Esercizio numero tre
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Re: Esercizio numero tre
Beh, direi che col monologo interiore non te la sei cavata affatto male. Va bene. Brava.
Re: Esercizio numero tre
Grazie! è stato difficilissimo, nella sua facilità. Ho dovuto studiare prima di cimentarmici, sembra così scontato eppure...
Passo al prossimo, il quinto, incrociando le dita.
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Re: Esercizio numero tre
esercizio numero 3-A
buonasera a tutti,
ho ripetuto l'esercizio a anche stavolta mi sono reso conto di quante difficoltà ci sono celate in qualcosa di apparentemente semplice come comporre un racconto con una sola sequenza dialogica.
Se nel ripetere l'esercizio 2 ho trovato difficoltà a gestire i cambi di sequenze( intendo nel collegarli bene fra di loro ), qua la difficoltà è stata la gestione di ciò che avviene prima del dialogo.
Non ho avuto troppi problemi nel creare una storia con un solo dialogo, diciamo che mi sono arrangiato, ma tutto quello che avviene prima è una descrizione in tempo reale che secondo me "incasina" il punto di vista del personaggio.
Mi spiego peggio, in situazioni del genere ho difficoltà nel far scorrere gli eventi, mi sembra di scrivere una telecronaca.
Sono graditissimi i commenti, le critiche e i suggerimenti.
Vi ringrazio in anticipo per la lettura.
L'orologio segna le 16:47, è tardi maledettamente tardi. Non posso nemmeno mettermi a correre, il bosco è buio e pieno di radici che escono dal terreno, vista la situazione devo evitare di rompermi l'osso del collo. La bicicletta è da qualche parte sotto i rovi delle more, prima la trovo e meglio è. Guardandomi intorno vedo solo alberi e macchie di felci, non c'è un sentiero. Devo stare calmo, se non trovo quella bicicletta sono finito, è l’unico modo per raggiungere l'abbazia in tempo, prima che il buio si mangi tutto. Guardo di nuovo l'orologio, sono le 16:53.
Se chiudo gli occhi per ricordare dove ho messo la bicicletta appaiono solo immagini dell città e questo non mi aiuta. L'epurazione deve essere già iniziata, dannati pazzi...
Mi devo muovere passo dopo passo entro nel bosco sentendo la sua essenza ostile, sono l'unico uomo nel raggio di chilometri. Già chilometri, tredici chilometri all'abbazia direzione nord verso le montagne, la bicicletta è in quella direzione sotto una montagna di rovi alta come un camion. Ora ricordo, in un punto dove il bosco si dirada ci sono questi rovi impossibili da non vedere. Un passo alla volta in quella direzione l'ansia aumenta, questo bosco mette i brividi di giorno e quando è estate, adesso che le giornate sono fredde e corte fa paura anche ai lupi che lo abitano. Passo dopo passo le radici mi bloccano i piedi come se fossero mani che mi vogliono agguantare e tirare sotto terra. Devo camminare guardando in basso, senza però perdere la direzione quindi alzo e abbasso le testa in continuazione fino ad avere la nausea. Dopo poco ho bisogno di fermarmi e riprendere fiato, guardo l’orologio e sono le 17:02, non ce la farò mai.
No, devo stare calmo.
Butto la schiena su un albero così grande che se volessi abbracciarlo dovrei sdoppiarmi, anche se fa freddo mi spoglio e con la t-shirt mi asciugo il sudore. Sono fradicio e ho la pelle d'oca, più mi asciugo e più sudo anche se fa freddo. Stacco la schiena dall'albero e ricomincio a camminare stringendo la t-shirt e la felpa nella mano sinistra, mi rivesto camminando mentre le radici continuano a farmi inciampare. Le ombre si allungano e i miei occhi iniziano ad affaticarsi, quando però attraverso gli alberi vedo la montagna di rovi. Corro fino alla fine del bosco e una volta fuori mi rendo conto che non ancora così buio. L’orologio segna le 17:11 posso farcela, non è facile ma posso. La montagna di rovi si estende in orizzontale per diversi metri, dove sarà la bicicletta a destra o sinistra?
Svolto a sinistra scrutando attraverso il groviglio di spine per vedere se spunta qualcosa, magari la sella o il manubrio, ma niente. La muraglia di rovi è tutta uguale, non ricordo nulla che possa farmi tornare in mente il punto in cui ho nascosto la bicicletta. Torno indietro correndo, ma la bicicletta non si vede.
Inizio di nuovo a sudare e la testa mi gira, dov'è quella maledetta bicicletta?
Non posso pensare di raggiungere l'abbazia a piedi, fra poco sarà buio e una volta finita l’epurazione in città quei pazzi potrebbero dare la caccia a chi sta fuori. Oltretutto il bosco e la campagna non sono sicuri, rischio di essere sbranato da qualche lupo lungo il tragitto.
Istintivamente inizio a prendere a calci i rovi, i pantaloni si strappano e le gambe sanguinano, ma funziona perché uno dei calci viene attutito dalla ruota della bicicletta.
Mi tolgo la felpa e la uso come guanto per evitare di sacrificarmi le mani, la bicicletta è lì, dove l’avevo lasciata. Con la mano libera afferro la ruota e la trascino fuori dai rovi.
Fortunatamente le ruote sono a posto, ma è piena di insetti e scolopendre che ci camminano sopra. Devo lottare per non vomitare, odio le scolopendre come i serpenti e i vermi, non ho con me niente per pulirla e devo salirci alla svelta.
Inizio a colpire la sella e il manubrio con la felpa come se dovessi spegnere un fuoco.
Dopo un po’ la bici è pulita, ma la felpa è costellata dai resti di quelle bestie schifose. Pulisco la felpa sull'erba e guardo l’orologio, sono le 17:35 ci ho messo troppo.
Salgo sulla sella e imbocco l’unico sentiero che c'è pedalando a tutta velocità, il sole è quasi tramontato del tutto. Dopo un ultimo pezzo di bosco inizia la campagna, devo muovermi!
Gli olivi lasciati allo stato brado sembrano giganti rannicchiati che non devono essere svegliati, alzo la testa verso le montagne e vedo che il sole non c'è più. Il cielo rosso ha qualcosa di inquietante, pedalo a tutta velocità sentendo la catena sferragliare. Se la catena dovesse cadere sarebbe gravissimo, il cielo adesso è blu e fra poco diventerà nero. Non ci devo pensare, devo solo pedalare con tutte le mie forze.
Per fortuna riesco a vedere l'abbazia, un mostro nero sulla collina dove spero di potermi rifugiare.
Arrivo davanti all'abbazia che il cielo è nero come la campagna e la terra che ho sotto i piedi. La luna non c'è, anche lei a voltato le spalle a tutti in questa notte maledetta. Raggiungo l'abbazia e cerco il portone a tastoni, lo trovo e lo prendo a pugni sentendo tremare tutto il corpo. Non si affaccia nessuno, ricomincio a colpire il portone urlando con quel poco di voce che mi rimane.
- Chi sei?
Alzo la testa e nel buio vedo una piccola feritoia dalla quale filtra della luce gialla. La vista della luce mi scalda, ma il profilo scuro di chi mi sta parlando mi toglie il fiato.
- Allora?!
- Sono un pellegrino, ho qua un documento firmato da don Shennzy, vi chiedo di accogliermi per la notte.
- Non stanotte, fratello.
Mi sento morire, non può essere, non deve andare così.
- Il mio documento è autentico, vi prego. Urlo mostrando il foglio di carta che ho in mano e che l0uomo affacciato alla finestra sicuramente non riuscirà a vedere.
- Non stanotte. Va con Dio, fratello.
Non ci credo non può essere vero, perché quel maledetto lassù fa così?
- Vi prego, sto fuggendo dalla città. Don Shennzy mi ha assicurato che potevo entrare. Se mi lasciate qua fuori mi condannate a morte certa!
- Va con Dio, fratello.
La finestra si chiude e nel buio più profondo non ho neppure la forza di piangere.
buonasera a tutti,
ho ripetuto l'esercizio a anche stavolta mi sono reso conto di quante difficoltà ci sono celate in qualcosa di apparentemente semplice come comporre un racconto con una sola sequenza dialogica.
Se nel ripetere l'esercizio 2 ho trovato difficoltà a gestire i cambi di sequenze( intendo nel collegarli bene fra di loro ), qua la difficoltà è stata la gestione di ciò che avviene prima del dialogo.
Non ho avuto troppi problemi nel creare una storia con un solo dialogo, diciamo che mi sono arrangiato, ma tutto quello che avviene prima è una descrizione in tempo reale che secondo me "incasina" il punto di vista del personaggio.
Mi spiego peggio, in situazioni del genere ho difficoltà nel far scorrere gli eventi, mi sembra di scrivere una telecronaca.
Sono graditissimi i commenti, le critiche e i suggerimenti.
Vi ringrazio in anticipo per la lettura.
L'orologio segna le 16:47, è tardi maledettamente tardi. Non posso nemmeno mettermi a correre, il bosco è buio e pieno di radici che escono dal terreno, vista la situazione devo evitare di rompermi l'osso del collo. La bicicletta è da qualche parte sotto i rovi delle more, prima la trovo e meglio è. Guardandomi intorno vedo solo alberi e macchie di felci, non c'è un sentiero. Devo stare calmo, se non trovo quella bicicletta sono finito, è l’unico modo per raggiungere l'abbazia in tempo, prima che il buio si mangi tutto. Guardo di nuovo l'orologio, sono le 16:53.
Se chiudo gli occhi per ricordare dove ho messo la bicicletta appaiono solo immagini dell città e questo non mi aiuta. L'epurazione deve essere già iniziata, dannati pazzi...
Mi devo muovere passo dopo passo entro nel bosco sentendo la sua essenza ostile, sono l'unico uomo nel raggio di chilometri. Già chilometri, tredici chilometri all'abbazia direzione nord verso le montagne, la bicicletta è in quella direzione sotto una montagna di rovi alta come un camion. Ora ricordo, in un punto dove il bosco si dirada ci sono questi rovi impossibili da non vedere. Un passo alla volta in quella direzione l'ansia aumenta, questo bosco mette i brividi di giorno e quando è estate, adesso che le giornate sono fredde e corte fa paura anche ai lupi che lo abitano. Passo dopo passo le radici mi bloccano i piedi come se fossero mani che mi vogliono agguantare e tirare sotto terra. Devo camminare guardando in basso, senza però perdere la direzione quindi alzo e abbasso le testa in continuazione fino ad avere la nausea. Dopo poco ho bisogno di fermarmi e riprendere fiato, guardo l’orologio e sono le 17:02, non ce la farò mai.
No, devo stare calmo.
Butto la schiena su un albero così grande che se volessi abbracciarlo dovrei sdoppiarmi, anche se fa freddo mi spoglio e con la t-shirt mi asciugo il sudore. Sono fradicio e ho la pelle d'oca, più mi asciugo e più sudo anche se fa freddo. Stacco la schiena dall'albero e ricomincio a camminare stringendo la t-shirt e la felpa nella mano sinistra, mi rivesto camminando mentre le radici continuano a farmi inciampare. Le ombre si allungano e i miei occhi iniziano ad affaticarsi, quando però attraverso gli alberi vedo la montagna di rovi. Corro fino alla fine del bosco e una volta fuori mi rendo conto che non ancora così buio. L’orologio segna le 17:11 posso farcela, non è facile ma posso. La montagna di rovi si estende in orizzontale per diversi metri, dove sarà la bicicletta a destra o sinistra?
Svolto a sinistra scrutando attraverso il groviglio di spine per vedere se spunta qualcosa, magari la sella o il manubrio, ma niente. La muraglia di rovi è tutta uguale, non ricordo nulla che possa farmi tornare in mente il punto in cui ho nascosto la bicicletta. Torno indietro correndo, ma la bicicletta non si vede.
Inizio di nuovo a sudare e la testa mi gira, dov'è quella maledetta bicicletta?
Non posso pensare di raggiungere l'abbazia a piedi, fra poco sarà buio e una volta finita l’epurazione in città quei pazzi potrebbero dare la caccia a chi sta fuori. Oltretutto il bosco e la campagna non sono sicuri, rischio di essere sbranato da qualche lupo lungo il tragitto.
Istintivamente inizio a prendere a calci i rovi, i pantaloni si strappano e le gambe sanguinano, ma funziona perché uno dei calci viene attutito dalla ruota della bicicletta.
Mi tolgo la felpa e la uso come guanto per evitare di sacrificarmi le mani, la bicicletta è lì, dove l’avevo lasciata. Con la mano libera afferro la ruota e la trascino fuori dai rovi.
Fortunatamente le ruote sono a posto, ma è piena di insetti e scolopendre che ci camminano sopra. Devo lottare per non vomitare, odio le scolopendre come i serpenti e i vermi, non ho con me niente per pulirla e devo salirci alla svelta.
Inizio a colpire la sella e il manubrio con la felpa come se dovessi spegnere un fuoco.
Dopo un po’ la bici è pulita, ma la felpa è costellata dai resti di quelle bestie schifose. Pulisco la felpa sull'erba e guardo l’orologio, sono le 17:35 ci ho messo troppo.
Salgo sulla sella e imbocco l’unico sentiero che c'è pedalando a tutta velocità, il sole è quasi tramontato del tutto. Dopo un ultimo pezzo di bosco inizia la campagna, devo muovermi!
Gli olivi lasciati allo stato brado sembrano giganti rannicchiati che non devono essere svegliati, alzo la testa verso le montagne e vedo che il sole non c'è più. Il cielo rosso ha qualcosa di inquietante, pedalo a tutta velocità sentendo la catena sferragliare. Se la catena dovesse cadere sarebbe gravissimo, il cielo adesso è blu e fra poco diventerà nero. Non ci devo pensare, devo solo pedalare con tutte le mie forze.
Per fortuna riesco a vedere l'abbazia, un mostro nero sulla collina dove spero di potermi rifugiare.
Arrivo davanti all'abbazia che il cielo è nero come la campagna e la terra che ho sotto i piedi. La luna non c'è, anche lei a voltato le spalle a tutti in questa notte maledetta. Raggiungo l'abbazia e cerco il portone a tastoni, lo trovo e lo prendo a pugni sentendo tremare tutto il corpo. Non si affaccia nessuno, ricomincio a colpire il portone urlando con quel poco di voce che mi rimane.
- Chi sei?
Alzo la testa e nel buio vedo una piccola feritoia dalla quale filtra della luce gialla. La vista della luce mi scalda, ma il profilo scuro di chi mi sta parlando mi toglie il fiato.
- Allora?!
- Sono un pellegrino, ho qua un documento firmato da don Shennzy, vi chiedo di accogliermi per la notte.
- Non stanotte, fratello.
Mi sento morire, non può essere, non deve andare così.
- Il mio documento è autentico, vi prego. Urlo mostrando il foglio di carta che ho in mano e che l0uomo affacciato alla finestra sicuramente non riuscirà a vedere.
- Non stanotte. Va con Dio, fratello.
Non ci credo non può essere vero, perché quel maledetto lassù fa così?
- Vi prego, sto fuggendo dalla città. Don Shennzy mi ha assicurato che potevo entrare. Se mi lasciate qua fuori mi condannate a morte certa!
- Va con Dio, fratello.
La finestra si chiude e nel buio più profondo non ho neppure la forza di piangere.
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Re: Esercizio numero tre
Ciao, Giovanni.
Ma stai rifacendo il corso daccapo?
Hai una gran voglia di imparare, ed è encomiabile, non faccio fatica ad ammetterlo.
Secondo me puoi passare direttamente ai testi di narratologia. Le Figure di Genette, Storia e Discorso di Chatnam, gli Esercizi di Stile di Queneau. Io sono solo un maldestro, e confuso, imitatore, caro Giovanni.
La prima parte del tuo esercizio è per me un monologo interiore. Lo puoi trovare in Analisi del Discorso. È un monologo interiore diretto. Vi puoi leggere qualcosa sulle caratteristiche stilistiche dei monologhi interiori. Il mio consiglio è sempre quello di leggere i testi. Se non il maestro Joyce, almeno il nostro Italo Svevo, che di Joyce era amico, e i due si frequentavano a Trieste. Prova Senilità di Svevo, se non vuoi iniziare con La Coscienza di Zeno.
È un testo molto semplice, lo leggi in pochi giorni, e ti dirà moltissimo sui monologhi interiori e ancor di più su come adoperare la lingua italiana. L'italiano di Svevo è meraviglioso.
A parer mio i monologhi interiori sono difficilissimi da gestire e bilanciare. Perché non sono un pensiero, ma lo è. Non sono un io narrante, ma lo è. Non sono un dialogo, ma lo è.
Forse non abbiamo fatto esercizi specifici sul monologo interiore, o sì? Io nella mia lista iniziale li avevo inseriti, ma poi forse siamo arrivati lunghi a luglio e li ho evitati, perché non li ritrovo qui.
Il tuo monologo funziona, nella parte finale "Gli olivi lasciati allo stato brado sembrano giganti rannicchiati che non devono essere svegliati," questa sembra una commistione con la voce narrante. Ma va bene, nel monologo si può giocare in questo senso con la voce narrante, e i dialoghi, in un continuo entra ed esci.
I dialoghi funzionano anche, ma se volevi ripetere l'esercizio con una solo sequenza dialogica, naturalmente non hai colto nel segno.
Se vuoi adoperare una sola sequenza dialogica devi far in modo che tutto quanto viene detto e fatto dal narratore sia inserito invece nel solo dialogo.
È chiaro che è soltanto un esercizio, perché è difficilissimo, se non impossibile, eliminare il narratore da un discorso narrativo.
Ma stai rifacendo il corso daccapo?
Hai una gran voglia di imparare, ed è encomiabile, non faccio fatica ad ammetterlo.
Secondo me puoi passare direttamente ai testi di narratologia. Le Figure di Genette, Storia e Discorso di Chatnam, gli Esercizi di Stile di Queneau. Io sono solo un maldestro, e confuso, imitatore, caro Giovanni.
La prima parte del tuo esercizio è per me un monologo interiore. Lo puoi trovare in Analisi del Discorso. È un monologo interiore diretto. Vi puoi leggere qualcosa sulle caratteristiche stilistiche dei monologhi interiori. Il mio consiglio è sempre quello di leggere i testi. Se non il maestro Joyce, almeno il nostro Italo Svevo, che di Joyce era amico, e i due si frequentavano a Trieste. Prova Senilità di Svevo, se non vuoi iniziare con La Coscienza di Zeno.
È un testo molto semplice, lo leggi in pochi giorni, e ti dirà moltissimo sui monologhi interiori e ancor di più su come adoperare la lingua italiana. L'italiano di Svevo è meraviglioso.
A parer mio i monologhi interiori sono difficilissimi da gestire e bilanciare. Perché non sono un pensiero, ma lo è. Non sono un io narrante, ma lo è. Non sono un dialogo, ma lo è.
Forse non abbiamo fatto esercizi specifici sul monologo interiore, o sì? Io nella mia lista iniziale li avevo inseriti, ma poi forse siamo arrivati lunghi a luglio e li ho evitati, perché non li ritrovo qui.
Il tuo monologo funziona, nella parte finale "Gli olivi lasciati allo stato brado sembrano giganti rannicchiati che non devono essere svegliati," questa sembra una commistione con la voce narrante. Ma va bene, nel monologo si può giocare in questo senso con la voce narrante, e i dialoghi, in un continuo entra ed esci.
I dialoghi funzionano anche, ma se volevi ripetere l'esercizio con una solo sequenza dialogica, naturalmente non hai colto nel segno.
Se vuoi adoperare una sola sequenza dialogica devi far in modo che tutto quanto viene detto e fatto dal narratore sia inserito invece nel solo dialogo.
È chiaro che è soltanto un esercizio, perché è difficilissimo, se non impossibile, eliminare il narratore da un discorso narrativo.
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Re: Esercizio numero tre
Buongiorno,Gaetano Intile ha scritto: ↑03/03/2024, 12:00 Ciao, Giovanni.
Ma stai rifacendo il corso daccapo?
Hai una gran voglia di imparare, ed è encomiabile, non faccio fatica ad ammetterlo.
Secondo me puoi passare direttamente ai testi di narratologia. Le Figure di Genette, Storia e Discorso di Chatnam, gli Esercizi di Stile di Queneau. Io sono solo un maldestro, e confuso, imitatore, caro Giovanni.
La prima parte del tuo esercizio è per me un monologo interiore. Lo puoi trovare in Analisi del Discorso. È un monologo interiore diretto. Vi puoi leggere qualcosa sulle caratteristiche stilistiche dei monologhi interiori. Il mio consiglio è sempre quello di leggere i testi. Se non il maestro Joyce, almeno il nostro Italo Svevo, che di Joyce era amico, e i due si frequentavano a Trieste. Prova Senilità di Svevo, se non vuoi iniziare con La Coscienza di Zeno.
È un testo molto semplice, lo leggi in pochi giorni, e ti dirà moltissimo sui monologhi interiori e ancor di più su come adoperare la lingua italiana. L'italiano di Svevo è meraviglioso.
A parer mio i monologhi interiori sono difficilissimi da gestire e bilanciare. Perché non sono un pensiero, ma lo è. Non sono un io narrante, ma lo è. Non sono un dialogo, ma lo è.
Forse non abbiamo fatto esercizi specifici sul monologo interiore, o sì? Io nella mia lista iniziale li avevo inseriti, ma poi forse siamo arrivati lunghi a luglio e li ho evitati, perché non li ritrovo qui.
Il tuo monologo funziona, nella parte finale "Gli olivi lasciati allo stato brado sembrano giganti rannicchiati che non devono essere svegliati," questa sembra una commistione con la voce narrante. Ma va bene, nel monologo si può giocare in questo senso con la voce narrante, e i dialoghi, in un continuo entra ed esci.
I dialoghi funzionano anche, ma se volevi ripetere l'esercizio con una solo sequenza dialogica, naturalmente non hai colto nel segno.
Se vuoi adoperare una sola sequenza dialogica devi far in modo che tutto quanto viene detto e fatto dal narratore sia inserito invece nel solo dialogo.
È chiaro che è soltanto un esercizio, perché è difficilissimo, se non impossibile, eliminare il narratore da un discorso narrativo.
si il corso è troppo utile. Secondo me la ripetizione è importante se si vuole veramente migliorare anche perché ripetendo si acquisisce sicurezza e ogni volta si hanno nuovi punti sui quali ragionare, oltre il fatto che è un laboratorio per creare nuove storie.
Sul monologo ho avuto l'impressione di eseguire una telecronaca, cosa che non mi è piaciuta. Tuttavia non ho trovato altre maniere per far scorrere una storia che avesse un solo dialogo scritta in prima persona.
"Se vuoi adoperare una sola sequenza dialogica devi far in modo che tutto quanto viene detto e fatto dal narratore sia inserito invece nel solo dialogo. "
Ho frainteso l'esercizio, credevo di dover scrivere un unico dialogo, è molto difficile scrivere una storia dove ci sia un solo e unico dialogo che mostri tutto, ma ci posso provare anche perché adesso ci sarebbe l'esercizio sulla sequenza riflessiva.
Gaetano, ti ringrazio per aver letto la storia e avermi risposto, il tuo corso è uno stimolo importante per me.
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Re: Esercizio numero tre
Giovanni, questo è un testo che ho scritto io con un'unica sequenza dialogica, che continua, ne ho estrapolato un brano.
«Buongiorno M.Melanchon.»
«Buondì a lei M.me Moreau. La ringrazio per la puntualità.»
«Ma si figuri… odio aspettare e far attendere. L’acquirente ha sciolto gli ultimi dubbi e si è dichiarato pronto a versare la caparra concordata per la cifra pattuita.»
«E per quanto riguarda i mobili?»
«È disposto a venirvi incontro con un’offerta aggiuntiva.»
«Non meno di cinquantamila, lo metta subito in chiaro, mi viene un groppo al cuore solo all’idea di disfarmi di tutti i cimeli di famiglia.»
«Ah, la capisco, scelte del genere sono spesso dolorose, M. Melanchon.»
«Eh, lo so bene. Ma qual è l’alternativa? Questa palazzina di fine XVIII secolo è impossibile da gestire per chi vive di stipendio come me… tra le tasse di proprietà e le spese di manutenzione sempre più onerose.»
«Ogni cosa che ha un inizio prima o poi dovrà terminare. Con permesso M.Melanchon, la lascio alle sue attività.»
«Attendo una sua risposta, e grazie ancora.»
«Chi era?»
«L’agente immobiliare, pare che l’acquirente si sia deciso, ed è anche disponibile a farsi carico della mobilia.»
«Ottima notizia. Io ho già fatto l’inventario del piano terreno e del primo, manca solo la soffitta. Se andiamo insieme facciamo in un lampo.»
«Già… Sono anni che non ci metto piede, Kat»
«E perché mai?»
«Non ricordi? Papà aveva l’abitudine di punirmi rinchiudendomici a volte per interi pomeriggi: solo con una vecchia Bibbia da leggere. Dovevo portargli dei riassunti dei libri: Genesi, Deuteronomio… L’ho odiata quella soffitta, e quel libro, e quelle lunghe ore di inutile attesa e anche adesso preferisco non metterci piede.»
«Non sei grandicello per queste fobie? Invece adesso capisco perché sei diventato freddo con la religione. Quei riassunti ti si saranno messi di traverso tra te e Dio. Andiamo a dare un’occhiata, dai.»
«Piano, che la scala scricchiola. E tu, invece, che ricordo ne hai?»
«Il mio non è spiacevole. Era un luogo dove poter scomparire, correvo io a nascondermi, e leggevo. Le mie migliori letture le ho fatte quassù. Le ore volavano, certo non mi pesava stare qui.»
«Di sicuro qualcuno di quei libri sarà rimasto qui da qualche parte, non pensi? Anche quell’odiosa Bibbia colma di odio e di rancore. In un angolo, magari in quel vecchio baule quasi nascosto da quelle sedie accatastate.»
«Mi hai fatto venire un pizzico di curiosità, Frederick. Apri, dai.»
«Ecco… Non viene aperto per lo meno da cento anni. Come non detto… Frederick Melanchon c’è scritto sulla copertina del quaderno.»
«Ma è troppo vecchio per essere tuo.»
«È del nostro trisavolo, ricordi? Quello che ha trascorso parte della sua esistenza viaggiando tra Asia e Oceania e ha poi acquistato una piantagione di riso in Indocina dove il nonno raccontava vivesse solo con quaranta vietnamite in età fertile.»
«Ah, ricordo bene. Frederick il matto. La Cambogia sarà piena di piccoli Melanchon.»
«Probabile. E questo pare un quaderno, o un diario: vergato con grafia minuta e precisa, macchiata qua e là da sbavature d’inchiostro. Prova a leggere tu Kat, io ho bisogno degli occhiali da lettura ormai.»
«È un diario di viaggio infatti. Guarda qui… itinerari, viaggi, luoghi: il lago di Catyr Kol. Sai per caso dove sia?»
«Baviera?»
«Non credo proprio.»
Quanto al monologo interiore. Ricordati che è il protagonista a parlare direttamente e senza mediazione del narratore. In genere se è il narratore a fare un po' di cronaca, passi. Ma se è direttamente uno dei personaggi, allora l'effetto cronachistico, come scrivi tu, è probabile sia elevato alla ennesima potenza.
Guarda, vai su BA e nella prima edizione di Anonimania troverai un magnifico esempio di monologo interiore nel racconto Stessi Gusti di Ilario Brunner. Il racconto è quasi un unico monologo interiore, ed è un esempio perfetto di cosa deve essere un monologo interiore e di come vada affrontato. Non per dire un elenco di cose, fatti, situazioni, che può benissimo descrivere e dire il narratore, ma per svelare dalla sua viva voce chi sia un personaggio senza bisogno di mediazioni.
Ecco, il monologo interiore è l'assenza di mediazioni tra il lettore e un personaggio.
«Buongiorno M.Melanchon.»
«Buondì a lei M.me Moreau. La ringrazio per la puntualità.»
«Ma si figuri… odio aspettare e far attendere. L’acquirente ha sciolto gli ultimi dubbi e si è dichiarato pronto a versare la caparra concordata per la cifra pattuita.»
«E per quanto riguarda i mobili?»
«È disposto a venirvi incontro con un’offerta aggiuntiva.»
«Non meno di cinquantamila, lo metta subito in chiaro, mi viene un groppo al cuore solo all’idea di disfarmi di tutti i cimeli di famiglia.»
«Ah, la capisco, scelte del genere sono spesso dolorose, M. Melanchon.»
«Eh, lo so bene. Ma qual è l’alternativa? Questa palazzina di fine XVIII secolo è impossibile da gestire per chi vive di stipendio come me… tra le tasse di proprietà e le spese di manutenzione sempre più onerose.»
«Ogni cosa che ha un inizio prima o poi dovrà terminare. Con permesso M.Melanchon, la lascio alle sue attività.»
«Attendo una sua risposta, e grazie ancora.»
«Chi era?»
«L’agente immobiliare, pare che l’acquirente si sia deciso, ed è anche disponibile a farsi carico della mobilia.»
«Ottima notizia. Io ho già fatto l’inventario del piano terreno e del primo, manca solo la soffitta. Se andiamo insieme facciamo in un lampo.»
«Già… Sono anni che non ci metto piede, Kat»
«E perché mai?»
«Non ricordi? Papà aveva l’abitudine di punirmi rinchiudendomici a volte per interi pomeriggi: solo con una vecchia Bibbia da leggere. Dovevo portargli dei riassunti dei libri: Genesi, Deuteronomio… L’ho odiata quella soffitta, e quel libro, e quelle lunghe ore di inutile attesa e anche adesso preferisco non metterci piede.»
«Non sei grandicello per queste fobie? Invece adesso capisco perché sei diventato freddo con la religione. Quei riassunti ti si saranno messi di traverso tra te e Dio. Andiamo a dare un’occhiata, dai.»
«Piano, che la scala scricchiola. E tu, invece, che ricordo ne hai?»
«Il mio non è spiacevole. Era un luogo dove poter scomparire, correvo io a nascondermi, e leggevo. Le mie migliori letture le ho fatte quassù. Le ore volavano, certo non mi pesava stare qui.»
«Di sicuro qualcuno di quei libri sarà rimasto qui da qualche parte, non pensi? Anche quell’odiosa Bibbia colma di odio e di rancore. In un angolo, magari in quel vecchio baule quasi nascosto da quelle sedie accatastate.»
«Mi hai fatto venire un pizzico di curiosità, Frederick. Apri, dai.»
«Ecco… Non viene aperto per lo meno da cento anni. Come non detto… Frederick Melanchon c’è scritto sulla copertina del quaderno.»
«Ma è troppo vecchio per essere tuo.»
«È del nostro trisavolo, ricordi? Quello che ha trascorso parte della sua esistenza viaggiando tra Asia e Oceania e ha poi acquistato una piantagione di riso in Indocina dove il nonno raccontava vivesse solo con quaranta vietnamite in età fertile.»
«Ah, ricordo bene. Frederick il matto. La Cambogia sarà piena di piccoli Melanchon.»
«Probabile. E questo pare un quaderno, o un diario: vergato con grafia minuta e precisa, macchiata qua e là da sbavature d’inchiostro. Prova a leggere tu Kat, io ho bisogno degli occhiali da lettura ormai.»
«È un diario di viaggio infatti. Guarda qui… itinerari, viaggi, luoghi: il lago di Catyr Kol. Sai per caso dove sia?»
«Baviera?»
«Non credo proprio.»
Quanto al monologo interiore. Ricordati che è il protagonista a parlare direttamente e senza mediazione del narratore. In genere se è il narratore a fare un po' di cronaca, passi. Ma se è direttamente uno dei personaggi, allora l'effetto cronachistico, come scrivi tu, è probabile sia elevato alla ennesima potenza.
Guarda, vai su BA e nella prima edizione di Anonimania troverai un magnifico esempio di monologo interiore nel racconto Stessi Gusti di Ilario Brunner. Il racconto è quasi un unico monologo interiore, ed è un esempio perfetto di cosa deve essere un monologo interiore e di come vada affrontato. Non per dire un elenco di cose, fatti, situazioni, che può benissimo descrivere e dire il narratore, ma per svelare dalla sua viva voce chi sia un personaggio senza bisogno di mediazioni.
Ecco, il monologo interiore è l'assenza di mediazioni tra il lettore e un personaggio.
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Re: Esercizio numero tre
Buonasera, GaetanoGaetano Intile ha scritto: ↑05/03/2024, 15:07 Giovanni, questo è un testo che ho scritto io con un'unica sequenza dialogica, che continua, ne ho estrapolato un brano.
«Buongiorno M.Melanchon.»
«Buondì a lei M.me Moreau. La ringrazio per la puntualità.»
«Ma si figuri… odio aspettare e far attendere. L’acquirente ha sciolto gli ultimi dubbi e si è dichiarato pronto a versare la caparra concordata per la cifra pattuita.»
«E per quanto riguarda i mobili?»
«È disposto a venirvi incontro con un’offerta aggiuntiva.»
«Non meno di cinquantamila, lo metta subito in chiaro, mi viene un groppo al cuore solo all’idea di disfarmi di tutti i cimeli di famiglia.»
«Ah, la capisco, scelte del genere sono spesso dolorose, M. Melanchon.»
«Eh, lo so bene. Ma qual è l’alternativa? Questa palazzina di fine XVIII secolo è impossibile da gestire per chi vive di stipendio come me… tra le tasse di proprietà e le spese di manutenzione sempre più onerose.»
«Ogni cosa che ha un inizio prima o poi dovrà terminare. Con permesso M.Melanchon, la lascio alle sue attività.»
«Attendo una sua risposta, e grazie ancora.»
«Chi era?»
«L’agente immobiliare, pare che l’acquirente si sia deciso, ed è anche disponibile a farsi carico della mobilia.»
«Ottima notizia. Io ho già fatto l’inventario del piano terreno e del primo, manca solo la soffitta. Se andiamo insieme facciamo in un lampo.»
«Già… Sono anni che non ci metto piede, Kat»
«E perché mai?»
«Non ricordi? Papà aveva l’abitudine di punirmi rinchiudendomici a volte per interi pomeriggi: solo con una vecchia Bibbia da leggere. Dovevo portargli dei riassunti dei libri: Genesi, Deuteronomio… L’ho odiata quella soffitta, e quel libro, e quelle lunghe ore di inutile attesa e anche adesso preferisco non metterci piede.»
«Non sei grandicello per queste fobie? Invece adesso capisco perché sei diventato freddo con la religione. Quei riassunti ti si saranno messi di traverso tra te e Dio. Andiamo a dare un’occhiata, dai.»
«Piano, che la scala scricchiola. E tu, invece, che ricordo ne hai?»
«Il mio non è spiacevole. Era un luogo dove poter scomparire, correvo io a nascondermi, e leggevo. Le mie migliori letture le ho fatte quassù. Le ore volavano, certo non mi pesava stare qui.»
«Di sicuro qualcuno di quei libri sarà rimasto qui da qualche parte, non pensi? Anche quell’odiosa Bibbia colma di odio e di rancore. In un angolo, magari in quel vecchio baule quasi nascosto da quelle sedie accatastate.»
«Mi hai fatto venire un pizzico di curiosità, Frederick. Apri, dai.»
«Ecco… Non viene aperto per lo meno da cento anni. Come non detto… Frederick Melanchon c’è scritto sulla copertina del quaderno.»
«Ma è troppo vecchio per essere tuo.»
«È del nostro trisavolo, ricordi? Quello che ha trascorso parte della sua esistenza viaggiando tra Asia e Oceania e ha poi acquistato una piantagione di riso in Indocina dove il nonno raccontava vivesse solo con quaranta vietnamite in età fertile.»
«Ah, ricordo bene. Frederick il matto. La Cambogia sarà piena di piccoli Melanchon.»
«Probabile. E questo pare un quaderno, o un diario: vergato con grafia minuta e precisa, macchiata qua e là da sbavature d’inchiostro. Prova a leggere tu Kat, io ho bisogno degli occhiali da lettura ormai.»
«È un diario di viaggio infatti. Guarda qui… itinerari, viaggi, luoghi: il lago di Catyr Kol. Sai per caso dove sia?»
«Baviera?»
«Non credo proprio.»
Quanto al monologo interiore. Ricordati che è il protagonista a parlare direttamente e senza mediazione del narratore. In genere se è il narratore a fare un po' di cronaca, passi. Ma se è direttamente uno dei personaggi, allora l'effetto cronachistico, come scrivi tu, è probabile sia elevato alla ennesima potenza.
Guarda, vai su BA e nella prima edizione di Anonimania troverai un magnifico esempio di monologo interiore nel racconto Stessi Gusti di Ilario Brunner. Il racconto è quasi un unico monologo interiore, ed è un esempio perfetto di cosa deve essere un monologo interiore e di come vada affrontato. Non per dire un elenco di cose, fatti, situazioni, che può benissimo descrivere e dire il narratore, ma per svelare dalla sua viva voce chi sia un personaggio senza bisogno di mediazioni.
Ecco, il monologo interiore è l'assenza di mediazioni tra il lettore e un personaggio.
ho letto con piacere "Stessi Gusti di Ilario Brunner", ha scritto un bel racconto e mi ha aiutato in questo esercizio.
Ho provato a scrivere un racconto incentrato sul monologo interiore, ringrazio chiunque lo leggerà e lo commenterà. Questo esercizio, come la volta precedente, è stato più facile. Un monologo interiore blocca il tempo e permette di spaziare nella mente del protagonista.
Epurazione
È un’ora che sono seduto in questa stanza e avevo già voglia di andarmene quaranta minuti fa. Avevano chiesto la massima puntualità e come sempre c’è chi è si fatto i cazzi propri, “un regola” in questo ambiente di vecchi degenerati.
La cosa che mi elettrizza, l’unica cosa che mi trattiene dal prendere la porta e levarmi dalle palle è la paura che si respira in questo posto angusto. Qualcuno qua dentro puzza di paura come se avesse scureggiato, ha il puzzo che gli aleggia attorno e fa finta di niente, mentre altri sudano dalla pelle il panico come il sudore di un dopo sbornia, provano a pulirselo di dosso con i loro fazzoletti di seta, ma rimane.
Brutta la paura, brutta quando arriva e non se ne va. Da bambino mio nonno me lo diceva sempre, “La paura è come la voglia di cacare, viene in un attimo”.
Mio nonno aveva ragione, basta guardarsi intorno, c’è chi suda, chi tossisce e chi fa finta di nulla, l’unico a non avere paura sono io.
Per ammazzare la paura basta dargli un nome, un volto e una forma, io l’ho fatto ormai quattro anni fa, mentre tutti questi mentecatti avevano di meglio da fare che ascoltarmi.
Poco fa ho visto don Shennzy che pregava, è tutto dire.
Le pareti di questo posto fanno semplicemente schifo, le finestre sono piccole e circola poca aria. Con tutti i soldi che paghiamo in mutua assistenza potrebbero anche mettere un po’ d’aria condizionata o qualcosa che rinfreschi questo posto. Sui muri dipinti a calce si possono vedere gli scaracchi e sentire l’olezzo di chi duecento anni or sono ha dato il via a questa buffonata. Che bella gente quella che ho intorno, da sputare in faccia al migliore e cavare gli occhi a tutto il resto. Alla mia destra, scorrendo di tre posti c'è Varriale, posso sentire il suo respiro pesante infettare l’aria. Peserà centoventi chili, ha la forfora e suda di continuo, mi viene da vomitare solo al pensiero di averlo vicino. Dall’altra parte del tavolo c'è Tosetti, lavato, profumato e nervoso, magari ha avuto delle discussioni a casa con la sua mogliettina di quattordici anni, vorrei sputare a terra ogni volta che incontro il suo sguardo. Il brusio è sempre più fastidioso qua dentro, tutti hanno paura, nessuno s’immaginava di dover arrivare a tanto. Perché un conto è potere, come quando non credevamo di poter azzardare tanto, un altro è dovere azzardare tanto, sperando di levarcene le gambe. Fra poco Paoli mi chiederà di parlare, m’immagino già le facce dei presenti costretti ad ascoltarmi, i soliti che quattro anni fa hanno deciso di ignorarmi.
Eppure la cosa non mi da soddisfazione, non ho voglia di fare il saputello, voglio solo andarmene da qua.
Anche perché ormai c’è poco da dire, la situazione quattro anni fa doveva essere monitorata, tre anni fa sarebbe stato il caso di prendere dei provvedimenti, due anni fa dovevamo passare all’azione, ma adesso la soluzione è una sola, epurazione.
Già, epurazione, la parola che nessuno vuole sentire ma alla quale tutti dovranno ubbidire, me compreso.
Spaccherei la faccia a tutti se potessi, Paoli compreso con la sua tunica rossa che lo fa sentire un Dio in terra.
Certo, l’idea di veder rigare dritti questi bastardi mi riempe il cuore di gioia, ma epurazione vorrà dire ripartire da zero, e mi domando se ne saremo in grado.
Un giovane può ripartire da zero, imparando a non sbagliare più grazie agli affetti e la voglia di vivere che si presume possa avere, ma questi vecchi laidi ne saranno in grado?
E io?
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Re: Esercizio numero tre
Hai visto? Così è perfetto, bravo! Un monologo del genere velocizza la narrazione e rende superflui molti noiosi dialoghi.
Normalizza i tempi verbali nella parte iniziale, il presente deve restare tale, e correggi i refusi, poi va bene.
Normalizza i tempi verbali nella parte iniziale, il presente deve restare tale, e correggi i refusi, poi va bene.
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Re: Esercizio numero tre
Ottimo, grazie mille!
Re: Esercizio numero tre
DIALOGICO
“Senti, vaffanculo…”
“Ma… Non ho fatto niente…”
“Sicuro?”
“Cara, ripercorriamo la faccenda assieme, se vuoi… se dici”
“Già, così la giri come vuoi.”
“Almeno sapremo se…”
“Vaffanculo!”
“Ancora?”
“Ma sii serio per una volta nella tua vita, sei capace?”
“Se mi lasci parlare…”
“Vaffaculo!”
“E siamo a tre… senti, non penso di aver sbagliato, sai?”
“Cosa? Scopare la tua musa.”
“No, stavamo condividendo, cercando idee, esplorando. Se non riesci a capire sei proprio bigotta; scusa sai.”
“Vaffanculo!”
RIFLESSIVO
Ogni mattina cerco un motivo.
I pensieri che vorticano e cercano questa carta, come il sole che irrompe e mette fine alle tenebre.
Scrivo per cercare di definire come mi sento, così da trovare uno scopo ma non riesco a vedere oltre il mio naso.
Concludo che sono inquieto e trovare una soluzione è complicato dato che devo andare in fabbrica.
“Senti, vaffanculo…”
“Ma… Non ho fatto niente…”
“Sicuro?”
“Cara, ripercorriamo la faccenda assieme, se vuoi… se dici”
“Già, così la giri come vuoi.”
“Almeno sapremo se…”
“Vaffanculo!”
“Ancora?”
“Ma sii serio per una volta nella tua vita, sei capace?”
“Se mi lasci parlare…”
“Vaffaculo!”
“E siamo a tre… senti, non penso di aver sbagliato, sai?”
“Cosa? Scopare la tua musa.”
“No, stavamo condividendo, cercando idee, esplorando. Se non riesci a capire sei proprio bigotta; scusa sai.”
“Vaffanculo!”
RIFLESSIVO
Ogni mattina cerco un motivo.
I pensieri che vorticano e cercano questa carta, come il sole che irrompe e mette fine alle tenebre.
Scrivo per cercare di definire come mi sento, così da trovare uno scopo ma non riesco a vedere oltre il mio naso.
Concludo che sono inquieto e trovare una soluzione è complicato dato che devo andare in fabbrica.