva a spellarci le ginocchia cinque volte al giorno, era forse un sacerdote? Sentenziava mentre ci batteva col bastone perché rispettassimo l’Altissimo così assente, perché ne seguissimo i precetti. Già prima di ucciderti, poco prima, ho cominciato a pormi domande sulla Sua religione violenta. L’offerta del prodotto dei campi costata sudore e vesciche non aveva alcun valore, meglio un sacrificio con budella sanguinolente quanto prima dimora d’insetti e cibo per animali saprofagi. Mi hai spiegato il rito, fratello, ho ben chiare le tue parole:
- Prima di abbattere un capo lo accarezzo e lo abbraccio, gli spiego che deve nutrirci e lo benedico per il suo sacrificio. Prego Dio affinché renda la lama pietosa e la pietra decisa. Le viscere dell’animale poi le affido ai piedi della sacra rupe, offerte al Signore.
Che rito assurdo, senza alcuna parvenza d’orgoglio di razza, mettere ai piedi dell’altare viscere sanguinose e inutili di un’inerme pecora, lì a inginocchiarsi. Dio si onora in piedi, decisi nella voce, fieri a mostrargli il petto forte! A Dio si offre carne strappata in combattimento, scalpo e genitali del guerriero sconfitto!
Sei sempre stato così diverso da me. Ti ricordo e so che la tenerezza può appartenere all’uomo, forse anche a me che sono il maledetto nella storia dell’uomo, non certo a Dio. L’amore ti è proprio, sei riuscito a rendere poetico e necessario il dolore e l’abbandono di una vita animale per una divinità non diversa dalle altre nel chiedere sacrifici di sangue. Anche gli incivili che vivono la sponda opposta dell’Eufrate sacrificano vite ai loro troppi Dei, come se un Dio non fosse già tanto, troppo. Il nostro Dio, fratello, è andato oltre il sacrificio di uomini e bestie innocenti, ha alzato l’asticella col fardello del libero arbitrio e la crudele proibizione ai frutti della conoscenza del bene e del male. Ci ha costretto a essere ignoranti e liberi di dannarci, altrimenti egoisti e liberi di salvarci ignorando l’altrui dolore
Ti penso ogni giorno, ogni ora, ogni minuto fratello: mentre vango, mentre mangio, mentre mi curo la ferita al volto che non si è mai rimarginata. Quel giorno ha anche nevicato, come faccio a scordarlo? Non avevo mai visto la neve, mai più l’ho vista e mai vedrò il mare, lo so perché sto morendo, perché sto per raggiungerti.
Cos’altro potevo fare? Il morso di quella belva ti aveva imputridito la carne, soffrivi in maniera indicibile da giorni. I funghi che ti facevo masticare ti davano sollievo solamente per una o due ore, poi tornavi a urlare, stremato ad urlare anche solo con sguardi.
Il vecchio piangeva, mamma piangeva, nessuno faceva nulla. E io vivevo la condanna dell’assenza di Dio e del libero arbitrio. Ero libero di farti smettere di soffrire, mi condannavo a essere il peggiore degli uomini, a Lui sarebbe bastato un battito di ciglia per guarirti. Mi hai supplicato:
- Fai qualcosa, fallo!
Sapevi di cosa ero capace, che avrei fatto qualcosa che ha a che fare col mio modo di amare, che riguarda il mio concetto di pietà, ci contavi. Volevi smettere di soffrire, poco importava delle conseguenze che avrei dovuto patire.
Non ti ho mai amato così tanto come quando ti ho fatto masticare una manciata dei miei funghi, mentre ti ho accarezzato e ho scorto nel tuo sguardo ancora intelligente che mi ringraziavi. Ricordo che ti ho baciato sulla bocca, che ho agito con lama pietosa e pietra decisa.
Ho pensato alla possibilità di sacrificare un agnello perché ti potesse fare compagnia sull’altare del sacrificio. Non lo feci. Mi ersi con fierezza, guardando oltre l’altare, nell’atto che significava tanto assunzione di responsabilità quanto sfida al Divino, e mi scavai il naso con la lama non più pietosa. Sanguinante raccolsi il fardello che conteneva anche i dolori della carne e dello spirito, me ne andai per sempre col volto sfigurato, col segno di Caino.
Ciao, Marcello. Su La passe sono continui i tentativi di affinamento. E probabilmente hai ragione, Eloic e Gaetano sono la stessa persona, perché ciascuno di noi non è sempre la stessa persona. Cambiamo col tempo e colle situazioni. Da vecchi, con una vita alle spalle, lo si capisce appieno.
Passo al tuo bel racconto.
L'ho letto più di un paio di volte, perché qualcosa mi sfuggiva, ma poi ti dirò. Il titolo, ha ragione Roberto, non gli rende merito. Non per il titolo in sé, che è piuttosto efficace, ma in quanto a mio avviso non rappresenta il tema del racconto. Il tema centrale per me non è l'eutanasia. E neanche l'omicidio o la morte. Bensì il rapporto tra il padre e il figlio. E dunque tra la religione del padre, il sentire antico del padre, e la religione del figlio. E tra il Dio Padre della religione giudaico cristiana, coi suoi precetti e dogmi scolpiti nella pietra dei comandi consegnati a Mosé, nella vecchia (ma anche nuova alleanza), e il figlio, la creatura che questi precetti deve accogliere, rispettare, e mettere all'opera. Il vecchio malato di oggi ha ucciso ragazzo il proprio fratello. È il segno di Caino, il vero titolo del racconto, nel cui nome tenti una rivisitazione del mito contenuto nel Genesi. Abele viene ucciso da Caino. Ma se nel Genesi Caino non può sottrarsi al suo essere uomo, alle sue pulsioni, alla sua gelosia, alla sua rabbia, ed è quindi schiavo di se stesso prima che del Male, nel tuo mito Caino non può sottrarsi dall'uccidere Abele, per pietà, però, per compassione, per troppo amore. Rendi moderno il Mito, lo attualizzi, lo pieghi al sentire moderno. E in questo renderlo moderno a modo tuo lo uccidi. Ma anche questa è un livello di lettura, più profonda dell'eutanasia, ma solo un altro livello. Il vero tema è secondo me il rapporto dell'Uomo coi precetti di Dio e, per estensione, con quelli del padre, con quelli dello Stato, della legge, della consuetudine, di ciò che è normato. Tu poni l'uomo, nella sua individualità, e nella sua pochezza, nel suo agire velleitario, contro le megastrutture (create dall'uomo dico io) come la religione, la famiglia, la nazione, lo Stato con le sue leggi e i suoi apparati.
Uccidere è reato, ma uccidere per evitare inutili sofferenze è sempre lo stesso uccidere?
Un grande giurista e magistrato, e un grandissimo scrittore, Salvatore Satta, si chiedeva nel suo Il giorno del Giudizio, uno dei più profondi e grandi romanzi italiani del Novecento, cosa fosse la legge. Domanda a cui rispondeva semplicemente scrivendo che non è altro che la legge del più forte.
Chi costruisce le strutture? I più forti, i kaloi kagathoi del Mito platonico. I più belli e i più forti, i più intelligenti.
L'uomo ha creato le proprie strutture perché quelle naturali non gli bastavano più. Il tuo racconto individua il punto di rottura in cui la legge umana, che per forza di cose è la legge dei padri, non si adatta più al nuovo modo di sentire, alla legge dei figli.
E quindi è un bel tema, forte, e nella maniera in cui l'hai espresso funziona anche bene, nascosto da altre chiavi di lettura, più immediate.
Ciò che mi sfuggiva era la temporalità. Hai voluto ripercorrere il Mito del Genesi di Caino e Abele, a modo tuo. All'inizio però il racconto sembrava ambientato nel presente, per via di questo passo: "Non ho titolo per ragionare di fino, sono quello con la vanga in famiglia,"
Rileggendolo e rileggendolo la mia obiezione mi è sembrata sciogliersi. Va bene anche così.
Rimane un po' di incertezza nel linguaggio, nel registro semantico. Questa espressione: "alla volta della silente roccia," mi era sembrata inopportuna a una prima lettura, quando mi sembrava che l'ambientazione fosse vicina nel tempo e nello spazio. Ma quel riferimento finale all'Eufrate e agli antichi dei riporta questo racconto nell'alveo del Mito. E quindi, al contrario, avresti potuto essere più poetico.
L'unico consiglio che mi sento di darti è di affinare il tema centrale se ci riesci. L'amore per il prossimo, per il fratello morente, anticipa la nuova alleanza, il Nuovo Testamento. Ma questo nuovo sentire non può fare a meno di contrapporsi al vecchio. Forse dovresti trovare una chiave di volta, una soluzione, una lettura ancora più moderna, perché oggi non sembra che l'amore a tutti i costi abbia più un senso.
Bella lettura
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