Una notte

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Moderatori: Gaetano Intile, Robennskii

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Carla Ebli
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Una notte

Messaggio da Carla Ebli »

Ho la sensazione di soffocare.
Un'umidità stantia mi penetra nelle ossa. La paura mi paralizza. Sono sfinita. Sento in sottofondo il
triste rimbombo di fievoli lamenti. Sembra giungere da molto lontano, come il verso di una bestia
ferita. Vorrei solo sparire nel sonno; allora mi metto a pregare cercando un modo per attenuare lo
sconforto e la paura. Non riesco nemmeno a capire perché mi trovo qui.
Sarà una notte lunga che, come tutte le lunghe notti, si va materializzando nel buio fino a prendere
le sembianze di un mostro che mi attanaglia in un gelido morso. Vorrei soltanto morire; subito.
Dopo quella che mi è sembrata un'eternità, riemergo sfatta dal mio torpore in cui mi ha gettato lo
smarrimento più completo. Sono rimasta senza punti cardinali e senza nessuna cognizione
temporale.
Percepisco a pelle malvagità e perfidia.
Ora qualcuno, in quel buio, mi si è avvicinato tanto che mi riesce di annusare la sua presenza come
qualcosa di riluttante.
La mia paura si gonfia come le nuvole quando fuori piove..
Sento il caldo del suo fiato farsi più vicino. Mi ha legato le mani, bendato gli occhi e imbavagliato
la bocca.
Mi pare di sentirlo ghignare; solo ora mi accorgo che in realtà sono più di uno.
Mani nodose come artigli mi stingono le magre braccia, trascinandomi lungo corridoi che,
attraverso il tonfo vuoto di quei passi, risuonano stretti e sgombri.
Sento aprirsi una porta, ho la sensazione di stare al centro di una stanza spoglia e maleodorante.
Ho addosso tutto il peso di occhi sconosciuti puntati addosso, indagatori e poco rassicuranti.
Mi assalgono incontrollati brividi; forse sto tremando.
Poi è un fiume travagliato di domande a cui sono costretta a rispondere con un cenno del capo: o sì
o no.
Il mio silenzio si impregna di lamenti . Il grido imponente di carne, la mia, straziata., è come se non
mi appartenesse.
Le membra spezzate e il dolore di quel martirio hanno un sapore freddo, acre, quasi pungente.
Infine parole dure, di marmo che non capisco:
” Eretismo e blasfemia, signori miei! Ha confessato!”
Da un punto indefinito della stanza ora mi giungono grida e risa esultanti che hanno il sapore e il
peso di una vittoria:
“Strega, troia del diavolo...al rogo!”
Adesso, solo adesso capisco che ho firmato, con i sì del mio capo, che erano come un balsamo per il
mio misero corpo, perché attenuavano il morso di quelle torture, la mia condanna a morte.
Tutto senza prove né verità.
Una confessione estorta con crudeltà che ha portato la menzogna a vincere e di fronte a questo
massacro, tu oh Dio, dove sei?
Ti ho pregato, implorato, mi è sembrato di aver gridato più volte il tuo nome; ma nulla è servito.
Solo la mia ammissione di colpa ha posto fine a quei tormenti, alla gogna della mia carne.
Ora, nonostante il corpo martoriato e le ore contate, provo uno strano sollievo, come se quella non
fossi più io.
Mi trascinano di nuovo nella stessa cella dove mi hanno tenuta rinchiusa per tutta la notte .
O forse per più notti, chissà, dato che dal momento che sono arrivata qui ho la percezione che il
tempo si sia allungato e che lo spazio si sia ridimensionato. Mi sembra di essere allucinata.
Qualcuno mi sputa addosso.
Avverto il caldo viscido di una saliva densa a sigillo di una macabra esultanza : quella dei vincitori
sleali e codardi.
Sono lasciata sola, chiusa dietro una porta che ha risuonato come fosse sprangata .
Prima che l'ultima forza mi abbandoni, mi muovo seguendo il primordiale istinto della memoria
per arrivare là dove avevo nascosto una boccetta di intruglio di erbe che porto sempre con me in un
finto orlo della gonna.
Barcollo, vado a tentoni, striscio con le mani lungo il perimetro di una cella angusta. Riesco a
trovare il mio tesoro.
Apro il tappo e mi tornano intensi i profumi conosciuti: quello della belladonna, mischiata ai petali
e ai pistilli della freddolina e, per ultimo, l'odore pungente della radice di mandragola ridotta in
polvere.
Porto alla bocca il mortale intruglio. Mi stordisce quell'amaro di bosco. Penetra nelle vene,
asciuga la saliva; sudano le membra lacerate e piano piano le pupille si dilatano e le palpebre si
fanno pesanti, il fiato lieve, il sussulto dello sterno, il formicolio diffuso fino alla completa paralisi e
infine eccolo arrivare, come un sollievo, l'ultimo mio esile spasmo di vita.
Il mio corpo finalmente mi abbandona e mi sento più leggera dell'aria.
L'indomani comunque la sentenza viene eseguita per dare pubblico esempio.
La folla è in delirio.
Trascinano il mio corpo inerme verso la catasta di legna. Lo gettano sopra come un peso di cui
liberarsi in fretta, ma nella loro coscienza rimarrà vivo e grave come un eterno peccato mortale che
non potranno più espiare. Sta per cadere su di loro la maledizione delle streghe: un incantesimo che
li legherà con invisibili catene al male che stanno compiendo.
Ma non lo sanno ancora. Ignari esultano e senza remora alcuna appiccano i roghi su cui giacciono i
corpi di donne torturate e legate, ma stavolta senza bavagli, perché lo strazio giunga come un
monito implacabile pieno di orrore alle orecchie dei presenti.
Si levano così dalle fiamme le urla di quelle povere anime di innocenti, mentre dal mio rogo si leva
soltanto il silenzio dei morti, a riprova della follia dell'uomo.
E mi sveglio madida di sudore e la bocca asciutta. A stento apro gli occhi.
Riconosco i mobili della mia stanza e dalla finestra iniziano a filtrare i primi raggi di sole.
Ho solo voglia di un caffè.
Allegati
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Maria E.
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Re: UNA NOTTE

Messaggio da Maria E. »

Meraviglioso.
Ho letto questo tuo componimento e mi ci sono subito immedesimata, anche a me capita spesso di immergermi nel buio della mia anima. A volte capito su nuvole bianche e pensieri bellissimi, a volte nell'oscura stanza della paranoia, dei brutti pensieri, del male. Abbiamo tutti dentro di noi una voce bianca, quella che ci porta sulla retta via, e una voce nera, quella che tenta, stordisce, devia. Il corpo umano è un qualcosa che ancora non si riesce a spiegare, ci sono delle dinamiche e degli avvenimenti dentro di noi che la scienza ancora non ha portato alla luce. Come la nostra ghiandola pineale, meraviglioso crogiuolo che racchiude un mistero assoluto.
Il tuo sogno è qualcosa di mistico, ma anche reale. La paura, l'incomprensione, la fustigazione, tutto narrato con un tatto sublime e toccante. Hai una spiritualità immensa, capace di irradiare chi ti legge. Nonostante l'epilogo trovo che hai posto le giuste domande, la giusta fede, la giusta punta di orgoglio e di redenzione.
Ti ringrazio per averlo condiviso qui!!
Gaetano Intile
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Re: UNA NOTTE

Messaggio da Gaetano Intile »

Ciao, Carla, lieto di leggere qualcosa di tuo, benvenuta.
Ho trovato molti refusi, come nel seguente passo: "Il mio silenzio si impregna di lamenti . Il grido imponente di carne, la mia, straziata., è come se non
mi appartenesse."
Basta una rilettura.
Hai optato per una narrazione in prima persona al presente, un io narrante, col punto di vista della protagonista, e una focalizzazione interna fissa. La prima persona serve ad avvicinare il protagonista al lettore e anche in questo caso funziona egregiamente, il presente trasforma il racconto in una presa diretta e segue passo passo la protagonista. Ben fatto quindi.
La focalizzazione interna fissa ha però la caratteristica di non potersi svincolare dalla soggettività del protagonista e di far vedere tutto quanto accade coi suoi occhi. In questo tipo di focalizzazione vengono molto adoperati i verbi di percezione e infatti la tua narrazione inizia con la protagonista che prova la sensazione di soffocare. Tutti noi però sappiamo che le sensazioni di affogamento/soffocamento sono dei topoi costanti nelle rappresentazioni oniriche.
Da lettore ho quindi iniziato a leggere con un: vuoi vedere che sta sognando?
Dove ero rimasto... la soggettività. In questo momento, nel tuo racconto, la soggettività per forza di cose deve venire meno: "Il mio corpo finalmente mi abbandona e mi sento più leggera dell'aria."
La protagonista muore.
Di solito, in un racconto a focalizzazione interna fissa la morte del protagonista coincide con la fine della narrazione, perchè non sono possibili alternative narrative.
E infatti la tua voce narrante diventa impersonale. "L'indomani comunque la sentenza viene eseguita per dare pubblico esempio."
Ora, come fa la protagonista a sapere che domani la sentenza verrà eseguita? Non può, perché è morta e istintivamente il narratore commette un errore, o l'unica alternativa possibile (in apparenza) e diventa impersonale.
Nel seguito sei indecisa, con quel mio che sembra tornare alla prima persona, ma col resto che ridiventa impersonale. "Trascinano il mio corpo inerme verso la catasta di legna. Lo gettano sopra come un peso di cui
liberarsi in fretta, ma nella loro coscienza rimarrà vivo e grave come un eterno peccato mortale che
non potranno più espiare. Sta per cadere su di loro la maledizione delle streghe: un incantesimo che
li legherà con invisibili catene al male che stanno compiendo.
Ma non lo sanno ancora. Ignari esultano e senza remora alcuna appiccano i roghi su cui giacciono i
corpi di donne torturate e legate, ma stavolta senza bavagli, perché lo strazio giunga come un
monito implacabile pieno di orrore alle orecchie dei presenti."
Nel finale ritorna la prima persona perché l'io narrante ci rivela la sostanza del sogno.
E quindi, se era un sogno potevi benissimo continuare con la prima persona e la focalizzazione interna.
Faccio una breve digressione. Il Don Quixote di Cervantes è il primo romanzo moderno. La coppia Don Chisciotte Sancho Panza inanellano un'avventura dopo l'altra, una più fantastica dell'altra, per una infinità di pagine. In uno dei primi capitoli, per caso incontrano, in una sperduta osteria, tutta una serie di parenti e di amici e conoscenti del nobile manchego che non avevano alcuna ragione per giungere lì ognuno per i fatti propri proprio in quel momento e di incontrarlo. È totalmente senza senso, eppure accade. Fino al XVIII secolo il romanzo non deve essere verosimile. Il vincolo della verosimiglianza nasce col secolo dei Lumi, con De Sade, con Choderlos de Laclos, con Goethe e diventa irrununciabile col romanzo romantico e con quello contemporaneo. Autore e lettore reale stringono un reciproco patto narrativo. Da una parte la verosimiglianza, dall'altra la sospensione dell'incredulità. Tu autore promettimi di rimanere il più vicino possibile al reale, e io lettore faccio finta di credere a tutto quel che scrivi.
Tuttavia esistono degli espedienti per venir meno allo stringente vincolo del duplice, imprescindibile, patto d'acciaio. Uno di questi è il sogno, il racconto onirico, dove la verosimiglianza può andare a ramengo.
Tu hai adoperato l'espediente onirico, a mio avviso, sottovalutandone la portata, la grandezza e le potenzialità. Nel sogno puoi far accadere letteralmente qualsiasi cosa, senza vincoli di sorta, proprio perché è un sogno non devi seguire alcuna logica binaria. Puoi immaginare che arrivi San Franceso in compagnia di Padre Pio a cavallo di Pegaso mentre Bellerofonte è in barca con Calipso, o che si materializzi fra Guglielmo da Baskerville con le fattezze di Sean Connery e vada a prendere un caffé corretto con Bernardo Guy e George Clooney mentre Fabrice Luchini discute con Brahms. Insomma, hai adoperato il sogno come un espediente per raccontare una storia che potevi raccontare tranquillamente in altro modo senza l'aiuto del sogno. Non so se sono riuscito a spiegarmi.
Peraltro,il lessico è adeguato, il registro linguistico anche. In alcuni momenti cedi alla tentazione di un linguaggio più poetico, e antico, anteponendo l'aggettivo al sostantivo, come qui: "Mani nodose come artigli mi stingono le magre braccia,Il racconto", e forse si potrebbe evitare.
Marcello ha detto che sono pignolo. Ritorniamo alla verosimiglianza. L'ultima solenne celebrazione di un atto di pubblica fede (autos da fé) avvenne a Palermo nel 1724. La Santa Inquisizione effettuava l'interrogatorio del reo anche mediante tortura e poi consegnava il colpevole al braccio secolare. A finire allo Steri erano sempre eretici o eretici e stregoni e streghe. Streghe e stregoni erano quasi sempre dei malati di mente, come scrive anche Michel Foucault nel suo Storia della Follia nell'età classica. Per evitare il rogo, e la tortura, bastava confessare. Dopo di che il braccio secolare si occupava della condanna che consisteva in un congruo numero di frustate, o nella pubblica gogna e robette del genere, cui seguiva qualche sorta di internamento, molto comune all'epoca. Foucault calcola che a Parigi agli inizi del Settecento almeno un decimo della popolazione parigina vive per qualche ragione reclusa. La malattia, la pazzia, il comportamento, lo stato di povertà, e chi più ne ha più ne metta. A meno che gli eretici non fossero dei relapsi, ossia recidivi, e capitava anche quello il fatto di essere una strega o stregone finiva con l'internamento. Anche i relapsi di solito abiuravano e la sentenza di morte veniva eseguita tramite garrota o decapitazione. Ma i malati di mente raramente confessavano le proprie colpe, anche dopo la tortura. Ed erano gli unici ad essere arsi vivi. L'ultima celebrazione di un atto di fede a Palermo riguarda proprio una di queste povere disgraziate, che già i medici di allora stimavano essere completamente fuori di testa. Probabilmente era una schizofrenica e soffriva di psicosi, scambiate per possessione diabolica pure dalla poveretta.
Ritorno al racconto, se non ci fosse stato il sogno a eliminare ogni verosimiglianza, la tua protagonista avrebbe confessato durante o prima della tortura e avrebbe evitato il rogo. A meno di non essere pazza.
Finisco col tema. Ecco, qual è il tema del racconto? A mio avviso è incerto. La rappresentazione onirica può far pensare a un qualche disagio. Ma quale? La violenza patita, la paura di subire una violenza, il timore che comunque ci attanaglia, l'ansia... ma allora perché prenderla così alla larga?
Il mio consiglio è sempre quello di scegliere un tema ben preciso e di seguirlo, di perseguirlo, esplicitamente o implicitamente, altrimenti il lettore potrebbe dirsi, sì, è bello, ma che vuole dire? Dove vuole arrivare? Che significa? Ognuno secondo le proprie capacità, certo.
Non so se sono riuscito a essere intellegibile, spero di sì.
Spero che le impressioni non rimangano solo le mie.
Robennskii
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Re: Una notte

Messaggio da Robennskii »

In un'altra vita, scrissi un piccolo racconto che si piazzò davvero bene in una gara di BA, la Gara d'Estate 2020. Tema affine a questo, eppure così distante. "La Fiamma del Desiderio".

Sono lontano, Carla. Se vuoi il mio spassionato parere, dopo l'analisi così accurata di Namio che va ben oltre le mie scarse competenze, il mio non può che essere un commento "emotivo".
Non prende, la storia non mi prende... prevedibile. Il linguaggio è condito inoltre di troppi aggettivi, a mio parere. Il finale è fuori binario. Dice bene Namio, o si resta nel sogno oppure nella realtà.

Che tu sappia scrivere è fuori discussione. C'è solo da decidere il "cosa", che sia chiaro dove si va a parare - che non sia solo uno sfogo autoconclusivo -.
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Susanita
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Re: Una notte

Messaggio da Susanita »

Narrare in prima persona non è mai facile, c'è sempre in agguato il rischio di "esagerare" per il timore che al lettore non arrivi quello che l'autore vede ben chiaro. Ma non in questo racconto, che da questo punto di vista trovo equilibrato, in quanto tutto serve per trasmettere lo stato emotivo della protagonista, a dare un ritmo incalzante alla trama. Insomma si percepisce bene la paura, la disillusione per un qualcosa di ineluttabile che sta per accadere, e per una piccola speranza che finisce per morire. La conclusione, in cui si scopre il velo della vicenda, mi ha spiazzato, completamente. Mi ero immaginata una delle tante storie di donne destinate ad essere "merce", da annientare fisicamente e psicologicamente, per diventare future prede di uomini che sfogheranno i loro più abietti desideri e invece mi parli di "streghe", storie intrise di superstizioni, false credenze, quasi scuse per nascondere l'ignoranza e il desiderio di potere e di prevaricazioni a ogni costo. Non ho conoscenze storiche tanto approfondite da spendere, se non quello che mediamente sappiamo tutti sull'argomento, di cui ogni tanto di replicano anche in tempi moderni le stesse vicende, e che reggono le trame di romanzi e racconti, ed è forse per questo che il racconto mi è piaciuto. Leggerlo senza richiamare tali memorie è servito ad entrare in quello che hai raccontato. Che poi alla fine sia un sogno, beh a chi non è capitato di fare sogni che il nostro subconsio è stato così bravo da rendere credibile un'esperienza che mai abbiamo vissuto e forse neanche vivremo, ma ti rimane addosso per qualche ora una sensazione comunque forte. Sì, qualcosa da sistemare c'è, i refusi scappano perchè chi scrive spesso non li vede, volte basta una rilettura "meccanica" a giochi fatti. Grazie per la condivisione.
Gaetano Intile
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Re: Una notte

Messaggio da Gaetano Intile »

Il mio intervento voleva soprattutto essere uno stimolo ad adoperare la visione onirica per quello che è. Non abbiamo bisogno dei sogni per raccontare la realtà in una narrazione. La visione onirica serve a rompere gli schemi, a introdurre incognite, cose che non si possono dire o pensare, a introdurre personaggi in ambienti folli. Il mio riferimento al Don Chisciotte andava in questo senso. Non è una questione di genere. Nel fantasy accadono cose fantastiche, ma l'autore deve sforzarsi di essere comunque verosimile. Il Signore degli Anelli è un'epopea mitica ambientata in un universo fantastico, ma non è che Legolas la sera si addormenta e sogna Monica Bellucci che gira Matrix con Vincent Cassel.
Mentre nel mio sogno Monica Bellucci suona la batteria in quel locale che c'è ad angolo con via XX settembre, in cui suonano free jazz e servono metzcal reposado.
Barbaluca
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Re: Una notte

Messaggio da Barbaluca »

Dopo i commenti che mi hanno preceduto mi sento un po' imbarazzato ascrivere due righe da semplice lettore che non ha gli strumenti necessari a una disamina tanto accurata.
A me il racconto è piaciuto con quell'incipit che trasmette con forza le sensazioni della protagonista anche al lettore.
Personalmente avrei eliminato le ultime righe, quelle che riferiscono al sogno e avrei lasciato il racconto terminare con la frase sulla "follia degli uomini"; al limite sarebbe stato il lettore a sciogliere l'eventuale dubbio su sogno o realtà.
Ti segnalo questa frase: "Ho addosso tutto il peso di occhi sconosciuti puntati addosso, indagatori e poco rassicuranti", in cui la parola "addosso" si ripete due volte nella stessa frase.
Robennskii
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Re: Una notte

Messaggio da Robennskii »

Cerchiamo di dare una lettura che aiuti. Postare un testo libero qui è un invito alla critica: precedentemente Digito lo ha fatto, pregandoci di dargli una bella "ripassata".
Questo è anche il motivo per il quale io stesso alzò un po' l'asticella della severità, e non potrò che attendermi altrettanto.
Invito Carla a rispondere, chiedere, dire la sua.
Ricordo di quando, su un'altra piattaforma e non parlo di BA, il mio primo commento che presentava un'unica critica (ma lo ammetto, destabilizzante) non fu proprio ben accolto.
Carla Ebli
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Re: Una notte

Messaggio da Carla Ebli »

Grazie per tutti i vostri commenti. Mi serviranno a migliorare e aggiustare il tiro dove è bene aggiustarlo
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