Pet therapy di Sylvia Mayr
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S.0
SECOLOZERO
poesia ed esperienza del reale
Bollettino FuoriCasa.Poesia N.3/2005
a cura di Alberto Bertoni - Stefano Massari - Giancarlo Sissa
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DELLA PELLE DEL DIO.I
? Trascino la mia speranza come un sacco di chiodi . strangolata la trascino ai tuoi piedi . tuelli che non ho pi?.r?. i sul greto infuocato. . u che ancora non sei . io che non sono pi? .
Trascino un sacco di chiodi sul greto infuocato . cantando tutti i nomi che ti dar? . e quelli che non ho pi? . marcisce nella sua baracca il cencio in cui la mia vita palpitava . le assi tutte
inchiodate . ? marcito sul suo pagliericcio . con occhi che non potevano vederti . con orecchie sorde alla tua voce . la pelle troppo spessa per sentire che la sfioravi . quando passavi in vento
di malattia .
Adesso ho spogliato il marciume . e bianco vengo a te . la mia nuova pelle di fantasma freme gi? della tua aria .?
(da ?La pelle del fantasma? di Ren? Daumal, versione di Giancarlo Sissa)
Camminiamo sottoterra. Inventiamo cielo. Siamo un costante inizio. Non c?? mai un senso completo. Siamo la variabile continua della speranza. E se dico Dio dico il nemico. La sua pelle m?ingombra, mi soffoca, mi lega. Esco, rinasco, muto l?insulto in luce. Abbandono. Sfuggo al pentirsi. Ho le mani piene di segni. La pelle si scrive, mi scrive. E? un arazzo intessuto dal tempo, in modo irrevocabile, stupidamente. Senza legge. Cerca un varco nel mondo che conosco. Attraverso piazze di luce, immobili come fotografie. Il cielo, altra pelle, impedisce che il cosmo ci inghiotta. Mi impiglio fra i rami. Mi abita un mondo di insetti. Porto con me lettere, occhi di fiori, alfabeti di foglie. Sono quel che sono in modo assoluto. I colpi battono forte. Non mi spavento. Cammino. Sconfino. Sono oltre, sconosciuto a vie, vicoli, volte. Ha la sua buccia il seme. Sogna. Poi marcisce nella terra e d? frutto. Fa odore di buono. Se ne frega. Non ubbidisce. Cerca fuori. Non separa. Unisce il tempo al suo senso.
Giancarlo Sissa
Non essendo dio
altro che superfici
in ogni direzione la sua pelle
? la durezza circolare del suolo, lo scudo che riguarda
l'incandescente
rombo della materia: noi
calpestiamo dio
e calpestiamo ognuna delle some, piantiamo
nel suo essere ovunque dei meleti giovani
che di atomo in atomo sollevano
il loro Unico Corpo
di bestia vegetale
verso una rotazione di ideali bianchi: costati sereni
di angeli come nature che ci rappresentano e vaghi corpi
cavalloni di nuvole leggere
con una evanescente porosit? intorno
al cuore ? e infine i meli in fiore
tengono alzati gli animali umani con il sistema
nervoso esposto: in guerra
dio ? la corteccia
del soldato bruciato e dentro
adesso s? una fiammeggiante volont? di pace.
L?arma
? il punto pi? profondo di Dio. Ci? spiegherebbe
l?appartenenza amministrativa della nostra anima a un mon-
do di feritori, la infissione antioraria
delle lame, i rapporti reciproci
tra la lingua e il filo della spada, la ecchimosi figurata della
punta
piegata che ha urtato le ossa del bambino Gianluca come
un museo contratto.
Diagonali di sole
Corpi prospettici
e cup?di
al sole piombatore, virulenti
e accessibili bambini
opposti ai chiodi della croce.
Secchi di malta. Tutta la terra percorsa dal gemito del
tramonto. Tu sei come la notte
e per ci? punti i gomiti sul petto calmo
di Dio, e cominci a piegarlo verso terra
dagli occhi, neri
come gli occhi dei grandi
volatori pietosi.
Prendiamo il carico sui nostri corpi
di questo cielo, primitivo
deserto.
Maria Grazia Calandrone
? nata a Milano nel 1964 e vive a Roma. Ha pubblicato il libro-premio Pietra di paragone (Tracce, 1998), La scimmia randagia (Crocetti, 2003 - premio Pasolini opera prima, finalista premi Dess?, Montano e Torri di Quartesolo) e Come per mezzo di una briglia ardente (Atelier, 2005) e varie scelte di testi su riviste (Pagine, Le Fram, Poesia, ClanDestino, Letture, Frontiera, Nuovi Argomenti), in antologie (Melodie della terra, Vent'anni di poesia, ParcoPoesia) e antologie di premi (Montale 1993, Corciano 1998, Bellezza 1999, LericiPea 2000, Giorgi 2004, Turoldo 2005). Ha collaborato al quadrimestrale di filosofia Homo Sapiens e ha partecipato a numerosi festival nazionali e internazionali, a uno speciale televisivo su Joyce Lussu e, in radio, a L'angolo della poesia di Giuliana Calandra.
(Da ?Il compito?)
Non ti inviter? all?obbedienza
alla distinzione
n? a tenere a mente
l?ordine dei telai di questa pelle.
Anche io me ne sto
tra le gambe aperte dei mercati
a provare ogni tipo di frutto carico
a stare attenta al sapore.
Ma mi distrarr? da te
per vigilare il mio compito
affinch? l?animale non consumi tutta la luce
per la sua piccola tana.
Ho da fare una radice quadrata
la matematica di una riduzione
e dalle intercapedini delle sicurezze
estrarre ci? che sono.
Certo, ho del bene in serbo
sono in cova.
Ma anche nell?aria
c?? un punto incinta
ed ? un punto vuoto.
Era l'istinto perfetto del rapace
- provalo ora
- prova il becco col metallo dell'aurora -
ad avere visioni precise sul colpo di ogni preda
ad essere tornato a tenere la mia spalla.
Lo avevo chiamato senza grido
senza togliere un giorno alla mia morte
con un cenno lento di lama in mezzo al sole
lo avevo chiamato.
Ed era tornato pi? sacro di un silenzio
- con l'artiglio -
a infilzare a vita la vulva occipitale
a infilzarla con qualcosa che precipita nell'alto.
- vuoi che ti sorprenda tra i cespugli?
o che mi giri precisa di paura? -
Ma io tengo mia figlia presa salda per la destra
mio figlio tirato in groppa su come un fucile
gli odori di femmina girano vespai.
Ritorno prima della vetta
al mattino scuro di presto.
Quando mi annusavo come un cacciatore estinto.
Quando mi predavo come un falco.
Eravamo tre.
Tre come dire Uno.
E, in ognuno, carne spirito anima tutta.
Eravamo tre davanti al sole
la gioia animale dell'appartenenza.
Lucidi come cavalli, mercurio
carne forte di carne.
Io non ho pi? vent'anni
posso stare al sole con la fronte dura
che cavalca allacciata fino in vita con le funi.
Dentro si allena un muscolo di storia
che mi tiene dritta torso nudo
con due mammelle utili
con due mammelle e un ventre passato per il ferro.
Ero stata dio
ma solo dopo
stata
e salvata dalle creature che avevo salvato dal buio.
Dio in tutta la mia carne
avevo lasciato l'angelo.
Al posto delle ali un petto intero
scuro manipolato fiero.
Senza chiedere perdono
avevo lasciato il diavolo.
Eravamo tre.
Tre ? un intero.
Eravamo carne della carne
- sapete cosa dico? -
una ferocia sacra.
Due di me mi chiamavano Madre.
Ed io tremavo sicura.
Mi convertivo.
Ero.
Tiziana Cera Rosco
? nata nel 1973. Ha pubbilcato Lluvia (Lietocolle,2004), Il sangue trattenere (Atelier, 2003), Calco dei tuoi arti (Lietocolle, 2002) e nelle antologie Lavori di scavo. Antologia di poeti nati negli anni '70 (RaiLibro, 2004), Poesia in Festival (Teatro Olimpico, Vicenza 2003), Gli Argonauti (Archivi del'900, 2001), Gli Angeli di Novi Sad (Quaderni del Battello Ebbro, 2002), Almanacco del Mitomodernismo (Alassio, 2000).
non solo la pelle. oltre. oltre ogni decorazione cicatrice ruga neo che sia. attraversare la soglia scegliendo il creato interiore. dentro cui la mandorla cardiaca. non solo la mia carovana di sale percorre la mappa geologica del corpo ma attentamente, con parsimonia, nella cerimonia, umilmente vivo dentro l?ombelico.
non il dio. ma la dea madre. mi sento dentro. ovunque. selvatica appartata concentrata. in festa. umida e concava, m?inchino brindando. alzando me, esponendo me pubblicamente alla luce: la coppa di argilla e polvere di ossa in bocca a te.
I
Che cos?? l?andare e che cos?? la casa
qui dentro. Non ? pensare, meditare,
ma proprio dire nel cuore.
Pronunciargli parole dentro
tra diastole e sistole.
Vocali consonanti punti e virgole
che invece di uscire fuori
viaggiano nel sangue.
II
il verso di una cantica cardiaca
il cuore orientato attraversa le proprie costole
e le trasformazioni tremende della sabbia fino all?acqua dell?oasi
conduce
a compimento il sale
di un?intera carovana
III
non cammin? sull?acqua ? falso e offende i pesci
ma camminando vide con i piedi la terra
e sotto la terra la trasparenza turchese dell?acqua
fluire
Anna Maria Farabbi
Per poesia:
Fioritura notturna del tuorlo, Tracce,1996
Il Segno della Femmina, Lietocolle, 2000 con cd
Adluj?, Rovigo, Il ponte del sale, 2003
Kite, portfolio di 9 opere grafiche di Stefano Bicini su mie poesie, Pescara, Studio Calcografico Urbino,2005
Per prosa:
Nudit? della solitudine regale, Zane Editrice, 2000
La tela di Penelope, Lietocolle, 2003
Per saggistica con traduzioni:
Le alfabetiche cromie di Kate Chopin, Lietocolle, 2003 (monografia su Kate Chopin), Un paio di calze di seta, Sellerio, 2004 (raccolta di racconti di Kate Chopin)
C?? un punto diamante. Il punto in cui nasce o muore. Il fiore che si piega in dentro, la roccia che si spacca in fuori. Il bilico tra il molle e il duro. Il punto in cui il secco scotta, in cui l?erba sta per crescere o marcire. C?? un punto di coincidenza. La pelle ? il valico.
Guarda le braccia. Guarda le braccia del marinaio, guarda le braccia del contadino, guarda le braccia del becchino. Remare, zappare, seppellire, sono roteazioni simili, e affondi. Cercano un punto, questi uomini.
Questi uomini adesso dormono, imprecano. Uomini assonnati e arrabbiati, non vanno per mare e non seminano, simulano
un funerale per una fossa comune, ? come mettere la polvere sotto il tappeto.
Questi morti che diventano sale, non li abbiamo guardati. Dice il mito,
se lui si gira lei diventa di sale. Perch? ? lei che si deve girare, che deve guardare, che deve salvare.
Queste donne che difendono la terra quando non possono pi? difendere gli uomini,
quando non possono pi? difendere il corpo. Queste donne che diventano
terra quando non hanno pi? latte e non hanno pi? sangue.
Le donne sono liquidi che nutrono, versano sangue e latte, sangue e latte, da quando il tempo chiede conto alla specie. Gli uomini sono liquidi che investono,
costruiscono.
Facciamoci vedove, noi, riconosciamo di esserlo, met? di una parte strappata, voluta,
voltata.
Facciamoci contadine, col corpo a maggese. Misuriamo la forza delle braccia, abbiamo cura della stanchezza della terra, abbondiamo i semi dell?uomo.
Andiamo dentro e fuori dal fuoco, a insistere nell?inferno, prove di sopportazione. Impariamo a passare, ammaestrate a gestare. A governare
la pelle. Come una credenza, come un regno.
Le donne che chiamano il nome, che premono al seno, che muovono,
nel coito, loro, s?ammoribidiscono. Gli uomini trovano, loro che stringono, che spingono,
nel coito s?irrigidiscono.
Queste parti dure di noi, i denti e le ossa, sono le uniche case possibili, nella terra molle.
Ogni muro diventa un costato. O una schiena. Qualcosa con cui avete a che fare, un?ernia o una costola. Qualunque cosa ne facciate dopo, una donna per esempio.
Mura di una citt? assediata, e moli prima del mare, bordi
qualunque cosa vogliate dopo, uno stato per esempio.
Queste armi illuminano, guarda, le armi che come un destino si stagliano e sembrano all?improvviso luce. Ecco, adesso le armi luccicano, sostituiscono con un bagliore riflesso il sole ricevuto.
Nel buio confondete il corpo con l?anima, le mura con la casa, le armi con il cibo,
i mercenari con i comandanti.
Salire, scendere, spingere, innalzarsi, tendere, sprofondare, abbattere.
Il furore nasconde invece di guardare. Per stare in punta il lupo, il leone, non deve essere arrabbiato. Deve avere fame, e pazienza.
Il cibo ? scalpello.
In un punto preciso, in punta come un lupo dentro, lontano dall?ultimo pasto, resta
nel ventre il rifiuto, la spoliazione. Ogni buco diventa un perno. Il perno ? il vuoto, sempre sostenuto, ? il digiuno, la forma che contiene il mare, lo spazio tra due montagne. Gli spazi vuoti
tra le parole, sono perni al dire. Sono un?insistenza.
Sto dritta nella fame e poi la fame diventa compagna. Diventa una parte del corpo, sento il lato vuoto di ogni organo. Mi appuntisco per diminuire lo spazio d?ingerenza, per accogliere pi? spazio. Mi preparo a un grande corpo, a un grande abbraccio, a un grande morso che tolga in un morso tutta la fame, tutta l?attesa. La fame ? attesa.
La fame ? mettersi in pari alla terra, calpestata sporcata seccata.
Guardami camminare, freddo e caldo che sia, sulla terra, avanti e indietro, con le mani sui fianchi, con le mani sul sesso, con le mani in alto,
ma non con le mani davanti agli occhi. Guardami,
io vedo occhi spenti, non vedo fuochi, corpi a due dimensioni come cartoni animati, sorvolano
e non si graffiano. Tutto levigato, corpi patinati sotto vestiti ben stirati. Lo sguardo ? senza spigoli senza pieghe senza ruvido. Lo sguardo ? un gioco ad eliminazione.
Guardati nudo, mostrati orgoglioso, le tue ferite sono la loro vergogna, mostra
il vuoto di quello che hanno preso
come un vulcano acceso. Il fuoco protegge dove il ghiaccio annichilisce, non finisce.
Sto fuori dal cerchio vitale
fino a sembrare oscena. ? un assedio, o forse
necessario alla conservazione della specie.
Le donne hanno il grembo, sono madri da dentro, gli uomini sono padri
quando un figlio chiama, sono padri da fuori.
Il sesso ? cercare
nel corpo dell?altro tutto il tatto dell?altro, la pelle, entrare
nell?altro e vedere da l? quanto ? profondo. Il sesso ?, fuori e dentro, arrivare al punto.
Questi corpi spellati
si seccano, come aringhe, come funghi.
Mani vi frugano, mani affamate, ad accelerare la stanchezza. Vi frugano per non guardarvi.
Corpi stesi secchi, messi alla prova, destinati a un consumo, siamo
inutili quando non siamo vivi, siamo corpi fermi.
Il corpo si ammala, sfida e impara, entra
vuole essere usato con cura e con slancio
con predisposizione, con giustizia.
Il sesso ? dio che si ? fatto corpo, dio dentro il figlio, dio che ha provato
a mettersi, da dentro, nella carne, rimettere il principio alle braccia al sangue, guardare come viene il mondo da l?, sotto la pelle.
Si ? fatto morto. Abbi paura della morte, tu, che provi come cicuta, una goccia per volta.
La morte ? tenere l?attenzione.
Tieni la paura, fai sosta prima del valico, la morte ? il limite che serve a bilanciare. Sono i morti,
il numero dei morti, che fa la differenza, il loro prestigio.
Da quella volta che si ? fatto morto e poi
ha pregato di perdonarli. Gli uomini migliorano
in nome di dio, combattono, poi lo raccontano, e chiamano tutto una preghiera.
Star nudi, di fronte, non vuol dire capire, vuol dire accettare, prendere
il mistero. Ti prendo
la pelle, anche dove non vedi, dove non sai, anche dove fa schifo,
? questo volere.
Paola Turroni
? nata a Monza (1971), dove ha studiato fino alla maturit? classica, poi ha cominciato a muoversi, a cambiare vita e citt?, per studio e per passione. Ha frequentato il Dams e la Scuola Europea di Teatro e Cinema diretta da Renzo Casali (Comuna Baires). Tiene laboratori di teatro, cinema e comunicazione, per ragazzi, genitori e insegnanti, con particolare attenzione alle relazioni interculturali, alla condizione della donna e al disagio giovanile. Ha collaborato con RadioDue come autrice. Suoi testi sono apparsi su diverse riviste. Nel 2000 pubblica il libro di poesia ?animale? (Fara Editore, Santarcangelo-Rimini)
Nel 2003 pubblica il libro di racconti ?Due mani di colore? (Medusa Editore, Milano), in collaborazione con la poetessa e pittrice Sabrina Foschini.
Nel 2003 pubblica la raccolta di poesie ?Il vincolo del volo? (Raffelli Editore, Rimini), di cui una selezione ? gi? uscita tradotta per la rivista americana di letteratura ?How2?. Nel 2004 ha collaborato come traduttrice a ?I surrealisti francesi? (Stampa Alternativa, Viterbo). Nel 2004 ? stata invitata al Festival Internazionale di Poesia di Malta.
?se scema l?odio
la paura cresce?
Vladim?r Holan
(tutto ci? che perdo finalmente resta libero e rinasce) . pioggia affamata adesso - che ricopre ogni gesto esteso della pelle . lascio che mi liberi varchi di rifiuto e di accoglienza . lascio che mi prepari a una prossima vicina assenza . ora serve che io ti dica un dio che non ti sia mai di alcuna cura . spero . ma di vivente e magnifica perdita . di smarrimento fuori e dentro il tuo tempo . di disperato impossibile canto . intanto continuano treni al macello dei secoli - arrivano i sanguinanti con valige di terra e mani strette - adatte ai nuovi pi? veloci muri . nelle citt? promesse a salvezza e redenzione crescono perfette macchine di insonnia incandescente (dammi oggi il tuo sangue quotidiano ? dammelo ininterrottamente) . soldati ignari e lontani da casa raccolgono pezzi aperti di ogni loro figlio senza pane - senza luce - senza nemmeno pi? un inferno da pregare . io qui cammino ancora e scelgo di stare senza terra . ho radici solo nella pelle dei miei figli - che mi uccideranno - presto - affinch? domani siano migliori di me - di te - che ho visto come muore il tuo dio - senza pi? neanche il pudore delle bestie . ora muovi pure davanti a questa grande scena il tuo santo amore (per amore dici) - il tuo sereno dolore (per amore dici) - ma la morte ? legge esatta e come la vita - non ha nome e non ? mai calma . in fondo il tuo dio non la vuole la mia pelle - e io non voglio la sua .
Stefano Massari
fuoricasa.poesia@libero.it